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SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI, A CENA DAL BARONE D’HOLBACH SI GUSTANO LE SECONDE IDEALI PORTATE CONDITE DI ATEISMO E DI DEISMO …

Lezione N.: 
7

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»

PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica nel secolo dei Lumi

25-26-27 gennaio e mercoledì 1° febbraio 2023

SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI,

A CENA DAL BARONE D’HOLBACH

SI GUSTANO LE SECONDE IDEALI PORTATE

CONDITE DI ATEISMO E DI DEISMO …

     Questo è il settimo itinerario del nostro viaggio sul territorio del secolo dei Lumi e siamo ancora ospiti a cena nel palazzo secentesco del barone Paul-Henry d’Holbach in Place de Vosges a Parigi. I partecipanti a questa cena [come abbiamo potuto constatare la volta scorsa con lo scorrere delle prime portate (consommè, formaggi e insalata di campo)] sono considerati personaggi pericolosi perché si occupano in modo puntiglioso, e poco gradito ai centri di potere, della questione religiosa. E come viene posta la questione religiosa nel gennaio-febbraio del 1765 durante questa cena organizzata dal barone d’Holbach per commemorare [e questo è solo uno degli obiettivi] Charles de Montesquieu, a dieci anni dalla morte, e Julien de La Mettri, a 15 anni dalla morte?

     Gli studiosi convenuti a questa cena - che ha le caratteristiche di un convegno di carattere internazionale [ci sono i francesi, c’è Hume che è inglese, ci sono i tedeschi, si aspetta un italiano] - affrontano la questione religiosa concentrandosi su due temi sensibili: l’ateismo e il deismo.

     Dopo aver ascoltato la volta scorsa i pareri di coloro che sono intervenuti [gli studiosi francesi e tedeschi] sullo sviluppo in chiave moderna della Filosofia della religione [nell’età dei Lumi s’intensifica lo studio della Filosofia della religione], e dopo aver partecipato alla presentazione di alcune Opere che nel corso dell’età dei Lumi hanno fatto diventare l’Esegesi biblica una vera e propria scienza, adesso ci prepariamo a prestare orecchio a un’altra serie di interventi perché il barone d’Holbach, come abbiamo notato al termine dell’itinerario scorso, sta per dare la parola [e questa è la sorpresa della serata] a uno studioso che deve anch’esso presentare delle opere.

     Ma a questo punto [siccome il barone temporeggia attratto dall’insalata di campo] la nostra attenzione cade su due personaggi che stanno un po’ appartati in silenzio: chi sono? Sono [e dobbiamo conoscerli] un monaco e un abate, e noi ora nel gennaio-febbraio del 1765 non potremmo dire nulla di loro perché non hanno ancora scritto le loro opere anche se le hanno di certo già messe in programma e chissà in proposito quanti e quali pensieri ci sono nelle loro teste! Non ci resta quindi [per non perdere l’attimo, mentre il barone d’Holbach temporeggia] che andare a indagare [perché noi possiamo allargarci la vita per merito dello studio e possiamo andare oltre l’anno della cena alla quale stiamo partecipando] e, di conseguenza, iniziamo a conoscere il primo di questi due personaggi appartati [anch’essi attratti dalla ricca e composita insalata di campo].

     Alla cena dal barone d’Holbach è presente, pur rimanendo sempre appartato, il monaco benedettino Léger Marie Deschamps [chiamato da tutti Dom Deschamps] proveniente [ma è spesso a Parigi] dall’abbazia di Asnière vicino a Montreuil-Bellay.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Montreuil-Bellay è un borgo di circa 4300 abitanti nella Valle della Loira posto sulle rive del fiume Thouet e dominato dalla presenza di un enorme castello… A circa sette chilometri da Montreuil-Bellay si trovano le suggestive rovine dell’abbazia di Asnière, fondata nel 1129 e distrutta nel 1791 dal furore rivoluzionario: della chiesa dell’abbazia è rimasto intatto il transetto e il coro gotico del 1220 capolavoro dell’arte angioina... Se consultate una guida della Francia e se navigate in rete trovate un lungo catalogo di immagini da osservare dei luoghi  che abbiamo citato [Montreuil-Bellay, l’abbazia di Asnière]...

     Dom Deschamps, nato a Rennes nel 1716 e morto a Montreuil-Bellay nel 1774, ha sempre cercato di passare inosservato [come nel corso di questa cena] e ha sempre prodotto le sue opere in forma anonima e manoscritta finché, dopo la sua morte, sono state pubblicate da Dom Mazet che è stato suo confratello e fedele discepolo.

     Grande amico e complice di Dom Deschamps è il marchese d’Argenson [1722-1782, grande collezionista d’arte che ha fatto costruire dall’architetto Mansart de Sagonne il castello di Asnière] il quale sta facendo tacitamente da tramite negli scambi epistolari che avvengono tra Dom Deschamps e Rousseau ed Helvétius e d’Alembert e Diderot [e naturalmente Dom Deschamps non firma le Lettere che scrive e non vuol far sapere a nessuno che dialoga con i filosofi illuministi sui temi da loro posti]. Che cosa sta scrivendo di interessante Dom Deschamps? Nel 1770 - mentre il testo manoscritto del trattato Sistema della natura del barone d’Holbach, di cui abbiamo parlato nell’itinerario precedente, sta provocando un grande dibattito sul tema dell’ateismo [e sappiamo che quest’opera sta circolando con lo pseudonimo di Jean-Baptiste Mirabaud perché anche d’Holbach non si firma] - Dom Deschamps scrive un opuscolo anonimo intitolato Contro il Sistema della natura in cui critica l’autore di quest’opera, quindi il barone d’Holbach, accusandolo di proclamare «un ateismo ignorante e senza principio, non adeguatamente giustificato sul piano metafisico, quindi inutile per scardinare le Leggi divine e umane, e inutile per eliminare il male morale che affligge la società»: questo opuscolo, contrariamente a ciò che potremmo pensare visto che l’autore è un monaco, non condanna l’ateismo [la professione di ateismo] di d’Holbach ma deplora la mancanza di spessore intellettuale con cui ha affrontato questa questione. E ci domandiamo come la pensa Dom Deschamps in proposito? L’anno prima, nel 1769, aveva scritto un altro opuscolo anonimo intitolato Lettere sullo spirito del secolo in cui attacca duramente i nuovi filosofi parigini «per la loro superficialità e inconsistenza sul piano dell’analisi e del metodo perché dovrebbero usare la voce della ragione contro la ragione del secolo»: i nuovi filosofi, criticati perché non farebbero buon uso della ragione per combattere l’ignoranza che attanaglia la società in cui vivono, reagiscono rabbiosamente contro questo anonimo autore che apostrofano con l’epiteto ingiurioso di “maledetto reazionario” senza sospettare che possa essere Dom Deschamps perché pensano che lui, con il quale corrispondono, sia un intellettuale simpatizzante dell’Illuminismo e lo incontrano spesso nei circoli quando viene a Parigi [e, difatti, questa sera lo stiamo incontrando a cena dal barone d’Holbach!].

