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IL TRADIZIONALE RITUALE DELLA PARTENZA PREVEDE LA DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI DEL PERCORSO DI STUDIO ...

Lezione N.: 
1

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»

PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica nel secolo dei Lumi

12-13-14 e 21 ottobre 2022

IL TRADIZIONALE RITUALE DELLA PARTENZA PREVEDE

LA DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVI DEL PERCORSO DI STUDIO ...

     Ben venute e ben venuti a Scuola! Ben tornate e ben tornati a frequentare un Percorso di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura, un’esperienza che dal 1° ottobre 1984 propone un tirocinio di Apprendistato cognitivo nell’ambito della Scuola pubblica degli Adulti: e quindi questo è il 39° viaggio di studio in partenza.

     E qualsiasi viaggio reale o metaforico che sia ha inizio, come sapete, con la partenza, e la partenza per un viaggio [la sua preparazione e il momento stesso del partire] corrisponde sempre a “un rito” e il nostro tradizionale “rituale della partenza” che si ripete ogni anno [ma, per loro natura, i rituali sono ripetitivi] potrebbe risultare noioso se non fosse insostituibile perché la sua celebrazione è un atto necessario, prima di tutto per conoscere la “natura didattica” e gli “obiettivi formativi” del Percorso che stiamo per intraprendere: è sconsigliabile, soprattutto nel caso di un viaggio di studio [funzionale all’esercizio della lettura e della scrittura], partire senza sapere dove andare e per questo dobbiamo conoscere i motivi per cui stiamo frequentando la Scuola e perché la Scuola deve [dovrebbe] essere aperta a tutti come dispone l’Articolo 34 della Costituzione, e Articolo 34 è il nome dell’Associazione che - soprattutto per iniziativa di Valdemaro Morandi che ricordiamo con affetto - è stato necessario costituire per poter richiedere gli spazi dove promuovere il nostro tirocinio di Apprendistato cognitivo. E in un Percorso didattico che si propone di promuovere un tirocinio di Apprendistato cognitivo la lista dei contenuti da conoscere ha certamente una rilevanza. Ma, prima di tutto, è importante essere al corrente di come si configura lo straordinario esercizio dell’Apprendimento: in primo luogo è indispensabile imparare a conoscere “il modo in cui impariamo” perché il compito primario della Scuola è quello di occuparsi di “coltura” in quanto il termine “cultura” deriva dal verbo “coltivare”. Questo termine non dovrebbe definire altro che il manifestarsi del fenomeno dell’imparare a imparare, e la Scuola si frequenta a ogni età, per tutto l’arco della vita, principalmente per questo motivo perché come dice l’incipit della Metafisica di Aristotele: «la persona è attratta permanentemente dal desiderio di conoscere»: questo come sapete, è il principale motivo che dà un senso alla vita degli esseri umani perché siamo persone vitali fino a quando coltiviamo la volontà di imparare e quando cessa in noi la volontà di imparare ci allontaniamo dalla vita.

     E, di conseguenza, se è utile frequentare la Scuola per “imparare ad apprendere” dobbiamo, prima di tutto, sapere come si sviluppa il processo di Apprendimento per poterlo gestire in modo autonomo, e questa è la prima domanda che dobbiamo porci nel celebrare il tradizionale rituale della partenza: come si sviluppa il processo di Apprendimento? Molte e molti di voi lo sanno già, ma le cose ripetute giovano all’Apprendimento - «repetita iuvant», dicevano i Latini - e i rituali sono ripetitivi e la partenza è un rito.

     L’Apprendimento [l’attività dell’imparare] si sviluppa attraverso sei azioni privilegiate - conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare - che non agiscono in ordinata successione [come, in modo funzionale, le abbiamo ora elencate] ma operano, insieme alla memoria, attraverso una serie di rapporti simultanei condizionati da vari fattori. Alle dipendenze di queste “sei azioni cognitive principali”, per corroborarne l’efficienza, ci sono altre quaranta azioni conseguenti [le cosiddette azioni cognitive sussidiarie che ora non elenchiamo]. Ebbene, una persona è capace di investire in intelligenza quando sa utilizzare al meglio le azioni cognitive,  soprattutto le sei azioni principali, e, di conseguenza, nel corso di ogni itinerario [di ogni Lezione] ci eserciteremo come stiamo già facendo ad attivare queste azioni: quindi, si viene a Scuola per imparare a conoscere, a capire, ad applicare, ad analizzare, a sintetizzare e a valutare e, quindi, quando si entra nel sistema [nell’Officina] dell’Apprendimento permanente, piuttosto che farsi interrogare, ci si deve domandare: che cosa è utile “conoscere”, che cosa è necessario “capire”, come ci si deve “applicare” e che cosa significa, sul piano dell’Alfabetizzazione funzionale e culturale, “analizzare”, “sintetizzare” e “valutare” per poter “investire in intelligenza [per dedicarsi allo studio, visto che studium e cura, in latino, sono sinonimi]”? E allora procediamo con ordine.

   * Per investire in intelligenza è necessario “conoscere” il significato delle parole-chiave della Storia del Pensiero Umano, e nel corso di questi anni abbiamo conosciuto un ampio catalogo di parole-chiave e le parole-chiave danno forma ai paesaggi intellettuali rendendoli osservabili e intelligibili: la parola crea.

   * Per investire in intelligenza è necessario “capire” il significato delle idee-cardine della Storia del Pensiero Umano, e al termine del viaggio dello scorso anno [dalla seconda metà del ‘600 agli albori del ‘700] abbiamo compreso come “la condizione umana” [la qualità della vita degli esseri umani] sia influenzata negativamente dal mancato riconoscimento del diritto-dovere delle persone all’Apprendimento permanente.

