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SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI SI SVILUPPA E LASCIA UN’IMPRONTA IL PENSIERO DEI NUOVI FILOSOFI PARIGINI …

Lezione N.: 
10

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»

PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica nel secolo dei Lumi

8-9-10 e 17 marzo 2023

SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI

SI SVILUPPA E LASCIA UN’IMPRONTA IL PENSIERO DEI NUOVI FILOSOFI PARIGINI …

     Questo è il decimo itinerario [l’ultimo itinerario invernale] del nostro viaggio sul territorio del secolo dei Lumi e, dopo aver partecipato alla cena [una cena tutta all’insegna di un dibattito intellettuale molto ricco di informazioni] nel palazzo del barone Paul-Henry d’Holbach in Place de Vosges a Parigi, usciamo dal salone, dove c’è musica, per seguire i due personaggi che ci hanno accompagnato alla cena, i quali non hanno aperto bocca per tutta la serata, ma hanno ascoltato con attenzione tutti i dibattiti in corso dei quali abbiamo dato conto.

     Ebbene, questi due ospiti, Denis Diderot e Jean-Baptiste d’Alembert, che non hanno tempo da perdere in bei conversari, si allontanano dal salone: e dove vanno quatti, quatti? Sappiamo [perché li abbiamo già incontrati subito dopo la vacanza natalizia] che i due stanno portando avanti clandestinamente il lavoro de l’Encyclopédie. Nel 1759, come ricorderete, l’Encyclopédie è stata messa all’Indice dal Sant’Uffizio e questo fatto ha inciso sul lavoro di composizione e di pubblicazione dei volumi dell’opera che però è continuato nell’ombra. D’Alembert ufficialmente [per non creare sospetti, secondo il metodo de “lo strabismo dei Lumi”] si è dimesso da questa impresa ma, in realtà, continua a collaborare fattivamente con Diderot e questa notte devono andare in un magazzino - un posto segreto nel quartiere de Les Halles [del Mercato centrale] - a correggere le bozze degli ultimi dieci volumi de l’Encyclopédie che, via via, verranno pubblicati dalla primavera del 1765 al 1772. Ma chi sono Diderot e d’Alembert [li abbiamo già incontrati ma ancora non li conosciamo bene da vicino] e che opere hanno prodotto oltre a l’Encyclopédie?

     Denis Diderot e Jean-Baptiste d’Alembert abitano nel quartiere de Les Halles, del grande Mercato centrale di generi alimentari: “il ventre di Parigi” come, nel secolo successivo, lo chiamerà [dando il titolo a un suo romanzo, con una metafora non solo di carattere materiale ma anche psicologico] lo scrittore [ma anche giornalista, saggista, critico letterario, filosofo e fotografo] Émile Zola [1840-1902].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Non fa certo male leggere e, periodicamente, rileggere i testi dei romanzi - che trovate in biblioteca - di Émile Zola, come per esempio: Il ventre di Parigi, Teresa Raquin, Germinale, Nanà, L’Assomoir (lo scannatoio), Al paradiso delle signore, J’accuse, L’Opera, La Bestia umana, La cuccagna, Il dottor Pascal… tanto per citare alcuni titoli della enorme produzione di questo autore…  C’è sempre qualcosa da imparare in queste opere sulla realtà odierna che ci fanno dire quanto la società contemporanea sia in ritardo nella prevenzione di certi mali sociali sempre presenti …

     E allora facciamo due passi, seguendo Diderot e D’Alembert, nel quartiere de Les Halles: questo storico quartiere parigino nel Medioevo si chiamava “Champeaux, dei piccoli campi” perché era una vasta area di terreni coltivati. Nel 1183 il re Filippo Augusto vi ha fatto costruire due grandi capannoni per trasferirvi il mercato alimentare che, dall’anno Mille, si teneva vicino al lebbrosario St-Lazare ma il posto non era più adatto. Nel 1851 l’architetto Victor Baltard [1805-1874] ha ampliato il Mercato costruendo dieci padiglioni di ferro e di vetro, simili nella struttura al mercato fiorentino di San Lorenzo inaugurato nel 1875 e ristrutturato molte volte. Oggi i padiglioni di Baltard non ci sono più, non c’è più il grande Mercato di generi alimentari [quello che lo scrittore Zola ha chiamato “Il ventre di Parigi”]: infatti, dal 1962, questi grandi padiglioni sono stati smontati [uno è stato rimontato a Nogent sur Marne, cittadina di circa 32mila abitanti nella regione dell’Île-de-France a sud-est di Parigi che potete visitare in rete] e il quartiere di Les Halles ha avuto un nuovo riordinamento architettonico e urbanistico.

     Diderot e d’Alembert si sono accorti che li stiamo seguendo [ma non ci temono perché siamo persone diacroniche rispetto a loro e noi, comunque, non avremmo nessuna intenzione di denunciarli] e ci mettono al corrente [perché conoscono benissimo il valore della diacronicità del Tempo dello studio] che, essendo l’anno 1765, il grande Mercato centrale di generi alimentari [Il ventre di Parigi] non esiste ancora in tutta la sua ampiezza: bisogna aspettare il 1851 quando - come abbiamo detto - su progetto dell’architetto Baltard, verranno costruiti i dieci padiglioni di ferro e di vetro; ora, nel 1765, ci sono due grandi capannoni di legno, sotto i quali, si svolge il mercato con tutta la sua pittoresca vivacità.

     Diderot e d’Alembert ci vogliono mostrare la grande, maestosa e bellissima chiesa di St-Eustache, almeno per due motivi: il primo perché possiamo ammirare la nuova facciata di questa chiesa, appena rifatta, disegnata quasi un secolo prima nel 1666 dall’architetto François Mansart [un architetto che, come sapete, ha sfruttato lo spazio dei tetti per creare suggestive abitazioni: avete mai abitato o semplicemente alloggiato in una mansarda? Scrivete quattro righe in proposito…]. Il secondo motivo è che in St-Eustache, alla messa solenne delle 11, si può ascoltare il suono dell’organo in modo straordinario perché, questa chiesa, costruita tra il 1532 e il 1637, ha un’acustica formidabile. Oggi c’è un nuovo organo [costruito nel 1844, ma questa è un’altra storia] che ha sostituito quello secentesco e, se capitate a Parigi, [che siate persone religiose o no] non mancate, la domenica alle 11, in St-Eustache perché alla fine della messa l’organista tiene un vero e proprio piccolo concerto: dura una ventina di minuti ed è sublime e maestoso il suono che si diffonde all’interno di questo tempio.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Utilizzando una guida di Parigi e navigando in rete visitate l’odierno quartiere di Les Halles, potete vedere: la tour St-Jacques, il Centro d’arte e di cultura Georges Pompidou, il Conservatorio delle Arti e dei Mestieri, il Museo Nazionale delle Tecniche [dove nella sezione di matematica è conservata la calcolatrice costruita da Pascal], e la Chiesa di Santa- Elisabetta fatta costruire da Maria de’ Medici nel 1628, e la chiesa di St-Eustache con il suo formidabile organo…  

Fate due passi per Les Halles di oggi, incuriositevi…

     Diderot e d’Alembert li abbiamo incontrati come fautori de l’Encyclopédie e della rivista Correspondance litteraire ma dobbiamo conoscerli meglio questi due personaggi, e iniziamo con Denis Diderot?

