ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»
PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica nel secolo dei Lumi
9 dicembre e 14-15-16 dicembre 2022
SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI
SI COGLIE LO SPIRITO DELLE LEGGI,
SI LEGGONO LE LETTERE PERSIANE
E S’ASCOLTA IL DISCORSO PER L’ENCYCLOPÉDIE …
Questo è il quinto itinerario del nostro viaggio sul territorio del Settecento ed è anche l’ultimo itinerario prima della vacanza natalizia e l’ultimo di quest’anno solare.
Quindici giorni fa, studiando il saggio intitolato Europa francese composto [nel 1771] dall’abate Louis-Antoine Caraccioli, abbiamo appreso che quattro monarchi europei - Caterina di Russia, Federico di Prussia, Gustavo di Svezia e Stanislao di Polonia - sono stati influenzati dal cosiddetto modo di vita alla francese; e siccome questi sovrani parlano e scrivono correttamente in questa lingua, di conseguenza, hanno avuto la possibilità di venire a contatto, in particolare tra il 1750 e il 1770, con le idee dei nuovi filosofi parigini, detti Illuministi. Due di loro, Gustavo di Svezia e Stanislao di Polonia, hanno anche provato a metterle in pratica le idee illuministe nella loro azione di governo ma ne hanno pagato le conseguenze [Gustavo è stato ucciso e Stanislao è morto prigioniero a San Pietroburgo], mentre Caterina di Russia e Federico di Prussia hanno esaltato a parole le idee degli Illuministi solo per vantarsi di fronte all’opinione pubblica perché, in pratica, agendo da falsi riformisti, hanno continuato a comportarsi da despoti. Come sono venuti a contatto questi sovrani - e tutte le persone interessate alla filosofia di vita alla francese - con le idee del secolo dei Lumi?
Abbiamo appreso che le idee illuministe si sono diffuse [sempre nei limiti di quella che poteva essere la diffusione delle notizie nel Settecento] attraverso una rivista intitolata Correspondance littéraire. Questa rivista - mano-scritta a Parigi, a partire dal 1753, da Denis Diderot e dal barone Melchior Grimm - viene inviata per posta a una quindicina circa di abbonati che sono sovrani [quelli citati], principi, nobili e ricchi borghesi europei. Quali sono gli argomenti di cui tratta questa rivista e come vengono interpretati e utilizzati dalle sue lettrici e dai suoi lettori?
In primo luogo, attraverso la penna di Denis Diderot e Melchior Grimm, la rivista Correspondance littéraire riporta e divulga le idee dei nuovi filosofi parigini nel campo della legislazione e della politica: infatti, i pensatori illuministi cercano un nuovo principio che legittimi e giustifichi il concetto della sovranità, un concetto nuovo da mettere in contrapposizione alla teoria dell’origine divina del potere temporale, e cominciano a trattare la questione utilizzando l’ironia e affermando che, alla luce della ragione, non è possibile credere che il potere dei monarchi assoluti possa venire direttamente da Dio perché, visto il modo in cui si comportano, spesso più bestiale che umano, il concetto di sovranità “per grazia divina” non può che risultare umiliante per i sudditi e profondamente irrispettoso per Dio.
E allora quale potrebbe essere la fonte che legittima il potere di chi comanda, che giustifica l’autorità di chi governa e che convalida l’operato di chi amministra? Gli editoriali della rivista Correspondance littéraire chiariscono che sul tema della sovranità si discute intorno a due modi che la possano legittimare: il cosiddetto dispotismo illuminato e il così chiamato costituzionalismo rappresentativo. È bene, quindi, in questo frangente, procedere con ordine.
Che cosa s’intende per dispotismo illuminato? “Dispotismo illuminato” è il nome che viene dato a una forma di potere assoluto esercitato soprattutto da parte di due sovrani, Caterina II di Russia e Federico II di Prussia, i quali si attribuiscono il titolo di “monarchi illuminati” pensando, in modo arbitrario, di poter far conciliare il concetto di assolutismo con le idee dell’illuminismo e, quindi, definiscono la loro sovranità con questa formula: «È depositario del dispotismo illuminato il monarca che esercita il potere non per grazia divina ma in virtù dei Lumi della ragione e, di conseguenza, è necessario che il sovrano rivesta il ruolo del filosofo in modo che sia portato a utilizzare la potenza di cui dispone per il benessere del suo popolo e dell’intera Umanità». Che belle parole!
Caterina II di Russia e Federico II di Prussia enunciano di voler fare “i filosofi” e dichiarano di essere intenzionati, in nome della Ragione, a varare una serie di riforme ma, in pratica, agiscono in nome della ragion di Stato e, di conseguenza, più che riformare le loro istituzioni, continuano a commettere molte ingiustizie e a prendere provvedimenti deprecabili, e questo dipende principalmente dal fatto che non ci sono organi di controllo sul loro operato: sono e restano sovrani assoluti e tutto il potere - visto che non esiste una divisione dei poteri - è nelle loro mani!
Il pensiero illuminista prevede che gli organismi di controllo ricoprano un ruolo fondamentale nella gestione del potere, così come le attività di controllo hanno una funzione importante, e anche indispensabile, nella conduzione della vita concreta delle persone [le persone devono imparare a tenere sotto controllo il proprio e l’altrui operato, per cui ...].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quale di queste parole – esame, ispezione, verifica, riscontro, prova, revisione, test o quale altra - mettereste per prima accanto al termine “controllo”?... Quali attività di controllo siete solite e siete soliti esercitare?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Gli editoriali della rivista Correspondance littéraire sono molto critici nei riguardi del concetto di dispotismo illuminato mentre apprezzano maggiormente la forma del costituzionalismo rappresentativo.
E che cosa s’intende per “costituzionalismo rappresentativo”? Per capire che cosa s’intende per “costituzionalismo rappresentativo” bisogna incontrare un esperto in materia [un altro barone]: Charles-Louis de Secondat barone di Montesquieu.
Montesquieu [di solito questo personaggio dal 1713 viene chiamato con questo unico nome] nasce in una illustre famiglia di giuristi il 18 gennaio 1689 nel castello di La Brède, una località oggi di circa 4mila abitanti, posta nel dipartimento della Gironda, nella regione dell’Aquitania, nei pressi [a sud] di Bordeaux. Suo padre, Jacques de Secondat, appartiene alla cosiddetta nobiltà di toga aquitana e sua madre, Marie-Françoise de Presnel è la baronessa di La Brède.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con una guida della Francia e navigando in rete andate a visitare il castello di La Brède: un maniero dalla pianta poligonale, la cui costruzione ha avuto inizio nel 1306 in stile gotico, e dal 1600 questo grande edificio turrito è circondato da vasti vigneti di Bordeaux... Buon viaggio...