     Ma da che parte sta Dom Deschamps, ci domandiamo pensando allo strabismo dei Lumi? È un reazionario che fa finta di essere un illuminista oppure è un illuminista che fa finta di essere un reazionario oppure è un intellettuale che segue una sua linea di pensiero che può essere definita utopica? [E le studiose e gli studiosi contemporanei hanno definito il pensiero di Dom Deschamps come un Socialismo utopistico di stampo neo-spinoziano]. Innanzitutto dobbiamo dire che Dom Deschamps è uno studioso delle Enneadi di Plotino e dell’Ethica di Spinoza [Spinoza lo abbiamo incontrato nel viaggio dello scorso anno e sappiamo che anche lui è uno studioso delle Enneadi di Plotino, un’opera che Spinoza ha traghettato nella modernità]. Dom Deschamps vive seguendo rigidamente la regola monacale benedettina in un convento [quello di Asnière] che è frequentato e protetto da aristocratici conservatori, assolutisti, bigotti e reazionari [a parte il marchese d’Argenson che però dissimula] ed è veramente un fatto curioso che nessuno si sia mai accorto che Dom Deschamps sia, come lui si definisce nelle sue opere che circolano anonime «un apostolo dell’ateismo »[viene anche chiamato dalle studiose e dagli studiosi che si sono occupati di lui nel ‘900: il Clandestino nella Storia della Filosofia] che per anni lavora a comporre un’opera intitolata Il vero sistema [Il vero sistema o la parola dell’enigma metafisico e morale] in cui espone un messaggio provocatorio dedicato, prima di tutto, agli appartenenti di [un’associazione segreta] un circolo clandestino detto dei Veggenti [e il termine “circolo dei Veggenti” ci obbliga ad aprire, tra poco, una parentesi in proposito].

     Dom Deschamps nel testo dell’opuscolo anonimo intitolato Contro il Sistema della natura critica come abbiamo detto il barone d’Holbach per aver trattato il tema dell’ateismo “da ignorante”, senza alcun principio che possa adeguatamente giustificare questo concetto sul piano metafisico. Dom Deschamps rinfaccia al barone d’Holbach di aver esposto il tema dell’ateismo in forma negativa e tenebrosa [in chiave empirica e non metafisica] mentre lui sostiene che la questione va affrontata con un profilo affermativo e illuminato: «Non è concepibile [scrive Dom Deschamps] dichiarare il proprio ateismo come se fosse una professione di fede - dicendo “io non credo in Dio” - contrapposta a un’altra professione di fede - “io credo in Dio” - perché se la dichiarazione di ateismo avviene mediante l’esercizio di una negazione, se si manifesta il proposito di voler negare l’esistenza di Dio si ammette la possibilità della sua esistenza al pari della possibilità della sua non esistenza e, di conseguenza, è necessario  attestare metafisicamente in modo illuminato che Dio è Niente, che Dio è la non esistenza stessa e che l’Essere stesso è destinato a precipitare nel Nulla».

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il termine “ateismo” vi fa pensare più a una negazione o a una affermazione?... C’è, secondo voi, un motivo per cui si potrebbe affermare la non esistenza di Dio, e c’è un motivo che, secondo voi, ne potrebbe presupporre l’esistenza?...      

Scrivete quattro righe in proposito…

     Che tipo di pensiero metafisico emerge dall’opera di Dom Deschamps? Prima di rispondere leggiamo l’incipit de Il vero sistema [o la parola dell’enigma metafisico e morale] da cui prende le mosse il suo ragionamento.

Léger Marie Deschamps, Il vero sistema [o la parola dell’enigma metafisico e morale]

Tutto è Niente, e questo principio è alla base della dottrina sull’esistenza. Nessuno prima di me si è mai voluto accorgere che il Tutto e il Niente sono la stessa cosa.

La ragione - se non ci si vuole trastullare, da ignoranti, con questa facoltà - fa intuire all’intelletto il Tutto, del quale sa solo dire che il Tutto è un Qualcosa contrapposto al Niente e, così dicendo, fa intendere all’intelletto che anche il Niente è un Qualcosa che risalta contrapposto al Tutto, per cui, sempre con l’apporto della ragione - e ingenui coloro che non lo comprendono e che continuano a seminare miti - si deve ammettere che non si sa Nulla della verità del Tutto, e s’intuisce soltanto che il Tutto è l’esistenza della quale temporaneamente l’essere umano s’accorge di far parte e, di conseguenza, se del Tutto si sa Nulla, e se anche il Nulla è Qualcosa, la ragione suggerisce che la causa dell’esistenza è Nulla e, di conseguenza, anche Dio è Niente. Dio è la non esistenza stessa, e Tutto l’Essere non può che precipitare in questo Nulla. …

     Quale pensiero emerge dall’opera intitolata Il vero sistema [Il vero sistema o la parola dell’enigma metafisico e morale] scritta da Dom Deschamps?

     Nel testo dell’opera intitolata Il vero sistema [Il vero sistema o la parola dell’enigma metafisico e morale] Dom Deschamps attacca i nuovi filosofi dei Lumi [che incontreremo strada facendo] perché secondo lui sono portatori di un pensiero troppo blando e, difatti, li chiama «i mezzi lumi che producono una finta filosofia distruttiva perché priva di un fondamento metafisico». E, in alternativa, Dom Deschamps, come abbiamo letto nell’incipit della sua opera, costringe i filosofi parigini a riflettere tanto sul piano metafisico [della trascendenza] quanto su quello ontologico [dell’essenza] proponendo una tesi basata sul concetto di “ateismo illuminato” [atheisme éclairé].