     Denis Diderot nasce nel 1713 a Langres, una storica cittadina di circa 7800 abitanti della regione della Champagne, in posizione panoramica su la riva sinistra dell’Alta Marna. Duemilacinquecento anni fa era un sito [Andematunum] abitato dalle tribù dei Galli Lingoni poi, duemila anni fa, i Romani hanno trasformato questo sito in città coloniale col nome di Lingones, e successivamente, dopo l’anno Mille la colonia romana ha preso forma di un borgo medioevale. Questa cittadina è ancora tutta circondata dalle mura del ‘400 e del ‘500 munite di torri e di porte monumentali [una porta è ancora di epoca romana] e la cinta muraria si può percorrere con un itinerario che offre scorci panoramici molto belli sulla Marna.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

A Langres c’è da visitare la Cattedrale del XII secolo in stile romanico di Borgogna con tratti gotici, e in un palazzo rinascimentale del 1580, l’Hôtel du Breuil de St-Germain, è stato allestito il Museo dedicato a Denis Diderot considerato il cittadino più illustre di questo comune… Con una guida della Francia e navigando in rete fate un’escursione a Langres…

     Diderot, nella sua città natale, viene avviato agli studi nel collegio dei Gesuiti perché i suoi genitori [Didier e Angelique] vogliono destinarlo alla carriera ecclesiastica e, difatti, nel 1726, riceve la tonsura con la prospettiva di ereditare il posto di canonico dello zio, Didier Vigneron, il fratello di sua madre Angélique. Però il canonico Vigneron, in segreto, è un cultore del pensiero di Port Royal e non condivide l’idea che Denis debba fare carriera ecclesiastica nelle file dei Gesuiti, dei quali non si fida [perlomeno dei Gesuiti francesi, e questa notizia trova conferma nel fatto che, alla morte del canonico Vigneron, il suo titolo viene riassorbito dal capitolo della Cattedrale].

     L’atteggiamento dello zio facilita le scelte di Denis che non desidera entrare nei ranghi del clero e, dopo un forte scontro con suo padre, che lo voleva [così come la madre] canonico a tutti i costi, chiede di potersi trasferire a Parigi per studiare all’Università, e questa sua richiesta viene accolta però deve sottostare alla sorveglianza del padre, una figura incombente che lo accompagna e lo controlla in tutte le sue mosse. Non si ha un quadro preciso del suo itinerario di studio perché ha frequentato molti istituti ma, sappiamo con certezza, che, nel 1732, si laurea alla Facoltà delle Arti alla Sorbona e poi il padre gli trova lavoro in uno studio legale, ma Denis non è attratto dalla professione di avvocato che il genitore gli vorrebbe imporre: lui desidera ancora continuare a studiare, ma suo padre, Didier Diderot, che è un ricco artigiano [la sua bottega, un’impresa che impiega molti lavoranti. fabbrica coltelli e strumenti chirurgici] si rifiuta di aiutarlo economicamente, e Denis, finalmente, si ribella e rivendica la sua indipendenza; dal 1735 al 1743 [quello che lui definisce il periodo bohèmien della sua vita], si guadagna da vivere con lavori precari e saltuari [come precettore, come scrivano, dando lezioni di matematica, scaricando e caricando nei mercati rionali] ma nel frattempo studia [frequenta le Lezioni della Sorbona senza potersi iscrivere e dare esami] e comunque impara bene il tedesco, l’italiano e l’inglese per leggere le opere letterarie e di filosofia scritte in queste lingue. Ma soprattutto fa esperienza di che cosa significhi vivere in povertà [«Un tirocinio che tutte le persone dovrebbero fare per capire l’essenza della vita», scrive Diderot], mangia nelle mense e dorme nei dormitori dei conventi dove aleggia lo spirito delle Piccole Scuole di Port Royal e passa molto del suo tempo nelle biblioteche dei conventi dove studia molto e legge moltissimo per imparare bene le lingue che ha studiato: legge tutte le opere più significative della Letteratura italiana - di Dante, di Petrarca, di Boccaccio, di Ariosto, di Tasso - e le opere del pensiero tedesco e inglese che abbiamo studiato - di Locke, di Berkeley, di Swift, di Wolff, di Hume - e i bibliotecari, con i quali entra in relazione, cominciano, vista la sua competenza, a chiedergli, sotto compenso, di tradurre le opere tedesche e inglesi che legge per averne copia in francese. E così, nel 1743, Denis comincia a lavorare regolarmente come traduttore dal tedesco e dall’inglese e questa attività gli garantisce un reddito che, seppur modesto, gli permette di riscattarsi dalla miseria.

     Comincia a frequentare l’ambiente intellettuale parigino che è in fermento e diventa amico di Rousseau, di Condillac e, soprattutto, di d’Alembert con il quale fa coppia fissa e i due sono clienti abituali di una trattoria de Les Halles [che oggi non esiste più], il “Panier fleuri” [dove si mangia bene e si spende poco] e mentre mangiano insieme discutono su temi di attualità e sui progetti culturali che hanno in mente di realizzare in modo così animato e teatrale che intorno a loro si forma un pubblico, sempre più folto, di ascoltatori divertiti: spesso li accompagna André Le Breton [1708-1779] il più intraprendente tipografo, editore e libraio parigino del secolo dei Lumi - il quale, nel 1747, assume Denis Diderot come traduttore con un buon contratto -; ed è durante questi incontri conviviali che prende corpo il progetto de l’Encyclopédie: Le Breton crede in questa impresa intellettuale [come strumento da mettere a disposizione di chi studia] ed editoriale [come prodotto per far aumentare la mole di lavoro in campo tipografico] e va pure annoverato nel numero degli enciclopedisti perché quando l’opera viene realizzata nei locali della sua tipografia lui partecipa alle animate discussioni redazionali e gli viene anche chiesto da Diderot di scrivere il testo della voce “encre,” inchiostro. Il progetto de l’Encyclopédie [volendo usare l’immaginazione] ha anche un sapore e un profumo particolare perché prende forma ai tavoli del “Panier fleuri” davanti a un piatto di rognone di vitello con le cipolle [specialità della casa] che Diderot, d’Alembert e Le Breton ordinano di solito.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Voi frequentate o avete frequentato abbastanza regolarmente una trattoria, un ristorante, una mensa non solo per mangiare ma anche per stare in compagnia?… 

