ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»
PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica nel secolo dei Lumi
22-23-24 e 31 marzo 2023
SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI,
OLTRE AGLI STUDI NEL CAMPO DELLA FISICA, EMERGE, CON GLI EPISTOLARI,
UN IMPORTANTE REPERTORIO PRE-ROMANTICO TUTTO INTRISO DI SENSIBILITÀ FEMMINILE …
Questo è l’undicesimo itinerario del nostro viaggio sul territorio del secolo dei Lumi [il primo itinerario primaverile e quello che precede la pausa pasquale (e avete ricevuto anche il tradizionale Questionario di fine Percorso)]. Quindici giorni fa, come ricorderete, abbiamo concluso l’itinerario leggendo l’incipit di quel significativo romanzo di Denis Diderot [che abbiamo presentato insieme alle altre opere di questo importante scrittore] intitolato Il nipote di Rameau e abbiamo detto che avremmo ripreso in considerazione questo testo perché contiene un’affermazione che ci permette di fare alcune interessanti riflessioni.
L’opera, scritta sotto forma di dialogo da Denis Diderot intitolata Il nipote di Rameau inizia con un tocco di elegante leggerezza e, questo incipit, che può apparentemente sembrare svagato, contiene uno dei più significativi temi di fondo che l’Illuminismo ci ha lasciato in eredità: il tema della natura del pensiero umano, del fascino che il pensiero umano ha per sua natura. Il pensiero è affascinante perché è capace di pensare se stesso, e questo significa che, di conseguenza, non siamo mai soli: la mente è capace di vivere in compagnia dei propri pensieri e permette alla persona di avere una identità plurale. Scrive Diderot: «Che faccia bello o cattivo tempo è mia abitudine andare a passeggiare ogni pomeriggio verso le cinque nei giardini del Palais-Royal. Intrattengo me stesso con la politica, l’amore, l’arte, la filosofia e abbandono la mente al suo gioco lasciandola libera di seguire ogni pensiero che le si presenti, saggio o folle che sia. E la mente si comporta come quei giovanotti che corrono dietro alle ragazze con l’aria sventata, il volto sorridente, l’occhio vivace e il nasino all’insù, corteggiandole tutte senza attaccarsi a nessuna di loro. Ecco: i miei pensieri sono le mie amanti.». «I miei pensieri sono le mie amanti», e questa affermazione ha caratterizzano un’epoca: siamo, infatti, nel cuore dell’età dei Lumi.
Diderot c’insegna che anche noi abbiamo l’affascinante possibilità di giocare con i nostri pensieri, ma i pensieri, ci ricorda Diderot, devono avere un nutrimento, e lui fa l’elenco di quali sono gli argomenti che forniscono nutrimento al suo pensiero: la politica, l’amore, l’arte, la filosofia. E questi sono argomenti che costituiscono un bel programmino che può trovare attuazione però, afferma Diderot, solo se queste questioni [la politica, l’amore, l’arte, la filosofia] sono pensate in modo fruttuoso e con la necessaria competenza, vale a dire nell’ambito del valore che hanno assunto nel corso della Storia del Pensiero Umano; contrariamente, se affidate unicamente alle mode, alla cronaca, alla pubblicità, alla propaganda, appaiono solo come termini vuoti, come “crisalidi senza corpo e senz’anima”.
Le quattro questioni - quella della prassi politica, quella della esperienza amorosa, quella della coltivazione del gusto estetico e quella dello studio della filosofia - che Diderot cita come fossero la sue amanti danno addito a una serie di domande importanti riguardanti la Storia del Pensiero Umano: che cos’è la mente, che cos’è il pensiero? Che cos’è l’Io, ed è l’Io che dispone della mente e corteggia i pensieri, man mano, che essi appaiono? Che cos’è la volontà, e chi governa la volontà quando decide di abbandonare un pensiero per seguirne un altro? E l’Io è la stessa cosa del pensiero che sta pensando? E l’Io è l’equivalente della mente che sta immaginando se stessa? Ed è l’Io che pensa e si immagina la mente oppure è la mente che pensa e si immagina l’Io?
Intorno a queste complesse domande si cimenteranno i grandi romanzieri dell’800 e, prima di loro, uno scrittore che viene considerato il più brillante dell’Illuminismo, François-Marie Arouet detto Voltaire, che incontreremo nel prossimo itinerario, perché ora dobbiamo fare conoscenza con Jean-Baptiste d’Alembert che dal 1749 sul piano intellettuale, come sapete, fa coppia con Diderot. La biografia di Jean-Baptiste d’Alembert si presenta ricca di colpi di scena alcuni dei quali potrebbero essere definiti di carattere romanzesco e questo fatto ci mette nelle condizioni [come spesso succede nei nostri itinerari] di dover aprire più di una parentesi.
