ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»
PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica nel secolo dei Lumi
8-9-10-17 febbraio 2023
NEL SECOLO DEI LUMI
NAPOLI È UNA GRANDE CAPITALE EUROPEA
DOVE FIORISCE L’INVENTIVA …
Questo è l’ottavo itinerario del nostro viaggi sul territorio del secolo dei Lumi e siamo ancora ospiti nel palazzo del barone Paul-Henry d’Holbach, in Place de Vosges a Parigi, dove abbiamo partecipato a una cena: una cena sobria, per quanto riguarda le vivande servite, ma ricca sotto il profilo intellettuale perché abbiamo potuto incontrare e ascoltare una serie di personaggi importanti convocati dal barone d’Holbach che, come sappiamo, è stato un intelligente promotore colturale [scritto con la o perché non c’è cultura senza coltura]. Che cosa abbiamo imparato?
Gli studiosi che il barone d’Holbach ha invitato a cena nel suo palazzo - una cena che ha le caratteristiche di un convegno di carattere internazionale [ci sono i francesi, c’è Hume che è inglese, ci sono i tedeschi, c’è un napoletano che condiziona l’itinerario di oggi] - affrontano in modo puntiglioso la questione religiosa concentrandosi su due temi sensibili: l’ateismo e il deismo.
E, per quanto riguarda il tema del deismo abbiamo potuto capire che non c’è univocità nel definire questo concetto, c’è chi parla di “deismo anti-rivelazionista” e gli studiosi di esegesi biblica che appartengono a questa corrente affermano che Dio esiste ma non si è rivelato direttamente agli umani bensì sono stati gli ingegnosi membri di efficienti Scuole di scrittura [in particolare gli scrivani ebraici] che, con i loro testi, hanno creato il mito della rivelazione. Poi c’è chi parla di “deismo razionalista” e gli studiosi appartenenti a questa corrente, esperti in campo scientifico, affermano che Dio esiste e le prove della sua presenza vanno ricercate sperimentando nel manifestarsi dei fenomeni della Natura.
Per quanto riguarda il tema dell’ateismo abbiamo capito che, anche in questo campo, non c’è univocità nel definire questo concetto, e abbiamo imparato che si parla di “ateismo materialista” come quello professato dal barone d’Holbach che mette la Natura al posto di Dio, e si parla di “ateismo metafisico” teorizzato da Dom Deschamps per il quale ciò che chiamiamo Dio è Niente perché ciò che esiste nella mente umana è l’idea del Bene assoluto; ma i concetti di ateismo e di deismo si svilupperanno ancora col tempo.
E poi i commensali hanno dibattuto sul fatto che chi professa l’ateismo ritiene che questa via - libera dal falso dogma che impone di credere al giudizio di Dio - sia l’unica da percorrere per essere davvero virtuosi così come, contemporaneamente, chi professa il deismo ritiene che questa - sotto l’ala della morale divina - sia, invece, l’unica via che conduce alla virtù! I deisti sostengono che è più virtuosa la persona che cerca, nella Natura e nel Linguaggio, i segni della Provvidenza divina e, quindi, con l’uso della ragione la persona è chiamata a trasformare questi segni in regole morali, spinta dal fatto che Dio giudicherà e premierà o castigherà l’operato della persona in quanto la morale universale naturale si identifica con la volontà di Dio, e la morale universale è l’essenza stessa di Dio. Gli atei, per contro, sostengono che è più virtuosa la persona che cerca il Bene assoluto attraverso la ragione e il senso del dovere, in quanto non c’è Dio a lasciare segni perché la morale naturale universale sussiste di per sé e, di conseguenza, la persona deve scegliere il Bene come dovere morale, come autodisciplina sapendo che non esistono i premi o i castighi divini ma esiste il piacere che la persona prova nel fare il Bene sotto la guida della propria intelligenza.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
A cena dal barone d’ Holbach si è sviluppata una disputa tra intellettuali “deisti” e “atei” per stabilire quale delle due posizioni permetta alla persona di essere più virtuosa, ogni corrente marca il proprio territorio ma per tendere a raggiungere un obiettivo comune: trovare la via per cogliere l’idea del Bene...
In quale circostanza vi siete sentite delle persone virtuose: dedite al Bene?...
Scrivete quattro righe in proposito…
Su questi argomenti gli studiosi deisti e atei presenti alla cena nel palazzo del barone d’Holbach hanno riflettuto presentando come sapete una serie di opere interessanti che abbiamo avuto occasione di conoscere [e, in proposito, potete rileggere il testo dell’itinerario precedente] e questi studiosi sono intervenuti in modo da farci capire un certo numero di idee significative seppur complesse.
L’ultimo commensale a cui il barone d’Holbach ha dato la parola è stato Étienne-Gabriel Morelly [chiamato semplicemente Morelly], un personaggio emblematico come ricorderete, il quale, dopo il suo intervento, ha invitato tutti a consumare in silenzio il dessert che era rimasto in sospeso, per dare spazio, gustandolo, a un momento di riflessione personale.
Intanto la cena, alla quale abbiamo avuto il privilegio di partecipare, ormai si è conclusa e davanti al portone del palazzo del barone d’Holbach si è fermata una carrozza e qualcuno suona la campana posta all’ingresso per poter entrare: sappiamo che si tratta dell’ospite atteso che arriva da Napoli ed è in ritardo per la cena e non perché i napoletani siano persone ritardatarie [come, secondo un luogo comune, qualcuno potrebbe pensare] ma perché per arrivare a Parigi da Napoli ci sono da attraversare molte frontiere che rallentano gli spostamenti [ma che cosa volete che siano tre ore di ritardo su un viaggio che dura una decina di giorni!]. E poi c’è da dire che la città di Napoli non è certo in ritardo con la Storia, anzi, a Napoli c’è un grande fermento culturale in questo momento come vedremo nel corso di questo itinerario!
Chi è quest’ospite? Il barone d’Holbach, come ricorderete, ha lasciato trapelare che si tratta di un personaggio un po’ “diabolico” il quale si è subito fatto accompagnare nelle cucine del palazzo: certamente ha appetito dopo il lungo viaggio che ha dovuto affrontare e speriamo che qualche avanzo di questa parca cena [un po’ di consommè, un po’ di formaggio caprino e un po’ d’insalata di campo] sia rimasto per lui, ma chi è questo misterioso ed eccentrico personaggio che occupa tutta la scena di questo itinerario?
Intanto si tratta di un principe che a Napoli ha una fama assai singolare, e il suo palazzo viene chiamato “la casa del diavolo o la dimora di Satana” e lui, ironicamente, ci tiene, e si diverte anche, a essere considerato una specie di mago, un negromante, mentre è un prolifico e straordinario creatore di invenzioni: si chiama Raimondo di Sangro principe di Sansevero, e chi è, e di che cosa si occupa?