     Il barone d’Holbach, scrive Dom Deschamps, fa professione di ateismo in senso empirico: nega l’esistenza di Dio ma al suo posto mette la Natura senza rendersi conto che risulta difficile [afferma Dom Deschamps] dimostrare come la Natura abbia fatto a esistere proprio come, allo stesso modo, è difficile dimostrare l’esistenza di un Creatore, per cui, sul piano dialettico si potrebbe dire, in chiave dogmatico-deista, che Dio ha creato la Natura allo stesso modo in cui la Natura ha creato Dio, e se il ragionamento è questo [sostiene provocatoriamente Dom Deschamps scendendo sul piano pratico] allora è meglio accettare i dogmi della religione piuttosto che i dogmi dell’ateismo empirico e sensista perché, per lo meno [scrive Dom Deschamps, facendo irritare i nuovi filosofi], attraverso l’idea di Dio, la religione ha fatto in modo che si conservasse l’idea del Tutto e, di conseguenza, la Storia del Pensiero Umano ha garantito nei secoli il permanere dell’idea di Assoluto [dell’universale, del planetario, del cosmopolita, dell’ecumenico] che corrisponde all’idea del Bene che la mente identifica come l’unico valore metafisico che esiste, in quanto il Bene è preferibile al Male: la ragione sfrondata dagli idoli [scrive Dom Deschamps] suggerisce al pensiero della persona l’utilità di aspirare al Bene assoluto che corrisponde a quel valore che la Filosofia, fin dalla sua origine, ha denominato Eros [che coincide con la tensione verso la Conoscenza] che, erroneamente, scrive Dom Deschamp], è stato rimosso e sostituito con la superstiziosa immagine di Dio. Di conseguenza [scrive Dom Deschamps] non è lecito confondere la Natura con il Bene assoluto e, tanto meno, confondere l’Eros [la volontà d’apprendere] con le immagini mitiche di Dio. Socrate, Platone, Aristotele, Gesù Cristo tendono al Bene assoluto [scrive Dom Deschamps] e, difatti, sono atei, professano l’ateismo illuminato [l’atheisme éclairé] e scacciano gli idoli tenebrosi dalla loro vista. Ma l’idea di Dio per ora [afferma Dom Deschamps] - nella situazione di ignoranza generalizzata in cui si trova il genere umano - è paradossalmente e ragionevolmente ancora socialmente utile, difatti, non è un bene liberare gli uomini ricchi e i potenti [che governano il Mondo, scrive Dom Deschamps] dalla paura di Dio, è ancora più che mai politicamente necessario instillare negli uomini ricchi e i potenti la paura del castigo di Dio perché [scrive Dom Deschamps] liberare i padroni del Mondo dal terrore del giudizio divino fornendo loro l’alibi dell’ateismo empirico significa annullare ogni freno morale, significa affidare la società allo scontro degli interessi particolari e significa scatenare gli egoismi più sfrenati e significa dare la possibilità a ciascuno dei padroni del Mondo di affermare “Dio non c’è” e allora “Dio sono Io”. Il barone d’Holbach e i nuovi filosofi [scrive Dom Deschamps] attaccano ingenuamente e non senza ragioni la religione perché la considerano la causa di tutti mali, ma non è così, la religione è un effetto: «le vere cause del male [scrive Dom Deschamps] sono l’invadenza della proprietà privata e la legge non uguale per tutti [due fenomeni generati dalla forza e dalla prepotenza], perché di fatto sono questi due elementi [questi due squilibri sociali] che causano la religione utilizzata come strumento per legittimare un ordine fondato sulle ingiustizie sociali». Dom Deschamps è un benedettino, e nell’ordinare il suo pensiero integralmente ateo utilizza gli stessi concetti contenuti nei Dialoghi di papa Gregorio Magno [e nel secondo libro dei Dialoghi papa Gregorio Magno scrive la regola benedettina]. «Il Vero sistema [scrive Dom Deschamps] è fondato sull’ateismo illuminato e si costruisce demolendo tutti gli idoli: la ricchezza [se non è ridistribuita secondo i bisogni] va espropriata; il potere [se non è gestito in funzione del bene comune] va annullato; la proprietà privata [se non è garantita esclusivamente per i beni necessari] va abolita; le leggi [se non sono uguali per tutti] vanno cancellate; le religioni [se sono una barriera che impedisce di aspirare al Bene Assoluto] non hanno ragione di essere, e gli dèi creati dal sistema di distrazione di massa [che sono un ostacolo da superare perché favoriscono il dilagare dell’ignoranza] vanno smascherati».

Le studiose e gli studiosi del ‘900 hanno definito il pensiero di Dom Deschamps un programma per la realizzazione del socialismo [e il pensiero del Socialismo utopico di Dom Deschamps ha avuto un suo sviluppo nel secolo a venire]. Per realizzare il Vero sistema fondato sull’ateismo illuminato bisogna fare [scrive Dom Deschamps] uno sforzo metafisico di catarsi individuale e di purificazione sociale perché è necessario: «Spogliarsi di tutto per essere Tutto, in modo da intuire l’Assoluto, risalire all’Universale e percepire il Bene». Per questo è necessario [scrive Dom Deschamps] costruire un modello di vita [lo stile neoplatonico-benedettino] veramente umano [che conoscete già]: una società è umana se la giornata delle persone è scandita da un ritmo armonico, e ogni persona deve dedicare quattro ore al lavoro manuale, quattro ore allo studio, quattro ore alla riflessione alla meditazione alla contemplazione, quattro ore alla cura della propria persona e delle persone altrui compreso il gioioso divertimento e, infine, otto ore da dedicare al riposo. Questa è una regola sociale valida [scrive Dom Deschamps] per costruire «la società che ci sta di fronte, la società dell’Avvenire», e per ora il compito utopico nella costruzione della società dell’Avvenire [scrive Dom Deschamps] se lo sono assunto poche persone lungimiranti che fanno parte di quello che Dom Deschamps chiama il Circolo dei Veggenti.