Jean-Baptiste cresce, accudito con cura e con amore, in una famiglia del popolo che abita nel quartiere de Les Halles, il quartiere parigino del grande Mercato centrale di generi alimentari [che abbiamo visitato nel corso dell’itinerario precedente]: “il ventre di Parigi” [come è stato metaforicamente chiamato in Letteratura, ricordate?]; ma i coniugi che lo allevano non sono i suoi genitori naturali bensì quelli adottivi perché Jean-Baptiste è il figlio di una baronessa [la baronessa di Saint-Martin-de-Ré, che è (e apriamo una breve parentesi) una cittadina della Charente Marittima, sulla costa atlantica, nota per le Fortificazioni di Vauban, patrimonio dell’UNESCO che potete osservare in rete]. La madre naturale di Jean-Baptiste d’Alembert è la baronessa Claudine Alexandrine Guérin de Tencin, nata a Grenoble nel 1682 e morta a Parigi nel 1749, la quale, dopo essere stata costretta dalla famiglia all’età di otto anni a entrare nella ricca abbazia di Montfleury [a Corenc a nord-est di Grenoble] e a prendere i voti nel 1698 secondo la regola domenicana, col nome di suor Augustine, all’età di ventitré anni decide di ribellarsi all’imposizione che ha subito e [dopo la morte del padre, nel 1705, e dopo aver tacitato le giustificazioni ipocrite della madre] si presenta davanti a un notaio al quale fa redigere un documento dove denuncia di essere stata costretta, contro la sua volontà, alla vita monacale; subito dopo, lascia Montfleury per rifugiarsi in un altro convento, quello di Sainte-Claire ad Annonay sempre nei dintorni di Grenoble, dove viene accolta dalla badessa, Madame de Vivarais [la sorella di suo cognato, il conte Charles-Augustin de Ferriol d’Argental marito di sua sorella Marie-Angélique]. Dopo una puntigliosa inchiesta che si conclude, dopo sette anni, con una sentenza che riconosce ufficialmente la violenza che lei è stata costretta a subire, nel 1712 suor Augustine viene sciolta dai voti religiosi e, finalmente, Claudine può, all’età di trent’anni, iniziare una vita allo stato laicale. Viene ospitata a Parigi da sua sorella Marie-Angélique contessa d’Argental che gestisce un salotto molto ben frequentato dove Claudine entra a pieno titolo [anche se molto chiacchierata per la sua storia che, tuttavia, suscita curiosità più che disprezzo] distinguendosi per la sua vivacità, il suo spirito, la sua preparazione intellettuale [perché nell’abbazia dove è cresciuta ha comunque avuto la possibilità di leggere, scrivere, studiare e imparare molto].
Claudine (e qui dobbiamo aprire un’altra parentesi) stringe amicizia con la celebre allora scrittrice Charlotte Aïssé [1693-1733], che era ospite in casa di sua sorella, principessa di origine circassa [la Circassia è una storica regione del Caucaso contesa tra l’impero russo e quello ottomano] autrice nota, soprattutto, per aver composto un romanzo epistolare [l’edizione del 1787 porta la prefazione di Voltaire] intitolato Lettere di mademoiselle Aïssé a madame C*** che ha riscosso un notevole successo ed è stato ristampato più volte nel corso del XIX secolo perché molto apprezzato da numerose autrici e autori ottocenteschi che, leggendolo, hanno trovato ispirazione per comporre opere teatrali e letterarie, usufruendo delle molte informazioni che l’Epistolario di mademoiselle Aïssé contiene.
E, in proposito (e qui dobbiamo aprire una parentesi nella parentesi), non si può non ricordare che la storia di Charlotte Aïssé e del conte Ferriol ha ispirato un racconto [pubblicato nel 1731, che però ha avuto una redazione definitiva nel 1753 contenente un testo più attenuato, meno audace di quello della prima edizione che è stata messa al bando dalla censura] intitolato Storia del cavaliere Des Grieux e di Manon Lescaut che è stato composto da Antoine François Prévost [noto come l’abbé Prévost, 1697-1763]. Certamente sapete che, avendo avuto questo racconto un successo straordinario, il personaggio di Manon Lescaut è diventato molto popolare tanto da avere una sua vita letteraria e teatrale indipendente e, in particolare, sono stati tratti molti Libretti d’opera dal romanzo di Prévost e sono stati musicati da celebri autori e non possiamo non ricordare la Manon Lescaut di Giacomo Puccini del 1893 [in quattro atti su Libretto di difficilissima gestazione che ha coinvolto Luigi Illica, Giuseppe Giacosa, Marco Praga e Domenico Oliva] che siete invitate e invitati a riascoltare.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Inoltre è interessante – consultando l’enciclopedia e navigando in rete - completare la conoscenza della scrittrice, di origine circassa, Charlotte Aïssé [1693-1733] che vanta una vita corredata da episodi davvero avventurosi che narra nel suo Epistolario e si può anche capire come abbia preso forma, attraverso la penna dell’abbé Prévost, il personaggio di Manon Lescaut…
Incuriositevi…
Ma ci stiamo occupando della biografia di Jean-Baptiste d’Alembert che, come abbiamo detto, si presenta ricca di colpi di scena che ci mettono nelle condizioni [come avete potuto constatare] di dover aprire più di una parentesi. Ebbene, abbiamo preso atto che la madre naturale di Jean-Baptiste d’Alembert è la baronessa Claudine Alexandrine Guérin de Tencin.