   * Per investire in intelligenza è necessario “applicarsi” costantemente nell’esercizio della lettura, quattro pagine al giorno per dieci minuti al giorno; e il termine latino LEGERE MULTUM significa: leggere poco alla volta ma con cadenza regolare, usando la massima attenzione. L’acquisizione di questa buona abitudine quotidiana garantisce la possibilità di LEGERE MULTA: molte pagine nel giro di poco tempo. E, inoltre, è necessario anche “applicarsi” costantemente nell’esercizio della scrittura, quattro righe al giorno: si legge e si scrive per dare fluidità al processo di apprendimento [e, ancora una volta, ma i rituali sono ripetitivi, ricordiamo che cosa scrive in proposito l’eminente studiosa dei meccanismi cerebrali Rita Levi Montalcini: «La lettura giornaliera di almeno quattro pagine di buona Letteratura e la scrittura di almeno quattro righe contenenti un pensiero autobiografico sono esercizi che preservano l’elasticità dei neuroni, le cellule del cervello, contribuendo al mantenimento della salute della persona»]. “Leggere e scrivere” sono [come sappiamo dall’attività di ricerca degli Osservatori preposti] due attività fortemente trascurate dalla stragrande maggioranza delle cittadine e dei cittadini del nostro Paese: le persone che nella fascia tra i 18 e i 65 anni - la fascia “attiva” della popolazione - si dedicano costantemente a leggere sono il 13% e a scrivere sono l’11%  e questo perché l’81% delle persone adulte non possiedono gli strumenti necessari per dedicarsi all’esercizio della lettura e della scrittura.

   * Per investire in intelligenza è necessario “analizzare”, e questa azione consiste nel catalogare, nel mettere in ordine i pensieri che si formano ininterrottamente nella nostra mente: è necessario che la persona impari a fare ordine perché la mente produce pensieri a ciclo continuo e bisogna, oggi più che mai, evitare la confusione mentale imparando a gestire l’azione dell’analizzare altrimenti la persona si ritrova ad avere una testa ingorgata.

   * Per investire in intelligenza è necessario “sintetizzare” e questa azione consiste nella scelta [tra la scelta e la sintesi c’è uno stretto legame] di uno dei pensieri che abbiamo catalogato nella nostra mente facendo l’analisi, quello che ci sembra più significativo, scrivendolo in forma concisa [essenziale, contenuta]: un pensiero contenuto in quattro righe scritte [per raccontare, per descrivere, per informare, per esprimere, per interpretare, per argomentare] dà forma a un oggetto concreto, il testo, in cui si manifesta la nostra attività intellettuale.

   * Per investire in intelligenza infine è necessario “valutare”, e valutare significa essere consapevoli di sovrintendere all’iter del nostro percorso di apprendimento.

     Ciascuna e ciascuno di noi, itinerario dopo itinerario, deve domandarsi: «Quante parole-chiave ho conosciuto, quante idee-significative ho capito, ho letto quotidianamente alcune pagine con attenzione, quanti pensieri ha catalogato la mia mente, e di quale pensiero ho fatto la sintesi scrivendolo?».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

In quale ordine di importanza - secondo le vostre esigenze di oggi - elenchereste questi obiettivi: conoscere le parole-chiave, capire le idee significative, applicarsi nella lettura, analizzare i propri pensieri, sintetizzare un pensiero scrivendolo, valutare il proprio apprendimento?...   Non rinunciate a scrivere il vostro parere in proposito perché esercitarsi a scegliere serve per tenere il passo sull’itinerario dell’apprendimento...

     Avete in mano e sotto gli occhi un fascicolo intitolato REPERTORIO E TRAMA ... che è lo strumento che ci consente [e, in questo momento, state facendo questo esercizio] di orientarci meglio sul nostro cammino per favorire l’azione di conoscere e di capire, e inoltre ci propone un compito per sostenere l’azione dell’applicarci nell’uso dell’analisi, della sintesi e della valutazione.

     E, a questo proposito anche in relazione a questo oggetto cartaceo che deve essere stampato, dobbiamo, come sapete, sostenere qualche spesa. Riceverete circa 150 pagine di REPERTORIO E TRAMA ... e questo materiale viene fotocopiato presso la Scuola “Francesco Redi” di Bagno a Ripoli e perciò è necessario versare un contributo a questo Istituto [in questi anni il contributo è stato di 1600 €. a fronte di una produzione di circa 45.000 pagine! Contiamo ora - con la contrazione dell’utenza e degli introiti - di stampare meno pagine e, quindi, di contenere anche l’entità del versamento]. Inoltre prevediamo di versare all’Associazione Il cuore si scioglie della Coop. un contributo di 1000 €., e poi prevediamo di donare un contributo all’Associazione AISLA di Firenze [che si occupa degli ammalati di Sclerosi Laterale Amiotrofica], e di donare un contributo anche all’Associazione Messicana che sostiene l’attività delle donne dei forni a energia solare in Messico. Inoltre l’Associazione Articolo 34 deve obbligatoriamente stipulare, come ha già stipulato, un’Assicurazione con un costo di 700 €.

     In questi anni per la copertura di queste spese [con l’approvazione dei gruppi scolastici] è stato versato un contributo volontario individuale di 15 €. [sebbene sia necessario è comunque - come prevede la Statuto dell’Associazione - un contributo volontario, e dalla prossima settimana lo potete versare in questo contenitore sotto l’occhio vigile di Giuseppe Verdi]; e, inoltre, per incrementare la raccolta e per raggiungere gli obiettivi programmati ogni settimana, volendo ,potete mettete “uno spicciolo” in questo altro apposito contenitore blu, il colore delle energie intellettuali: con questi gesti abbiamo sempre prodotto il materiale necessario e, nel nostro piccolo, abbiamo coltivato la solidarietà, e il verbo “coltivare” detiene come sapete una posizione centrale nello svolgimento delle attività di Alfabetizzazione e, quindi, sulla scia del verbo “coltivare”, continuiamo a celebrare il tradizionale rituale della partenza.

     «Non c’è cultura senza Alfabetizzazione» [come, dal 1946, si legge nei Documenti dell’Unesco] e questo perché, come sapete, la parola “cultura” deriva dal verbo “coltivare” per cui questo termine descrive la possibilità che ha la mente di acquisire le competenze che servono per imparare: «la cultura [si legge nei Documenti dell’Unesco] non è una cosa ma è un modo di fare le cose» e, quindi, il termine “cultura” [sinonimo di “coltura”] va utilizzato [andrebbe utilizzato] solo per definire “l’itinerario di apprendistato che porta la persona a saper utilizzare in modo efficiente le azioni dell’Apprendimento di cui abbiamo appena parlato, in modo che le varie attività alle quali la persona si dedica [come, per esempio, leggere un libro, utilizzare la biblioteca, visitare un museo, vedere una mostra, andare a teatro, osservare i monumenti di una città, scrutare il cielo e via dicendo] si possano tradurre in un investimento in intelligenza affinché la volontà di imparare, che ogni persona possiede, si concretizzi e dia frutti”.