Nel 1700 Charles-Louis, dopo la morte avvenuta nel 1696 della madre [che muore quando lui ha sette anni] entra nel Collegio degli Oratoriani [l’ordine fondato da padre Pierre Berulle, con lo stesso programma di Port-Royal] a Juilly una cittadina a nord-est di Parigi nel dipartimento Senna e Marna.
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Con una guida della Francia e navigando in rete andate a visitare la cittadina [che oggi ha circa 2mila abitanti] di Juilly dove si possono osservare le immagini del Collegio dove Charles-Louis de Montesquieu ha iniziato, da bambino, la sua carriera scolastica... Buon viaggio...
Dal 1705 al 1713 Charles-Louis completa gli studi giuridici prima a Bordeaux e poi a Parigi. Nel 1713 muore suo padre ed eredita [poi, tre anni dopo, eredita anche dallo zio paterno Joseph] i beni e il titolo di barone di Montesquieu, e nel 1714 viene nominato consigliere nel parlamento di Bordeaux e l’anno successivo, nonostante l’irrigidimento della monarchia assoluta contro i protestanti [nel 1685 era stato revocato da Luigi XIV l’Editto di Nantes sulla libertà religiosa che era stato promulgato da Enrico IV nel 1598 per mettere fine alle guerre di religione che devastavano la Francia e che Montaigne deplora nei suoi Saggi], ebbene, malgrado questa difficoltà [la legge proibisce ai cattolici di sposare donne protestanti] Charles-Louis decide di sposarsi ugualmente e perentoriamente con una ragazza di famiglia nobile ugonotta di salda fede calvinista [molto zelante], Jeanne de Lartigue, che porta nel castello di La Brède una dote molto consistente; e questo fatto ha permesso a Charles-Louis di vivere tranquillamente di rendita e di dedicasi allo studio, alla scrittura e di animare anche economicamente l’Accademia di Lettere, Scienze e Arti di Bordeaux della quale entra a far parte nell’aprile del 1716. Frequentando questa Accademia, Montesquieu [come ormai viene chiamato] comincia a scrivere i suoi Opuscoli, brevi saggi su svariati argomenti: giuridici, politici, letterari, scientifici [scrive di anatomia, di botanica, di fisica], naturalistici e filosofici [con spirito critico nei confronti dell’atteggiamento acquiescente e sottomesso delle persone verso qualunque forma di religione e di assolutismo]. Jeanne e Charles-Louis, nel corso della loro vita matrimoniale, hanno allevato tre figli: Jean-Baptiste, Marie-Catherine e Denise.
Nel 1721 Montesquieu fa pubblicare ad Amsterdam, mantenendo l’anonimato [ma si viene ben presto a sapere il nome dell’autore], un’opera, il suo primo capolavoro, intitolata Lettere persiane, un romanzo epistolare [del quale parleremo nella parte finale di questo itinerario ...] che ha avuto un immediato successo negli ambienti letterari europei. Di conseguenza, per Montesquieu si aprono le porte di tutti i salotti e i ritrovi culturali parigini [l’Hôtel Soubise, il Circolo dell’abate Alary, il Club de l’Entresol, il Circolo della marchesa de Prie, i salotti di Mlle de Clermont, di Mme du Deffand, di Mme de Lambert] dove Montesquieu viene invitato a leggere i testi dei suoi Opuscoli, dei suoi Dialoghi e delle sue Conversazioni, e dove fa amicizia con molti intellettuali tra i quali lo scrittore Bernard le Bovier de Fontenelle [1657-1757] e il commediografo e drammaturgo Pierre de Marivaux [1688-1763].
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Di questi due personaggi - Fontenelle e Marivaux – è utile ed è interessante conoscere la vita e le Opere [letterarie dell’uno e teatrali dell’altro] e lo potete fare agevolmente navigando in rete e utilizzando l’enciclopedia (visto che stiamo per vederla nascere la prima Enciclopedia moderna)...
Nel 1724 Montesquieu, ancora una volta in forma anonima, compone un poema in sette canti scritto in prosa che assume, quindi, la forma di un romanzo, e anche quest’opera [non facile da leggere ma della quale è bene conoscere l’esistenza] intitolata Il tempio di Cnido riscuote subito un grande successo. In essa Montesquieu tratta il tema dell’amore [e trattando questo argomento vuole anche colpire i comportamenti ipocriti del monarca assoluto (Luigi XV) in materia di affettività] per dimostrare che a rendere molto più felici le persone nella vita sono i sentimenti del cuore piuttosto che i piaceri dei sensi, in quanto, senza i sentimenti del cuore - che bisogna saper ravvivare utilizzando bene le doti dell’intelletto - i piaceri dei sensi, pur gradevoli da gustare [scrive Montesquieu], perdono il loro necessario significato che consiste nel dare un’entità spirituale all’esistenza umana che si fonda sulla condivisione perché l’amore prende forma nel momento in cui la persona percepisce e gusta lo spirito di condivisione con l’altra persona. Il tempio a cui fa riferimento il titolo del poema, e da cui prende le mosse il racconto, è quello di Venere a Cnido: la celebre polis greca dell’Anatolia situata nella regione della Caria di fronte ad Alicarnasso, dove è nato Erodoto.
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Con una guida della Turchia, con l’enciclopedia e navigando in rete andate a visitare il sito archeologico di Cnido... Montesquieu è stato un grande viaggiatore e avrebbe voluto visitare questi luoghi mitici, ma non era facile e usa l’immaginazione... Fatelo anche voi, buon viaggio...
Montesquieu è un grande viaggiatore e, naturalmente, c’è traccia in Letteratura di questa sua esperienza, una traccia che ci riguarda in quanto cittadine e cittadini italiani.