Quando la madre naturale di Jean-Baptiste d’Alembert, la baronessa Claudine Alexandrine Guérin de Tencin, viene sciolta dai voti religiosi e torna allo stato laicale, viene ospitata a Parigi da sua sorella Marie-Angélique contessa d’Argental e nel salotto della sorella Claudine si distingue per la sua amabilità e la sua intelligenza, ma l’esperienza di vita alla quale è stata obbligata l’ha dotata anche di un certo cinismo che, inevitabilmente, emerge in lei. Naturalmente, dopo la lunga esperienza monacale, ha molto da recuperare, in particolare, sul piano della vita amorosa: succede che, nel marzo del 1717, nel corso di un’intensa relazione con il fascinoso luogotenente d’artiglieria Louis-Camus Destouches [detto Canon, 1667-1726], rimane incinta e, quindi, decide di tenere nascosta questa gravidanza anche in accordo con Destouches il quale, minacciato dalla propria famiglia per l’imprudenza commessa, non vuole riconoscere questa sua paternità visto che è alle dipendenze del duca Leopoldo Filippo d’Aremberg che lo consiglia a non pubblicizzare l’accaduto per non suscitare scandalo; egli, inoltre, è in procinto di convolare a nozze con una nobile fanciulla il cui padre deve favorire la sua nomina a generale. Di conseguenza, con la complicità di suo fratello Pierre [1680-1758, l’abate Pierre-Paul Guérin de Tencin, poi vescovo di Embrun, e poi - tramite le conoscenze altolocate della sorella - cardinale e arcivescovo di Lione e primate delle Gallie], Claudine si trasferisce in un appartamento in rue Saint-Honoré accanto al convento della Conception, finché il 16 novembre 1717 partorisce un bel bambino che, il giorno successivo, viene abbandonato nella cappella di Saint-Jean-le-Rond attigua alla cattedrale di Notre-Dame che fungeva da battistero della cattedrale, dove viene raccolto dopo poco tempo e consegnato alla gendarmeria e, come voleva la tradizione, viene battezzato e chiamato con il nome del santo protettore della cappella: Jean-Baptiste Le Rond.
Jean-Baptiste rimane appena due mesi nell’orfanatrofio cittadino perché trova subito una famiglia che lo accoglie, e Jean-Baptiste viene adottato da Geneviève-Élisabeth Legrand e da suo marito, il vetraio Pierre Rousseau, che abitano nel quartiere popolare di Les Halles e, non avendo figli e un reddito sufficiente, si dedicano con cura a svezzare questo bambino, e ben presto vengono contattati da un’intermediaria che si presenta a nome di un anonimo benefattore, ma l’anonimo benefattore è Louis-Camus Destouches che, sentendosi in colpa [lui e la sua famiglia], fa pervenire ai coniugi Rousseau un contributo mensile. Pierre e Geneviève [che non sono degli sprovveduti], dopo una breve ricerca, sono in grado di ricostruire la storia della nascita di Jean-Baptiste ma mantengono il segreto, sanno che il contributo che ricevono [l’assegno che ricevono porta la firma del duca Leopoldo Filippo d’Aremberg, del quale - come abbiamo detto - il generale Destouches è alle dipendenze] è destinato a far studiare il bambino che considerano loro figlio a tutti gli effetti e sono ben lieti di dare a Jean-Baptiste un’istruzione adeguata [e saranno orgogliosi di ciò che diventa: una celebrità in campo scientifico].
Jean-Baptiste, a dodici anni, dopo aver ricevuto le basi dell’istruzione da un precettore presso la chiesa di St-Eustache, viene iscritto al collegio giansenista delle Quattro Nazioni [il collegio Mazarino] dove studia filosofia e teologia, diritto e belle arti e nel 1735 consegue la laurea [il generale Destouches, alla sua morte, avvenuta nel 1726, gli lascia - sempre conservando l’anonimato - una rendita annuale di 1200 sterline]. Nel collegio d’impronta religiosa in cui Jean-Baptiste si laurea, gli studenti vengono orientati verso una carriera ecclesiastica e, difatti, gli insegnanti invitano Jean-Baptiste ad approfondire gli studi di teologia ma lui è attratto [fin da quando da bambino frequenta la bottega di vetraio di suo padre Pierre] dalle materie scientifiche, e sono queste discipline [sulle quali il precettore della parrocchia di St-Eustache lo ha ben educato] che lui vuole approfondire affermando: «la teologia è un foraggio piuttosto inconsistente per la mente che, per sviluppare le sue potenzialità, ha bisogno della matematica»; difatti, approfittando della rendita annuale che riceve, si iscrive alla Sorbona ai corsi di matematica, di medicina e di astronomia con il nome di Daremberg che, poi, decide di cambiare in d’Alembert. Dal 1739 Jean-Baptiste d’Alembert inizia a presentare all’Accademia delle Scienze i suoi Studi nel campo della matematica e della meccanica [sull’analisi matematica, sulla rifrazione dei corpi solidi, sulla resistenza al moto esercitata sui corpi immersi nei fluidi non viscosi (il cosiddetto “paradosso di d’Alembert”), sul calcolo integrale e sul calcolo alle derivate parziali e nell’ambito delle equazioni differenziali alle derivate parziali, sull’origine dei venti], tutti Studi che mettono in discussione una serie di principi cartesiani che erano diventati basilari: questi suoi lavori vengono valutati attentamente da una commissione di esperti che li ritiene di grande valore scientifico e Jean-Baptiste d’Alembert, nel maggio del 1741, all’età di ventiquattro anni, viene accolto tra i membri dell’Accademia delle Scienze di Parigi dove porta avanti i suoi studi, i cui risultati vengono pubblicati per essere diffusi in Europa tra gli scienziati. Quattro anni dopo, Federico II di Prussia gli offre per ben due volte la presidenza dell’Accademia delle Scienze di Berlino ma d’Alembert non intende fare carriera ma vuole realizzare qualcosa di nuovo «fuori dal paludato e infiocchettato mondo accademico» [sono parole sue] e questo qualcosa di innovativo si concretizza quando [come ben sappiamo perché questa storia l’abbiamo già preventivamente studiata con abbondanza di particolari] conosce Denis Diderot e, insieme con l’editore Le Breton, progettano e cominciano a comporre l’Encyclopédie.