     Nel corso del tradizionale e ripetitivo ma necessario rituale della partenza che stiamo celebrando, dobbiamo dire come antifona che negli ultimi quattro anni abbiamo viaggiato [sebbene condizionati dalle norme di contrasto alla pandemia] sul territorio del Seicento; il Seicento è un periodo importante in quanto è il primo secolo della modernità [chiamato anche il Gran secolo], è,  come abbiamo studiato, il secolo della Scienza, il secolo del Barocco [in architettura, in pittura, in scultura, in musica], il secolo del romanzo moderno, del teatro moderno, della favola, della fiaba, del dramma in versi, è il secolo in cui prende forma un fecondo e significativo pensiero filosofico permeato da una forte valenza educativa.

     E ora, nel momento in cui con il viaggio che stiamo per intraprendere stiamo per addentrarci nel vasto territorio del Settecento [del cosiddetto secolo dei Lumi], dobbiamo tener conto dell’eredità “filologica” che abbiamo ricevuto dal Seicento; il Seicento [il secolo in cui la modernità prende coscienza di sé] è, come abbiamo studiato nel Percorso dello scorso anno, l’epoca in cui molte parole-chiave della Storia del Pensiero Umano, già in uso da secoli fin dall’antichità, diventano “moderne”: che significato ha questa affermazione? Significa che molte parole-chiave che, fin dall’Età assiale, hanno avuto un ruolo significativo nella Storia dell’Umanità, vengono ora utilizzate [dalle persone che si sono fatte carico di dare impulso al Pensiero Umano] in modo più adatto e più razionale per descrivere “la condizione umana” che, come sapete, è il tema dominante nel dibattito intellettuale del Seicento.

     E di questo tema si fa portavoce prima nel 1580 Michel de Montaigne nei suoi Saggi [come abbiamo studiato a suo tempo] e poi Blaise Pascal [la cui capacità sintetica è formidabile essendo anche un eccezionale matematico] il quale, in chiave interrogativa in uno dei suoi Pensieri [un’opera che abbiamo studiato con grande interesse], scrive con efficacia straordinaria: «L’essere umano è consapevole di essere un nulla rispetto all’infinito? Ed è cosciente di essere un tutto rispetto al nulla? Purtroppo [ribadisce Pascal con il pessimismo della ragione] l’essere umano [condizionato dal sistema di distrazione di massa che abitua l’individuo a non pensare] è ugualmente incapace di vedere il nulla da cui è stato tratto e l’infinito dal quale è inghiottito. Occorre che l’essere umano venga educato a riflettere sulla sua condizione».

     E la persona [ciascuna e ciascuno di noi] fa esperienza della propria condizione “umana” quando, attraverso lo studio, diventa consapevole di quel miracoloso fenomeno che è “il pensiero in grado di pensare se stesso”, un atto che porta alla formazione della coscienza, e la presa di coscienza della propria condizione “umana” necessita del linguaggio per essere descritta e conosciuta, per cui le pensatrici e i pensatori del Seicento [soprattutto sull’esempio delle Piccole Scuole di Port-Royal] ritengono che sia necessario perseguire l’obiettivo di arricchire nel modo più efficace possibile il repertorio lessicale, grammaticale e sintattico di ogni persona in modo che il linguaggio risulti “ben appreso” e possa essere ben utilizzato.

     L’uso delle parole deve essere ben insegnato per ben descrivere in modo chiaro la condizione umana, e le parole sono preziose perché “la parola crea”, ed è attraverso la parola che si sviluppa il pensiero, ed è il linguaggio che rende fecondo ogni investimento in intelligenza, e il tema della condivisione della parola dovrebbe essere all’ordine del giorno nel momento in cui il linguaggio, sempre più impoverito, a causa di un distorto utilizzo della tecnologia è diventato un’arma per colpire più che uno strumento per intrecciare relazioni “umane”.

     Ebbene il Questionario che avete compilato al termine del Percorso dello scorso anno era formato - per facilitarne l’utilizzo - da ben quattro riquadri contenenti una nutrita serie di parole-chiave [complessivamente ben 83 termini] emergenti nella Storia del Pensiero Umano del Seicento. Il Questionario, nel momento in cui ci invitava a fare una scelta, ha messo ciascuna e ciascuno di noi nella condizione umana di entrare in contatto con un vasto catalogo [con un ricco glossario] formato da termini che abbiamo incontrato negli ultimi quattro anni sul territorio del Seicento ma che hanno preso forma nei più significativi paesaggi intellettuali che abbiamo osservato, strada facendo, in questi quattro decenni, perché il Seicento [come abbiamo imparato e come ribadiamo] è l’epoca in cui molte parole-chiave della Storia del Pensiero Umano, già in uso da secoli [fin dall’antichità, da 2500 anni], assumono un significato “moderno” per diventare più funzionali a descrivere “la moderna condizione umana”.

     E ora andiamo a osservare i risultati delle nostre scelte. I risultati del Questionario - al quale hanno risposto 87 persone - sono contenuti in un solo riquadro che riporta secondo la grandezza dei caratteri, la quantità di consensi che hanno ricevuto le ottantatre parole-chiave in questione.

     E adesso puntiamo l’attenzione sul riquadro.