     E ci piace pensare che anche noi che promuoviamo il lavoro, lo studio, la riflessione, la cura, il divertimento, il riposo nell’ambito di una Officina di Apprendistato cognitivo, possiamo far parte di questo Circolo. E il termine “circolo dei Veggenti” ci obbliga ad aprire una parentesi in proposito. La colonna sonora più adeguata per le riflessioni che abbiamo fatto in compagnia di Dom Deschamps è quella dell’opera Il flauto magico composta come sapete da Wolfgang Amadeus Mozart nel 1791 su Libretto di Emanuel Schikaneder, poeta e cantante. La trama di questo singspiel [che significa “recita cantata” in cui i recitativi sono recitati, contrariamente all’opera all’italiana dove i recitativi sono cantati] contiene temi esoterici [si presenta come lo svolgimento di un grande rituale di iniziazione al Bene Assoluto] e si svolge in un antico Egitto immaginario dove s’invocano Iside e Osiride, ed è caratterizzata da un’alternanza di riferimenti al giorno e alla notte, e si sviluppa lungo un graduale passaggio dalle tenebre dell’inganno e della superstizione [tipiche dell’antico regime, rappresentato dalla Regina della notte, Astrifiammante] verso la luce della sapienza solare [l’illuminismo, rappresentato dal gran sacerdote Sarastro]. Ne Il flauto magico confluiscono elementi tipici dell’Età dei Lumi: c’è l’elemento fiabesco settecentesco [per cui il flauto, altri strumenti, gli animali, le montagne, i genietti sono tutti provvisti di virtù magiche], c’è l’elemento filosofico collegato all’illuminismo e al giusnaturalismo [con l’aspirazione umana alla saggezza, all’uso positivo della ragione e al rapporto armonico con la natura], c’è l’elemento popolare [con la figura di Papageno che rappresenta l’umile, il popolaresco, il comico, il semplice, il naturale, il bonario] e, infine, c’è l’elemento legato all’associazione delle Veggenti e dei Veggenti [con l’emergere del sentimento filantropico che conduce al Tutto, all’Universale, al Bene assoluto]. I versi finali cantati dai protagonisti ne Il flauto magico dicono: «Salute a voi iniziati che diventate Veggenti. / Voi avete attraversato la notte. Or siate di luce ridenti. / Sia grazie a te, Osiride. / Sia grazie a te, Iside. Che rendete gli Umani redenti. / La Tenacia e la Costanza hanno vinto / e per premio, con la loro eterna lucentezza, incoronano Bellezza, Sapienza e Saggezza. / E il Bene, che spezza ogni pesante e oscura catena al suo apparire, dia vita al radioso e fulgente Avvenire» [E come non pensare all’opera di Dom Deschamps!].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Nella partitura de Il flauto magico Mozart si dimostra molto abile a fondere insieme diverse citazioni - dalla sonata di Muzio Clementi al corale di Bach e di Händel, dalle arie all’italiana di Monteverdi al recitativo accompagnato di Gluck - e così si crea il capolavoro… 

In biblioteca e sulla rete trovate il Libretto de Il flauto magico” tradotto in italiano con relativo riassunto della trama che è sempre bene leggere per prepararsi all’ascolto...

     Seduto accanto a Dom Deschamps [abbiamo detto] c’è un abate [un’altra personalità emergente del secolo dei Lumi che abbiamo avuto occasione di citare a novembre] e - mentre il barone d’Holbach, per il momento, è sempre alle prese con la variegata insalata di campo raccolta sulle sponde della Senna per verificare che sia stata condita a dovere - noi ne approfittiamo per fare conoscenza anche con questo personaggio [che è intento, così come d’Holbach e Dom Deschamps, a gustare l’insalata, e non pensate che il barone d’Holbach sia avaro, bensì è al corrente del fatto che tutti questi personaggi soffrono di ipertensione e, quindi, ordina cene leggere: consommè di verdure, formaggi magrissimi e insalata di campo, in modo da preservare il sistema arterioso di ciascun ospite, compreso il suo e il nostro].

     Chi è il personaggio seduto accanto a Dom Deschamps? [I due rimangono appartati e, a tratti, li vediamo chiacchierare sottovoce cercando però di dare nell’occhio il meno possibile].

     Seduto accanto a Dom Deschamps c’è Gabriel Bonnot abate di Mably e questo personaggio lo abbiamo già nominato nel corso del terzo itinerario del nostro viaggio, nel novembre scorso, quando abbiamo incontrato suo fratello minore Étienne Bonnot de Condillac del quale, se vi ricordate, abbiamo studiato il pensiero sensista.

     Gabriel Bonnot abate di Mably [nato a Grenoble nel 1709 in una famiglia di nobiltà di toga, e morto a Parigi nel 1785] ha studiato dai Gesuiti e, come il fratello Étienne, ha preso i voti religiosi ma conduce una vita da laico [è anche membro della celebre loggia massonica parigina del Grande Oriente di Francia] e ha lavorato dal 1742 nel corpo diplomatico e soprattutto, come intellettuale, ha operato nell’ambito dell’Accademia parigina delle scienze e delle lettere svolgendo attività di scrittore del quale ci rimangono ben diciotto opere contenenti il suo pensiero [tutte raccolte in biblioteca in una collana di quindici volumi]. L’opera più importante dell’abate di Mably [noto semplicemente come Mably] - contenente le sue riflessioni più significative - s’intitola Della legislazione, o i principi delle leggi e viene pubblicata nel 1776 [quindi durante la cena alla quale stiamo partecipando dal barone d’Holbach quest’opera non è ancora in circolazione, ma noi possiamo dilatare il Tempo]. Quest’opera, nel 1789, è diventata il manifesto del club dei Giacobini perché tratta temi fondamentali concernenti la teoria della società e la filosofia della politica in quanto l’abate di Mably in questo testo descrive e sviluppa i principi utili e necessari a fondare uno Stato egualitario [secondo il cosiddetto “Comunismo ideale di Mably” che segue il “Socialismo utopico di Dom Deschamps”, ed ecco perché i due sono seduti accanto e dialogano con circospezione]. «La vera causa di tutti gli abusi sociali [scrive Mably] è riconducibile alle differenze di ceto e di ricchezza perché le ingiuste disuguaglianze producono l’avidità e l’ambizione, istigando interessi particolari inconciliabili con una prosperità comune e condivisa». Di conseguenza lo Stato [afferma Mably, che pensa a uno Stato di tipo repubblicano] deve produrre una legislazione che porti gradualmente la società umana a diventare una comunità nella quale i beni materiali vengano equamente ripartiti in modo che si realizzi l’eguaglianza delle condizioni sociali. Per raggiungere pacificamente questo obiettivo la legislazione [scrive Mably] deve, prima di tutto e in modo sistematico, promuovere norme che favoriscano l’attivazione di una rivoluzione culturale: i primi decreti dello Stato egualitario devono prevedere la costruzione di un sistema educativo pubblico che deve accogliere, in modo ordinato e graduale, tutta la cittadinanza perché impari a mettere in pratica le regole su cui si fonda la vita collettiva. La Scuola pubblica [e nel pensiero dell’abate di Mably riecheggia il programma delle Piccole Scuole di Port-Royal] serve a preparare intellettualmente la persona affinché sappia partecipare alla edificazione di un sistema cooperativo fondato sull’armonia sociale perché la felicità della persona singola nasce da un sentimento di virtuosa solidarietà, di consapevole eguaglianza e di responsabile fraternità … E non è casuale il fatto che nell’introduzione dell’opera Della legislazione, o i principi delle leggi l’abate di Mably dia inizio al suo programma partendo da una riflessione molto interessante di carattere esegetico sul Libro dell’Apocalisse. Il testo dell’Apocalisse [L’Apocalisse di Giovanni è un’opera che abbiamo incontrato l’ultima volta nell’anno 2015 durante un Percorso su “La sapienza poetica e filosofica dell’età medioevale” con un itinerario propedeutico alla lettura di questo testo] è stato composto sull’isola di Patmos a cavallo tra il I e il II secolo, ed è diventato ben presto uno dei testi biblici più affascinanti della tradizione letteraria, una miniera d’ispirazione per le Arti in generale e una delle opere più significative della Storia del Pensiero Umano: «La letteratura apocalittica [scrive Mably] è sempre servita e serve per sopportare l’insopportabile perché, proprio nel momento dello sconforto totale, indica alla persona la via della speranza» e con questa affermazione l’abate di Mably inizia la sua riflessione orientata a disegnare i principi dello Stato egualitario. L’Apocalisse [scrive Mably] è un’opera di grande potenza e di forte suggestione che matura nell’ambito delle cosiddette Chiese giovannee dell’Asia Minore, che fanno riferimento al Padre apostolico Policarpo di Smirne. Il termine “apocalisse” come ben sapete in greco corrisponde letteralmente all’espressione “il contrario [apo] del mistero [kalypsis]”, quindi, significa “rivelazione”. Il linguaggio e i simboli di quest’opera [numeri, bestie, colori] appartengono al cosiddetto “genere apocalittico”, molto diffuso nella Letteratura dell’Antico Testamento [nei Libri di Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele] e nelle opere del giudaismo del I e del II secolo [Filone Alessandrino], e l’autore del testo dell’Apocalisse lo definisce una “profezia”, vale e dire una “interpretazione dell’azione di Dio all’interno della Storia”; infatti, il senso della “apocalisse” non è quello di essere un infausto vaticinio sulla fine del mondo, come si crede erroneamente [dando al termine “apocalisse” una valenza catastrofica che non ha], ma [scrive Mably] è un messaggio concreto di speranza rivolto a sette Chiese in difficoltà [pervase da un profondo malessere: le Chiese di Efeso, di Smirne, di Pergamo, di Tiàtira, di Sardi, di Filadelfia e di Laodicea], sette Chiese in crisi o per diatribe interne [non c’è nulla di idilliaco nelle Chiese delle origini] o perché colpite dalla persecuzione di “Babilonia” o della “Prostituta” o della “Bestia”, tre termini che corrispondono alla Roma imperiale che si oppone alla diffusione del messaggio evangelico [l’abate di Mabliy pensa al degrado sociale, morale, umano prodotto dai poteri assolutistici del momento], quindi, il testo dell’Apocalisse contiene un messaggio propositivo perché le Chiese ritrovino la fermezza nella fede e il coraggio nella testimonianza, perché il fine ultimo verso cui sta muovendosi la Storia non è il trionfo del Drago, simbolo del male, ma quello dell’Agnello, cioè di Cristo simbolo della mitezza, e alla Babilonia devastatrice [alle monarchie assolute, allude Mably] subentrerà per sempre la nuova Gerusalemme [lo Stato egualitario] cioè la vera Città della pace e della vita. Ebbene, il Libro dell’Apocalisse [scrive Mably] racconta, in modo visionario, attraverso un ricco repertorio simbolico, come possa avvenire la trasformazione di questo mondo in “un mondo nuovo” che si configura in “una città perfetta” che si regge sui valori della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità! E questi valori - libertà, uguaglianza e fraternità - sono gli ideali che verranno proclamati dalla Rivoluzione francese! Ed ecco da dove sono venuti fuori!