Prima di fare la sua conoscenza e di sapere di che cosa si occupa questo personaggio e per quale motivo è stato invitato a convegno dal barone d’Holbach, ebbene, prima [in funzione della conoscenza del territorio sul quale stiamo viaggiando] dobbiamo dire che l’illustre famiglia napoletana dei di Sangro prende il nome dal loro feudo omonimo situato in Abruzzo [il Sangro è il nome di un fiume che attraversa l’Abruzzo e il Molise e scorre anche sul territorio del feudo a cui dà il nome] ma l’origine di questa casata, che si vanta di discendere da Carlo Magno, è pugliese perché la famiglia dei di Sangro proviene dalla città di San Severo [difatti Raimondo di Sangro si fregia del titolo di principe di Sansevero].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
La città pugliese di San Severo in provincia di Foggia, che conta oggi circa 53mila abitanti, posta nel Tavoliere settentrionale, vale la pena - con una guida della Puglia e navigando in rete - di essere visitata perché possiede una serie di monumenti significativi, buon viaggio...
Ma chi è Raimondo di Sangro principe di Sansevero? Raimondo di Sangro principe di Sansevero è un personaggio “straordinario” che vive nella storia e nella leggenda [e dovremo aprire molte parentesi nel corso dell’incontro con lui: per esempio, nel decennio in cui - dalla metà degli anni ‘80 fino oltre la metà degli anni ’90 - i nostri gruppi hanno frequentato il teatro abbiamo potuto assistere, nel 1989, a uno spettacolo presentato dalla compagnia di Peppe e Concetta Barra intitolato La festa del principe dedicato al personaggio di Raimondo di Sangro]. Ebbene, Raimondo di Sangro è nato nel castello di famiglia a Torremaggiore, una località vicino a San Severo in Puglia in provincia di Foggia il 30 gennaio [o il 30 maggio] 1710, e sua madre, figlia della principessa Aurora Sanseverino, è la [«incomparabile nobildonna» così si dice di lei] Cecilia Gaetani dell’Aquila d’Aragona, mentre suo padre è don Antonio di Sangro duca di Torremaggiore: quindi, Raimondo si fregia di due illustri genitori. Sta di fatto però che, purtroppo, la madre muore pochi mesi dopo la sua nascita [il 26 dicembre 1710] e il padre deve fuggire a Vienna per non subire ritorsioni in seguito a un delitto nel quale risulta coinvolto e, di conseguenza, a causa di questi due gravi motivi Raimondo viene affidato alle cure dei nonni paterni: il nonno Paolo, che è il sesto principe di Sansevero, e la nonna Geronima Loffredo, i quali abitano a Napoli nel loro palazzo in piazza San Domenico Maggiore a Spaccanapoli [un sito che, con l’ausilio della rete, potete visitare]. Raimondo - che è, quindi, diventato cittadino napoletano - è un bambino dotato di una straordinaria curiosità e di un’eccezionale capacità di apprendimento [«di soverchia vivacità di spirito e di perfino troppa prontezza», come dicono i suoi due primi precettori dai quali riceve l’istruzione elementare] tanto che a undici anni è pronto [ha le basi] per compiere un ragguardevole iter scolastico presso il Collegio dei Gesuiti a Roma dove, nel corso degli anni della sua formazione - utilizzando le biblioteche della città, i fondi museali e frequentando vari corsi [quasi sempre di nascosto durante le ore di libera uscita concesse] - per conto proprio, oltre ai già ragguardevoli programmi proposti dall’istituto, si dedica a studiare la filosofia, le lingue [oltre al latino, al greco e all’ebraico ne impara otto tra cui l’arabo], la pirotecnica, le scienze naturali, l’idrostatica, la tecnica tipografica, l’architettura civile e militare, la chimica, la meccanica, la botanica, le arti in generale: in particolare, è attratto dallo studio proibito [che a Roma si pratica clandestinamente] dell’ermetismo egizio [conosce i Libri esoterici di Ermete Trismegisto, il Corpus Hermeticum] e dallo studio dell’alchimia [antica, medioevale e rinascimentale. L’alchimia è una disciplina, anticipatrice della scienza, che utilizza le corrispondenze tra le varie componenti del cosmo e della natura per attuare delle trasformazioni e che nulla ha a che fare con la stregoneria].
Nel 1729, quando Raimondo è ancora allievo dei Gesuiti a Roma, ha inizio la sua carriera di inventore perché progetta e costruisce un palco mobile per valorizzare la scenografia delle rappresentazioni teatrali [nei Collegi dei Gesuiti c’è sempre anche un teatro], ed è un palcoscenico formato [ha scritto lo stesso Raimondo nei suoi Quaderni] «da argani, e da ruote dagli spettatori non vedute» in grado di ritirarsi «con l’aiuto di poche corde e in pochi istanti». Per la realizzazione di quest’opera riceve gli elogi dell’ingegnere Nicola Michetti, che è al servizio dello zar Pietro il Grande, il quale, essendo presente a una rappresentazione teatrale nel Collegio dei Gesuiti di Roma dove il palco mobile di Raimondo permette di produrre effetti speciali, lo incoraggia a continuare a mettere a frutto il suo talento. Ma Raimondo non ha bisogno di incoraggiamento e non smetterà mai di mettere a frutto il suo talento e anche la sua ironia [sempre un po’ burlona per cui il corpo del talentuoso inventore Raimondo di Sangro sembra contenere l’anima partenopea di Pulcinella] visto che alla domanda dell’ingegnere su come avesse fatto a sviluppare un’idea così innovativa Raimondo risponde: «Il palco mi è stato proposto in sogno da un venerando vecchio annunziatosi come Archimede pitagorico siracusano, e io l’ho realizzato al risveglio tutelato dal suo ingegno».
Nel 1730 Raimondo termina il corso di studi presso i Gesuiti di Roma e torna a Napoli dotato [oltre che di un titolo accademico di alto valore] di «un maraviglioso intelletto» e questo è il giudizio dato su di lui dopo gli esami finali dai due celebri professori Carlo Spinola e Domenico Quarteironi]. Raimondo, alla morte del nonno Paolo, ne eredita il titolo e i beni divenendo il settimo principe di Sansevero e si sposa il 1° dicembre 1735 a Torremaggiore perché s’innamora di una sua lontana cugina, Carlotta Gaetani dell’Aquila d’Aragona, che è pure una ricca ereditiera di molti feudi nelle Fiandre: è un matrimonio che si rivela molto felice [ed è stato coronato dalla nascita di otto figli dei quali ben cinque sono sopravissuti].