La creatività   la consapevolezza   l'intuizione  

 

la genialità la coscienza il dubbio

 

l’ingegno l’equilibrio la partecipazione

 

il metodo l’illuminazione il realismo la matematica

 

la laicità la misericordia la spiegazione

 

la formazione l’invenzione la concordia la concretezza

 

la teoria l’esperimento la cura la bontà l’energia

 

la scoperta la sfida la tecnica l’utilità l’infinito il rigore

la poesia la grazia la molteplicità

 

il diritto l’utopia il convento la medicina l’ordine la sensazione

la necessità l’attualità la critica la politica la scala l’indifferenza l’ambizione

la dialettica l’esegesi l’autorità l’astuzia la tensione la confutazione 

la forza la diffusione l’assoluto la pienezza la visione  

 

il limite l’incomprensione la macchina la legge l’immortalità il principio il condizionamento

il trattato la conversione l’apologia la divisione l’estasi l’ambiguità la rivelazione

 

la struttura la corporeità il dogma la povertà il simbolo il castello la traduzione 

la beatitudine la cattiveria   

 

[la lontananza]

      Le parole “la creatività, la consapevolezza e l’intuizione” sono quelle che hanno ricevuto più consensi.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Se volete commentare questo risultato potete dare un giudizio scrivendo quattro righe in proposito: che cosa vi suggerisce un risultato di questo genere?…

     Seguono, con un alto numero di consensi, le parole “la genialità, la coscienza, il dubbio, l’ingegno, l’equilibrio, la partecipazione”, e poi con un buon numero di adesioni si distinguono le parole “il metodo, l’illuminazione, il realismo, la matematica, la laicità, la misericordia, la spiegazione”. Poi le scelte cominciano leggermente a calare con le parole “la formazione, l’invenzione, la concordia, la concretezza, la teoria, l’esperimento, la cura, la bontà, l’energia”. Poi le scelte si diluiscono ancora leggermente con le parole “la scoperta, la sfida, la tecnica, l’utilità, l’infinito, il rigore, la poesia, la grazia, la molteplicità”. Mentre sono state scelte poco le parole “il diritto, l’utopia, il convento, la medicina, l’ordine, la sensazione, la necessità, l’attualità, la critica, la politica, la scala, l’indifferenza, l’ambizione, la dialettica, l’esegesi, l’autorità, l’astuzia, la tensione, la confutazione, la forza, la diffusione, l’assoluto, la pienezza, la visione”. Poi hanno avuto ancor meno consensi le parole “il limite,  l’incomprensione,  la macchina,  la legge, l’immortalità, il principio, il condizionamento, il trattato, la conversione, l’apologia, la divisione, l’estasi, l’ambiguità, la rivelazione”. Mentre le parole “la struttura, la corporeità, il dogma, la povertà, il simbolo, il castello, la traduzione” sono state scelte pochissimo ed è significativo che le due parole meno scelte siano state “la beatitudine e la cattiveria” che rappresentano due poli opposti. E, infine, la parola “la lontananza” è stata messa tra parentesi perché non è stata scelta da nessuna e da nessuno di voi.

     In questo gremito riquadro [un assembramento di parole, ma gli assembramenti di parole-chiave non espongono al rischio di contagio ma, se mai, sono un presidio contro il virus dell’ignoranza che continua a circolare liberamente] si raccoglie la nostra riflessione lessicale collettiva sul pensiero della “sapienza poetica e filosofica secentesca” e questa riflessione indica un punto di arrivo ma, soprattutto, le parole “creatività,  consapevolezza, intuizione, genialità, coscienza, dubbio, ingegno, equilibrio, partecipazione” che sono state scelte di più fanno anche da battistrada per il nostro viaggio che sta per avere inizio.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Oggi, di queste parole – creatività,  consapevolezza, intuizione, genialità, coscienza, dubbio, ingegno, equilibrio, partecipazione - quale scegliereste per prima?... 

Scrivetela, perché l’importanza che ha la Parola per quanto riguarda la riflessione sulla condizione umana è fondamentale...

     A proposito di “parole”. Nel corso del Seicento [il primo secolo dell’età moderna] tutte le pensatrici e i pensatori [a cominciare da Montaigne e da Pascal] ribadiscono che la condizione della maggior parte delle persone è fortemente influenzata in senso negativo dal fatto che viene negato loro [senza che se ne rendano conto] il diritto-dovere all’Apprendimento permanente: un tema che continua a essere di stringente attualità perché a tutt’oggi il virus dell’ignoranza [che procura la debolezza cognitiva] continua a circolare indisturbato tra le cittadine e i cittadini adulti del Pianeta e il vaccino necessario per combattere questo virus - che si chiama “studium” ed è sinonimo di “cura” - viene scarsamente prodotto.

     Il diritto-dovere all’Apprendimento permanente è strettamente legato al tema della Parola, e [come abbiamo detto] l’uso delle parole deve essere ben insegnato: le parole sono preziose perché “la parola crea”, ed è attraverso la parola che si sviluppa il pensiero, ed è il linguaggio che rende fecondo ogni investimento in intelligenza.

     L’acquisizione del diritto-dovere all’Apprendimento permanente riguarda prima di tutto [e questo è un fatto universalmente riconosciuto dalle studiose e dagli studiosi] il conseguimento dell’uso della Parola [scritto con la P maiuscola]. Nell’incipit, nel primo versetto del Prologo del Vangelo secondo Giovanni - una delle opere più significative della Storia del Pensiero Umano che, in questi anni, abbiamo studiato in più contesti - si legge: «In principio era la Parola »[’Εν άρχη ήν ό λόgoς] e, se si ricorre alla lettura di questo versetto in chiave puramente pedagogica [senza che ci si inoltri in campo religioso e filosofico], ebbene, il valore didattico dell’affermazione contenuta in questo versetto è notevole.

     Negli anni ’50 e ’60, in Italia, chi ha cercato di mettere in evidenza, con tutta la sua energia, il tema dell’importanza che ha, per la persona, la competenza nell’uso della Parola è stato don Lorenzo Milani. Oggi, a cinquantacinque anni dalla morte, l’animatore della Scuola di Barbiana sarebbe fortemente contrariato nel sentire osannare la sua esperienza di educatore senza che poi ci sia, da parte di coloro che lui chiamerebbe dei “detestabili adulatori”, un impegno reale nel campo della promozione della didattica in modo che possa formarsi la comunità educante: una comunità che sia permanentemente in cammino sui sentieri della Storia del Pensiero Umano per far sì che ogni persona possa osservare, lungo il percorso sui territori del sapere, il maggior numero possibile di paesaggi intellettuali ricchi di parole-chiave da conoscere, da capire e sulle quali potersi applicare. Scrive don Milani: «Io son sicuro che la differenza fra il mio figliolo [montanaro analfabeta] e il vostro [studente cittadino] non è nella quantità né nella qualità del tesoro chiuso dentro la mente e il cuore, ma in qualcosa che è sulla soglia fra il dentro e il fuori, anzi è la soglia stessa: la Parola, il dominio sulla parola».