Scrivete quattro righe in proposito…

Inoltre, per curiosità, anche se non attinente alla trattoria parigina legata al progetto de l’EncyclopédiePanier fleuri è il titolo di un’opera-comique, un’ operetta in un atto su Libretto di Adolphe de Leuven (1802-1884), composta nel 1839 dal compositore, autore di molte opere di successo, Amboise Thomas [1811-1896]… Se vi capita l’occasione potete ascoltare e godere della rappresentazione di questo spettacolo comico supportato da una musica vivace e brillante…  Incuriositevi…

     Dal 1748 Denis Diderot comincia a scrivere le sue opere che sono tutte diventate importanti nella Storia del Pensiero Umano: il fatto è che, alla loro uscita, sono state quasi tutte considerate dalla censura opere “sovversive” per cui sono scattate le denunce, ma procediamo con ordine.

     Nel 1749 Denis Diderot fa pubblicare la sua prima opera intitolata Lettera sui ciechi ad uso di coloro che vedono in cui l’autore sostiene le idee dell’ateismo per cui il testo di quest’opera viene giudicato “sovversivo” dalla censura e Diderot, che aveva sottovalutato le conseguenze di far pubblicare un’opera con il suo nome e non in modo anonimo, viene arrestato, processato e condannato a tre mesi di carcere nel castello di Vincennes. Dal 1750 al 1766 come sappiamo Diderot svolge una grande mole di lavoro per quella grande impresa collettiva che è l’Encyclopédie, si prodiga per tenere unito il gruppo di intellettuali che si è formato intorno a questo progetto i quali vengono etichettati [e passeranno alla Storia del Pensiero] come “i nuovi filosofi” e scrive, in proposito, oltre millecinquecento articoli, e svolge un’incessante lavoro di mediazione con le autorità e con i collaboratori dell’opera che si sta concretizzando, revisiona la stampa e si prodiga per la realizzazione de Le Tavole tecniche relative alle arti e ai mestieri per la cui realizzazione si serve di abili artigiani e operai, un certo numero dei quali avevano lavorato nel grande laboratorio artigianale di proprietà di suo padre. Diderot poi [usando prudentemente degli pseudonimi, avendo imparato la lezione] esprime in maniera sempre più compiuta il suo pensiero ne la Lettera sui sordomuti [1751] dove riflette sulla gestualità, sulla linguistica e sull’estetica e poi nei Pensieri sull’interpretazione della natura [1753] aderisce alle teorie scientifiche materialiste sulla nascita e lo sviluppo della natura mettendo in evidenza tutti i progressi fatti, in proposito, nel campo della fisica, della chimica, della biologia tendenti a smentire la tesi creazionista dell’Universo. Scrive poi anche due lavori teatrali: Il figlio naturale o le prove della virtù [1757] e Il padre di famiglia [1758] ispirandosi alla riforma drammaturgica di Carlo Goldoni [che abbiamo incontrato]. Dopo il 1759 comincia a frequentare assiduamente il Circolo del barone d’Holbach e come sappiamo collabora, con il barone Grimm, alla rivista Correspondance littéraire.

     In questo periodo scrive tre famosi romanzi: La religiosa [1760], Il nipote di Rameau [1761] e Il sogno di d’Alembert [1769] che circolano manoscritti [verranno pubblicati postumi]. Nel 1765 Caterina di Russia si procura le opere di Diderot, le legge con attenzione e nel 1773 lo invita a San Pietroburgo e gli chiede di scrivere una serie di progetti di riforma istituzionale in chiave illuminista, ma, come sapete, nessuno di questi progetti verrà mai applicato e Diderot è assai deluso da questo comportamento “di facciata” e scrive: «L’imperatrice di tutte le Russie è una falsa illuminata che si comporta come una vecchia volpe sanguinaria». Sulla via del ritorno in Francia, nel 1774, Diderot pensa che sia meglio per lui soggiornare per un certo periodo in Olanda dove scrive Confutazione di Helvétius in cui dimostra che “nell’Universo tutto non è determinato in modo assoluto” e, per sostenere ulteriormente questa tesi, nel 1775 scrive i romanzi Jacques il fatalista e il suo padrone e il Supplemento al viaggio di Bouganville. Nelle sue ultime opere intitolate Saggio su Seneca e sui regni di Claudio e Nerone [1782] e Storia delle due Indie [1783] Diderot pronuncia una condanna totale contro gli arbitrî dei potenti e contro i traffici e i soprusi dei colonialisti e queste opere contribuiscono a far fermentare le idee rivoluzionarie. Diderot muore a Parigi il 31 luglio 1784.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Abbiamo elencato le opere di Denis Diderot che potete richiedere in biblioteca… La religiosa, Il nipote di Rameau, Il sogno di d’Alembert, Jacques il fatalista e il suo padrone non presentano particolari difficoltà di lettura: Diderot è un autore che ha il merito di impegnarsi a scrivere in modo che, chi legge, capisca il significato del suo testo… 

Incuriositevi…

     Abbiamo detto che nel 1749 Denis Diderot fa pubblicare la Lettera sui ciechi ad uso di coloro che vedono [firmando l’opera un po’ imprudentemente con il suo nome e cognome, cosa che gli costa tre mesi di galera e gli è andata bene così perché al processo è riuscito a dimostrare che non aveva fatto un’esplicita dichiarazione di ateismo ma aveva solo descritto una situazione]: quest’opera che è diventata famosa è molto interessante perché Diderot dimostra come, partendo da una riflessione sul deismo di Newton, si possa arrivare a concepire una visione dell’Universo in cui si giustifica la tesi dell’ateismo. Ora, prima di prendere in esame le principali idee contenute nella Lettera sui ciechi ad uso di coloro che vedono, leggiamo un frammento tratto dal testo di quest’opera, uno di quei frammenti che ha fatto scattare la denuncia della censura.