Per curiosità per chi ama la musica barocca, apriamo una parentesi per dire che in occasione della fastosa cerimonia nuziale è stata anche eseguita una serenata [che ha avuto grande successo] scritta appositamente da Nicolò Giovio e messa in musica da Leonardo Leo, corredata da un sonetto composto da Giambattista Vico [che incontreremo a suo tempo]. La serenata nuziale doveva essere inizialmente composta come regalo di nozze dal già celebre musicista Giambattista Pergolesi che è un caro amico di Raimondo di Sangro: i due sono coetanei [sono entrambi nati nel 1710] e si sono conosciuti giovanissimi a Roma. Purtroppo Pergolesi è riuscito a scrivere solo il preludio di questa serenata che è andato perduto, perché le sue condizioni di salute - è ammalato di tubercolosi - si sono aggravate per cui si è trasferito urgentemente a Pozzuoli dove si riteneva ci fosse un clima più salubre [è ospite nell’infermeria del Convento dei Cappuccini dove muore il 7 febbraio o il 16 marzo 1736 a soli 26 anni]. Giovanni Battista Pergolesi è nato a Jesi, in provincia di Ancona, e il suo nome è Giovanni Battista Draghi [ma suo nonno, Cruciano Draghi, veniva dal paese di Pergola, oggi in provincia di Pesaro-Urbino, e la famiglia Draghi fu denominata dei Pergolesi e questo soprannome è diventato un cognome]. A Jesi [bella cittadina marchigiana che potete visitare navigando in rete] c’è un teatro dedicato a Pergolesi dove ogni anno si svolge un Festival pergolesiano. Pergolesi ha operato a Roma, a Napoli e a Parigi e ha composto molte opere [tanto di musica sacra che profana] che hanno lasciato il segno nella Storia della musica: ricordiamo, per esempio, l’Intermezzo in due parti intitolato La serva padrona su Libretto di Gennarantonio Federico del 1732, che ha avuto un grande successo soprattutto a Parigi contribuendo a riformare - nel senso della commedia dell’arte (c’è anche una commedia di Carlo Goldoni intitolata La serva padrona) - la cosiddetta “opera buffa” facendo scatenare quella che si chiama la “Querelle des Bouffons” la Polemica dei Comici].
Le opere di Pergolesi sono state apprezzate dai più importanti musicisti dell’epoca, il fatto è che la sua attività artistica dura solo sette anni a causa della sua morte prematura. Gli intellettuali romantici, nell’Ottocento, hanno costruito [come hanno fatto con Spinoza e altri personaggi] un vero e proprio mito su Pergolesi in quanto specialista di uno stile chiamato “pathos sentimentale” che ha influenzato la cultura romantica. Sconfina nella leggenda l’insinuazione che Pergolesi sia stato avvelenato da musicisti invidiosi del suo talento oppure avvelenato da qualche amante respinta essendo un giovane molto attraente dotato di “bellezza apollinea” nonostante avesse - come si vede in un’incisione che lo raffigura - una gamba offesa dalla poliomielite. Oggi Pergolesi continua a essere un compositore assai apprezzato e le sue partiture vengono spesso eseguite nei concerti e utilizzate nel cinema come colonna sonora.
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Mettetevi in ascolto – e potete farlo navigando in rete - della musica di Giovanni Battista Pergolesi che fonde insieme la vena comica, il pathos sentimentale e la delicata malinconia… Potete visionare una rappresentazione de La serva padrona e ascoltare il Concerto in re maggiore per flauto e archi e lo Stabat Mater: date una colonna sonora a questo itinerario…
Ma torniamo a Raimondo di Sangro [che ha sofferto per la perdita del suo amico musicista]. Raimondo di Sangro, in qualità di principe di Sansevero, ha accesso a corte e gli spetta il ruolo di gentiluomo di camera del re Carlo III di Borbone [che come re di Napoli sarebbe Carlo VII ma noi continuiamo a chiamarlo Carlo III per non fare confusione], del quale Raimondo è amico. Carlo III di Borbone è un personaggio sul quale fra poco, per conoscere e per capire chi sia, apriremo una se pur breve parentesi; adesso, in anteprima diciamo solo che, dal 1734, appena diciottenne, dopo aver governato già il ducato di Parma e Piacenza ereditato dalla madre, ha assunto la guida del Regno di Napoli e di Sicilia togliendolo, combattendo alla testa dell’esercito spagnolo, agli Austriaci che stavano opprimendo il sud d’Italia ed è stato, quindi, accolto dalla popolazione partenopea come un liberatore: Carlo III di Borbone si è napoletanizzato [ha molto amato questa città] ed è colui che, coltivando le idee del secolo dei Lumi, ha trasformato Napoli in una delle più importanti capitali europee del Settecento, ma ne parliamo [su pur brevemente] tra poco.
Adesso torniamo da Raimondo di Sangro al quale, oltre al titolo di gentiluomo di camera del re, come abbiamo detto, nel 1740, viene anche conferito il titolo di cavaliere dell’Ordine di San Gennaro, una carica destinata a un ristretto gruppo di persone scelte. Ma ciò che a Raimondo di Sangro sta più a cuore non sono i titoli onorifici ma è l’attività inventiva - «con l’animo sempre applicato a nuove scoverte [come Raimondo scrive di sé nei suoi Quaderni]» - e, a proposito di utili invenzioni, costruisce un’ingegnosa macchina idraulica da utilizzare per irrigare i terreni agricoli della Campania, abbandonati a causa del malgoverno austriaco, e realizza anche un archibugio in grado di sparare sia a polvere che ad aria compressa che regala al re con il quale va spesso a caccia insieme.
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In proposito c’è un ritratto realizzato da Francisco Goya [un pittore che avete sicuramente sentito nominare] che ritrae Carlo III vestito da cacciatore che potete osservare in rete per puntare anche l’attenzione sull’archibugio che tiene in mano...
Carlo III di Borbone si entusiasma per la maneggiabilità e l’efficacia di quest’arma [micidiale per i cinghiali] e siccome è molto preoccupato per le sorti del regno di Napoli a causa delle minacce austriache [gli Austriaci vorrebbero riconquistare quello che è diventato il Regno indipendente delle Due Sicilie] decide di far adottare all’esercito napoletano [equipaggiato in modo antiquato] questo archibugio. E Raimondo di Sangro, che vuole partecipare alla difesa dello Stato, crea, con lo stesso procedimento inventivo, un cannone leggerissimo con una gittata molto elevata e viene nominato colonnello dal re con funzioni di stratega; Raimondo scrive anche un trattato, intitolato Pratica di Esercizj Militari per l’Infanteria, per addestrare le truppe a disporsi e a muoversi sul terreno in modo efficace. Quando gli Austriaci attaccano il Regno di Napoli per riconquistarlo trovano una fiera e ordinata resistenza: combatte valorosamente anche Raimondo di Sangro a fianco di Carlo III che con il suo esercito - reso forte dalle armi innovative e della lezione strategica del principe di Sansevero - respinge i nemici e li costringe a una precipitosa ritirata verso nord.