     Credo che nel corso della celebrazione del rituale della partenza di un Percorso in funzione della didattica della lettura e della scrittura sia necessario ricordare [operando a grandi linee e senza enfasi] che Lorenzo Milani è nato a Firenze il 27 maggio 1923 in una ricca e colta famiglia borghese; è figlio - con un fratello maggiore Adriano e una sorella minore Elena - dell’ingegnere Albano Milani e di Alice Weiss, nata a Trieste e di origini ebraiche. Albano e Alice sono agnostici e hanno contratto matrimonio civile, ma, per inciso, nel 1933 si sposeranno in chiesa e faranno battezzare i figli per ragioni di sicurezza [avevano già capito dove sarebbe andato a parare il regime fascista]. Nel 1930 da Firenze la famiglia Milani si trasferisce a Milano, dove Lorenzo studia fino alla maturità classica. Dall’estate del 1941 Lorenzo si dedica alla pittura iscrivendosi, dopo qualche mese di studio privato, all’Accademia di Brera. Nel novembre 1942, a causa della guerra, la famiglia Milani ritorna a Firenze. L’interesse per la pittura sacra ha senza dubbio contribuito a far conoscere a Lorenzo la Letteratura dei Vangeli e - dopo aver frequentato assiduamente don Raffaele Bensi, priore di San Michele in Visdomini [o San Michelino] in via dei Servi [fate una visita a questa chiesa] - l’8 novembre 1943 Lorenzo decide di entrare nel Seminario Maggiore di Firenze, e il 13 luglio 1947 viene ordinato sacerdote e mandato a San Donato di Calenzano come cappellano del vecchio proposto don Daniele Pugi. A San Donato don Lorenzo fonda una Scuola popolare per giovani operai e contadini: un’esperienza [tutta impostata nel “dare la parola”] che - nonostante la contrarietà della curia - si rivela di grande portata umana e sociale. Alla morte di don Pugi, il 14 novembre 1954, don Lorenzo viene nominato [ma è una promozione di carattere punitivo] priore di Sant’Andrea a Barbiana, una piccola parrocchia di montagna, dove l’anno successivo promuove una Scuola per i ragazzi del popolo che avevano finito le elementari.

     Nel maggio 1958 don Milani fa pubblicare Esperienze pastorali che aveva iniziato a scrivere otto anni prima a San Donato, e nel dicembre dello stesso anno il Libro viene ritirato dal commercio per disposizione del Sant’Uffizio perché ritenuto «inopportuno » [oggi il pontefice contemporaneo lo ritiene un testo molto opportuno e invita a leggerlo].

     Nel dicembre 1960 don Lorenzo subisce i primi sintomi della malattia, un linfogranuloma, che sette anni dopo lo porterà alla morte.

     Nel febbraio del 1965 scrive una Lettera aperta a un gruppo di cappellani militari toscani, che in un loro comunicato, pubblicato da La Nazione, avevano definito l’obiezione di coscienza «estranea al comandamento cristiano dell’amore e espressione di viltà». La Lettera viene incriminata e don Lorenzo è rinviato a giudizio per apologia di reato, e al processo, che si svolge a Roma, non può essere presente a causa dell’aggravarsi del suo male, e allora invia ai giudici un’autodifesa scritta pubblicata con il titolo L’obbedienza non è una virtù. Il 15 febbraio 1966 il processo in prima istanza si conclude con l’assoluzione ma, su ricorso del pubblico ministero, il 28 ottobre 1968 quando don Lorenzo è già morto, la corte d’appello, modificando la sentenza di primo grado, condanna lo scritto.

     Nel luglio 1966 i ragazzi della Scuola di Barbiana, sotto la guida di don Lorenzo, avevano iniziato la stesura di Lettera a una professoressa, che viene pubblicata nel maggio 1967. Don Lorenzo Milani muore a Firenze, in casa di sua madre in via Masaccio, il 26 giugno 1967, ed è sepolto a Barbiana.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Questa è, a grandi linee, la biografia di don Lorenzo Milani ma, se volete approfondire l’argomento, potete leggere o rileggere il volume intitolato Vita del prete Lorenzo Milani. Dalla parte dell’ultimo” scritto, nel 1974, da Neera Fallaci, con la prefazione di David Maria Turoldo...  Inoltre potete leggere o rileggere le opere di don Lorenzo che abbiamo appena citato, in particolare le Lettere...

     E adesso - come antifona al rituale della partenza che stiamo celebrando - leggiamo alcune pagine tratte da Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana in cui oltre al piglio deciso e provocatorio che, come scrive padre David Maia Turoldo, «è destinato a far nascere nella coscienza di tutti noi, prelati, preti, professori, politici, giornalisti, intellettuali il piccolo amaro germoglio della vergogna», e oltre all’analisi spietata sulle condizioni degli ultimi, l’autore nel 1956 mette bene in evidenza l’urgenza di agire per insegnare l’uso della parola alla persona priva di questa competenza [del dominio sulla parola], tema di straordinaria attualità.

Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana

AL DIRETTORE DEL «GIORNALE DEL MATTINO», FIRENZE

Questa lettera è stata inviata al direttore del Giornale del mattino di Firenze per la pubblicazione.