Nell’introduzione all’Encyclopédie d’Alembert scrive che le facoltà del pensiero da coltivare sono tre: “la memoria” che si deve rafforzare studiando gli avvenimenti legati alla Storia del Pensiero Umano, “la ragione” che va fortificata riflettendo sul significato delle parole-chiave e delle idee-cardine della Storia del Pensiero Umano e “l’immaginazione” che va tonificata praticando l’esercizio dell’arte, in particolare dedicandosi quotidianamente alla lettura, e della poesia, in particolare applicandosi abitualmente nella scrittura.
E noi vogliamo seguire questo consiglio e, difatti, la Scuola c’invita a esercitare la memoria, ad amministrare la ragione e a coltivare l’immaginazione. L’opera più importante di d’Alembert, secondo le studiose e gli studiosi, s’intitola Trattato di dinamica, pubblicata nel 1743, che risulta essere uno studio fondamentale per la fisica moderna. «Tutta la realtà [scrive d’Alembert] esiste e vive in funzione di fenomeni fisici, e la ragione non deve, in quanto non è in grado, occuparsi di metafisica, ma deve studiare i fenomeni naturali senza attribuirli a cause che stanno fuori della natura stessa». D’Alembert studia, sulla scia di Newton, i processi universali del movimento dei corpi, che analizza come fenomeni che stanno in equilibrio dinamico tra loro in ragione delle loro masse: l’equilibrio dell’Universo, scrive d’Alembert, dipende soprattutto da “le forze di inerzia” che, in fisica, in virtù del Trattato di dinamica, vengono chiamate “forze di d’Alembert”, e queste forze vengono calcolate con la famosa, in fisica “equazione differenziale di d’Alembert”. Questi sono tutti problemi [per chi non s’intende di fisica, se non in maniera elementare, come me] molto complicati ma ciò non limita il fatto che, in proposito [come stiamo facendo] si acquisiscano informazioni: quindi, è bene sapere che esiste una importante Legge fisica che riguarda l’equilibrio dell’Universo che si chiama “il principio di d’Alembert”, secondo il quale in ogni istante ogni stato del movimento [perché tutto è in movimento] può essere considerato come uno stato di equilibrio meccanico se si considera il fatto che, nell’ambito del movimento stesso, esistono delle appropriate forze di inerzia, e l’equazione differenziale di d’Alembert permette di calcolare il valore di questo sistema di forze fittizie dette “forze d’inerzia” che sono fondamentali nello stabilizzare l’equilibrio dell’Universo e nel fissare l’equilibrio di ogni corpo, o di ogni veicolo, che si muove nello spazio. Lo studio di d’Alembert costituisce una pietra miliare che ha permesso, nei secoli successivi, lo svolgimento, in campo fisico, di molti altri studi sempre più puntuali e sempre più precisi.
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D’Alembert ha studiato e ha permesso di poter calcolare “le forze di inerzia”… Vi è mai successo di andare avanti – tanto eravate stanche e stanchi - per forza di inerzia: in quale o in quali circostanze?...
Scrivete quattro righe in proposito…
I genitori adottivi di d’Alembert, prima di morire, hanno avuto la soddisfazione di assaporare il successo in campo scientifico di questa persona che loro hanno considerato loro figlio a tutti gli effetti. Quattro anni dopo la morte del vetraio Pierre Rousseau, muore anche Geneviève Legrand la quale sul letto di morte, prima di perdere conoscenza, rivela a Jean-Baptiste, all’amato figlio adottivo che la sta assistendo con dedizione, le sue origini.
Jean-Baptiste d’Alembert ascolta la storia delle sue origini che sua madre adottiva Geneviève gli racconta in punto di morte ma lui ne è già al corrente e ha mantenuto il segreto perché considera Pierre e Geneviève i suoi veri genitori ai quali ha dedicato tutto il suo affetto filiale. Jean-Baptiste sa che, probabilmente, suo padre naturale è il generale Destouches, morto ormai da più di vent’anni, e sa che sua madre è colei che, in questo momento [nella sua terza vita], si fa chiamare Madame de Tencin e gestisce il salotto più prestigioso di Parigi, ed è la pubblica amante del primo ministro, il cardinale Guillaume Dubois, che la utilizza come fonte di preziose informazioni politiche che lei raccoglie nel suo salotto. Jean-Baptiste sa che dopo la morte di Dubois, nel 1723, le cronache attribuiscono a Madame de Tencin molte relazioni amorose e molti traffici sul piano della speculazione finanziaria [dal traffico delle azioni in borsa, al prestito a usura, fino alle corruttele nelle assegnazioni degli appalti pubblici, ed è stata protagonista di un celebre scandalo quando il consigliere d’amministrazione La Fresnais si uccide in casa sua accusandola di averlo frodato e rovinato per cui Madame de Tencin viene condannata a tre mesi di prigione alla Bastiglia, e nella cella vicina alla sua c’è anche Voltaire che è in galera per altri motivi] perché il denaro occupa un posto fondamentale nella vita di Madame de Tencin che, sempre secondo le cronache dell’epoca, arriva a vantare un patrimonio pari a più di cinque milioni di euro attuali.