L’opera e le invenzioni in campo militare di Raimondo di Sangro attirano l’attenzione su di lui da parte di Luigi XV di Francia, di Federico II di Prussia e di Ferdinando VI di Spagna ma il principe di Sansevero - che ha fatto il suo dovere nella difesa dell’indipendenza dello Stato di cui è cittadino - non ama la guerra: ha inventato un archibugio moderno da regalare al suo amico re per andare a caccia e, quindi, si sottrae alle attenzioni dei regnanti europei che lui reputa pericolose perché preferisce dedicarsi a ben altre attività, a occupazioni pacifiche e di natura intellettuale così come Carlo III.
Ma chi è Carlo III di Borbone? Carlos Sebastiàn de Borbòn y Farnesio è nato a Madrid nel 1716 ed è il figlio di Filippo V di Spagna e di Elisabetta Farnese, ed è una persona illuminata [cultore delle idee illuministe] che, come abbiamo detto, ha reso Napoli una delle città più importanti d’Europa, e per questo si è avvalso di buoni consiglieri, di politici onesti e delle migliori personalità artistiche e intellettuali del momento. L’elenco di ciò che realizza è lungo e noi, ora, ci limitiamo a citare solo alcune di queste importanti realizzazioni: fa istituire la prima cattedra in Italia di astronomia e nautica [quando l’astronomia serviva ancora per navigare]; fa costruire il primo teatro lirico del mondo, il Regio Teatro San Carlo [e la Scuola musicale napoletana si afferma a livello internazionale]; fonda la Reale Fabbrica di porcellane di Capodimonte attigua a un nuovo palazzo reale; dà inizio, avvalendosi del già celebre architetto Vanvitelli, ai lavori di costruzione della reggia di Caserta la più grande reggia del mondo pari a quella di Versailles; promuove l’ammodernamento e la funzionalità del porto di Napoli facendo sviluppare, attraverso la marineria partenopea, una notevole rete commerciale internazionale che porta ricchezza in città; fa istituire la prima cattedra in Europa di Economia affidandola allo studioso Antonio Genovesi [che incontreremo strada facendo]; dopo alcuni ritrovamenti fa iniziare, in modo sistematico, gli scavi archeologici che fanno riemergere Pompei ed Ercolano; partecipa con Raimondo di Sangro, esperto di tipografia, alla fondazione del primo quotidiano italiano, il Diario notizioso. E potremmo continuare perché la lista è ancora lunga, ma ci fermiamo dicendo che tutte queste attività creano lavoro tanto che la disoccupazione nel regno di Napoli è quasi scomparsa; tuttavia rimangono persone bisognose e senza reddito e, per dare ospitalità a questa fascia della popolazione del regno, Carlo III, con l’intenzione di incidere sullo stato sociale, fa costruire, [in pochi mesi, nel 1751, dove via Forìa sfocia in piazza Carlo III], su progetto dell’architetto Ferdinando Fuga, il più grande edificio settecentesco del mondo: l’Albergo dei Poveri di Napoli.
Nel 1759 Carlo III di Borbone [per la sopravvenuta morte del suo fratellastro, Ferdinando VI, che stava regnando e non aveva eredi] è dovuto tornare a Madrid per salire sul trono spagnolo [e governa la Spagna fino alla sua morte avvenuta nel 1788] ma il suo cuore è rimasto sempre a Napoli perché, come raccontano le cronache, spesso «con i maggiorenti della corte spagnola invece di interloquire in castigliano prendeva a parlare in napoletano». Purtroppo i suoi successori nel regno delle Due Sicilie non sono stati alla sua altezza.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con una guida di Napoli e navigando in rete, potete andare a visitare le opere che abbiamo citato e che Carlo III di Borbone ha appaltato e fatto realizzare...
Ma torniamo a Raimondo di Sangro: il personaggio-chiave dell’itinerario di questa sera [che intanto si sta rifocillando nella cucina del palazzo del barone d’Holbach mentre gli altri invitati stanno facendo salotto nel salone del Palazzo].
Raimondo di Sangro [come stavamo dicendo] preferisce dedicarsi ad attività pacifiche e di natura intellettuale come quella di essere ammesso all’Accademia della Crusca, e ne ottiene l’ammissione nel 174 con il nome di Esercitato e il motto “Esercitar mi sole”, ed entra anche - durante un suo soggiorno a Roma - in cordiale relazione con papa Benedetto XIV, il bolognese Prospero Lambertini, pontefice riformista e conciliatore, regnante dal 1740 al 1758.
E, a questo proposito, è doveroso aprire una parentesi per segnalare che l’autore teatrale bolognese Alfredo Testoni [1856-1931] ha scritto nel 1905 una commedia storica in cinque atti, poi ridotti a quattro ambientata nel 1739, intitolata Il cardinale Lambertini [Prospero Lambertini, prima di essere eletto papa, è stato arcivescovo di Bologna dal 1731 al 1740 e l’autore mette in scena la figura di questo personaggio in veste di prelato dotato di grande umanità impegnato a difendere la relazione amorosa tra due giovani di diverso stato sociale]: questa commedia ha avuto un grande successo [ha superato le mille rappresentazioni teatrali] ed è stata definita dalla critica, anche internazionale, “un’opera degna di Shakespeare”. Nel 1934 la commedia Il cardinale Lambertini è diventata un film girato dal regista Parsifal Bassi e a recitare nella parte del cardinale è il famoso attore Ermete Zacconi che per diverse stagioni aveva ricoperto questo ruolo a teatro, e nel 1954 quest’opera è tornata al successo con una seconda versione cinematografica per opera del regista Giorgio Pàstina che ha affidato la parte del cardinale a Gino Cervi [ci sono anche tra gli interpreti di questa pellicola: Nadia Gray, Virna Lisi, Arnoldo Foà, Paolo Carlini, Carlo Romano, Sergio Tofano, Tino Buazzelli, Gianni Agus, Tullio Altamura, tanto per citarne alcuni]. Nel 1963 Il cardinale Lambertini è diventato uno sceneggiato televisivo [sempre con Gino Cervi protagonista e diretto da Silverio Blasi]. E poi la commedia di Testoni è stata riportata sul palcoscenico del teatro Argentina di Roma nella stagione 1981-1982 dal regista Luigi Squarzina e con il bravo Gianrico Tedeschi come protagonista.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Avete a disposizione una serie di punti di riferimento per prendere visione in varie forme, navigando in rete, dell’opera Il cardinale Lambertini di Alfredo Testoni, naturalmente potete anche leggere il testo della commedia che trovate in biblioteca stampato in diverse edizioni...