Barbiana, 28.3.1956

Caro direttore [Ettore Bernabei],

il tuo giornale si prende spesso a cuore la sofferenza dei disoccupati e dei senza tetto e te ne siamo tutti grati. Tetto e pane sono fra i massimi beni. Mancarne è dunque una delle massime miserie. Eppure l’essere umano non vive di solo pane. C’è dei beni che sono maggiori del pane e della casa e il mancare di questi beni è miseria più profonda che il mancare di pane e di casa. Questo tipo di beni chiamerò ora per comodità di discorso «istruzione», ma vorrei che tu prendessi questa parola in un senso più largo, comprensivo di tutto ciò che è elevazione interiore. A questo punto qualcuno insinuerà che presto al povero sentimenti che sono miei e che nulla al mondo preme al povero quanto la casa e il pane. Lo cheterò allora con un argomento che non ammette repliche perché è un dato di fatto. Sono parroco di montagna non molto lontano da Firenze. Il mio popolo contava 230 anime nel 1935, ora ne conta 124. Solo dall’anno scorso in qua ne ha perse 24. Su 25 case ce n’è 7 vuote. Diglielo al sindaco  [Giorgio La Pira], 7 case vuote! E non manca neanche un boccon di pane per chi ci volesse tornare. Sudato, strappato, ma insomma bene o male quando c’erano quei 106 in più hanno mangiato e non sono morti di fame. E la terra allora rendeva meno d’ora. Vedo poi nel tuo giornale che in città pagate la legna a 1200 lire il quintale. Penso che i vostri disoccupati devono aver patito un gran freddo quest’inverno. Noi invece s’è tagliato quercioli e querci quanto c’è parso. Nel focolare dei più poveri dei miei figlioli brucia ogni giorno certi ceppi che a voi altri vi basterebbero due inverni.

Qui dunque case a scialo, legna a scialo, e un boccon di pane per tutti. E a Firenze il sindaco a arrabattarsi coi barroccini degli sfrattati da un uscio all’altro. Perché non ce li manda quassù? Ecco, vedi, anche lui, che i dolori dei poveri in città li ha ben presenti, lui che di montagna non se ne intende, l’ha fiutato però che quella parola non la poteva dire. «Vacci te!» «Perché io? Vacci te!» griderebbe ognuno a Firenze dal più grande al più piccolo. Lo direbbe chi lavora al disoccupato, lo rinfaccerebbe il disoccupato a chi lavora. Il sindaco non è di quelli che dicono che i montanari scendono al piano per andare al cinema. Lui non offende così un popolo intero che migra. Un popolo intero, non due o tre giovani sconsiderati e avventurosi. Un popolo intero, coi saggi vecchi e le donne di casa che non hanno più grilli per il capo. Sono scesi al piano e son disposti anche a morirvi di fame, di freddo e d’altri stenti, ma ai monti non risaliranno mai. Qualcuno dice che se i disoccupati e i senza tetto non vi salgono è solo perché non sanno più i mestieri dei monti. Eh sai, ce ne sarà di molti dei vostri disoccupati che non sanno i mestieri dei monti! Fate un po’ una statistica sui luoghi di nascita dei vostri manovali disoccupati. Al più lungo saranno scesi da una generazione. Ma i più sulla terra e sui monti ci son nati e saprebbero ancora guadagnarsi il pane con l’accetta nel bosco e anche adattarsi al nostro tipo di stenti perché l’han lasciato da poco e ci son cresciuti. Saprebbero, ma non s’adattano.

C’è dunque qualcos’altro. Questo qualcosa è ciò che ho detto di voler chiamare «istruzione» e comprende tutte le infinite piccole grandi cose che pongono un montanaro in condizioni di inferiorità e d’umiliazione di fronte al cittadino. Sull’analisi di questo fatto non ho bisogno di dilungarmi. Mi basta per ora averne dimostrato l’esistenza. Dicono che l’esodo dai monti è un salto dalla padella nella brace. Ma nessuno ritorna indietro, dunque quel qualcosa che brucia più della brace esiste. E quel qualcosa è per forza «il dislivello culturale» perché non vedo cos’altro possa essere se non è né il pane né la casa. Ciò che dico dei montanari rispetto a quelli del piano vale poi coll’identico peso, anche se a livelli diversi, per i contadini rispetto ai pigionali, per i campagnoli rispetto ai cittadini, per gli operai rispetto ai diplomati. Le conseguenze di questi quattro dislivelli culturali sono gravissime, e si estendono ai campi più vari e imprevisti. Mi basti qui accennarti che su chi sa meno gioca bene il propagandista politico, il trafficante, l’imprenditore, la Confindustria, il distruttore di religione, il corruttore, lo stregone ... Ma ti risparmio il quadro doloroso che potrei tracciarti di questa che è la miseria più grave dei miseri e che riassume tutte le altre loro miserie, perché suppongo che tu ne sia già compreso da tempo.