Montesquieu, nella primavera del 1728, parte per un lungo viaggio attraverso l’Europa che dura più di tre anni: da Parigi si trasferisce a Vienna, attraversa e visita l’Ungheria e poi prosegue fino a Köenigsberg una bella città della Prussia orientale [dove, tra gli abitanti, c’è un bambino di quattro anni che si chiama Immanuel Kant e che ha cominciato ad andare all’asilo pietista della città, ma a Montesquieu, naturalmente, questo particolare è sfuggito ma noi - se potremo continuare a viaggiare - questo personaggio lo incontreremo da grande, nel Percorso del prossimo anno]; poi Montesquieu fa ritorno a Vienna da dove si rimette subito in viaggio per l’Italia, che è una meta ambita per tutti i viaggiatori e le ancor rare viaggiatrici [e sono molti i resoconti di viaggi in Italia che sono stati pubblicati!] perché attraversare la penisola italica, da uno Stato all’altro del suo territorio, costituisce un’autentica avventura: da Vienna Montesquieu raggiunge e soggiorna a Venezia, poi soggiorna a Milano, poi è la volta di Torino e di Genova, poi soggiorna a Firenze e a Roma da dove fa una breve visita a Napoli, e poi risale la penisola soggiornando a Bologna [siamo nell’estate del 1729]. C’è da dire che, in tutte la città italiane dove soggiorna, Montesquieu si fa delle amiche e degli amici tra coloro che tengono salotto e gestiscono Circoli culturali, persone con le quali entra in corrispondenza e le Lettere familiari alle amiche e agli amici italiani sono state pubblicate con questo titolo in francese [ma non sono state tradotte in italiano]; inoltre anche di Montesquieu, come di molte viaggiatrici e molti viaggiatori stranieri, abbiamo un diario particolarmente interessante che è stato pubblicato col titolo di Viaggio in Italia.
Montesquieu, tra l’estate del 1728 e quella del 1729, osserva con curiosità puntigliosa come si svolge la vita in Italia e preconizza la decadenza degli Stati Italiani del Settecento che rimangono ancorati alle proprie interessantissime civiltà ma ormai inesorabilmente in declino: descrive l’affabilità e la cultura di chi frequenta i salotti milanesi, loda la bellezza delle donne fiorentine, magnifica perfino la spregiudicata libertà delle donne veneziane, ironizza sugli intrighi diabolici e la sfacciata simonia [il lucro sulle cose sacre] della corte vaticana, spiega il “termometro” di San Gennaro ed esalta la spensierata miseria dei “lazzaroni” napoletani: riporta molti altri fatti singolari su cui punta l’attenzione strada facendo da formidabile e intelligente editorialista che sta facendo un viaggio [egocentrico] di formazione in un paese che, nel complesso, gli appare come «straccione, ignorante, arretrato, con una nobiltà tirchia e un clero vanesio e corrotto, ma che ha dalla sua la bellezza in ogni angolo, e dove la gente del popolo, pur se reietta, sa godere della gioia di vivere».
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Richiedete in biblioteca Viaggio in Italia di Montesquieu, e se ne leggerete quattro pagine al giorno appariranno davanti ai vostri occhi tanti quadri raffiguranti l’Italia della prima metà Settecento: è un esercizio che ci consente di allargare, anche con una certa dose di ironia, la nostra vita...
Da Bologna Montesquieu prosegue il suo viaggio risalendo verso la Germania: visita Innsbruck, Monaco, Augusta, Francoforte e Hannover, poi raggiunge l’Olanda e soggiorna ad Amsterdam e, infine, sbarca in Inghilterra dove, a Londra, stabilisce molti contatti intellettuali, conosce le idee della massoneria e vi aderisce. A questo proposito, noi sappiamo dal viaggio dello scorso anno che, [sulla scia del pensiero newtoniano, nel giugno del 1717, si era tenuta a Londra, in gran segreto, la grande Assemblea internazionale organizzativa della massoneria [massone è “il muratore” che vuole costruire un mondo nuovo], e le idee della massoneria, fondate sull’uguaglianza, la libertà, la fraternità e la filantropia, si diffondono sotto traccia in tutta Europa, e siccome vengono considerate idee pericolose dai governi conservatori, questa organizzazione è costretta, per precauzione, a operare in clandestinità.
Nel mese di maggio del 1731 Montesquieu torna a Bordeaux nella tenuta di La Brède e si dedica subito a sistemare i suoi appunti di viaggio, le sue riflessioni e le sue annotazioni sui paesi che ha visitato, e riversa tutto il materiale che ha raccolto in cinque Quaderni ai quali dà, a ciascuno, un titolo: Geografico, Politico, Giuridico, Legislativo e Miei Pensieri. Poi si trasferisce a Parigi dove passa la maggior parte del suo tempo [torna comunque periodicamente nel castello di La Brède sei o sette volte all’anno] e a Parigi viene nominato consigliere e presidente del Parlamento francese, un’assemblea che non ha alcun potere reale, ma solo una formale funzione consultiva, e Montesquieu è molto critico nei confronti di questo istituto che, come lui dice [a bassa voce], serve solo «per dire di sì al re».
Montesquieu pensa che si debba dare il potere legislativo al Parlamento francese come avviene in Inghilterra e in Olanda, ma tra i suoi pari, succubi del potere assoluto, non trova nessuno che lo ascolti e, allora, a maggior ragione i suoi pensieri li scrive [così come sta facendo Voltaire che incontreremo a primavera]. Nel 1734 scrive e fa pubblicare [ad Amsterdam per prudenza] Considerazioni sulle cause della grandezza e della decadenza dei Romani, un’opera di carattere storico che si presenta come un ammonimento nei confronti del potere assoluto che, secondo lui, come la Storia insegna, è una forma impropria di potere, destinata a provocare il regresso di una nazione. Poi, dopo oltre un quindicennio di lavoro [aiutato anche da sua figlia Denise che fa per lui da copista perché Montesquieu, a causa della cataratta bilaterale, sta perdendo la vista], nel 1748, fa pubblicare a Ginevra dall’editore Barillot la sua opera più importante, intitolata Lo spirito delle leggi, che suscita grandi consensi nell’ambiente dei nuovi filosofi ma suscita anche contrasti e condanne da parte di chi è al potere e, difatti, quest’opera viene messa all’Indice dal Sant’Uffizio nel 1751 per vilipendio alla religione.