Denis Diderot, Lettera sui ciechi ad uso di coloro che vedono

Se l’animo più retto si dovesse basare sul ritratto che mi si fa dell’Essere supremo, sulla sua inclinazione alla collera, sul rigore delle sue vendette, su certi raffronti che ci esprimono in cifre il rapporto tra gli esseri che Egli lascia morire e quelli verso i quali egli tende la mano, esso sarebbe tentato di desiderare che Egli non esista.

Si vivrebbe abbastanza tranquilli su questa Terra, se si fosse sicuri di non aver nulla a temere nell’altro mondo: il pensiero dell’inesistenza di Dio non ha mai spaventato nessuno, ma piuttosto quello che ne esista uno simile al Dio che mi si dipinge. …

     Ora prendiamo in esame le principali idee contenute nella Lettera sui ciechi ad uso di coloro che vedono in modo da imbastire una riflessione.

     Denis Diderot nel testo della Lettera sui ciechi ad uso di coloro che vedono - indirizzata a madame Madeleine de Puisieux [(1720-1798) scrittrice, filosofa e femminista, autrice di molte opere tra cui La donna non è per nulla inferiore all’uomo, un vero e proprio manifesto di genere [e non si pensi che durante il secolo dei Lumi le donne intellettuali non abbiano avuto un ruolo, è che sono state sempre messe in secondo piano] - ebbene, Diderot  nella Lettera sui ciechi scrive di aver incontrato due personaggi [due figure metaforiche], un vignaiolo e un professore di matematica dell’Università di Cambridge entrambi ciechi e, dialogando con loro e ascoltando i loro ragionamenti, è giunto a elaborare una serie di ipotesi che espone. Il tema centrale dell’opera è relativo alla domanda alla quale Diderot intende dare una risposta il più possibile esaustiva: come funziona la Natura? E Diderot risponde che la Natura non funziona in modo meccanicistico [mette in discussione il meccanicismo del secolo precedente, una corrente di pensiero alla quale aderiscono molti scienziati] affermando che la Natura non è un’entità che si comporta come se fosse una grande macchina [ricordate la tesi sostenuta da Thomas Hobbes e contenuta nel trattato intitolato Elementi di filosofia. Sul corpo, sull’individuo e sul cittadino e anche nella prima parte del Leviatano] ma la Natura, scrive Diderot, è “un organismo in trasformazione” [secondo la visione di Raimondo di Sangro] e questo si deduce dal fatto che l’ordine del Cosmo è reale solo per quelli che vedono, ma non lo è per i ciechi che se tornassero a vedere non comprenderebbero immediatamente ciò che vedono senza ripristinare l’uso dei sensi; e da questo si deduce, scrive Diderot, che la convinzione che vi sia un ordine nel Cosmo è soggetta al funzionamento dei sensi della singola persona e, di conseguenza, non dipende da una realtà oggettiva. E, quindi, afferma Diderot, in Natura la norma è il Caos, e l’ordine è solo un’eccezione che conferma questa regola. Allora si può affermare, scrive Diderot, che l’organizzazione biologica è dovuta a cause puramente materiali e perciò bisogna supporre che non si può parlare di un Mondo unico e tanto meno ben ordinato, ma bisogna prendere atto che esiste una caotica complessità data da una pluralità di Mondi: la realtà, scrive Diderot, non è universale e oggettiva ma bensì è pluriversale e ipotetica [e la realtà cambia aspetto a seconda di quale sia l’angolazione da cui la si osserva e a seconda dell’impegno che la persona mette nel governare i sensi con la ragione].

     L’idea che la realtà sia pluriversale è un concetto-chiave del pensiero illuminista, e che cosa comporta la pluriversalità? Ponendosi questa domanda Diderot apre, nella sua opera, una prospettiva che ha avuto delle significative ricadute soprattutto sul piano educativo. La pluriversalità - vale a dire “la caotica complessità dell’Universo in cui viviamo” – insegna, sostiene Diderot, che non basta più praticare un percorso educativo di tipo lineare per conoscere la realtà e per poter incontrare le altre persone [non è utile un percorso chiuso nel perimetro di una unilaterale visione del mondo perché il fenomeno dell’esistenza comporta che ogni essere vivente debba entrare in relazione con le cose più disparate, con gli animali più strani e le persone di tutte le etnie]:  per questo bisogna agire sul piano educativo in modo da superare i pregiudizi e favorire la crescita di una società tollerante, cosmopolita, ecumenica, planetaria, e per raggiungere questo obiettivo, afferma Diderot, è necessario proporre un’educazione di tipo circolare [en-ciclo-pedia] perché le diversità che emergono dalla realtà complessa [pluriversale] sono un’occasione che la persona deve cogliere per riflettere su se stessa in modo che possa acquisire “la consapevolezza della propria specificità umana e terrena” che è il requisito più importante per intraprendere una generale “riforma del pensiero” che è [come già sostenevano Montaigne e Pascal nelle loro opere, scrive Diderot] la finalità principale dell’Educazione. Il pensiero - perché la ricerca scientifica in atto possa avere valore - va riformato, sostiene Diderot, in chiave umanistica [secondo i principi dell’Umanesimo: uguaglianza, giustizia, pace, solidarietà, clemenza] in modo che le cittadine e i cittadini dell’Universo, o meglio del Pluriverso, possano diventare capaci di elaborare “un linguaggio comune” con il quale, nel manifestare le proprie diversità e i propri pensieri personali, possano elaborare una Carta dei diritti e dei doveri cioè il documento necessario per il progresso e per lo sviluppo di una Comunità planetaria, plurale, complessa, sistemica [oggi aggiungiamo “ecologica”]. Un programma educativo lineare, scrive Diderot, può proporsi di insegnare tante discipline [ma solo utili per riconoscere dei titoli in ambito accademico] e risulta un progetto asfittico se non conduce le cittadine e i cittadini a misurarsi sui saperi pluriversali perché, come già scrive nel 1632 Galileo Galilei nel suo Dialogo sopra i due massimi sistemi, afferma Diderot per sostenere meglio la sua idea illuminista: «L’Universo, scrive Galileo, è complesso e lo si può definire un organismo pluriversale »[e Diderot vuole mettere in evidenza che questo termine è stato coniato dal più grande scienziato della Storia del Pensiero Umano].