Ebbene, Raimondo di Sangro dopo essere entrato in cordiale relazione con Benedetto XIV gli chiede di riformare la rigida regola dell’Indice dei Libri dichiarati eretici in modo da eliminare - almeno per gli studiosi laici di provata fede cattolica - il divieto di leggere testi [antichi e, soprattutto, recenti] considerati pericolosi in maniera da poterli conoscere [suggerisce Raimondo al papa] per poterne contrastare il contenuto,; il papa lo ascolta credendo di avere a che fare con un intellettuale di provata fede cattolica [che vantava di essersi laureato dai Gesuiti e, difatti, era anche molto preparato sui temi della dottrina], e Benedetto XIV decide [ragionando in modo selettivo come ha proposto il principe] di rilasciare a Raimondo di Sangro un permesso firmato col sigillo papale che gli dà la possibilità di accedere alle zone riservate delle numerose biblioteche romane. E così il principe di Sansevero [che ha raggiunto il suo vero obiettivo], in un mese di permanenza a Roma, legge [ma dovremmo dire: divora] tutte le Opere cosiddette illuministe soprattutto francesi e molte altre Opere [antiche e moderne] composte di testi fitti di suggestioni alchemiche e massoniche e poi studia i Trattati scientifici più disparati, e infine torna a Napoli con una ventina di Quaderni di appunti. Raimondo vive con una fame insaziabile di letture e applicandosi costantemente nell’attività inventiva: crea coloratissimi teatri pirotecnici che mette in scena a tarda sera sul tetto del suo palazzo [facendo strabiliare, e anche impaurire, il popolo napoletano], applica tecniche di stampa simultanea a più colori [e ciò suscita, appena ne viene a conoscenza, l’interesse del barone d’Holbach], prepara farmaci che, a volte, danno risultati portentosi, realizza un panno completamente impermeabile. Sappiamo che segretamente, a quanto pare già nel 1737, Raimondo, durante un viaggio a Parigi, nella Loggia del duca di Villeroy, ha aderito alla Massoneria, ma solo nel 1747 a Napoli fonda nel suo palazzo un Cerchio Interno della Loggia della Perfetta Unione dando vita al Rito Egizio Tradizionale, alla quale aderisce ancor più segretamente anche Carlo III di Borbone il quale, quando papa Benedetto XIV con la bolla Providas Romanorum condanna le Società massoniche, è costretto a emanare un decreto contro le Associazioni segrete ma la Loggia di Raimondo di Sangro [Gran Maestro della massoneria napoletana] non cessa la sua attività clandestina.
Per dedicarsi al suo talento inventivo Raimondo installa nei sotterranei del suo palazzo un grande e attrezzato laboratorio che diventa una delle mete del gran tour, del viaggio di istruzione che un buon numero di intellettuali europei intraprende per visitare l’Italia e per conoscere cose nuove: e sono in molti a dare testimonianza nei loro Diari e nei loro Epistolari dell’estro creativo e del fervido ingegno del principe di Sansevero che mostra loro, come scrivono i testimoni «la fornace a foggia di quella de’ vetrai» e «il lavoratorio chimico con ogni sorta di fornelli per cucinare, mediante formule misteriose, a suo dire, magiche pozioni». Con questi strumenti si dedica, in particolar modo, alla produzione di pietre preziose artificiali, ideando uno speciale metodo [che naturalmente non rivela] per colorare il vetro, in modo da imitare perfettamente quelle vere dalle quali le sue non potevano «per niun verso distinguersi » scrivono i testimoni, e frutto della sua sperimentazione sono [qualcuno dei testimoni ha scritto] «pietre dure, come il diaspro verde sanguigno, l’agata di più maniere e i lapislazzuli, ma egli ha avuto il piacere di contraffare pietre preziose di ogni sorta; e poi alcune gioie, le quali per natura sono pallide e scariche di colore, il principe tratta in modo da accentuarne la luminosità e la brillantezza».
Tra coloro che hanno fatto visita a Raimondo di Sangro vi è anche lo scienziato francese Joseph Jérôme de Lalande [1732-1807] che si è dedicato principalmente all’astronomia [e, in quanto tale, è stato direttore dell’Osservatorio di Parigi dal 1795 al 1801, e ha compilato il catalogo più completo del suo tempo con l’indicazione di 47390 stelle]. Lalande è rimasto affascinato dalla personalità e dalla sterminata cultura di Raimondo di Sangro e nel suo diario, pubblicato nel 1769 in più volumi, intitolato Viaggio di un francese in Italia, annota: «Il principe di Sansevero, che mi ha permesso di visitare il suo meraviglioso laboratorio avvolto in un alone di mistero, non è un accademico, ma è un’accademia intera. L’arte di colorare il vetro sembrava un segreto ormai perso ma il principe vi si è esercitato fino a raggiungere effetti straordinari. Ha anche poi sperimentato una tecnica per desalinizzare l’acqua del mare da utilizzare sulle navi, ed è arrivato a fabbricare, con la collaborazione del medico Giuseppe Salerno, delle sconcertanti macchine anatomiche, ovvero degli scheletri in posizione eretta, totalmente scarnificati, nei quali è possibile osservare molto dettagliatamente l’intero sistema artero-venoso. Inoltre il principe si occupa di palingenesi ma su questo argomento preferisco scrivere nulla». Perché Lalande sembra a disagio di fronte al termine “palingenesi [dal greco “pàlin, di nuovo” e “génesis, generazione”]”, che cosa gli ha rivelato Raimondo di Sangro in proposito?
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il catalogo delle parole che fanno riferimento al termine “palingenesi” è ricco di vocaboli: rinnovamento, rinascita, risurrezione, cambiamento, trasformazione, rigenerazione, purificazione, reincarnazione... Quale, tra queste parole, scegliereste in questo momento?...
Scrivetela...
Sarà [ci domandiamo] a proposito del tema riguardante “la palingenesi” che il barone d’Holbach ha invitato Raimondo di Sangro a cena o c’è anche un altro motivo? Ma prima di poter verificare questo fatto dobbiamo seguire ancora il principe nelle sue avventure intellettuali a cominciare da quella che gli procura l’inimicizia del papa.