Madame de Tencin non è intenzionata ad avvicinarsi a suo figlio, che lei ha abbandonato e ha visto diventare una celebrità non solo a Parigi ma in tutta Europa in campo scientifico, ma è soprattutto lui, Jean-Baptiste d’Alembert, che non vuole avere alcun rapporto con questa signora che detesta, e i due, infatti, non s’incontreranno mai [e non poteva che andare così]. I giudizi delle cronache del tempo su Madame de Tencin, contenuti negli articoli scritti sulle Gazzette dell’epoca, non sono teneri nei suoi confronti ma, tuttavia, fanno riflettere sulla condizione della donna: per esempio, in un frammento di articolo il cui autore è Diderot si legge: «La bella e scellerata canonica [in quanto pubblica amante di un cardinale] Tencin dà la caccia all’oro per poterla dare al potere, ed è riuscita a dominare nonostante sia una donna che ha voluto ricusare il ruolo di “animale domestico” che alle donne viene attribuito e, per raggiungere i suoi scopi, si finge anche bigotta, lei che lo è stata così poco».
C’è un motivo per il quale Madame de Tencin va lodata: perché ha fatto, disciplinatamente, uso quotidiano della scrittura, prima di tutto ha scritto centinaia di Lettere e il suo Epistolario è una miniera di informazioni che sono risultate utili alle studiose e agli studiosi per ricostruire molti avvenimenti dell’epoca del Lumi. Madame de Tencin, dopo la morte nel 1743 del cardinale André-Hercule de Fleury, primo ministro del governo francese e suo fedele amico, perde ogni influenza a corte e il suo nome scompare a poco a poco dall’attualità politica e dai circoli letterari. Nonostante sia in possesso di un ricco patrimonio, che gestisce con prodigalità, è una persona delusa, il suo salotto perde lustro, la sua energia si affievolisce a causa della salute precaria e dell’obesità [soffre di una seria malattia di fegato, e anche la vista le s’indebolisce] per cui non esce più dal suo appartamento in rue Vivienne [che attraversa il quartiere del Palais-Royal e il quartiere Vivienne] dove vive da sola sebbene attorniata da un gruppetto di amici fedeli, intellettuali di spicco [che abbiamo avuto il piacere di incontrare strada facendo]: Marivaux, Fontenelle e il dottor Jean Astruc al quale Madame de Tencin lascia ciò che resta del suo patrimonio dopo la sua morte avvenuta l’8 dicembre 1749. Madame de Tencin è entrata nella Storia della Letteratura perché è autrice di un certo numero di romanzi, e uno di questi romanzi ha avuto un successo straordinario in età romantica [così come Lettere di mademoiselle Aïssé a madame C*** che abbiamo già citato, e queste donne scrittrici dell’età dei Lumi hanno il merito di aver anticipato un gusto, una tendenza letteraria].
Il romanzo più famoso di Madame de Tencin s’intitola Le disgrazie dell’amore [Les malheurs de l’amour], pubblicato nel 1747, ed è un’opera nella quale spicca l’elemento autobiografico nel personaggio [diventato famoso in età romantica] della protagonista che si chiama Pauline e che rispecchia la figura di Claudine amareggiata per aver sacrificato invano i suoi sentimenti sull’altare del potere e che ora, in vecchiaia, si ritrova sola e rimpiange di non aver scelto la strada del cuore nella quale invece indirizza il suo personaggio. Attraverso la figura di Pauline Madame de Tencin manifesta la sua morale che contraddice quella che ha caratterizzato il suo stile di vita, una morale vicina all’idea romantica [del romanticismo titanico delle origini] per la quale “amare con furore e con disperazione” porta a raggiungere una condizione di appagamento sublime perché amare significa far dono totale di sé, significa comprendere che per essere felici bisogna comunque rischiare di amare malgrado gli ostacoli che non mancheranno di presentarsi, e anche quando la persona si trova di fronte alla perdita dell’oggetto amato [alle disgrazie dell’amore] deve considerare il fatto che l’affetto donato e ricevuto costituisce una ricchezza che rende la vita degna di essere stata vissuta.
Secondo la scrittrice Simone de Beauvoir [1908-1986, che tutte e tutti voi conoscete anche per il suo lungo sodalizio con il filosofo Jean-Paul Sartre] Madame de Tencin e tutte le altre scrittrici dell’Età dei Lumi [come mademoiselle Aïssé e mademoiselle Julie de Lespinasse che incontreremo tra poco] hanno rappresentato nei loro scritti il modello de “la donna spezzata” perché in loro c’è un segno di qualcosa che si è spezzato rispetto al ruolo che la società le ha attribuito, quello di “ubbidiente e sottomesso animale domestico”; Simone de Beauvoir ha dedicato, nel 1967, a queste autrici dell’età dei Lumi, anticipatrici del gusto e della tendenza letteraria romantica, un’opera intitolata Una donna spezzata, un Libro che è diventato un manifesto per una generazione di donne che, alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, ha operato per dare vita a un movimento di liberazione.
Il Libro Una donna spezzata di Simone de Beauvoir contiene tre racconti che s’intitolano: Una donna spezzata [che dà il titolo al romanzo], L’età della discrezione, e Monologo. Ognuno di questi racconti presenta il ritratto fisico e psicologico di una donna: il primo è il ritratto di una moglie, Monique, il cui marito la informa di avere una relazione con altra donna e, quindi, vede andare in fallimento il suo rassicurante universo familiare senza avere la forza di reagire; il secondo è il ritratto di un’intellettuale il cui figlio, Philippe, invece di seguire il suo esempio, decide di abbandonare gli ideali progressisti della madre per vivere una vita [dopo un buon matrimonio e con un lavoro ben remunerato] in un ambiente socialmente elevato e reazionario che la madre detesta; il terzo è il ritratto di una donna, Murielle, la quale, con un monologo disperato e violento, manifesta tutta la sua rabbia e il suo dolore nei confronti delle disgrazie dell’amore che è stata costretta a subire e si difende fantasticando. Questi tre racconti di Simone de Beauvoir vanno ben oltre la dimensione della denuncia che pure li muove, ma disegnano, con un’implacabile sottigliezza psicologica, i tratti di una crisi che investe il ruolo della donna nella società degli anni Sessanta: le protagoniste dei tre racconti invitano chi legge a compiere una riflessione personale perché si possa poi aprire un dibattito pubblico sul tema dell’amore, del matrimonio, del tradimento, dei rapporti interpersonali, dei sentimenti, del destino delle donne. La questione, sostenuta più di mezzo secolo fa da Simone de Beauvoir e sollevata da quasi tre secoli dalle scrittrici dell’età dei Lumi, rimane irrisolta.