     Nel primo capitolo dell’Apocalisse, nell’incipit, dove l’autore saluta le lettrici e i lettori si legge una frase emblematica che rende questo Libro un manifesto dell’intera Storia del Pensiero Umano, e che l’abate di Mably riporta in calce come introduzione alla sua opera: «Io, Giovanni, vi auguro la grazia e la pace da parte di Dio - che è, che era e che viene - e dei sette spiriti che stanno davanti al suo trono, e da parte di Gesù Cristo, che ci ama e ci ha donato la libertà, e riscattandoci tutti dal peccato del mondo ci ha elargito l’uguaglianza, predisponendoci, con il suo sacrificio, alla fraternità». La questione che il Libro dell’Apocalisse lascia aperta, e sulla quale invita le lettrici e i lettori a riflettere, è in quale ordine mettere questi tre valori per favorire la nascita di “un mondo migliore”, di “un mondo nuovo” ma per l’abate di Mably non ci sono dubbi: prima viene l’uguaglianza, poi la fraternità e, come risultato dell’applicazione di questi due valori, viene anche la libertà.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Gabriel Bonnot abate di Mably è sepolto nella Chiesa parigina di Saint-Roch [San Rocco di Montpellier, il terziario francescano trecentesco Rodolfo Boccalini, sul quale, navigando in rete, si consiglia di fare una ricerca]... La Chiesa di Saint-Roch è stata costruita in stile barocco, opera di ben quattro architetti, tra il 1653 e il 1722 ed è nota come “la parrocchia degli artisti” in riferimento al numero di artiste e artisti che vi sono sepolti. La Chiesa di Saint-Roch è stata teatro di vari avvenimenti legati al periodo della Rivoluzione francese e sono molte le interessanti curiosità legate a questo edificio, una per tutte riguarda la cosiddetta conversione di Alessandro Manzoni [il 2 aprile 1810]... Ebbene, con una guida di Parigi e navigando in rete andate a visitare la Chiesa di Saint-Roch, questa visita vale il viaggio ..

     Adesso si capisce perché il trattato Della legislazione, o i principi delle leggi dell’abate di Mably è diventato, nel 1789, il manifesto del partito dei Giacobini, uno dei movimenti che ha prodotto la Rivoluzione! Ma come sapete, alla fine, non vinceranno le idee utopiche dei Dom Deschamps e dei Mably ma prevarranno i raggiri degli imbroglioni e degli illusionisti, di quelli che hanno fatto finta di essere rivoluzionari per difendere i loro interessi [i Gattopardi, ma questa è un’altra storia per dire che è sempre la solita storia]!

     Ma i presenti alla cena del barone d’Holbach [a parte noi perché il Tempo è dalla nostra] le Opere di Dom Deschamps e dell’abate di Mably non le conoscono perché non sono ancora entrate in circolazione, tuttavia si deve sapere che le idee coltivate da Dom Deschamps e dall’abate di Mably non sono nuove perché stanno già circolando sotto traccia negli ambienti intellettuali da un decennio, e il barone d’Holbach  [e lo veniamo a sapere adesso] ha organizzato questa cena soprattutto per fare una sorpresa a tutti i partecipanti. Intanto viene portato in tavola il dessert [che consiste in pere cotte al forno aromatizzate con chiodi di garofano, appena spruzzate di cognac e spolverate con cacao] ma nessuno se ne serve perché, a questo punto, il barone d’Holbach chiede attenzione e dà la parola all’ultimo commensale che ha chiesto di intervenire il quale risulta sconosciuto a tutti i presenti e sta per fare una rivelazione importante, e chi è costui?