I rapporti tra Raimondo di Sangro e la Santa Sede si complicano quando il principe nel 1751 pubblica [con un progetto editoriale e una tecnica di stampa fortemente innovativa di sua invenzione] la Lettera Apologetica, e il titolo completo, e piuttosto complesso, di quest’opera è Lettera Apologetica dell’Esercitato Accademico della Crusca contenente la Difesa del libro intitolato Lettere d’una Peruana per rispetto alla supposizione de’ Quipu scritta alla Duchessa di S**** e dalla medesima fatta pubblicare. Con questa Lettera Apologetica [in difesa di un Libro intitolato Lettere d’una Peruana che presenta il valore del linguaggio dei Quipu] Raimondo di Sangro [che si firma con il suo nome di accademico della Crusca: Esercitato] intende sostenere, scrivendo a una duchessa sua amica [della quale non fa il nome e alla quale attribuisce la pubblicazione della Lettera, ma questo è un pretesto che lui ha escogitato], intende sostenere la potenzialità comunicativa di un sistema, del linguaggio dei Quipu, in uso nel Perù precolombiano. Di che cosa si tratta? Questo sistema [questo linguaggio] si basa sui “Quipu” che sono dei nodi fatti con cordicelle di diversi colori. Per le antiche civiltà peruviane questo sistema [i nodi accostati in modo tale da formare un codice linguistico] serviva per tenere la contabilità, per registrare gli avvenimenti significativi e per raccogliere un catalogo di formule magiche e di ricette alchemiche. Quindi, Raimondo studia e poi prende a pretesto questo sistema antico per dissertare su questioni attuali considerate spinose [su argomenti dei quali si è anche trattato durante la cena dal barone d’Holbach] come l’urgenza di far conoscere l’esegesi razionalista del testo del Libro della Genesi che fornisce un racconto immaginario e simbolico della creazione, come la necessità di divulgare il libero pensiero per sfatare le superstizioni, come l’opportunità di chiarire il rapporto tra la storia sacra di carattere mitico e quella profana incentrata sulla realtà degli avvenimenti, come il riconoscimento dei pregi del panteismo in relazione ai difetti del monoteismo più esposto a cadere nel fondamentalismo. La Lettera Apologetica di Raimondo di Sangro è corredata da continui rimandi agli ideali filantropici della Massoneria, da formule della tradizione cabalistica, da messaggi esoterici e da enunciazioni in linea con lo spirito illuminista del momento. La Lettera Apologetica è stata scritta da Raimondo di Sangro con un chiaro intento polemico nei confronti dell’immobilismo del magistero della Chiesa ma il valore di quest’opera sta soprattutto nel lavoro di ricerca che lui ha svolto su un argomento riguardante l’antropologia culturale e la linguistica, e per il modo in cui ha trattato l’argomento dei Quipu dando un adeguato spazio alla ricostruzione semantica di questo originale sistema comunicativo.
La Lettera Apologetica è inoltre un’opera innovativa sul piano tipografico perché è suddivisa, sinteticamente, in tre tavole: la prima presenta un’elaborazione grafica delle cosiddette parole madri della lingua incaica, mettendo in evidenza i termini “Dio, Notte, Acqua e Sole”, la seconda tavola riporta un’antica filastrocca peruviana tradotta in Quipu, mentre la terza pagina, infine, propone addirittura un sistema per trascrivere in Quipu i caratteri latini. Notevole poi [come abbiamo detto] è la veste grafica della Lettera Apologetica il cui frontespizio è decorato con quattro colori ed è stato stampato - presso la stamperia napoletana di Gennaro Morelli - con un solo torchio grazie all’utilizzo di una tecnica direttamente ideata da Raimondo che vuole anche mostrare pubblicamente la sua innovativa invenzione. Naturalmente la Lettera Apologetica suscita un profondo malumore negli ambienti ecclesiastici tanto che il 29 febbraio 1752 viene messa all’Indice perché giudicata dal Sant’Uffizio «opera affetta da atra peste». Raimondo indirizza prontamente alla Santa Sede [al papa in persona contando sulla sua benevolenza e amicizia] una Supplica per giustificare i contenuti della sua Lettera ma con questo suo intervento non riesce a far depennare la sua opera dall’elenco dei Libri proibiti.
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Le pagine che compongono la Lettera Apologetica di Raimondo di Sangro le potete osservare navigando in rete richiedendo: “la lettera apologetica di raimondo di sangro immagini”... Fate questo esercizio senza timore perché, da tempo dal 1965, l’Indice dei Libri proibiti è stato abolito...
La condanna da parte delle autorità ecclesiastiche non distoglie certo Raimondo di Sangro dalla sua attività di inventore e di sperimentatore che ama farsi circondare da quel particolare alone esoterico che lo ha reso un personaggio enigmatico.
Raimondo di Sangro tiene corrispondenza con illustri personaggi soprattutto scienziati con i quali stringe amicizia: in proposito, risulta molto interessante l’Epistolario di Raimondo di Sangro con Jean-Antoine Nollet. L’abate Nollet [1700-1770, che è presente alla cena dal barone d’Holbach ma non ha preso la parola] è membro dell’Accademia delle Scienze di Parigi, è uno studioso di fisica, un divulgatore del pensiero di Newton e un esperto sperimentatore nel campo dell’elettricità [ha dimostrato che i fulmini sono dovuti a scariche elettriche e ha inventato numerosi strumenti per sperimentare i fenomeni fisici, un certo numero dei quali, ricostruiti secondo i dettami contenuti nelle sue opere, sono in mostra al Museo Galileo di Firenze e se vi capita di far visita a questo Museo tenete a mente il nome dell’abate Nollet], e ha scritto nel 1747 l’importante Saggio sull’elettricità dei corpi. Ebbene, Raimondo di Sangro, in una delle Lettere scritte all’abate Nollet descrive la sua «meravigliosa scoperta del lume perpetuo», e così scrive: «Mentre ero applicato a una operazione chimica venni a scoprire per caso una sostanza che, una volta accesasi, eccitava una fiamma in grado di bruciare ininterrottamente per tre mesi di seguito senza soffrire il minimo scemamento. Sulla natura del combustibile che l’alimenta debbo mantenere il massimo riserbo, posso solo rivelare che parte di questa sostanza è ricavata dalle ossa dell’animale più nobile che sia nella terra [da ossa di cranio umano]». In questo testo Raimondo di Sangro, come al solito quando scrive, mescola insieme rimandi all’esoterismo [alla magia] e riferimenti ai metodi scientifici; inoltre, in questo caso, nel descrivere all’abate Nollet l’invenzione del lume perpetuo, c’è anche una valenza simbolica che Raimondo sembra voler sottolineare, come per dire: siamo o non siamo nel secolo dei Lumi e, quindi, dobbiamo essere felici di vivere in questa nuova epoca!