Veniamo piuttosto a analizzarne l’intima essenza. Credi proprio che uno dei miei ragazzi di montagna abbia un numero di cognizioni molto inferiore di un suo coetaneo di città? Dieci anni di occhi di ragazzo spalancati sul mondo sono dieci anni qui sul Monte Giovi come in via Tornabuoni. E nel tempo che i vostri figlioli posavano gli occhi su un mucchio di cosette scelte, i miei non li tenevano mica serrati, li posavano su altre cosette. I vostri conoscono il dinosauro e il puma ma non conoscono un conigliolo maschio da una femmina. I miei non sanno i colori del semaforo né se un rubinetto si giri a destra o a sinistra, ma in compenso sanno tutto sulla vita del bosco coi suoi infiniti nidi, rettili, piante, col volgere delle stagioni e delle ore. Dieci anni valgon dieci anni, credi a me. Va bene che sui libri c’è «una concentrazione» di osservazioni che con gli occhi nostri e basta non si potrebbe raggiungere. Ma qui in compenso, nel grande libro del bosco e del campo, c’è «una concretezza» di osservazioni che sui libri non si raggiungerà mai. Ma oltre al libro del bosco c’è anche quello delle famiglie. Sulle famiglie e le loro leggi e i loro rapporti sa troppo di più un ragazzo di qui che uno dei vostri. Passa un trasporto e non sapete chi è morto, come è morto, se ha lasciato dietro di sé pianto e litigi. Cosa volete dunque saperne della vita all’infuori del ristretto cerchio di casa vostra o di quello dei libri che leggete e vi ingannano perché di solito li ha scritti gente isolata nel guscio come voi? Tutto questo discorso solo per concludere che è da presumersi a priori che per esempio un boscaiolo di vent’anni sia ricco di cognizioni e d’una visione del mondo pari a quella d’un universitario di vent’anni. Non voglio dire eguale, ma equivalente sì. Più ricca da una parte, più povera da un’altra. In conclusione: certo non inferiore. Anzi, se proprio dovessi dire la mia opinione sono incline a credere che Dio abbia voluto dare piuttosto qualcosa di più al diseredato che all’altro: in buon senso, equilibrio, realismo e altro. Ebbene, ora questi due uomini che abbiamo detto certo non inferiori l’uno all’altro per ricchezza interiore, mettiamoli di fronte l’uno all’altro in discussione. Oppure di fronte ai problemi quotidiani che la vita moderna impone, e vedremo il mio figliolo cadere al primo colpo. Umiliato, battuto in mille occasioni dal primo bellimbusto di studentello cittadino. Forse che il semaforo o il rubinetto (opere di mano d’uomo) valgono più del bosco (opera di Dio)? Forse che fra le cognizioni c’è una gerarchia di valori? Alcune (quelle di città) nobili e utili; altre (quelle del bosco) ignobili e vane. Se quella gerarchia si dovesse fare, vorrei che le cognizioni del bosco fossero innanzi a quelle del programma TV o a quella dell’ultimo ritrovato americano per far la vita più comoda. Ma quella gerarchia non esiste. Il sapere è nobile sempre, quando è conoscenza del creato di Dio. Io son sicuro dunque che la differenza fra il mio figliolo e il vostro non è nella quantità né nella qualità del tesoro chiuso dentro la mente e il cuore, ma in qualcosa che è sulla soglia fra il dentro e il fuori, anzi è la soglia stessa: la Parola. I tesori dei vostri figlioli si espandono liberamente da quella finestra spalancata. I tesori dei miei sono murati dentro per sempre e insteriliti. Ciò che manca ai miei è dunque solo questo: il dominio sulla parola. Sulla parola altrui per afferrarne l’intima essenza e i confini precisi, sulla propria perché esprima senza sforzo e senza tradimenti le infinite ricchezze che la mente racchiude. Sono otto anni che faccio Scuola ai contadini e agli operai e ho lasciato ormai quasi tutte le altre materie. Non faccio più che lingua e lingue. Mi richiamo dieci, venti volte per sera alle etimologie. Mi fermo sulle parole, gliele seziono, gliele faccio vivere come persone che hanno una nascita, uno sviluppo, un trasformarsi, un deformarsi. Nei primi anni i giovani non ne vogliono sapere di questo lavoro perché non ne afferrano subito l’utilità pratica. Poi pian piano assaggiano le prime gioie. La parola è la chiave fatata che apre ogni porta. L’uno se ne accorge nell’affrontare il Libro del motore per la patente. L’altro fra le righe del giornale del suo partito. Un terzo s’è buttato sui romanzieri russi e li intende. Ognuno di loro se n’è accorto poi sulla piazza del paese e nel bar dove il dottore discute col farmacista a voce alta, pieni di boria. Delle loro parole afferra oggi il valore e ogni sfumatura. S’accorge solo ora che esprimono un pensiero che non vale poi tanto quanto pareva ieri, anzi pochino. I più arditi han provato anche a metter bocca. Cominciano a inchiodar il chiacchierone sulle parole che ha detto. «Parole come personaggi» si chiama una tua rubrica. Ecco, questo è appunto il mio ideale sociale. Quando il povero saprà dominare le parole come personaggi, la tirannia del laureato, del comiziante e del fattore sarà spezzata. Una utopia? No. E te lo spiego con un esempio.

     Ma erano già le intellettuali e gli intellettuali secenteschi a essere convinti del fatto che la vera sfida del loro tempo [la sfida della modernità] era la lotta per contrastare l’ignoranza: tanto “l’ignoranza endemica” del popolo analfabeta quanto “l’ignoranza sclerotica [data dalla rigidezza mentale] dei saccenti [di quegli accademici intenti solo a difendere una posizione dogmatica e altolocata della loro erudizione, quelli che oggi possiamo chiamare “gli intellettuali apparenti” perché amano apparire piuttosto che essere]”.

     E questo problema continua a sussistere, e noi sappiamo che oggi lo status di normalità a livello planetario è quello di lasciar correre indisturbato, in particolare tra la popolazione adulta, il virus dell’ignoranza [i numeri ufficiali dell’Unesco ci dicono che in Italia questo virus colpisce l’81% della popolazione adulta, in Europa il 76% e nel Mondo intero l’85%] per cui sul nostro Pianeta continua a dominare indisturbata “la dittatura dell’ignoranza e l’ignorantocrazia”.

     La persona saggia “sa di non sapere” [sa che deve coltivare la dotta ignoranza] e in questa affermazione, anche secondo don Milani, è contenuto “il massimo grado di perfezione e di difficoltà”: di “perfezione” [τελέιος téleios, in greco] perché la cosa migliore che la persona possa fare nella vita è quella di dedicarsi allo studio per dare completezza alla propria vita, e per darle un significato, e “la difficoltà” [Απίστια àpistia. In greco] sta nel trovare sulla propria strada delle maestre e dei maestri che “considerino le nozioni un mezzo e non un fine”: difatti oggi la prevalenza della macchina dell’informazione rispetto alla mancata diffusione di un sistema di apprendistato cognitivo produce effetti deleteri.

     Questa affermazione ci permette [nel momento in cui stiamo preparandoci per partire] di dire che nel corso del nostro viaggio noi avremo a che fare con molte nozioni, enumereremo molti dati, citeremo molte date, visiteremo molti luoghi, osserveremo molti paesaggi intellettuali, faremo conoscenza con molti personaggi, imbastiremo molti ragionamenti e rifletteremo su molti temi, ma - come dicono i manuali di tecnologia dell’Apprendimento - dei contenuti di un Percorso didattico [di un viaggio di studio], in media, oltre il 70% va disperso e all’incirca il 30% rimane in modo frammentato nella nostra mente: quindi, di questa conversazione solo tre oggetti su dieci rimangono nella mia mente [ma è già una buona acquisizione], e questo perché [come ben sapete, ma i rituali sono ripetitivi] l’obiettivo principale dell’Apprendimento cognitivo non è quello di immagazzinare nozioni [le nozioni sono importanti e dobbiamo ritenere quelle utili], ma l’obiettivo dell’Apprendimento consiste nell’esercitare la mente all’ascolto, alla selezione, alla catalogazione, alla penetrazione in profondità [con “lo spirito di finezza”, come afferma Pascal] perché «il compito della Scuola consiste nel favorire la formazione di una testa ben fatta piuttosto che di una testa ben piena».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il materiale riguardante tutta l’attività didattica messa in atto in questo Percorso lo si trova contenuto su due siti: www.inantibagno.it e www.scuolantibagno.net

Sui siti trovate il testo integrale della Lezione e potete ascoltare la registrazione della Lezione stessa; c’è inoltre una pagina facebook intitolata a scuola con Giuseppe... 