     Ebbene, costui esordisce facendo un’affermazione clamorosa: «Sono qui per affermare che io esisto, e per dire che il mio nome non corrisponde a uno pseudonimo che rimanda a un’associazione segreta, e l’opera intitolata Codice della natura che è stata attribuita, anche da voi, a Denis Diderot, l’ho composta io: io sono Étienne-Gabriel Morelly». Questa affermazione [che suscita un immediato e reiterato brusio tra i commensali] comporta una spiegazione.

     La quasi assenza di notizie riguardanti Étienne-Gabriel Morelly o Morelli ha costretto, nel corso del tempo, le studiose e gli studiosi a fare delle ipotesi utilizzando i pochi dati che si hanno a disposizione nei confronti di questo personaggio.

     Di Étienne-Gabriel Morelly o Morelli [ma di solito viene indicato solo con il cognome: Morelly, e si è pensato per un certo tempo che questo fosse uno pseudonimo che indicasse un’associazione segreta] si sa che è un abate e che si è dedicato all’insegnamento. Morelly potrebbe essere nato intorno al 1715 o al 1717 a Vitry-le-François [nel dipartimento della Marna e in rete trovate tante immagini di questa località] e potrebbe essere morto intorno al 1778, forse a Parigi. Quello che sappiamo con certezza è che questo personaggio ha composto un’opera significativa - pubblicata anonima a Liegi nel 1755 attribuita per un certo periodo di tempo a Diderot - intitolata Codice della natura [Codice della natura, ossia il vero spirito delle sue leggi che in ogni tempo è stato trascurato o misconosciuto]. In questo trattato Morelly ha già presentato in anteprima le idee che, successivamente, verranno sviluppate nelle opere di Dom Deschamps e dell’abate di Mably [come abbiamo appena studiato]: difatti l’opera di Morelly ha influenzato il pensiero di molti pensatori successivi del ‘700, dell’800 e del ‘900. Il Codice della natura di Morelly illustra un progetto di società ideale basata sul principio della comunanza dei beni. Morelly sostiene che l’idea evangelica secondo cui gli esseri umani sono buoni per natura fa sì che ogni persona sia destinata alla felicità, e allora [si domanda Morelly] perché va tutto male e perché nella società domina un sentimento di infelicità? Questo dipende dal fatto che la società è mal governata e, a sua volta, la fonte del malgoverno [e di tutti i mali della società] è da attribuirsi al concetto di proprietà che ha rovinato [e basta guardarsi attorno, afferma Morelly] i rapporti tra le persone. Il concetto di proprietà è innaturale [scrive Morelly] perché è in contraddizione con le Leggi della natura in quanto le Leggi della natura tendono a dare alla sostanza, di cui la natura è formata, uno sviluppo utile e necessario che rimanda alla comunanza da parte di tutti dei beni essenziali e non al loro accaparramento da parte di qualcuno e, di conseguenza, il governo dello Stato [scrive Morelly] deve provvedere a promuovere un sistema di educazione che sappia rendere le persone competenti nella costruzione di una società che ubbidisce alle Leggi della natura dove la singola persona deve contribuire e prendere parte alla costruzione del bene comune con le sue capacità consapevole di dover attingere ai beni comuni secondo i suoi reali bisogni. Chissà se Morelly è in relazione con Dom Deschampes e con l’abate di Mably, i quali in questo momento fanno finta di non conoscerlo [questo è un momento in cui la clandestinità dei rapporti tra gli intellettuali è all’ordine del giorno] però di sicuro conoscono bene la sua opera e ne hanno tratto spunto.

     Ma Morelly [nel corso di questa cena] oltre a rivelare la sua identità [che fino a questo momento era nota solo al barone d’Holbach che di cose segrete se ne intende, come sappiamo] e oltre a rivendicare la paternità della sua opera [anche se l’attribuzione di questo testo a Diderot non aveva fondamento] vuole riferire agli studiosi presenti da chi lui, a sua volta, è stato influenzato. Ebbene, in accordo con il barone d’Holbach [che, come sapete, si occupa di editoria clandestina] Morelly presenta un’opera che vuol far conoscere ai convitati nella sua versione originale [di cui lui è in possesso] perché ultimamente questo testo è stato fatto circolare - riveduto, corretto e annacquato [afferma Morelly] - dal signor Voltaire che non è presente alla cena [sostiene che dal barone d’Holbach si mangia troppo poco ma lo incontreremo a suo tempo il signor Voltaire]. Il testo che Morelly presenta senza censure [leggendone una serie di brani] nella sua versione originale fa sbalordire tutti i presenti per la sua forza, per il dramma che descrive e per il messaggio che contiene: ma di che testo si tratta e chi lo ha scritto?

     Il testo manoscritto che Morelly mostra ai presenti alla cena dal barone d’Holbach s’intitola Testamento, e si tratta proprio di un testamento scritto intorno al 1720 da Jean Meslier. Chi è Jean Meslier? Jean Meslier [1664-1729] è un parroco di campagna che ha svolto la sua missione pastorale nella regione delle Ardenne nei dintorni della città di Charleville- Mézières.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con una guida della Francia e navigando in rete andate a far visita a Charleville-Mézières [due comuni uniti insieme a formare un’unica città, di circa 60mila abitanti, sulle rive della Marna] fondata all’inizio del ‘600 da Carlo Gonzaga duca di Nevers e di Mantova...  

Andate anche a scoprire a quale poeta - essendo nato lì - è dedicato il più importante museo cittadino di Charleville-Mézières, buon viaggio...