Ma un ulteriore attrito tra Raimondo di Sangro e il mondo ecclesiastico si verifica quando il nunzio apostolico della Santa Sede a Napoli, monsignor Lucio Gualtieri, manda a Roma nel 175 una relazione per denunciare il fatto che: «Il Principe di Sansevero, sebbene insignito, fin dal 1740, del titolo di cavaliere dell’Ordine di San Gennaro, ha osato mettere in opera la sua luciferina curiosità in modo da verificare l’attendibilità del miracolo del sangue di San Gennaro spargendo il seme della mala pianta del dubbio tra le amorose devote e i devoti fedeli del loro protettore». Raimondo di Sangro si è chiesto, in qualità di chimico e di fisico, in quali circostanze una sostanza potesse liquefarsi e poi nuovamente coagularsi, come succede nel cosiddetto miracolo del sangue di San Gennaro che è stato attestato per la prima volta nel 1389. A questo proposito Raimondo descrive questo esperimento in una Lettera da lui inviata [ad un altro suo corrispondente] allo scienziato francese Lalande [che abbiamo incontrato poco fa e che chiedeva delucidazioni a Raimondo visto che le voci della polemica in corso tra il Principe e la Santa Sede erano giunte fino a Parigi] e Raimondo gli scrive: «Ho riprodotto il miracolo del sangue di San Gennaro in laboratorio producendo una certa materia simile a questo sangue e sono dispiaciuto che questo fatto abbia prodotto irritazione nella Chiesa che per contro dovrebbe irritarsi quando si confonde la fede con la superstizione. Ho fabbricato una teca simile a quella di San Gennaro con due ampolle della stessa forma piene di un amalgama di oro e mercurio misto a cinabro dello stesso colore del sangue coagulato. Per rendere fluido questo amalgama ho inserito nel cavo della bordatura un serbatoio di mercurio fluido con una valvola che, quando la teca viene capovolta, si apre per lasciare entrare mercurio nell’ampolla. A questo punto l’amalgama diventa liquido e imita la liquefazione; io ho voluto solo dimostrare una pura ipotesi di fisica e di chimica adatta a spiegare un effetto, in quanto, è proprio di uno sperimentatore voler tutto capire, tutto interpretare e tutto imitare». Quindi Raimondo di Sangro non è intenzionato [come scrive monsignor Lucio Gualtieri] a spargere il seme della mala pianta del dubbio tra i fedeli: conosce bene gli umori popolari e lui stesso si diverte a stupire i napoletani con le sue invenzioni e, se mai, proprio a proposito di piante [non di mala pianta ma di buone piante], ha anche praticato la botanica ottenendo buoni risultati, e ha il merito di aver “addomesticato” una pianta erbacea perenne importata in Europa nel 1690 dalla Guinea come dicono i manuali di botanica: «dotata di rizoma breve e grosso, di foglie spesse e lunghe, di fiori biancastri a grappolo, originaria dell’Africa tropicale e delle Indie Orientali». Ebbene, che cosa significa che Raimondo di Sangro ha “addomesticato” questa pianta? Significa che, applicando l’ingegneria botanica, ha trasformato un arbusto di foresta in una pianta da appartamento molto adatta anche per le sue poche esigenze, tanto alla decorazione della casa quanto alla purificazione dell’aria, e questa pianta ha preso il nome di “sansevièria” proprio da Raimondo di Sangro principe di Sansevero.
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Conoscete la sansevièria?… Fate una piccola ricerca sull’enciclopedia e navigando in rete, e magari ne avete già posseduto una o ne avete una in casa…
Scrivete quattro righe in proposito...
Ma per quale ragione Raimondo di Sangro principe di Sansevero è stato invitato ed è atteso dai commensali presenti alla cena del barone d’Holbach? Tutti i presenti sono al corrente del fatto che Raimondo di Sangro sta facendo in gran segreto, per non essere accusato di svolgere attività demoniache, esperimenti di palingenesi: certo sul suo conto circolano molte notizie false che sono frutto di pettegolezzi e di ignoranza perché Raimondo di Sangro, come abbiamo potuto constatare, è un serio studioso di medicina, di alchimia, di fisica, di chimica, di botanica, di arte, di letteratura, di filosofia. E allora: in che cosa consistono i suoi esperimenti nel campo della palingenesi [della rigenerazione]?
Raimondo di Sangro in quanto studioso di palingenesi si occupa della decomposizione dei cadaveri, e perché ha deciso di studiare questo fenomeno? «La decomposizione dei cadaveri [scrive Raimondo di Sangro nei suoi Quaderni di appunti] non ha proprio niente a che fare con la morte bensì ha a che fare con la vita perché è un processo organico di dinamica trasformazione. Il corpo in decomposizione è un laboratorio in cui la materia corporea si trasforma fino alla polvere», e allora si domanda Raimondo di Sangro perché non sarebbe possibile attivare il processo contrario visto che nella materia che si decompone c’è vita? Se la materia si autogenera, e se la materia contiene, in potenza, la forza di autogenerarsi [la “dinàmis” di cui parla già Aristotele nella Fisica] - così come succede per i semi delle piante – allora, afferma Raimondo di Sangro, è doveroso che si sperimenti se dalla polvere, o meglio, se dalla materia in decomposizione si possa innescare, in laboratorio, un processo di ricomposizione, di rianimazione, di rivitalizzazione, di ricrescita, di rinascita del corpo umano. Bisogna verificare puntigliosamente in via sperimentale i processi di questo fenomeno e raccogliere dati [sostiene Raimondo di Sangro] e, contemporaneamente, indagare se possa esistere una formula alchemica e verificare se si possa creare un prodotto chimico capace di innescare il processo di coltivazione della vita come si fa con le piante.