     E quali sono i saperi pluriversali fondamentali, le competenze necessarie per affrontare la complessità della realtà naturale e umana e per favorire il positivo sviluppo di ogni società? I saperi pluriversali, afferma Diderot, vanno individuati [facendo interagire le discipline tra loro] analizzando pazientemente la caotica complessità della realtà naturale e umana [studiando la Storia dell’evoluzione dei fenomeni naturali e la Storia del Pensiero Umano] e questi nuovi saperi devono essere utili per insegnare ciò che la filosofia dell’Illuminismo pone come propri obiettivi, e cioè: a riflettere sulla condizione umana, a valutare la complessità naturale e umana, a prendere coscienza dell’identità terrena, a curare la gestione dell’incertezza, a favorire la comprensione tra umani, a governare secondo i principi democratici e a proclamare la cittadinanza planetaria di ogni persona [e con Diderot ci troviamo nel cuore dell’Illuminismo, come ha spesso sottolineato Eugenio Scalfari nei suoi Scritti]. Inevitabilmente la filosofia illuminista di Diderot lo porta [e ci porta] a condannare politicamente senza appello il razzismo, la xenofobia e l’istinto nefasto che conduce certe etnie a voler imporre la loro superiorità sulle altre, e questo lo porta a compiere una riflessione [che nella nostra epoca, pervasa da nazionalismi, sovranismi, populismi, è di stringente attualità per la sua valenza educativa] sulla parola greca “ethnos” [che significa “popolo”], ed è necessario imparare, afferma Diderot, che questa parola-chiave è un complesso simbolico formato dall’intreccio di cinque importanti termini: logos [pensiero e linguaggio], epos [memoria e racconto], ethos [regole e norme condivise], genos [rapporti affettivi] e topos [ambiente e territorio]. Quindi, manifestare il proprio “ethnos” [la propria identità popolare, afferma Diderot] significa partecipare all’attività di un grande laboratorio colturale dove si coltivano saperi, nel quale ogni persona, confrontandosi e differenziandosi [perché non c’è una persona uguale all’altra], analizza il proprio destino, mette in ordine i propri pensieri, confronta i propri sogni con la realtà e stempera la propria ira, per cercare insieme a tutte le altre persone gli strumenti necessari per superare gli ostacoli che rallentano la nascita di una comunità che sia, a pieno titolo, umana [la filosofia illuminista mette in evidenza le parole-chiave che forniscono la struttura portante all’Età assiale della Storia - destino, ordine, sogno e ira - che ancor oggi non sono state digerite, assimilate, capite, e si continua a ignorare che dobbiamo imparare a vivere all’ombra dell’Albero genealogico lessicale].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale di questi obiettivi, pur tutti importanti da raggiungere - riflettere sulla condizione umana, valutare la complessità umana, prendere coscienza dell’identità terrena, curare la gestione dell’incertezza, favorire la comprensione tra umani, governare secondo i principi democratici, proclamare la cittadinanza planetaria di ogni persona - mettereste al primo posto?…  Riflettete e rispondete, basta una riga in proposito…

     I saperi pluriversali, nella visione di Diderot, devono stimolare la persona a mettere in gioco la propria essenza cioè il proprio “ethnos”, non perché venga vissuto [ed è successo troppe volte nelle storia e, purtroppo, ancora succede] come elemento di chiusura e di difesa, ma come presupposto di appartenenza sociale e di conoscenza, dove il differenziarsi dagli altri sia un utile esercizio per valutare meglio se stessi.

     Leggiamo ora un altro frammento nel quale Diderot sintetizza il suo pensiero sulla realtà pluriversale [di cui abbiamo parlato in chiave educativa] e sulla definizione della Natura tratto dal suo saggio pubblicato nel 1757 intitolato Passeggiata dello scettico: colloquio sulla religione, la filosofia, la mondanità.

Denis Diderot, Passeggiata dello scettico: colloquio sulla religione, la filosofia, la mondanità

Chi vi ha detto che l’ordine che voi ammirate qui non si smentisce in nessun punto? Vi è forse consentito di trarre conclusioni sullo spazio infinito partendo da un solo punto dello spazio? Se riempiamo un vasto terreno di fango e di macerie a caso, è probabile che il verme e la formica vi trovino abitazioni comodissime. Che pensereste di questi insetti se, ragionando col vostro metodo, si estasiassero dell’intelligenza del giardiniere pensando che abbia disposto tutti quei materiali per loro? Non farebbero, a caso, della mente del giardiniere, una mente divina? Mentre succede che la realtà esiste in base a una caotica complessità data da una pluralità di Mondi e che la Natura non è una macchina perfetta e ordinata ma è un complicato, articolato ed eterogeneo organismo in trasformazione. Di conseguenza, in questo quadro, la contemplazione dell’organismo vivente, finora considerata una delle prove più convincenti dell’esistenza di Dio, viene rovesciata: contemplare il cosmo, o meglio, contemplare il caos, è una prova dell’inesistenza di qualsiasi religione. …

     La novità dell’ateismo di Diderot è che esso si innesta su una concezione ispirata a una ipotesi che possiamo definire “evoluzionistica” e questo mette in incubazione il pensiero di Charles Darwin espresso nella celebre opera del 1859 intitolata L’origine della specie [ma questa è un'altra storia]. Oggi i testi di Denis Diderot maggiormente studiati perché vengono considerati importanti e attuali [e purtroppo studiati solo da parte delle addette e degli addetti ai lavori] sono quelli dei suoi due romanzi filosofici più famosi [che abbiamo già citato: Il nipote di Rameau [1761] e Jacques il fatalista e il suo padrone [1775]. Il testo di questi due romanzi denominati filosofici è uscito a puntate sulla rivista Correspondance litterére.

