ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»
PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica nel secolo dei Lumi
12-13-14 e 21 aprile 2023
SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI
C’È CHI INSEGNA A UNA GENERAZIONE
DI INTELLETTUALI “L’ARTE DELLA CONTESTAZIONE” …
Questo è il dodicesimo itinerario [il terzultimo] del nostro viaggio sul territorio del secolo dei Lumi e prima della pausa pasquale abbiamo fatto conoscenza con Diderot, con d’Alembert e con le cosiddette scrittrici [Madame de Tencin, mademoiselle Aïssé, Madame de Deffand, mademoiselle de Lespinasse] che hanno anticipato, soprattutto con i loro testi epistolari, il gusto e lo stile romantico. Questa sera, come abbiamo anticipato prima della vacanza pasquale, dobbiamo incontrare colui che viene considerato il più brillante scrittore dell’Illuminismo: François-Marie Arouet detto Voltaire, e la comparsa sul nostro Percorso di questa figura fa sì che si aprano degli scenari di vaste proporzioni in ragione alle competenze attribuite a questo personaggio: difatti, si parla di lui in quanto filosofo, drammaturgo, storico, poeta, aforista, enciclopedista, autore di fiabe, romanziere, saggista.
François-Marie Arouet detto Voltaire è uno di quei personaggi che [insieme a Montesquieu, a Loche, a Diderot, a d’Alembert, a d’Holbach, a Rousseau, tutte figure gravitanti attorno al progetto dell’Encyclopédie] ha saputo, per primo, ben sintetizzare le idee del secolo dei Lumi mediante una serie di Opere che si caratterizzano per l’ironia, per la chiarezza dello stile, per la vivacità dei toni, per la polemica contro le ingiustizie e le superstizioni, per aver diffuso l’ideologia deista cioè i principi di una religione naturale che considera la divinità estranea al mondo e alla storia, e ancora per aver divulgato nelle sue opere lo scetticismo e lo spirito laico, e per aver sostenuto la propaganda anticlericale e il pensiero razionalista. Le Opere di Voltaire, così come quelle degli altri filosofi illuministi, hanno ispirato e influenzato le scelte di molti politici e intellettuali del tempo come, in particolare, i protagonisti della Rivoluzione americana del 1776 e di quella francese del 1789 e hanno propiziato le riflessioni di molti filosofi successivi, da Karl Marx a Friedrich Nietzsche.
Prima però di conoscere le sue Opere più importanti [anche per propiziarne la lettura o la rilettura] ci dobbiamo domandare: chi è François-Marie Arouet detto Voltaire? François-Marie Arouet è nato a Parigi il 21 febbraio 1694. Il registro dei battesimi porta come sua data di nascita quella del 21 novembre ma lui ha sempre sostenuto di essere stato battezzato e registrato con nove mesi di ritardo perché i suoi genitori erano ferventi giansenisti e nei loro confronti c’era la censura ecclesiastica per cui venivano loro negati i sacramenti: sapete che nel 1713, con la bolla Unigenitus, papa Clemente XI, su sollecitazione del re Luigi XIV, condanna il Giansenismo come eresia. Ebbene, suo padre, François Arouet [originario di Saint-Loup, una piccola località del dipartimento di Deux-Sèvres, nella regione della Nuova Aquitania: fate una visita a questi luoghi navigando in rete], nel 1675 si era trasferito a Parigi e, mettendo con sollecitudine a frutto i suoi studi di giurisprudenza all’Università di Bordeaux, aveva rapidamente fatto carriera: prima si era affermato come avvocato e poi è diventato un ricco notaio nominato “consigliere del re” con la carica [equivalente a quella di un ministro] di alto funzionario fiscale: doveva programmare la raccolta dei tributi per un re molto spendaccione. Nel 1683 François Arouet si sposa con Marie Marguerite d’Aumart [1660-1701] una ragazza di nobili origini, e François-Marie, al quale vengono dati i nomi del padre e della madre, è l’ultimo dei cinque figli della coppia [tre maschi che sono tutti morti in giovane età, mentre lui e la sua amatissima sorella Marie sono sopravissuti più a lungo]. François-Marie perde la madre a soli sette anni e viene cresciuto dal padre [che vive fino al 1722] con il quale ha sempre avuto un rapporto molto conflittuale.