Gli studi e gli esperimenti effettuati da Raimondo di Sangro sul fenomeno della decomposizione non hanno dato concreti risultati se non sul piano artistico: in che senso? Dal 1749 il principe si è dedicato - con il suo solito impegno - al restauro e all’abbellimento della Cappella del palazzo di famiglia, la Cappella funebre dei Sansevero a Napoli, e questo monumento merita di essere visitato. L’intensa attività di Raimondo come cultore dell’arte - che ha profuso nei cantieri del palazzo di Sangro e della Cappella Sansevero - gli ha permesso di entrare in contatto con i maggiori artisti del tempo: architetti [come, per esempio, Antonio Corradini che è stato il primo esecutore del progetto iconografico della Cappella Sansevero, e già celebre per esser stato a servizio in molte capitali europee] e poi ingegneri, pittori, scultori, stuccatori, falegnami, fonditori. Con tutte queste maestranze Raimondo di Sangro si è dimostrato un munifico mecenate, ma un sovvenzionatore anche molto esigente. In particolare Raimondo ha coinvolto lo scultore napoletano Giuseppe Sanmartino al quale ha fatto eseguire nella Cappella funebre dei Sansevero alcune opere molto particolari, che sono diventate famose e delle quali Raimondo ha disegnato i modelli, e la più celebre è la scultura del Cristo velato. La caratteristica dei corpi, scolpiti ad arte da Giuseppe Sanmartino, è che sono rappresentati in decomposizione, ma questa caratteristica non suscita alcun timore, alcuna repulsione ma produce un senso di umanità e di pietà.
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Con una guida della città di Napoli e navigando in rete andate a visitare la Cappella Sansevero tenendo conto del messaggio che Raimondo di Sangro principe di Sansevero ci ha voluto lasciare in eredità: la decomposizione non ha a che fare con la morte bensì con la vita, è una metamorfosi in cui la vita continua a fare il suo percorso...
Dopo essersi rifocillato Raimondo di Sangro sale dalle cucine e, accompagnato dal barone d’Holbach, fa il suo ingresso nello spazioso salotto del palazzo e tutti i commensali lo salutano e si complimentano perché è arrivato con sole tre ore di ritardo in quanto, nel 1765, il viaggio Napoli-Parigi dura dieci giorni: si parte da Napoli in nave toccando i porti di Ostia, di Livorno, di Genova e di Marsiglia da dove in carrozza si raggiunge Avignone e da Avignone, sempre in carrozza, si arriva a Lione, poi a Digione, poi a Auxerre e, finalmente, a Parigi. Intanto in sala si diffondono le note di una canzone [cantata da un controtenore, un sopranista] musicata da Niccolò Jommelli [1714-1774] mentre i versi del testo di questa canzone sono stati scritti a Vienna dove vive il loro compositore italiano: il poeta, drammaturgo, librettista Pietro Metastasio.
Chi è Pietro Metastasio? Lo incontreremo, in partenza, nel prossimo itinerario, e questa canzone è appunto intitolata La partenza, nel cui testo l’autore si rivolge alla sua amata, che si chiama Nice [diminutivo di Berenice con un riferimento esplicito all’Araba fenicie], la quale ha deciso di dirgli addio e di partire, e lui cerca di farle cambiare idea, ma le sta parlando seriamente oppure la sta prendendo un po’ in giro? C’è molta ironia nell’enfatico linguaggio esageratamente appassionato di Metastasio perché in amore l’ambiguità è sempre in agguato e, come ha scritto in un’altra canzone che ascolteremo la prossima volta: «La fede degli amanti è come l’araba fenice che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa!». Io non so cantare questa canzone [ci vorrebbe un controtenore oggi come il bolognese Michele Andalò]: io ora posso solo leggere i celebri versi di cui è composta La partenza di Pietro Metastasio.
Pietro Metastasio, La partenza
Ecco quel fiero istante: Nice, mia Nice, addio. Come vivrò, ben mio, così lontan da te? | Io vivrò sempre in pene, io non avrò più bene; e tu chi sa se mai ti sovverrai di me. | Concedi che in traccia almeno, di mia perduta pace venga il pensier seguace su l’orme del tuo piè. | Sempre nel tuo cammino, sempre m’avrai vicino; e tu chi sa se mai ti sovverrai di me! | Io tra remote sponde mesto volgendo i passi andrò chiedendo ai sassi: “La ninfa mia dov’è?”. | Dall’una all’altra aurora te andrò chiamando ognora; e tu chi sa se mai ti sovverrai di me! | Io rivedrò sovente le amene piagge, o Nice, dove vivea felice quando vivea con te. | A me saran tormento cento memorie cento; e tu chi sa se mai ti sovverrai di me! | “Ecco”, dirò, “quel fonte dove avvampò di sdegno, ma poi di pace in pegno la bella man mi dié”. | Qui si vivea di speme; là si languiva insieme; e tu chi sa se mai ti sovverrai di me! | Quanti vedrai, giungendo al nuovo tuo soggiorno, quanti venirti intorno a offrirti amore e fé! | Oh Dio! Chi sa, fra tanti teneri omaggi e pianti. Oh Dio! Chi sa se mai ti sovverrai di me! | Pensa qual dolce strale, cara, mi lasci in seno, pensa che amò Fileno senza sperar mercé, | pensa, mia vita, a questo barbaro addio funesto, pensa c’io solo penso con sola mente a te, ma tu chi sa se mai, ti sovverrai di me! …
Le parole di Metastasio sono già musica di per sé.
Pietro Metastasio ci aspetta, in partenza, nel prossimo itinerario.
Ma che cosa è venuto a fare a Parigi, Raimondo di Sangro? In realtà Raimondo di Sangro è venuto a cena dal barone d’Holbach per incontrare un commensale che lo sta aspettando, difatti Raimondo ha un appuntamento con l’ospite più giovane presente tra gli invitati: costui è uno studente iscritto alla Sorbona, ha 25 anni ed è anche un marchese e si chiama Donatien-Alphonse François de Sade. Che cosa ci fa il marchese de Sade a cena dal barone d’Holbach? Intanto ascolta chi ne sa più di lui e impara molto, e non ha ancora una cattiva fama, e sulla cattiva fama del marchese de Sade dovremo riflettere nel corso del prossimo itinerario. Adesso possiamo solo dire che lo studente della Sorbona François de Sade ha portato a termine - su incarico del barone d’Holbach - una missione di carattere bibliografico per conto di Raimondo di Sangro che aveva chiesto di poter leggere due Libri reperibili soltanto nella zona proibita della biblioteca della Sorbona dove sono raccolti i testi eretici messi all’Indice: e c’è da dire che non tutti possono entrare in questa zona riservata senza il permesso del bibliotecario [e non può entrare certo Raimondo di Sangro che è un pregiudicato perché anche la sua opera è all’Indice], ma il giovane de Sade [per ora incensurato] è già abbastanza spregiudicato da far sì che Raimondo di Sangro possa soddisfare la sua curiosità: e di che Libri si tratta, e che cosa hanno da insegnarci Pietro Metastasio e pure il marchese de Sade?
Per rispondere a queste domande bisogna procedere con lo spirito utopico che lo “studio” porta con sé consapevoli del fatto che non dobbiamo mai perdere la volontà di imparare, per questo la Scuola è qui e il viaggio continua…