     Il romanzo Il nipote di Rameau  [pubblicato nel 1761] viene considerato il capolavoro filosofico d’impronta satirica di Diderot. Il testo di quest’opera è scritto sotto forma di dialogo platonico e sono due i personaggi che conversano: Jean-François Rameau, che è il nipote del noto clavicembalista, organista, compositore e teorico musicale Jean-Philippe Rameau [ed è molto probabile che Diderot e d’Alembert abbiano sentito suonare l’organo della chiesa di St-Eustache da Jean-Philippe Rameau che apprezzava lo strumento e l’acustica di questo edificio].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Su questo personaggio, Jean-Philippe Rameau [nato a Digione nel 1683 e morto a Parigi nel 1764], non possiamo non aprire una seppur breve parentesi solo per dire che questa figura [le cui opere, dopo la sua morte, sono state ignorate fino all’inizio del ‘900. e poi però, per tutto il XX secolo, ha avuto molti estimatori tra i compositori novecenteschi e le sue opere sono entrate nei repertori dei concerti], ebbene, questa figura merita di essere conosciuta e, in proposito, è utile consultare l’enciclopedia e navigare in rete dove potete anche ascoltare la sua musica [che a vostra insaputa avrete giù ascoltato in colonne sonore cinematografiche o pubblicitarie]…  Incuriositevi…  

     Ma stavamo dicendo che uno dei due protagonisti dell’opera di cui stiamo parlando [alla quale dà anche il nome] è appunto il nipote di Rameau, Jean-François, mentre l’altro interlocutore è un filosofo che funge da io-narrante e che rappresenta Diderot stesso. Questi due personaggi s’incontrano nel Café de la Régence, all’interno del palazzo reale di Parigi, e cominciano a parlare: intavolano una conversazione su questioni di filosofia, di morale e di arte. Il nipote di Rameau viene presentato dall’autore in chiave satirica a cominciare dalla descrizione del suo aspetto esteriore [è agghindato da perfetto cicisbeo - corteggiatore, adulatore, ruffiano - del ‘700] e rappresenta il tipo del parassita sociale [un individuo che tende a farsi mantenere da altri] ma, allo stesso tempo, simboleggia anche la figura del provocatore intelligente e cinico, materialista, nemico della scienza astratta, dei ragionamenti vuoti, seguace del sensismo [secondo il pensiero di Julien de La Mettrie autore de L’uomo macchina che, come ricorderete, abbiamo incontrato recentemente], ed è inoltre assiduo lettore e buon conoscitore del pensiero di Luciano di Samosata, di Terenzio, di Orazio e di tutti i pensatori materialisti classici [per leggere le opere di Diderot è senz’altro utile avere un po’ di dimestichezza con le Opere letterarie e filosofiche dei Classici anche se non è strettamente necessario perché l’uso che l’autore fa delle citazioni che utilizza ha sempre un chiaro carattere esplicativo: non vuole fare sfoggio di erudizione, vuole incuriosire e orientare]. Il secondo personaggio dialogante, il filosofo, si presenta invece come un moralista, fautore di una condotta di vita coerente, sostenitore degli ideali della virtù, dell’intelligenza, della creatività, che sono da considerarsi elementi di garanzia per il progresso sociale. Quindi, inizialmente, i due personaggi si diversificano nettamente tra loro, però, succede che nel corso del dialogo la differenza tra le due figure, poco per volta, si smorza. Il filosofo comincia a essere attratto e poi affascinato dalla capacità che ha il nipote di Rameau di esprimere, con determinazione, le sensazioni che sgorgano spontaneamente dal suo cuore e che lui esprime, anche quelle più intime, senza vergogna. E, allo stesso tempo, il nipote di Rameau condivide l’analisi critica del filosofo sulla corruzione sociale, sull’ipocrisia di chi detiene il potere, mettendo in evidenza - ed ecco dove vuole arrivare l’autore - che il potere lo detengono anche i filosofi, i letterati, gli uomini di cultura che criticano la società, non fanno mai autocritica e spesso finiscono per essere più parassiti degli altri. E il romanzo termina con una parodia in cui il nipote di Rameau prende in giro satiricamente, attraverso parole e gesti, i tratti caratteriali del suo interlocutore, e lo fa con gusto [in stile teatrale: alla Molière, alla Goldoni], tanto da riceve il consenso divertito del suo stesso interlocutore, compiaciuto del fatto che il nipote di Rameau citi, con una sorta di sapiente parodia intellettuale, una serie di opere dei maestri della critica sociale, cultori di quella che Diderot chiama “la ragione beffarda”: in particolare menziona Teofrasto [filosofo e botanico, discepolo di Aristotele - nato a Efeso nel 371 a.C. e morto ad Atene nel 287 a.C. - autore de I Caratteri, una dettagliata descrizione, in chiave caricaturale, di una serie di modelli morali, e Diderot vuole far incuriosire la lettrice e il lettore affinché si avvicini ai testi classici] poi menziona Molière [1622-1673, e noi conosciamo le sue opere teatrali] e Jean de La Bruyère [1645-1696, scrittore, aforista e filosofo, e anch’esso autore di un’opera intitolata I Caratteri redatta nello stile di Teofrasto]. Diderot fa confluire nel personaggio del nipote di Rameau tutto ciò che teme venga rimosso [nonostante le dichiarazioni di apertura delle sovrane e dei sovrani, degli accademici, dei saccenti eruditi] per cui il pensiero della filosofia illuminista, denuncia Diderot, non si sta sviluppando, anzi, molti elementi vengono eliminati in nome di una falsa morale [o trasformati in convenzionali e leziosi atteggiamenti alla moda] mentre si dovrebbe attribuire, sul piano della conoscenza, afferma Diderot,, un valore positivo dell’esperienza sensibile così come ai molteplici impulsi dell’animo umano, e alle esperienze estetiche e contemplative più profonde che permetterebbero alla persona di arricchire il proprio carattere. Diderot, con lucida determinazione, sottopone, in itinere, alla verifica del dubbio tutte le convinzioni del secolo dei Lumi per metterle in discussione: tanto le potenzialità e i limiti della Ragione, quanto l’utilità del sapere enciclopedico e, soprattutto, vuole mettere in dubbio il modo in cui viene affrontata la questione delle ingiustizie perpetuate in nome di un ordine sociale fondato sulle disuguaglianze.

     Insomma, in questo testo, lodato da molti [Goethe, Kant, Hegel] Diderot anticipa lo studio sulla coscienza umana, in particolare di quella che viene denominata “la coscienza lacerata”, e anticipa il dibattito psicologico e antropologico su un tema che andrà sviluppandosi nel corso del XIX secolo [e anche questa è però un’altra storia].