Montesquieu ha avuto un rapporto intenso e, a volte, conflittuale con il movimento de l’Encyclopédie: d’Alembert, che incontreremo strada facendo, vorrebbe che Montesquieu componesse le voci dell’Encyclopédie riguardanti il tema della politica, ma lui - dopo un acceso dibattito con gli enciclopedisti - rinuncia perché pensa non sia utile ridurre in formule una questione che, secondo lui, deve essere studiata più a fondo senza cadere nel radicalismo. Montesquieu però accetta di trattare per l’Encyclopédie il tema legato alla voce “gusto” e la sua esposizione si configura in un vero e proprio trattato che - oltre a essere inserito, nel 1757, nel VII tomo dell’Encyclopédie - è stato anche pubblicato autonomamente con il titolo di Saggio sul gusto nel quale l’autore spiega come si possa e si debba imparare ad avere “buon gusto” e, quindi, come sia necessario formare ed educare la persona affinché acquisisca la capacità di valutare la bellezza delle opere d’arte [il senso estetico], e affinché sia in grado di sviluppare una fine e delicata sensibilità [il senso ricettivo] e di esibire una genuina e gradevole eleganza [il senso della distinzione]: di conseguenza, Montesquieu c’invita a riflettere sul termine “gusto”[su che cosa significhi “avere buon gusto”].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quale di questi termini – sapore, eleganza, raffinatezza, stile, finezza, tendenza o quale altro - mettereste per primo accanto alla parola “gusto”, e potete anche specificare quale esperienza è legata alla scelta del termine che avete preferito scrivendo quattro righe in proposito...
Le opere di Montesquieu sono considerate un punto di riferimento fondamentale non solo perché hanno contribuito allo sviluppo del pensiero dell’Illuminismo ma anche perché hanno lasciato un segno nella società in cui viviamo [nella quale però si studia poco o nulla la Storia del Pensiero Umano e, quindi, molte nozioni fondamentali e troppi concetti basilari sfuggono all’attenzione e alla riflessione delle cittadine e dei cittadini].
Nella sua opera più famosa, intitolata Lo spirito delle leggi, quali sono le tesi che Montesquieu sostiene? Con quest’opera Montesquieu vuole opporsi al dispotismo in nome del “costituzionalismo rappresentativo”.
Montesquieu, nella sua opera più importante intitolata Lo spirito delle leggi, pubblicata a Ginevra dall’editore Barillot nel 1748, sostiene che ogni nazione si distingue per il suo “esprit”, un termine che possiamo tradurre con le espressioni “spirito generale o carattere comune o anima universale”: lo “spirito della nazione” è il risultato dell’effetto di una lunga catena di cause che si moltiplicano e si combinano di secolo in secolo, e queste cause incidono e si ripercuotono anche sul carattere di un popolo. Le cause principali che influenzano le cittadine e i cittadini di una nazione, sostiene Montesquieu, sono: il clima, la religione, le leggi, l’operato del governo, gli esempi del passato, i costumi e le usanze. Montesquieu analizza nella sua opera le società antiche e moderne per mettere in evidenza l’intreccio complesso fra le cause fisiche [il clima, la geografia, la densità della popolazione], le cause morali [la religione, gli usi, i costumi], le cause economiche [il commercio, le coltivazioni, le tasse] e le cause politiche [le leggi e gli atti di governo].
Dalla sua analisi Montesquieu trae delle conclusioni affermando che, se si affronta la questione in modo superficiale senza approfondire il tema, si è portati a pensare che le cause fisiche, soprattutto il clima, svolgano un ruolo preminente nel determinare il carattere di una nazione, ma Montesquieu non vuole cadere nel determinismo [nel luogo comune] per cui si crede che sia solo il clima e sia in prevalenza la geografia a determinare il fatto che i popoli del Sud sono fatti in un certo modo mentre quelli del Nord sono fatti nel modo opposto: si capisce - se si studia l’argomento senza pregiudizi - che anche l’organizzazione del lavoro umano, afferma Montesquieu, esercita un ruolo attivo e manipolatore nei confronti dell’ambiente naturale e, di conseguenza, incide sul carattere della popolazione di una nazione. Quindi, alla fine della sua analisi scrive che le cause morali sono altrettanto decisive e, spesso, anche più decisive delle cause fisiche nel determinare il carattere generale [l’esprit] di un popolo.
Montesquieu vuole ribadire che i frutti in maturazione su una determinata area [sia il paese di campagna o il quartiere di città o la casa che si abita] sono un prodotto delle arti umane e non un semplice dono della natura ed è attraverso le arti che la natura viene modificata e trasformata in “un ambiente” [un milieu, e questo è il termine che usa Montesquieu per formulare il concetto moderno di “ambiente”] perché ogni persona vive in relazione con il proprio ambiente ed è l’ambiente esterno e interno a determinare in primo luogo la qualità della vita delle persone [è sempre difficile cambiare ambiente].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Come avete predisposto “l’ambiente” della casa dove abitate in funzione delle vostre esigenze materiali, intellettuali, culturali, spirituali ?…
Scrivete quattro righe in proposito, date un senso letterario al vostro ambiente…
Montesquieu porta poi il tema dell’ambiente [le milieu] soprattutto sul piano politico perché la politica, afferma Montesquieu, è la disciplina [dell’arte della legislazione, della scienza della direzione, della pratica dell’amministrazione] che deve saper creare un ambiente fondato sulla giustizia, sulla libertà e sulla rettitudine morale, e per costruire un buon ambiente politico è necessario dare non solo una forma allo Stato [se monarchia, se repubblica] ma bisogna chiedersi quale sostanza deve avere lo Stato.
Montesquieu, nella sua opera intitolata Lo spirito delle leggi, scrive che per creare un ambiente [un milieu] politico fondato sulla giustizia, sulla libertà e sulla rettitudine morale, è necessario stabilire quale sostanza debba avere lo Stato: la sostanza dello Stato, sostiene Montesquieu, deriva dal principio che prevede la netta separazione dei poteri con i quali lo Stato esercita la sua autorità, ed è su questa idea che si basa il sistema del “costituzionalismo rappresentativo” che abbiamo citato all’inizio di questo itinerario in contrapposizione al “dispotismo illuminato”. Il regime basato sul potere assoluto che mette le sorti dello Stato nelle mani di un solo individuo genera un intollerabile dispotismo perché lo Stato non può identificarsi con un individuo [L’affermazione «Lo Stato sono Io» fatta dal monarca assoluto è aberrante, sostiene Montesquieu].