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In biblioteca potete richiedere Una donna spezzata di Simone de Beauvoir in modo da leggere o rileggere i tre racconti che contiene… Se leggendo sorgono nella vostra mente degli interrogativi in relazione ai temi trattati nei racconti: scrivete quattro righe in proposito ...
E ora leggiamo alcune pagine da Una donna spezzata. La protagonista, in piena crisi coniugale, va a trovare la figlia che se ne è andata a vivere negli Stati Uniti d’America. È il dialogo serrato, sotto forma di diario, tra una madre e una figlia: due generazioni a confronto sul tema dell’amore, del matrimonio, del tradimento, dei rapporti interpersonali, dei sentimenti, del destino delle donne.
Simone de Beauvoir, Una donna spezzata
15 marzo, New York
- Tu che ci hai visti vivere, le ho detto, e che eri così critica nei miei riguardi, non aver paura di ferirmi: Cerca di spiegarmi perché tuo padre ha cessato di amarmi.
Lei ha sorriso, con una punta di pietà: - Ma, mamma, dopo tanti anni di matrimonio, è normale che uno smetta di amare la moglie. Sarebbe straordinario il contrario.
- Eppure c’è della gente che si ama per tutta la vita.
- Fanno finta.
- Evidentemente, io ho avuto dei torti. Quali sono?
- Tu, mamma, hai avuto il torto di credere che le storie d’amore durino in eterno. Io l’ho capito: appena comincio ad attaccarmi a uno, ne cerco subito un altro.
- Ma allora, tu non amerai mai!
- Certamente no. Vedi bene a che cosa porta.
- Che senso ha vivere, se non si ama qualcuno!
Non vorrei certo non aver amato Maurice; nemmeno oggi vorrei non amarlo più: vorrei che lui mi amasse.
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D’Alembert è stato sempre orgoglioso dei suoi genitori adottivi e delle sue origini popolari, e con l’aristocrazia ha sempre avuto rapporti difficili, e continua ad abitare nel quartiere di Les Halles, però, nel 1765 si trasferisce in rue Saint-Dominique.
D’Alembert nel 1765 dal quartiere di Les Halles, dove ha vissuto con i suoi genitori adottivi, si trasferisce in rue Saint-Dominique, nel Faubourg St-Germain, il quartiere della rive gauche della Senna, nell’appartamento dove tiene salotto Julie de Lespinasse.
Mademoiselle Julie de Lespinasse [Lione 1732-Parigi 1776] diventa intima amica di d’Alembert [tra loro nasce e perdura un platonico rapporto sentimentale] anche perché i due hanno una storia simile: lei pure è una figlia illegittima, nata da una relazione della moglie del conte d’Albon con un suo amante clandestino, rifiutata dal conte e affidata a due genitori adottivi, Claude Lespinasse e Julie Navarre, i quali, a sei anni, la mandano a Scuola in un convento di Lione dove riceve una buona e solida educazione finché, nel 1754, la marchesa di Deffand [meglio conosciuta come Madame de Deffand] viene a sapere che questa ragazza è sua nipote - scopre che è stato suo fratello, nelle sue scorribande da don Giovanni, a compromettere la contessa d’Albon - e, quindi, accoglie Julie a Parigi come sua dama di compagnia, come lettrice e come scrivana,visto che Madame de Deffand sta perdendo la vista ma vuole continuare, dettandone il testo, a comporre il suo Epistolario. Anche L’Epistolario di Madame de Deffand è stato pubblicato e fa parte di quell’importante repertorio pre-romantico, tutto intriso di sensibilità femminile, che stiamo mettendo in evidenza.
Finché succede che Madame de Deffand s’ingelosisce del successo che questa sua nipote ritrovata riscuote tra i frequentatori del salotto della sua casa quasi tutti intellettuali illuministi coinvolti nella stesura dell’Encyclopedie, che ammirano la sua intelligenza e la sua affabilità [non l’ammirano certo per la ricchezza né per la posizione sociale né tanto meno per la sua bellezza di cui Julie non è proprio dotata] e, di conseguenza, questa zia, che si era dimostrata così disponibile verso di lei, la ricusa e la scaccia dalla sua casa. Ma Julie, con l’aiuto dei suoi illustri estimatori, si stabilisce in un appartamento in rue Saint-Dominique e apre un salotto che diventa il più importante di Parigi perché qui si riuniscono tutti gli intellettuali [a cominciare da Diderot, da d’Alembert, da Voltaire] che stanno partecipando alla costruzione dell’Encyclopédie.