     Le stesse forme e gli stessi contenuti si trovano anche nel romanzo filosofico Jacques il fatalista e il suo padrone [pubblicato nel 1775]. Anche in questo dialogo abbiamo due personaggi sulla scena che si esibiscono verbalmente sul tema del rapporto servo-padrone, dove però è il servo ad avere un ruolo primario rispetto al padrone [abbiamo terminato il viaggio dello scorso anno, come ricorderete, leggendo due pagine dal saggio Istruzioni alla servitù di Jonathan Swift, pubblicato nel 1745 di cui Diderot ha tenuto conto]. Come dice il titolo dell’opera, Diderot affronta la questione da una prospettiva in cui è il servo a precedere il padrone, a considerarlo come la sua spalla in un dialogo in cui il servo Jacques - al quale l’autore attribuisce la qualifica di “fatalista” - crede che tutto quello che accade [secondo il pensiero di Diderot e dei nuovi filosofi parigini] sia l’effetto di una causa dipendente, esclusivamente, da comportamenti umani e non divini. In questo dialogo, contrariamente al servo, il padrone è una figura senza nome e senza attributi e questa è una scelta che genera un paradosso proprio perché Diderot vuole servirsi di questo strumento in chiave conoscitiva [dal greco “para-doxa, è un ragionamento espresso con un enunciato che va contro l’opinione comune”], e questo è un importante motivo didattico per leggere questo testo: quello di usufruire [per fare esercizio] di un racconto costruito per paradossi. E paradossale è, appunto, leggere il ruolo del padrone in funzione del servo, ma questo non significa [scrive Diderot per chiarire] che la società abbia cessato di essere fondata sullo sfruttamento: il rovesciamento letterario [vuole mette in evidenza Diderot] non ha affrancato Jacques in quanto il padrone esercita - anche senza nome [e Diderot - con involontaria ironia - anticipa di un secolo e mezzo il fatto che i padroni hanno creduto opportuno celare i loro nomi dietro le sigle delle multinazionali, società dedite allo sfruttamento che sono, in buona parte, responsabili del degrado del pianeta] - quindi, anche senza nome, il padrone esercita comunque il potere, e l’esistenza del padrone inchioda in ogni caso, di riflesso, Jacques, alla condizione di servitù. Tuttavia, a cominciare dal titolo, l’autore vuole annunciare che una rottura si è prodotta nel sistema: c’è stata un’evoluzione nei rapporti sociali la cui dinamica ha bisogno di essere ripensata, e il padrone [vuole mette in evidenza Diderot] prende coscienza del fatto che il servo Jacques è fatalista, è una persona che crede alla concatenazione di cause ed effetti dati dalle scelte umane, e questa non è una mania che fa di lui uno sciocco sprovveduto ma è un atto di ribellione con il quale dimostra al padrone come il metodo che lui esercita, che consiste nel seguire una prassi di carattere razionale [senza implicazioni soprannaturali e ultraterrene], voglia dire esercitare le azioni cognitive del ricercare, del percepire, dell’osservare e, quindi, significa predisporre la propria mente a investire in intelligenza per percorrere la via dell’acquisizione del sapere perché il sapere è potere. La liberazione della persona dipende per Diderot [come per Francesco Bacone] da un movimento che può essere definito come: «il sapere critico che avanza». Ma in questo romanzo c’è un aspetto formale che è ancora più importante di quello contenutistico: Jacques e il suo padrone non sono gli autentici protagonisti del romanzo, e chi è il vero protagonista? Il vero protagonista del romanzo è colei o colui che legge [la lettrice e il lettore] e con questa innovazione ci si trova di fronte a una novità di carattere letterario che non consiste semplicemente nel rivolgere un richiamo convenzionale a chi legge da parte di chi scrive ma significa che l’autore imbastisce un vero e proprio dialogo con la persona che legge la quale viene interpellata e invitata a immaginare le possibili variazioni della trama, a riflettere sulle potenzialità della narrazione e a seguire personalmente gli itinerari che il testo percorre per ipotizzare le strade che il racconto potrebbe prendere. E naturalmente questo è il motivo didattico più importante per leggere il testo di Jacques il fatalista e il suo padrone.

     Ma c’è un’altra cosa che dobbiamo aggiungere in funzione della didattica della lettura e della scrittura ed è che, di seguito a questo testo, andrebbe letto o riletto un altro libro che si intitola Se una notte d’inverno un viaggiatore scritto da Italo Calvino [nel 1979] che ha tenuto conto del “metodo-Diderot” [come è stato chiamato].

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Potete anche leggere o rileggere solo il primo capitolo [sono sette pagine] di questo libro, Se una notte d’inverno un viaggiatore scritto da Italo Calvino nel 1979 e, dopo la lettura, non potrete fare a meno di domandarvi: «Io che tipo di lettrice o di lettore sono?»… E a questo punto potrete anche scrivere, per rispondere a questa domanda, quattro righe in proposito…  

     E ora leggiamo due frammenti. Il primo è l’incipit di Jacques il fatalista e il suo padrone il cui testo si apre presentando una sfilza di domande che risultano poste dalla persona che legge per interpellare lo scrittore con l’intento di partecipare alla sua composizione, e lo scrittore non può fare a meno di concedere volentieri la parola alla lettrice e al lettore con i quali ha appuntamento. Per quanto riguarda lo stile la scrittura di Diderot è stata definita di carattere già post-moderno.

Denis Diderot, Jacques il fatalista e il suo padrone

Come s’erano incontrati? Per caso, come tutti. Come si chiamavano? Che v’importa? Di dove venivano? Dal luogo più vicino. Dove andavano? Si sa forse dove si va? Che dicevano? Il padrone non diceva niente; e Jacques diceva che il suo capitano sosteneva che tutto ciò che quaggiù ci accade di bene e di male, era scritto lassù.

  IL PADRONE  È un gran detto questo.

  JACQUES  Il mio capitano aggiungeva che ogni palla che parte da un fucile ha il suo indirizzo.

  IL PADRONE  E aveva ragione …

Dopo un corta pausa Jacques esclamò: - Il diavolo si porti l’oste e la sua osteria! -

  IL PADRONE  Perché mandare al diavolo il prossimo? Non è da cristiano.

  JACQUES  È che mentr’io m’ubriaco del suo vinaccio, dimentico di condurre i nostri cavalli all’abbeveratoio. Mio padre se n’accorge; va in collera. Io crollo il capo; egli prende un bastone e me ne accarezza un po’ duramente le spalle. Passava un reggimento che andava alla guerra; per dispetto, m’arruolo. Arriviamo; si dà battaglia.

  IL PADRONE  E tu ricevi la pallottola col tuo indirizzo.

  JACQUES  L’avete indovinato; una fucilata al ginocchio; e Dio sa le buone e le cattive avventure provocate da questa fucilata. Esse si collegano strettamente, né più né meno che le maglie d’una catena d’orologio. Senza questa fucilata, ad esempio, credo che in vita mia, non sarei mai stato né innamorato né zoppo.

  IL PADRONE  Sei dunque stato innamorato?

  JACQUES  Lo sono stato eccome!                                               

  IL PADRONE  A causa d’una fucilata?   

  JACQUES  Per una fucilata.