Questi strumenti sono utili per favorire l’attività di studio, utilizzateli...

     Ma nella sua Lettera don Milani spiega, con un esempio, come non sia un’utopia quella di dare la parola a chi non la possiede.

Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana

AL DIRETTORE DEL «GIORNALE DEL MATTINO», FIRENZE

Questa lettera è stata inviata al direttore del Giornale del mattino di Firenze per la pubblicazione.

Barbiana, 28.3.1956

Un medico oggi quando parla con un ingegnere o con un avvocato discute da pari a pari. Ma questo non perché ne sappia quanto loro di ingegneria o di diritto. Parla da pari a pari perché ha in comune con loro «il dominio della parola». Ebbene a questa parità si può portare l’operaio e il contadino senza che la società vada a rotoli. Ci sarà sempre l’operaio e l’ingegnere, non c’è rimedio. Ma questo non importa affatto che si perpetui l’ingiustizia di oggi per cui l’ingegnere debba essere più umano dell’operaio (chiamo essere umano chi è padrone della sua lingua). Questa non fa parte delle necessità professionali, ma delle necessità di vita d’ogni persona, dalla prima all’ultima che si vuol dir persona. Il dominio sul mezzo d’espressione è un concetto che non riesco a disgiungere da quello della conoscenza delle origini della lingua. Finché ci sarà qualcuno che la possiede e altri che non la possiedono, questa parità di base che ho chiesto sarà sempre un’irrisione. Dopo questo discorso c’è bisogno ancora che ti dica cosa penso del latino? [Si riferisce a una conferenza-stampa tenuta il 21.3.1956 dall'allora ministro della Pubblica Istruzione on. Paolo Rossi. Il ministro, presentando un suo progetto di riforma della scuola media, aveva annunciato che essa sarebbe stata unica ma divisa in sezioni differenziate; infatti, aveva detto, «è veramente indispensabile che i futuri studenti tecnici conoscano il latino?... È meglio che quei giovani il latino non lo studino affatto... Si renderebbe loro un pessimo servizio... ». (Cfr. i giornali del 22.3.56)] … Vuoi che ti dica la pena che m’hanno fatto le parole ciniche di quel ministro? A giudicarlo da quelle si direbbe che si proponga di perpetuare anzi di fortificare ancora la cittadella ristretta dei potenti, allargare la palude in cui si dibattono gli impotenti. «Si renderebbe loro un pessimo servizio…» «Che se ne fanno del pane? Perché non mangiano delle briosce?» diceva una regina che non era cinica, ma solo leggerina e inesperta. Una infelice che non aveva saputo mettersi nei panni degli infelici. E così le accadde che gli infelici non seppero mettersi nei suoi e perdonarle una inesperienza che certo non era tutta colpa sua. Non auguro al ministro di far la fine che fece lei. Gli offro invece quindici giorni di ospitalità in casa mia. Se si saprà adattare per quei pochi giorni al lume a carburo e alla mezzina e a tante altre cosette, io lo terrò accanto a me mentre fo Scuola ai miei giovani montanari e gli prometto di aprirgli gli occhi su un orizzonte immenso che non suppone. Il ministero andrà avanti benissimo anche senza di lui e al suo ritorno potrà gloriarsi d’esser finalmente degno d’una Repubblica fondata sul lavoro. Vedrai che da quel giorno non concederà più interviste sull’abolizione del latino. C’è il caso anzi che bandisca un concorso per un testo di greco da adottarsi nelle quinte elementari. E per la riforma del programma dell’Avviamento Industriale penso che si rivolgerà a uno studioso di ebraico per non defraudare i poveri dell’incontro diretto col testo sacro. Dio lo voglia davvero. Per il bene dei poveri. Perché si facciano strada senza che scorra il sangue. E se anche il sangue dovesse scorrere un’altra volta, perché almeno non scorra invano per loro come è stato finora tutte le volte.

Lorenzo Milani

     E ora non ci resta che partire, e da dove inizia il nostro cammino lo abbiamo anticipato a maggio al termine del viaggio dello scorso anno quando ci siamo fermati a Dublino dove abbiamo incontrato George Berkeley e Jonathan Swift.

     Quindi nel prossimo itinerario da Dublino in Irlanda, raggiungeremo Edimburgo in Scozia, poi ci sposteremo a Halle in Germania e dopo navigheremo in gondola sui canali di Venezia prima di raggiungere Parigi. Chi dobbiamo incontrare, in partenza, a Edimburgo, a Halle, a Venezia e a Parigi, e su quali temi dobbiamo cominciare a riflettere nel momento in cui inizieremo ad attraversare il territorio del secolo dei Lumi?

     Ebbene, nel momento in cui si conclude la celebrazione del ripetitivo ma necessario “rituale della partenza” bisogna procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé, consapevoli che - dal primo passo che facciamo in questo straordinario viaggio che è la vita - noi non dobbiamo mai perdere la volontà d’imparare anche quando, a volte, il cammino si fa faticoso e la strada è impervia.

     Ma voi sapete che, quando il cammino si fa faticoso e la strada diventa impervia, proprio allora i panorami che il Percorso ci offre risultano più belli, e la loro visione sollecita la ragione a farsi illuminare dall’intelletto in modo che si possa percorrere la via dell’Apprendimento permanente con la necessaria consapevolezza tanto dei nostri limiti quanto delle nostre competenze. E, per promuovere un tirocinio di Apprendistato cognitivo, la Scuola è qui e il nostro vagabondaggio intellettuale [come dicevano le viaggiatrici e i viaggiatori del XVIII secolo] sta per iniziare.

     Buon viaggio di studio a tutte e a tutti voi!...

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Ottobre 21, 2022