     Jean Meslier [dicevamo su suggerimento di Morelly] è un prete di campagna che lascia ai suoi parrocchiani in eredità un testo scritto sotto forma di testamento e di confessione che inizia con questa frase emblematica [e Morelly ne dà lettura]: «Sono diventato sacerdote per compiacere ai miei genitori, e ho sempre fatto il mio dovere di prete fino alla fine condividendo la vostra miseria e vostri valori: la carità e la solidarietà». Infatti [afferma Morelly] Meslier è un sacerdote e un maestro esemplare: caritatevole, disponibile con tutti, molto amato dalle sue parrocchiane e dai suoi parrocchiani svolge per trent’anni la sua attività di parroco di campagna nelle Ardenne vivendo in dignitosa povertà. Alla sua morte [afferma Morelly] viene pianto e rimpianto dalla sua gente, e lui lascia alle pecore del suo gregge un testo scritto perché lo leggano segretamente, e sa che possono farlo [ribadisce Morelly] perché gli ha insegnato lui a leggere e a scrivere facendo loro Scuola in canonica. Ebbene che cosa scrive padre Meslier nel suo Testamento, nella sua confessione? Il testo di quest’opera [spiega Morelly ai presenti] inizia con la negazione dell’esistenza di Dio, e con un invito a cercare, non Dio, ma il Bene. Poi sconfessa la religione cristiana e denuncia i legami tra il potere politico e la religione, condanna il legame nefasto tra il trono e l’altare, i due poteri che si spalleggiano tra loro “come se fossero due tagliatori di borse”, e che permettono ai nobili, ricchi e prepotenti, di imbastire l’oppressione e lo sfruttamento degli appartenenti alle classi più umili. Scopo dichiarato di padre Meslier [afferma Morelly] è quello di rivolgersi alle sue parrocchiane e ai suoi parrocchiani come se fossero tutte e tutti gli oppressi del mondo e per avvalorare ciò che scrive riporta - motivandole intellettualmente - le prove [otto prove] che dimostrano la vanità e la falsità di tutte le religioni utilizzate come strumenti per istituire l’oppressione dei padroni sui servi, dei ricchi sui poveri, dei forti sui deboli. E per dare valore alla sua denuncia padre Meslier [afferma Morelly] riporta nel testo del suo Testamento otto dimostrazioni che avvalorano il suo pensiero tratte dalle Regole per la guida dell’ingegno di Cartesio, dall’Ethica di Spinoza, dai Libri di Isaia, di Geremia, di Ezechiele, di Osea, dalla Letteratura dei Vangeli e dall’Epistolario di Paolo di Tarso. Padre Meslier [afferma Morelly] è, soprattutto, un osservatore lucido e appassionato della realtà che fa ruotare il suo sistema filosofico intorno a tre cardini fondamentali: l’ateismo [perché bisogna cercare il Bene e non Dio], la metafisica materialista [perché il regno del Bene si costruisce sulla Terra] e il comunitarismo [perché i Beni materiali, intellettuali e spirituali vanno messi in comune]. Il sistema filosofico di padre Meslier [afferma Morelly] non nasce da un pensiero teorico, ma nasce dall’indignazione, nasce dall’invettiva morale di chi ha visto con i propri occhi «l’empietà, l’ingiustizia e il sopruso regnare sulla Terra».

     E il Testamento di padre Meslier si conclude con un inequivocabile invito alla rivolta, un invito [afferma Morelly] che deve continuare a risuonare nelle nostre orecchie.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Qual è stato l’atto di ribellione più significativo della vostra vita? ...

Scrivete quattro righe in proposito ...

     E, infine, Morelly legge agli invitati alla cena dal barone d’Holbach [e anche a noi] la parte finale del Testamento di padre Meslier.

Jean Meslier, Testamento

Mettete pure in pace il vostro cuore per tutto questo, abolite anzi tra voi tutti questi sciocchi e superstiziosi riti di preti e sacerdoti e costringeteli a vivere e a lavorare come voi. Ma non basta, cercate di unirvi tutti, tante e tanti quanti siete, voi e i vostri simili, per scuotere definitivamente il giogo del potere tirannico imposto dai vostri principi e dei vostri re; rovesciate ovunque questi troni ingiusti ed empi, spaccate queste teste coronate, umiliate l’orgoglio e la superbia di tutti i vostri tiranni e non tollerate mai che essi regnino su di voi.  È compito dei più saggi guidare e governare gli altri non dei più forti né dei più ricchi. Ribellatevi: avete forse da perdere qualcosa se non le catene che vi legano alla vostra servitù? …

     Dopodiché Morelly invita tutti a consumare il dessert e a riflettere in silenzio.

     Se fosse stato presente a questa cena il filosofo contemporaneo Bertrand Russel [1872-1970, che tutte e tutti voi avete sentito nominare e che incontreremo a suo tempo] si sarebbe permesso di intervenire per leggere, in modo da dare un contributo alla riflessione, un suo breve racconto intitolato L’incubo del teologo.

Bertrand Russell, L’incubo del teologo

L’eminente teologo dr. Taddeus sognò di morire e andare in paradiso. I suoi studi lo avevano preparato, e non ebbe alcuna difficoltà a trovare la strada. Bussò alla porta del paradiso e s’imbatté in un esame valutativo più attento di quanto si fosse aspettato. «Chiedo il permesso di entrare,» disse, «perché sono stato un uomo giusto e ho dedicato la mia vita alla gloria di Dio.» «Un uomo?» rispose il custode, «che cos’è? E come potrebbe una creatura buffa come te promuovere la gloria di Dio?».

Il dr. Taddeus rimase sbalordito. «Non è possibile che non conosciate l’uomo. Dovete per forza sapere che l’uomo è l’opera più sublime del Creatore.» «Quanto a ciò,» disse il custode, «mi spiace ferire i vostri sentimenti, ma quello che voi dite mi giunge del tutto nuovo. Dubito che chiunque quassù abbia mai sentito parlare di questa cosa che voi chiamate “uomo”. Comunque, dato che mi sembrate tanto sbalordito, vi concedo la possibilità di consultare il nostro bibliotecario».