Per superare il dispotismo, afferma Montesquieu, è necessario adottare una Costituzione che preveda il principio della netta divisione dei poteri dello Stato, e i poteri costitutivi dello Stato sono tre: il potere legislativo affidato al Parlamento [le parlamentari e i parlamentari propongono, discutono, votano e promulgano le Leggi], il potere esecutivo affidato al Governo [i membri del Governo amministrano utilizzando le Leggi promulgate dal Parlamento] e il potere giudiziario affidato alla Magistratura [i giudici sanzionano chi non rispetta le Leggi]. Questi tre poteri, scrive Montesquieu, costituiscono la sostanza unitaria dello Stato perché sono legati tra loro da un unico principio di base e - citando l’opera Leviatano di Thomas Hobbes [del 1651, che Montesquieu ha studiato con grande interesse e ammirazione, e che noi abbiamo incontrato nel corso del viaggio dello scorso anno] - il principio di base che garantisce legittimità allo Stato è che nessuna persona che ricopre la carica di parlamentare o di monarca o di magistrato deve avere interessi personali da difendere nella gestione del potere che gli viene affidato, né deve perseguire fini personali legati al contratto costituzionale: non si può determinare, afferma Montesquieu, nella gestione del potere politico quello che Montesquieu chiama “un conflitto di interessi” e, di conseguenza, nessun parlamentare, nessun monarca, nessun magistrato può far promulgare una legge che favorisca i propri interessi privati pena la loro destituzione. Che i legislatori, i governanti e i magistrati siano disinteressati in modo sostanziale e che i poteri siano separati e indipendenti tra di loro sono [afferma Montesquieu nella sua opera Lo spirito delle leggi] i principi su cui si fonda la Costituzione dello Stato.
Che poi lo Stato abbia la forma monarchica o repubblicana non ha importanza, sostiene Montesquieu, perché la legittimità sta nel rispetto dei principi sostanziali.
Per noi oggi questi dovrebbero essere temi acquisiti [ma è lecito coltivare dei dubbi in proposito: sono davvero temi acquisiti per una popolazione italiana, europea e mondiale che soffre di debolezza cognitiva a livelli così alti come confermano i dati delle ricerche in proposito?] ma [rimaniamo sul territorio che stiamo attraversando] al tempo dell’età dei Lumi le questioni che abbiamo trattato - ricalcando il pensiero di Montesquieu - interessano una risicata minoranza di persone: le masse popolari vivono nell’ignoranza e la grande maggioranza dei membri della borghesia e dell’aristocrazia vive occupandosi di mode superficiali e non di cultura e, quindi, è un esiguo numero di persone a pensare che «la luce della ragione possa illuminare la realtà» e che «l’intelletto vada coltivato con l’educazione» [mediante un tirocinio finalizzato a imparare a imparare].
Le persone sensibili ai temi posti da Montesquieu sono le poche che si sono formate sulla scia della tradizione delle Scuole che hanno preparato l’Illuminismo: in primis le Piccole Scuole di Port-Royal, poi gli Oratoriani di Pierre Berulle dove ha studiato Montesquieu e le Scuole per l’educazione del popolo di Jean Baptiste de La Salle.
In queste Scuole [cominciando dalle Piccole Scuole di Port-Royal] si sono coltivate le parole-chiave e le idee-cardine su cui si basa il movimento che chiamiamo “Illuminismo”. Le persone che hanno frequentato queste Scuole hanno imparato anche a coltivare “la metafora della Luce” [concepita in senso moderno] che ha un ruolo nella Storia del Pensiero Umano e che è stata esaltata, fin dal principio [come abbiamo studiato in questi anni], dalla tradizione letteraria mesopotamica ed egizia, da quella di Zaratustra, da quella biblica beritica, da quella dei Libri indiani dei Veda [la Sapienza], da quella cinese del Libro della potenza del Tao, da quella pitagorica, da quella platonica, da quella della Letteratura dei Vangeli, da quella della filosofia neoplatonica, da quella della Letteratura del Corano e da tutta la tradizione culturale della Scolastica medioevale.
Per fare una sintesi, è indicativo citare in proposito il trattato di Roberto Grossatesta [Robert Greathead] intitolato De luce [Sulla luce, ovvero sull’inizio delle forme], redatto tra il 1225 e il 1228. Roberto Grossatesta [che abbiamo incontrato più di una volta in diversi contesti] è nato in Inghilterra intorno al 1170, è entrato nell’Ordine francescano e ha fatto carriera come magister fino a diventare rettore dell’Università di Oxford e poi è stato nominato vescovo di Lincoln, città dove è morto nel 1253. Il trattato De luce di Grossatesta ha inizio con questa affermazione: «Post tenebras lux » [Dopo le tenebre la luce] e questa asserzione diventa il motto [volutamente rivoluzionario nei confronti del sistema dominante] delle Piccole Scuole di Port-Royal il cui programma, come abbiamo studiato], presenta un progetto di carattere razionale, e le linee di questo progetto prevedono che alla luce della ragione naturale - che è stata concessa a tutti come dono divino e che è una facoltà comune a ogni persona [«La Ragione è la Comune!» si legge nel programma delle Piccole Scuole di Port-Royal] - ebbene, alla luce della ragione naturale la persona può fare ricerca e sconfiggere le tenebre [Post tenebras lux], cioè, può debellare l’ignoranza, l’arretratezza mentale, il potere parassitario, l’oppressione, il dispotismo [ecco il significato dell’affermazione: «Post tenebras lux »(Dopo le tenebre la luce)].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
“La luce del sole”, “il lume di una candela”, “il brillare delle stelle”, “il chiaro di luna”, “il fuoco del camino”, “la luminosità di uno sguardo” o quale altra situazione di lucentezza v’ispira a scrivere quattro righe in proposito?... Fugate il buio delle tenebre con la scrittura...