Purtroppo Julie si ammala probabilmente di tubercolosi, e la sua malattia è aggravata dalle sofferenze dovute al fatto di aver vissuto due relazioni amorose conclusesi tragicamente: la prima con il marchese de Mora [figlio dell’ambasciatore spagnolo a Parigi] che ricambia il sentimento di Julie ma, ammalatosi di tubercolosi, deve tornare a Madrid per curarsi e, infine, torna in Francia a Bordeaux per morire a trent’anni tra le braccia dell’amata, mentre la seconda relazione sentimentale viene intrapresa da Julie con il colonnello conte di Guibert, nella quale Julie, inizialmente, trova consolazione dopo la morte di Mora, ma poi questa storia si conclude per lei molto amaramente perché il conte di Guibert la abbandona per sposare una ricca fanciulla.
Ebbene, anche Julie de Lespinasse è entrata nella Storia della Letteratura in virtù delle Lettere che lei ha scritto tanto a Mora quanto a Guibert che sono state pubblicate postume nel 1809, in un volume intitolato Epistolario di Mlle. de Lespinasse - Lettere al Marchese de Mora e Lettere al conte de Guibert, un’opera che ottiene anch’essa un grande successo in età romantica perché porta allo scoperto i sentimenti più profondi di un’eroina [una donna spezzata] che sacrifica tutto per amore anticipando, anche in questo caso, un gusto, una tendenza letteraria. A consolare e confortare [anche con l’aiuto dell’oppio] Julie gravemente ammalata c’è d’Alembert che assiste amorevolmente la sua amica del cuore fino alla morte avvenuta il 22 maggio 1776 [aveva quarantaquattro anni] e, quindi, d’Alembert torna ad abitare nel quartiere popolare di Les Halles.
È doveroso mettere in evidenza [come ha fatto nel 1967 Simone de Beauvoir] le opere delle scrittrici pre-romantiche dell’età dei Lumi le quali, dopo un intenso ma breve successo, sono cadute nell’oblio anche perché l’attenzione sul tema dell’amore, che queste autrici hanno messo in evidenza in tutte le sue sfaccettature con uno sguardo tutto intriso di sensibilità femminile, si è concentrata su un personaggio maschile: nel 1774 a Lipsia un poeta venticinquenne che si chiama Johann Wolfgang Goethe [il quale è nato l’anno in cui è morta Madame de Tencin, autrice - come sappiamo - de Le disgrazie dell’amore che questo giovane ha letto con grande attenzione] fa pubblicare il suo primo romanzo intitolato I dolori del giovane Werther, un libretto in forma epistolare che riesce a incendiare la sensibilità di un’intera generazione quella dello “Sturm und Drang” [Tempesta e Impeto], ma questa è un’altra storia della quale insieme a Goethe ci occuperemo quando viaggeremo sul territorio del Romanticismo. Il personaggio famosissimo di Werther è maturato nella mente geniale di Goethe perché ha avuto modo di riflettere su “la questione di come nasce l’amore” posta nelle sue molte sfaccettature nei testi dei romanzi e degli epistolari delle scrittrici dell’età dei Lumi, anticipatrici del gusto romantico.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
I testi dei romanzi e degli epistolari delle scrittrici dell’età dei Lumi anticipatrici del gusto romantico c’invitano a riflettere su “la questione di come nasce l’amore”… L’amore può nascere dall’approfondimento dell’amicizia, dall’attrazione fisica, dall’incontro di idee, dalla simpatia, dalla tendenza a formare comunità, dal desiderio di sistemazione, dal completamento dei caratteri, dalla paura della solitudine, dall’esigenza di donare, dall’impulso dei sentimenti, dai condizionamenti imposti dalla società, dal bisogno di essere amati, dall’interesse economico, da qualcosa che non si sa dire... Voi quali di queste affermazioni [non più di tre] analizzate dalle autrici dell’età dei Lumi mettereste in evidenza?...
Dopo aver scelto scrivete quattro righe in proposito...
Simone de Beauvoir si è premurata di scrivere in proposito, e noi leggiamo ancora un brano da Una donna spezzata.
Simone de Beauvoir, Una donna spezzata
20 marzo
C’è qualcosa che non suona giusto, in Lucienne. V’è in lei, esito a scrivere la parola, che mi fa orrore, ma è la sola che corrisponda, v’è in lei della cattiveria. Critica, beffarda, pungente, l’ho sempre conosciuta così, ma è con vera acrimonia che fa a pezzi questi che chiama i suoi amici. Quanto le piace, dirgli delle verità sgradevoli! In realtà sono semplici conoscenti. Ha cercato di farmi conoscere della gente, ma in generale vive molto sola. La cattiveria è una difesa: contro che cosa?
Le ho domandato: - Trovi anche tu, come tuo padre, che [tua sorella] Colette ha fatto un matrimonio idiota?
- Ha fatto il matrimonio che doveva fare. Lei non sognava altro che l’amore. Era fatale che s’imbarcasse col primo ragazzo che avesse incontrato.
- E sarebbe colpa mia, se lei è così?
Si è messa a ridere, di quel suo riso senza gioia:
- Tu hai sempre avuto un senso molto esagerato delle tue responsabilità.
Ho insistito. Secondo lei, la cosa che più conta, nell’infanzia, è la situazione psicoanalitica, che si crea all’insaputa dei genitori, e quasi loro malgrado. L’educazione, in ciò che ha di cosciente, di deliberato, è del tutto secondaria. Le mie responsabilità sarebbero nulle. Magra consolazione. Io non pensavo certo di dovermi difendere di un’eventuale colpevolezza: le mie figlie erano il mio orgoglio.
Le ho anche domandato: - Tu, come mi vedi? Mi ha guardata, stupita.
- Voglio dire: come mi descriveresti.
- Sei francese, molto “soft”, come dicono qui. E molto idealista, anche. Manchi di difesa, è il tuo solo difetto.