Il bibliotecario, un essere globulare con mille occhi e una bocca, rivolse alcuni dei suoi sguardi verso il dr. Taddeus. «Che cos’è questo?» chiese al custode. «Questo,» rispose il custode, «dice di essere un membro di una specie chiamata “uomo”, che vive in un posto chiamato “Terra”. Ha questa strana teoria secondo la quale il Creatore nutre un particolare interesse per questo posto e per questa specie. Ho pensato che forse ci avresti potuto aiutare a chiarire la faccenda.» «Dunque,» disse gentilmente il bibliotecario al teologo, «forse mi potrete dire dove si trova questo posto che chiamate Terra.» «Oh sì,» disse il teologo, «fa parte del Sistema Solare.» «E che cos’è il Sistema solare?» chiese il bibliotecario. «Oh,» disse il teologo piuttosto sconcertato, «io mi occupavo del Sapere Sacro, e la domanda che mi avete fatto appartiene al sapere profano. Comunque, ne ho imparato abbastanza dai miei amici astronomi per sapere che il Sistema Solare fa parte della Via Lattea.» «E che cos’è la Via Lattea?» chiese il bibliotecario. «Oh, la Via Lattea è una delle Galassie, le quali, mi hanno detto, sono qualche centinaia di milioni.» «Appunto, appunto,» disse il bibliotecario, «non potete certo aspettarvi che me ne ricordi una fra tante. Ma mi ricordo di aver udito la parola “galassia” prima. Infatti, penso che ci sia uno dei nostri sotto-bibliotecari che sia specializzato in galassie. Andiamo a cercarlo per vedere se ci può aiutare.» Dopo non molto tempo, il sotto-bibliotecario galattico fece la sua comparsa. Aveva la forma di dodecaedro. Era evidente che la sua superficie un tempo era stata luminosa, ma la polvere degli scaffali l’aveva resa fine e opaca. Il bibliotecario gli spiegò che il dr. Taddeus, nel tentativo di illustrare le sue origini, aveva menzionato le galassie, e si sperava che si potesse ricavare qualche informazione dalla sua specifica sezione della biblioteca. «Bene,» disse il sotto-bibliotecario, «suppongo che avendo del tempo sarebbe possibile avere qualche informazione, ma dato che ci sono cento milioni di galassie, e ognuna di esse ha un suo volume, ce ne vuole parecchio per trovarne una precisa. Qual è quella che questa strana molecola desidera che io trovi?» «È quella della galassia denominata Via Lattea», rispose esitante il dr. Taddeus. «Va bene,» disse il sotto-bibliotecario, «se posso la troverò». Dopo circa tre settimane tornò, spiegando che la straordinaria efficienza dell’archivio della sezione galattica della biblioteca gli aveva permesso di trovare la galassia sotto la collocazione numero QX 321.762. «Ci sono voluti tutti i nostri cinquemila impiegati della sezione galattica per trovarlo. Forse volete parlare con l’impiegato che si occupa specificamente della galassia in questione?» Mandò a cercare l’impiegato, che si presentò sotto forma di ottaedro, con un occhio in ogni faccia, e una bocca soltanto in una di esse. Era stupito e stranito nel trovarsi in un luogo tanto luminoso, lontano dall’oscuro limbo dei suoi scaffali. Dopo essersi ricomposto, chiese, assai timidamente: «Cosa desiderate sapere sulla mia galassia?» Il dr. Taddeus disse: «Ciò che voglio è sapere qualcosa a proposito del Sistema Solare, un insieme di corpi celesti, che ruotano attorno a una stella chiamata “Sole”.» «Uhm,» disse il bibliotecario della Via Lattea, è stato già abbastanza difficile trovare la galassia giusta, ma scovare proprio la stella giusta nella galassia è ancor più difficile. So che ci sono circa trecento miliardi di stelle nella galassia, ma neppure io sono a conoscenza di quello che potrebbe diversificare le une dalle altre. Credo, comunque, che una volta l’Amministrazione abbia ordinato di compilare una lista di tutti i trecento miliardi di stelle, e che deve essere ancora conservata nel sotterraneo. Se pensate che ne valga la pena, potrei incaricare del personale speciale dell’Altro Posto per cercare questa stella particolare.» Si convenne che, dato che la questione era stata sollevata, e che era evidente che la cosa facesse soffrire il dr. Taddeus, quella sarebbe stata la cosa migliore da fare. Diversi anni dopo, un tetraedro molto stanco e provato si presentò al sotto-bibliotecario galattico. «Finalmente,» disse, «ho trovato quella stella per la quale era stata fatta richiesta, ma non riesco proprio a immaginare perché abbia suscitato tanto interesse. È molto simile a moltissime altre stelle di quella galassia. Possiede temperatura e dimensioni normali, ed è circondata da altri corpi celesti più piccoli chiamati pianeti. Dopo un’accurata indagine, ho scoperto soltanto che alcuni di questi pianeti hanno dei parassiti, e credo che quella cosa che ci ha fatto la richiesta sia uno di loro.» A questo punto il dr. Taddeus scoppiò in un disperato e appassionato lamento: «Perché, oh perché il Creatore ha nascosto a noi abitanti della Terra che non eravamo noi quelli che lo avevano spinto a creare i Cieli? Per tutta la vita mi sono messo al suo servizio, diligentemente, credendo che lui avrebbe notato i miei servigi, e mi avrebbe ricompensato con la Beatitudine Eterna. E ora, pare che Egli non sappia nemmeno che io sono esistito. Mi dite che sono un minuscolo microbo di un piccolissimo corpo celeste che ruota attorno a un membro insignificante di un insieme di trecento miliardi di stelle, e che quella stella non è che una dei milioni che compongono tale insieme. Non posso sopportarlo, e non posso più adorare il mio creatore.» «Molto bene,» disse il custode, «allora potete andare nell’Altro Posto.» 

A questo punto l’eminente teologo dr. Taddeus si svegliò di soprassalto, era tutto sudato, e, dopo aver superato lo smarrimento, esclamò: «Il potere che Satana ha sui nostri sogni è davvero tremendo!» …

     Intanto davanti al portone del palazzo del barone d’Holbach si è fermata una carrozza e qualcuno suona la campana posta all’ingresso per poter entrare: chi è? È l’invitato italiano atteso, si sa che arriva da Napoli ed è in ritardo per la cena, e non perché i napoletani sono ritardatari [come, secondo un luogo comune, qualcuno potrebbe pensare] ma perché per arrivare a Parigi da Napoli ha dovuto attraversare troppe frontiere [e che cosa volete che siano tre ore di ritardo su un viaggio che dura una decina di giorni]. E poi non è certo la città di Napoli a essere in ritardo con la Storia, anzi, a Napoli c’è un grande fermento culturale [e ce ne accorgeremo nel corso del prossimo itinerario]!

     E chi è costui? Il barone d’Holbach ha lasciato trapelare che si tratta di un   personaggio un po’ “diabolico” [e abbiamo appena citato Satana con l’incubo del teologo di Bertrand Russell] ma noi non riusciamo neppure a vederlo perché sparisce nelle cucine del palazzo del barone d’Holbach: certamente ha appetito e speriamo che qualche avanzo sia rimasto per lui, ma chi è questo personaggio? Per fare la sua conoscenza dobbiamo attendere il prossimo itinerario.

     E intanto nel vasto salone del palazzo del barone d’Holbach comincia a suonare l’orchestra e si cantano, in italiano, brani musicali che arrivano da Vienna [la colonna sonora del secolo dei Lumi è straordinaria e noi con i molti strumenti che abbiamo a disposizione possiamo dedicarci a tutti quegli ascolti che via via la Scuola propone].

     Quale contributo porterà l’ignoto, per ora, e misterioso viaggiatore napoletano al dibattito che ha caratterizzato la cena nel palazzo del barone d’Holbach? Ma soprattutto perché, per più di un trentennio durante il secolo dei Lumi, Napoli è una delle più importanti, se non la più importante capitale europea dove fiorisce una straordinaria inventiva?

     Per rispondere a queste domande bisogna procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé consapevoli del fatto che non dobbiamo mai perdere la volontà di imparare, per questo la Scuola è qui e il viaggio continua…

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Mercoledì, Febbraio 1, 2023