Abbiamo detto che alla luce della ragione naturale la persona può fare ricerca e sconfiggere le tenebre, cioè, può debellare l’ignoranza, l’arretratezza mentale, il potere parassitario, l’oppressione, il dispotismo [ecco il significato dell’affermazione: «Post tenebras lux »(Dopo le tenebre la luce)]. Nel 1749 due intellettuali, Denis Diderot e Jean Baptiste d’Alembert, raccolgono questo ammonimento e agiscono intellettualmente per mettere in atto un progetto che risulterà epocale perché l’obiettivo che vogliono raggiungere non è solo quello di raccogliere in chiave moderna alla luce della Ragione [scritta con la R maiuscola] tutto il sapere umano in un Libro [in una collana di Libri] ma ritengono che la loro impresa debba produrre un oggetto [l’Encyclopédie] che possa dare a tutte le persone che se ne servono un incremento alle tre fondamentali facoltà del loro pensiero: la memoria, la ragione e l’immaginazione. E, a questo proposito, scrivono insieme un testo di poche pagine intitolato Discorso per l’Enciclopedia dove, in primo luogo, esaltano le possibilità dello strumento necessario per realizzare il loro progetto: la Ragione umana [scritta con la R maiuscola]. Leggiamo l’incipit di questo Discorso.
Denis Diderot e Jean Baptiste d’Alembert, Discorso per l’Enciclopedia
Se la Ragione è uguale per tutti, e se la Ragione è il senso che accomuna ogni persona allora il pensiero e la filosofia non possono che basarsi sulla Ragione, e ogni persona ha la possibilità di essere ragionevole e di coltivare il pensiero e la filosofia perché nella mente umana splende la luce dell’intelletto, una luce fredda ma chiara, non intorpidita dalle passioni, non deviata dalla fantasia, non turbata dai sentimenti. La Ragione costituisce l’elemento comune e, quindi, è possibile un pensiero scientifico di base, universale, in cui tutte le persone dotate di Ragione possano riconoscersi. E conseguentemente è possibile una lingua universale che può essere lo strumento di diffusione generale del sapere. E, di rimando, è possibile l’organizzazione universale dei popoli in uno Stato cosmopolitico che superi l’imperialismo delle nazioni: uno Stato universale che tuteli e custodisca i diritti naturali di ogni persona, diritti eguali per ogni individuo umano sotto tutti i cieli e in tutti i tempi. La Ragione, quindi, è umanitaria e pacifista mentre la storia - la storia dell’uomo sulla terra che è costruita su ciò che divide e pone continuamente in guerra reciproca gli uomini - ebbene, la storia è una creatura dell’irrazionale e, con tutti i suoi pregiudizi, con tutte le sue ingiustizie e disuguaglianze, con tutte le sue calamità spaventose, la storia è negativa, è contraria alla vita dell’Umanità, è un disastro per l’Umanità! La vita del selvaggio è migliore della vita nella storia. I grandi uomini che pretendono di fare la storia, questi individui reietti, sono un disastro per l’Umanità. L’ideale per la persona è quello di vivere secondo Ragione in modo da realizzare tutto e solo ciò che è proprio della genuina e schietta natura umana. Solo vivendo con naturale ragionevolezza ci può essere un vero progresso. Anzi, vivendo con naturale ragionevolezza sarà possibile aspirare a una indefinita perfettibilità umana.
Il progresso, così auspicato, è un’idea che genera fiducia, ottimismo, e che invita a realizzare, a sperimentare, a ricercare, a trasformare. Il progresso è quella forza che non guarda più al passato da interpretare ma guarda al futuro da costruire attraverso il ragionevole sviluppo delle scienze, delle arti, della letteratura, attraverso il ragionevole sviluppo dell’intelligenza. …
Diderot e d’Alembert, subito dopo la diffusione del loro Discorso che è un manifesto in cui si esaltano enfaticamente i meriti della Ragione umana, sviluppano i temi del loro programma componendo due distinte opere - intitolate Prospectus Encyclopediae [La prospettiva lungimirante dell’Enciclopedia] quella di Diderot e Discorso preliminare su l’Encyclopédie quella di d’Alembert - che provocano un interessante e vivace dibattito sebbene nell’ambito circoscritto agli ambienti intellettuali.
Ma di queste due opere programmatiche, e del dibattito che si sviluppa attorno ai temi in esse contenuti, ce ne occuperemo nel nuovo anno al ritorno dalla vacanza che ci aspetta.
Adesso siamo tenute e tenuti a riprendere il nostro incontro con Montesquieu perché [come abbiamo preannunciato] dobbiamo, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, conoscere le caratteristiche del suo primo capolavoro letterario intitolato Lettere persiane, un’opera che continua a suscitare interesse perché il virus dell’imbecillità [della “cretineria”, come Montesquieu definisce la stupidità umana quando l’individuo non è in grado di utilizzare in termini corretti la propria Ragione], ebbene, il virus dell’imbecillità [che è una malattia che sarebbe soggetta a essere curata] non è stato ancora debellato ma trova sempre, nell’ignoranza, la deleteria linfa vitale per riprodursi.
Montesquieu, come abbiamo detto, nel 1721 fa pubblicare ad Amsterdam, mantenendo l’anonimato [ma si viene ben presto a sapere il nome dell’autore], un’opera [il suo primo capolavoro] intitolata Lettere persiane che ha avuto un notevole e duraturo successo dovuto alla leggerezza [l’acume, la perspicacia, la raffinatezza], all’agilità [il brio, la duttilità], allo spirito [l’arguzia e la vivacità d’ingegno] con cui il testo di quest’opera è stato scritto. Con quest’opera l’autore - mediante lo stile della satira intesa in chiave moderna - vuole emettere un giudizio molto severo sulle consuetudini, spesso ridicole, dei membri altolocati e benestanti della società francese ed esprime una critica pungente e ben circostanziata sul funzionamento delle istituzioni e sui costumi parigini. Lettere persiane è un’opera che si configura come un’immaginaria corrispondenza - composta da 161 Lettere - che due [presunti nobili provenienti dal mondo mussulmano] persiani - Rica, un tipo gaio e beffardo, e Usbek, un personaggio più meditativo e riflessivo - mentre sono in viaggio in Europa, tengono con i loro amici rimasti in patria [in una Persia ipotetica] per metterli al corrente su come si vive a Parigi, in Francia e, di riflesso, in Europa. In questo Libro vengono fusi insieme due elementi: il primo consiste nel fatto che si tratta di un vero e proprio romanzo di carattere epistolare di gusto orientaleggiante nel quale si racconta anche la storia dell’harem di Usbek, e il tema dell’harem è molto affascinante [attira l’attenzione delle lettrici e dei lettori] e, di conseguenza, il linguaggio del romanzo possiede anche una particolare vena erotica delicatissima e seducente, ma, attraverso questo modo di esprimersi, l’autore, con grande abilità, porta chi legge anche a cimentarsi con il racconto di una storia drammatica e cruenta [sebbene narrata, volutamente, con una sorta di distacco]: quella della rivolta delle donne dell’harem di Usbek. Le donne dell’harem di Usbek si sollevano contro l’oppressione e succede che, dal giocoso romanzo epistolare, emerge un tema [che non ha confini] di rilevante portata sociale che mette in evidenza in termini espliciti la questione femminista. E la ribellione delle donne dell’harem, soggette a una condizione di schiavitù [come se questo fosse un fatto di normale amministrazione], anticipa il tema della rivoluzione, un evento che da questo momento - tra le righe del racconto di Montesquieu [che sembra guardare altrove, ma chi legge capisce che si sta guardando attorno] - entra in incubazione.