- Il solo?
- Ma sì. A parte questo, sei viva, allegra, simpatica.
... continua la lettura ...
D’Alembert torna ad abitare nel quartiere popolare di Les Halles, e negli ultimi anni della sua vita continua a dedicarsi ai suoi studi scientifici e partecipa, spesso con spirito assai polemico, a tutte le dispute in ambito accademico e a tutte le discussioni che animano la stesura dei testi dell’Encyclopédie, ma si dedica anche ad altro.
D’Alembert, essendo un ottimo latinista, si dedica alla traduzione delle due maggiori opere, le Storie e gli Annali, dello storico Pubblio [o Gaio] Cornelio Tacito [56 circa-116 circa] che ha una visione della Storia pessimista e anche tragica, la quale si riproduce per necessità: Tacito dimostra, con la sua analisi, che i grandi protagonisti della Storia sono quasi sempre inconsapevoli e inclini alla violenza, e le masse tendono sempre, per ignoranza, a farsi influenzate dalla propaganda e finiscono per agire contro i loro stessi interessi. D’Alembert ammira lo stile coinciso e allusivo di Tacito e il modo in cui utilizza il lessico introducendo nuovi significati.
D’Alembert muore il 29 ottobre 1783 e quest’opera di traduzione [secondo Diderot che muore l’anno dopo] risulta essere il suo testamento politico: D’Alembert definisce Tacito lo storico della fine della libertà repubblicana, della degenerazione del senato, delle nefandezze degli imperatori, lo storico di “un’età di tiranni” dall’opera del quale è necessario imparare la Lezione [difatti anche la Rivoluzione auspicata da d’Alembert finirà per generare tirannie]. D’Alembert, in base alle sue ultime volontà, viene sepolto senza funerali religiosi in una tomba anonima del cimitero periferico dei Porcherons che, nel 1847, è stato chiuso e non esiste più [dal 1859 c’è un cenotafio di D’Alembert nelle Catacombe di Parigi all’altezza di rue Faubourg-Montmartre].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
D’Alambert nel suo testamento cita La morte di Seneca [che si toglie la vita per denunciare la tirannia di Nerone] raccontata da Tacito nei paragrafi 62-63-64 del Libro XV degli Annali...
Leggete o rileggete il testo di questi tre paragrafi che trovate sulla rete e in biblioteca...
Adesso per celebrare la Pasqua [come è tradizione] concludiamo facendo riferimento a papa Gregorio Magno [del quale D’Alembert approva l’operato] il quale, nell’anno 590, ha redatto - nel secondo Libro dei suoi Dialoghi - la Regola di San Benedetto che corrisponde a un programma politico [una giornata che prevede quattro ore per lavorare, quattro ore per studiare, quattro ore per pregare e per riflettere, quattro ore per prendersi cura di sé e degli altri, otto ore per riposare] che attuato concretamente ha risollevato le sorti dell’Europa dopo “la [cosiddetta] caduta dell’Impero romano d’Occidente” [provocando una Rinascita] e, in un periodo critico come l’attuale, sul significato del “benedetto progetto politico gregoriano” bisognerebbe promuovere una riflessione universale.
E ora, come è tradizione, ricordiamo solo un frammento di ciò che scrive papa Gregorio Anicio nei suoi Dialoghi [e vi sia anche di ammonimento per compilare il Questionario che avete ricevuto].
Gregorio Magno, Dialoghi
La luce che risplende nelle tenebre dell’ignoranza è generata dallo studio, e chi studia comincia a risorgere. …
E, di conseguenza, “studiare” [cioè prendersi cura della propria anima, del proprio intelletto e del proprio corpo] è un gesto pasquale per eccellenza da coltivare per rivendicare il nostro diritto-dovere all’Apprendimento permanente. Studiare è cominciare a risorgere perché lo studio è cura: stimola il sistema immunitario e rinfranca e ritempra lo spirito rendendoci consapevoli del fatto che non dobbiamo mai perdere la volontà d’imparare. Per questo la Scuola è qui e il viaggio continua [mercoledì 12 aprile a Bagno a Ripoli, giovedì 13 aprile a Tavarnuzze e venerdì 14 e 21 aprile a Firenze] e, per concludere questo rituale, anche quest’anno scenda su di noi l’augurio di una buona Pasqua di studio perché “chi studia continua a risorgere ogni giorno alla vita” perché lo studio è cura.
E fate ruzzolare l’uovo secondo tradizione! Auguri!...
PER INVESTIRE IN INTELLIGENZA ...
parola per parola … idea per idea ...
Leggi con attenzione le parole contenute nel riquadro, sono termini che emergono
in particolare sul territorio del secolo dei Lumi e lo caratterizzano...
il progresso, la filantropia, il cosmopolitismo, l’utilità, la felicità,
l’esperienza, la sensazione, la fraternità, la voluttà, la legalità,
l’indipendenza, l’uguaglianza, l’universalità, la tolleranza
Scegline non più di due .....................................................................................................................................
Quale di questi obiettivi emergenti nel corso del secolo dei Lumi,
pur tutti importanti da raggiungere, vuoi mettere in evidenza?...
Scegline – con una crocetta sul quadratino, non più di due...
□ Riflettere sulla condizione umana ...
□ Valutare la complessità umana ...
□ Prendere coscienza dell’identità terrena ...
□ Curare la gestione dell’incertezza ...
□ Favorire la comprensione tra umani ...
□ Governare secondo i principi democratici ...
□ Proclamare la cittadinanza planetaria di ogni persona ...