  IL PADRONE  Non ne hai mai fatto parola.

  JACQUES  Lo credo bene.

  IL PADRONE  E perché?

  JACQUES  È che ciò non poteva esser detto né più presto né più tardi.

  IL PADRONE  E il momento è venuto di conoscere questi amori?

  JACQUES  Chi lo sa.

  IL PADRONE  In ogni caso, comincia pure …

Jacques cominciò la storia dei suoi amori. Era il dopo pranzo: il tempo era afoso; il padrone s’addormentò. La notte li sorprese in mezzo ai campi; eccoli fuori strada. Ecco il padrone terribilmente in collera precipitarsi a gran colpi di frusta sul domestico, e il povero diavolo dire a ogni frustata: - Anche questo era evidentemente scritto lassù …-.  Vedi, lettrice e vedi lettore, che sono sulla buona strada, e che solo da me dipenderebbe farti aspettare un anno, due anni, tre anni, il racconto degli amori di Jacques, separandolo dal suo padrone, e facendo loro, separatamente, correr tutte le avventure che a me piacesse. Chi mi impedirebbe di maritare il padrone e farlo cornificare? Imbarcar Jacques per le isole? Condurvi il suo padrone? Ricondurli entrambi in Francia sulla stessa nave? Com’è facile far dei racconti! Ma se la caveranno l’uno e l’altro con una nottataccia, e tu con questa dilazione.

L’alba apparve. Eccoli risaliti in groppa e proseguire il cammino. - E dove andavano? - Ecco la seconda volta che mi fate questa domanda, e la seconda volta che vi rispondo: Che v’importa? Se attacco l’argomento del loro viaggio, addio amori di Jacques … Camminarono per qualche tempo in silenzio. Quando ciascuno si fu un po’ rimesso della propria pena, il padrone disse al domestico: - Ebbene, Jacques, dove eravamo coi tuoi amori? …

     Siamo appena all’inizio, e per entrare nel vivo è necessario continuare a leggere.

     E ora leggiamo un frammento tratto dall’altro significativo romanzo di Diderot di cui abbiamo parlato: Il nipote di Rameau. Questo dialogo inizia con un tocco di elegante leggerezza che rivela lo stile di uno scrittore particolarmente competente e, questo inizio, apparentemente svagato, contiene uno dei più significativi temi di fondo che l’Illuminismo ci ha lasciato in eredità: il tema della natura del pensiero umano, del fascino che il pensiero umano ha per sua attitudine. Il pensiero è affascinante perché è capace di pensare se stesso, e questa qualità significa che, di conseguenza, non siamo mai persone sole in quanto la mente è capace di vivere in compagnia dei suoi pensieri e permette alla persona di avere una identità plurale. «La mente insegue un pensiero, poi l’abbandona, ma solo [scrive Diderot] per corteggiarne un altro, come fanno i giovanotti a caccia di ragazze allegre sotto i portici del Palais-Royal». «Una competenza da acquisire [si domanda Diderot]? Quella [suggerisce Diderot] di imparare a giocare con i propri pensieri!». Ora leggiamo.

Denis Diderot, Il nipote di Rameau

Che faccia bello o cattivo tempo è mia abitudine andare a passeggiare ogni pomeriggio verso le cinque nei giardini del Palais-Royal. Intrattengo me stesso con la politica, l’amore, l’arte, la filosofia e abbandono la mente al suo gioco lasciandola libera di seguire ogni pensiero che le si presenti, saggio o folle che sia. E la mente si comporta come quei giovanotti che corrono dietro alle ragazze con l’aria sventata, il volto sorridente, l’occhio vivace e il nasino all’insù, corteggiandole tutte senza attaccarsi a nessuna di loro. Ecco: i miei pensieri sono le mie amanti. …

     «I miei pensieri sono le mie amanti», è una battuta di quelle che caratterizzano un’epoca: siamo nel cuore dell’età dei Lumi. Anche noi abbiamo questa affascinante possibilità: quella di giocare con i nostri pensieri, ma i pensieri [ci ha ricordato Diderot] devono avere un nutrimento, e lui fa l’elenco di quali sono gli argomenti che forniscono nutrimento al suo pensiero: la politica, l’amore, l’arte, la filosofia. Argomenti che costituiscono un bel programmino se solo, però, afferma Diderot, vengono pensati bene, con la necessaria competenza - vale a dire nell’ambito del valore che hanno assunto nel corso della Storia del Pensiero Umano - contrariamente [se affidati unicamente alle mode, alla cronaca, alla pubblicità, alla propaganda] risultano termini vuoti, “crisalidi senza anima”.

     Le quattro questioni - quella della prassi politica, quella della esperienza amorosa, quella della coltivazione del gusto estetico e quella dello studio della filosofia - che Diderot cita come fossero la sue amanti danno addito a una serie di domande importanti riguardanti la Storia del Pensiero Umano. Quali domande? La risposta è rimandata al prossimo itinerario [non perdetelo perché poi ci sarà la pausa pasquale] nel corso del quale incontreremo Jean-Baptiste d’Alembert e poi anche un altro personaggio che risulta essere, in merito ai suoi apologhi, uno degli scrittori più brillanti dell’Illuminismo. E ora leggiamo il testo che ci ha inviato Madame de Puissieux in occasione dll’8 marzo.

Madeleine de Puisieux, La donna non è per nulla inferiore all’uomo

La donna non è per nulla inferiore all’uomo perché si domanda: che ci fanno le donne nei ranghi del potere quando il potere è stato configurato - sulla scena della creazione - come una prerogativa maschile? All’uomo il potere è dato per diritto divino, alla donna viene semplicemente concesso come specie protetta, e come elemento di passaggio per rafforzare la dote maschile del potere stesso.  Noi non vogliamo questo potere! Vogliamo che ci venga riconosciuto ciò che vi fa tanta paura: il punto di vista femminile sulla società in cui viviamo! E il punto di vista femminile lo temete perché è alternativo alle prerogative del vostro comando: rigido, statico, inveterato, e destinato ad estinguersi.  Il punto di vista femminile non contempla la potestà ma è depositario della possibilità, e la possibilità è una qualità che risulta flessibile, dinamica, fluida, e destinata a espandersi. …

     Per ora la strada da fare è ancora tanta, quindi, per conoscere, per capire e per applicarci dobbiamo procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé consapevoli del fatto che non dobbiamo mai perdere la volontà di imparare, per questo la Scuola è qui e il viaggio continua…

 

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Marzo 17, 2023