Il secondo elemento costitutivo di Lettere persiane consiste nel fatto che l’autore [anonimo, ma da subito ben riconoscibile] vuol far credere che questi due nobili orientali guardino la società francese e la descrivano con grande ingenuità, facendo finta di meravigliarsi e di non capire bene ciò che osservano, e questo atteggiamento finisce per diventare sarcastico perché quando i due danno un giudizio apparentemente frivolo su ciò che vedono, immediatamente, a orientare la loro valutazione interviene la voce dell’autore che, senza finzioni, colpisce i costumi deprecabili di una società corrotta: egli intenta - con abilità letteraria - un processo al regime assoluto, mettendo in evidenza l’avidità insaziabile dei cortigiani, denunciando l’abuso dei privilegi della nobiltà e il dispotismo dei re [prima di Luigi XIV e poi di Luigi XV] e i loro comportamenti che, più bizzarri e sconvenienti sono, più diventano mode: «mode cretine [scrive Montesquieu] che una società cretina tende inesorabilmente a imitare perché ha perso il senso del ridicolo».
Montesquieu in Lettere persiane mette alla berlina «una società che si nutre di insulsi luoghi comuni e di stupide superstizioni [altro che secolo dei Lumi! Ma siamo ancora nel 1721, non nel 1751!], una società senza istruzione, chiacchierona, oscurantista, in cui hanno la meglio i perfidi imbroglioni e gli astuti illusionisti».
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il libro Lettere persiane di Montesquieu si legge, senza dover fare fatica, al ritmo di una missiva al giorno... C’è qualche moda che considerate “cretina” e che non sopportate?...
Scrivete quattro righe in proposito…
E ora, anche se non è stata una cosa semplice scegliere tra tanto materiale a disposizione, leggiamo quattro brani da Lettere persiane.
Charles-Louis de Montesquieu, Lettere persiane
RICA A USBEK, a …
L’altro giorno mi trovavo in una compagnia di cui faceva parte un uomo molto contento di sé che rideva in continuazione e parlava in continuazione. In un quarto d’ora decise di tre problemi di morale, di quattro problemi storici e di cinque punti di fisica. Non ho mai visto un risolutore così universale, a suo dire: risolveva tutto lui e non rimase mai interdetto per un minimo dubbio. Messe da parte le scienze, si parlò del tempo. Decise anche del tempo.
Volli prenderlo in contropiede e dissi tra me: “Bisogna che mi attenga al mio forte: mi rifugerò nel mio paese”. Gli parlai della Persia, ma avevo appena detto quattro parole che mi diede due smentite, fondandosi sull’autorità dei signori Tavernier e Chardin, autori di relazioni di viaggi in Persia. “Ah, buon Dio” dissi tra me, “che uomo è mai questo?”. Tosto presi la mia decisione: tacqui, lo lasciai parlare e mi allontanai da lui ma non si è neppure accorto del mio allontanamento, ha continuato a parlare, e penso sia ancora là e stia ancora sentenziando.
Da Parigi, l’8 della luna di Zilcadé, 1715
RICA, a …
L’Università di Parigi è la figlia primogenita dei re di Francia, e primogenita da molto tempo: infatti ha più di novecento anni e perciò qualche volta vaneggia.
Mi hanno raccontato che qualche tempo fa ebbe, l’Università di Parigi, una gran disputa con alcuni dottori a proposito della lettera Q che essa voleva venisse pronunciata come una K. La disputa fu così violenta che alcuni vennero spogliati dei loro beni; si dovette ricorrere al parlamento per mettere fine alla divergenza, ed esso con decreto solenne accordò a tutti i sudditi del re di Francia il permesso di pronunciare quella lettera a loro piacimento. Era un bello spettacolo vedere i due più solenni istituti d’Europa, il parlamento e l’università, occupati a decidere della sorte di una lettera dell’alfabeto!
Ho anche sentito dire che, avendo un re d’Aragona riunito gli Stati d’Aragona e di Castiglia, le prime sedute furono dedicate a decidere in quale lingua si dovessero stendere le deliberazioni: la disputa era vivace e gli Stati si sarebbero spezzati mille volte se non si fosse trovato un espediente, per il quale la domanda venisse fatta in catalano e la risposta in aragonese.
Da Parigi, il 25 della luna di Zilagé, 1718
RICA, a …
Si dice che l’uomo è un animale socievole. Sotto questo aspetto mi pare che il francese sia più uomo di un altro, che sia l’uomo per eccellenza, giacché sembra fatto unicamente per la società. Ma ho notato fra loro delle persone che non soltanto sono socievoli, ma sono l’universale società. Si moltiplicano per ogni dove, popolano in un istante i quattro quartieri della città; cento uomini di questa specie fanno una folla di più di duemila cittadini; agli occhi degli stranieri potrebbero riparare le stragi della peste e della carestia. Nelle scuole si domanda se un corpo può essere nello stesso tempo in più luoghi: costoro sono una prova di ciò che i filosofi mettono in discussione. L’altro giorno uno di questi uomini morì di stanchezza e sulla sua tomba fu posto il seguente epitaffio: “Qui riposa colui che non riposò mai. Seguì cinquecentotrenta funerali. Si congratulò per la nascita di duemilaseicentottanta bambini. Le pensioni per le quali si rallegrò, in termini sempre diversi, con i suoi amici, ammontano a due milioni e seicentomila franchi, e il cammino da lui percorso sul selciato a novemila seicento chilometri; quello fatto in campagna a trentasei. La sua conversazione era divertente: aveva a sua disposizione un repertorio di trecentosessantacinque racconti; d’altra parte possedeva, fin dai tempi della gioventù, centodiciotto massime, tratte dagli antichi, che adoperava nelle occasioni brillanti. Infine morì a sessantasei anni. Ora io taccio, o viandante; come potrei infatti dirti compiutamente ciò che fece e ciò che vide?”. Ed io mi sono domandato, con grande preoccupazione: riuscirà mai, un uomo così socievole, a riposare in pace?
Da Parigi, il 3 della luna di Gemmadi, 1715
RICA A REDI, a Venezia
Trovo che i capricci della moda, tra i francesi, sono stupefacenti. Hanno dimenticato come erano vestiti l’estate scorsa, ignorano anche più come saranno quest’inverno, ma, soprattutto, non si crederebbe quanto costi a un marito mantenere una moglie alla moda. Che mi servirebbe farti una descrizione esatta del loro vestiario e dei loro ornamenti? Verrebbe subito una nuova moda a distruggere tutta la mia fatica, come quella dei loro lavoranti, e prima che tu avessi ricevuta la mia lettera tutto sarebbe cambiato. Una donna che lascia Parigi per andare a passare sei mesi in campagna ne ritorna antiquata come se fosse rimasta isolata per trent’anni. Il figlio non riconosce il ritratto della madre, tanto gli sembra strano l’abito con cui vi è rappresentata.
Talvolta le acconciature s’innalzano a poco a poco, e di colpo una rivoluzione le fa ridiscendere; c’è stata un’epoca in cui la loro immensa altezza poneva il viso di una donna nel mezzo della sua figura; in un’altra erano i piedi a occupare quel posto perché i tacchi costituivano un piedistallo che li manteneva in aria. Chi potrebbe crederlo? Gli architetti sono stati spesso obbligati ad alzare, abbassare e allargare porte, a seconda che le acconciature delle signore esigevano da loro tali cambiamenti; e le regole della loro arte sono state asservite a questi capricci. Talvolta si vede su un viso una incredibile quantità di nei, e il giorno dopo spariscono tutti quanti.
Avviene delle maniere e dei modi di vivere come delle mode: i francesi cambiano costumi secondo l’età del loro re. Il sovrano potrebbe persino riuscire a rendere seria la sua nazione, se se lo proponesse. Il principe imprime il segno del proprio carattere sulla corte, la corte sulla città, la città sulla provincia.
L’animo del sovrano è uno stampo che dà forma a tutti gli altri, e guardandomi intorno mi domando: ma il senno del fabbro di Corte, da quanto tempo è in vacanza?
Da Parigi, l’8 della luna di Safar, 1717 …
Alla fine del mese di gennaio dell’anno 1755, a Parigi, scoppia un’epidemia denominata di “febbre maligna” e, di conseguenza, anche Montesquieu si ammala, e il 10 febbraio 1755 muore nel suo appartamento in rue Saint Dominique.
Paradossalmente gli occhi di colui che viene considerato il primo importante pensatore del secolo dei Lumi erano già da qualche tempo al buio, ma a sua figlia Denise che lo assisteva, era solito ripetere: «Non ti preoccupare perché, anche se i miei occhi non vedono più, la mia mente continua a usufruire della luce generata dall’intelletto» e, fino alla fine, la mente di Montesquieu si è giovata della luce generata dall’intelletto perché lui ha continuato, fino all’ultimo giorno, a riflettere e a dettare alla figlia il suoi pensieri.
Quando il prossimo anno torneremo a Scuola non mancate perché - dopo che Diderot e d’Alembert ci avranno presentato il progetto de l’Encyclopédie - siamo invitati a cena dal barone Paul-Henry d’Holbach: è una cena per commemorare Montesquieu a dieci anni dalla morte. Sarà una cena frugale, non è necessario l’abito da sera, e non bisogna dare nell’occhio perché questi raduni conviviali di persone considerate intellettualmente pericolose [le quali, più che desiderose di mangiare, hanno voglia di discutere (tra gli invitati c’è anche David Hume che abbiamo incontrato alla fine di ottobre e ai primi di novembre)] ebbene, questi raduni sono malvisti dalle autorità costituite, dalla guardia regia e da quella cardinalizia.
Il barone d’Holbach abita nel quartiere de le Marais, al numero 16 di Place de Vosges [allora era ancora Place Royale], in uno dei famosi 36 palazzi del ‘600 che ornano questo luogo e, forse, in questa storica piazza parigina ci sarete già state e già stati per visitarla ma un invito a cena dal barone d’Holbach è un’occasione unica da non perdere! L’appuntamento è per mercoledì 11 gennaio a Bagno a Ripoli, giovedì 12 gennaio a Tavarnuzze, venerdì 13 gennaio il primo gruppo a Firenze e venerdì 20 gennaio il secondo gruppo dell’anno 1765 [nel 2023 ci entreremo dopo esserci allargate e allargati la vita di 258 anni come lo studio - che cura anche il tempo in modo diacronico - ci permette di fare!].
Siamo a Natale, e la metafora della Luce domina questa festività [Si parte dal capitolo 9 del Libro di Isaia: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce»]. E se è vero che lo studio è cura, è altrettanto vero che il Natale è la luminosa manifestazione [l’epifania per eccellenza] dell’atto del prendersi cura di sé e del gesto, ancor più impegnativo, di prendersi cura degli altri. Secondo la Letteratura dei Vangeli [secondo il Prologo del Vangelo di Giovanni] la Parola di un Dio buono, clemente e misericordioso [il Logos] s’incarna in un bambino [nell’oggetto più fragile che ci sia] che viene alla luce in viaggio [nella situazione più precaria che ci sia per nascere] e questo bambino “divino e regale” [secondo i primi due capitoli del Vangelo di Luca] compare sotto traccia, non sotto i riflettori, in modo provocatorio come dice la canzone che tutte e tutti noi conosciamo e cantiamo [composta da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori]: «[Quanno nascette Ninno] Tu scendi dalle stelle o re del cielo e vieni in una grotta al freddo e al gelo».
Ebbene, sulla scia di questa affermazione paradossale nella quale si concentra l’essenza del Natale, un’essenza che affossa tutte le prosopopee e ogni istinto di dominio, il nostro viaggio continua e la Scuola - come previsto - è qui perché anche nel prossimo anno: non dobbiamo mai perdere la volontà di imparare!
E questa sera auspico ancora [per il 39° anno] che possa scendere su di noi un augurio: l’augurio di un buon Natale di studio, perché lo studio è cura! …Auguri! …