Nel 1704 François-Marie viene mandato a studiare nel più quotato istituto parigino dell’epoca: il collegio Louis-le-Grand gestito dai gesuiti e ci resta per sette anni fino al 1711. Suo padre vuole che lui segua le sue orme sulla via della giurisprudenza e ha impostato il piano di studi di François-Marie in questo senso.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il collegio Louis-le-Grand, fondato nel 1563, è oggi un Lycée [una Scuola secondaria di secondo grado che offre sia corsi di Scuola superiore che di preparazione a livello universitario per studentesse e studenti intenzionati ad accedere alle Grandes Écoles, a quel ristretto numero di istituti predisposti per la formazione degli alti funzionari pubblici]... E il grande edificio del collegio Louis-le-Grand si trova sempre in rue Saint-Jacques, nel cuore del Quartiere latino, nell’area universitaria parigina, di fronte alla Sorbona e di fianco al Collège de France… Navigando in rete potete vedere delle immagini riguardanti questa istituzione e potete leggerne la storia…
François-Marie, ancor prima di assumere il nome di Voltaire, si esprime spesso in modo critico nei confronti della sua esperienza presso il collegio Louis-le-Grand [biasima un regime di vita troppo infarcito di pratiche religiose e devozionali] però, per contro, ha sempre lodato il fatto di aver potuto beneficiare del grande fermento intellettuale presente in questa istituzione: ha elogiato il modo in cui è stato educato allo studio perché i suoi insegnanti hanno saputo tener conto dei suoi interessi culturali, dei suoi desideri e delle sue attitudini intellettuali tanto che lo hanno assecondato nelle scelte che lui ha fatto contro i voleri di suo padre che si è irritato moltissimo quando François-Marie, appena uscito dal collegio, ha deciso che non si sarebbe dedicato alla giurisprudenza [sebbene si sia impegnato in collegio a studiare questa branca del sapere] ma che avrebbe intrapreso la via della letteratura, del teatro e della filosofia. Voltaire ricorderà sempre con affetto i suoi insegnanti a cominciare dal padre gesuita professore di scienze umane, di teologia e di filosofia René-Joseph de Tournemine, nato a Rennes nel 1661 da famiglia nobile e morto a Parigi nel 1739, e fondatore, nel 1701, di quello che viene considerato il periodico più significativo dell’Ordine dei Gesuiti e uno dei giornali più importanti del secolo dei Lumi: il Journal de Trévoux Memoires pour l’Histoire. Des Sciences e de beaux Arts. Trévoux è il nome della cittadina a nord di Lione - nella storica regione del Rodano - dove questo Journal viene stampato.
Il collegiale François-Marie, con la mente sveglia che si ritrova - seguendo i serrati dibattiti proposti da questa rivista - ha iniziato fin da giovanissimo studente a occuparsi del tema dell’ateismo e dell’anticlericalismo e comincia a condividere le idee su cui si fondono questi due temi sebbene la rivista li combatta; inizia a conoscere e a condividere il pensiero di Spinoza, sebbene la rivista denigri la filosofia spinoziana, e a conoscere il pensiero di Leibniz, sebbene la rivista screditi il modo in cui Leibniz pone la questione del rapporto tra la mente e il corpo che invece il collegiale François-Marie condivide. Voltaire apprezzerà sempre l’indipendenza e l’imparzialità di giudizio del professor de Tournemine che non ha mai mancato di criticare anche autori appartenenti al suo Ordine, i Gesuiti, e qualche anno dopo, quando Voltaire comincia a comporre le sue Tragedie e viene duramente attaccato dai recensori gesuiti, de Tournemine scrive e pubblica sulla sua rivista articoli in cui loda l’arte di Voltaire paragonando la sua scrittura a quella dei tragediografi [Sofocle ed Euripide in particolare] dell’antichità: «Gli abbiamo insegnato nel nostro Collegio a scrivere bene» afferma orgogliosamente padre de Tournemine e Voltaire gli è grato per la stima e l’incoraggiamento che riceve anche se non condivide lo stesso pensiero in materia di ortodossia religiosa.
Ma la persona con la quale l’adolescente François-Marie stringe un’amicizia duratura è il suo insegnate di retorica per il quale nutre una vera e propria venerazione, padre Charles Porée, nato a Vendes in Normandia nel dipartimento del Calvados nel 1675 e morto a Parigi nel 1741.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Vendes è una piccolissima località di appena 309 abitanti che si trova vicino alla storica cittadina di Bayeux (di circa 14mila abitanti) dove - con una guida della Francia e navigando in rete - si può visitare un’imponente Cattedrale gotica e poi ci si può documentare, nella sede del “Centro Guglielmo il Conquistatore”, sul celebre Arazzo di Bayeux: fate un’escursione a Vendes e a Bayeux, incuriositevi...
Padre Charles Porée è stato anche insegnante di Diderot, di d’Alembert e di molti altri pensatori illuministi ed è un valido educatore perché è soprattutto un artista molto attivo a motivare i suoi studenti principalmente in ambito letterario: è un quotato poeta [ha pubblicato molte opere], un buon compositore di oratori, un saggista molto arguto e uno scrittore di raffinati testi teatrali [Porée lascia sei tragedie e cinque commedie d’impronta classica] messi in scena nel teatro del collegio Louis-le-Grand,dove sono gli studenti che recitano, e i testi di queste Opere sono orientati a mettere in evidenza problematiche contemporanee: è per questo motivo che Voltaire si appassiona a un’arte, quella del teatro, che ha praticato per tutta la vita. Ma padre Porée insegna ai suoi studenti - e a Voltaire in particolare - ad amare il latino e le Opere degli autori [come Ovidio, Virgilio, Orazio, Lucano, Seneca, Cicerone e Aulo Persio] che hanno scritto in questa lingua da considerarsi viva [viene anche criticato per il suo metodo d’insegnamento del latino considerato poco accademico]. E poi padre Porée invoglia anche i suoi studenti a studiare le lingue moderne, e Voltaire segue questo consiglio e si ritrova a parlare in modo fluente e a scrivere correttamente, oltre al francese, l’inglese, l’italiano e lo spagnolo, e se la cava pure con il tedesco, pur avendo bisogno del dizionario. Inoltre padre Porée introduce i suoi studenti nei Circoli filosofici parigini, anche in quelli dove si professa il pensiero libertino [come la Societé du Temple, “il famigerato covo dei Libertini”, a detta dei funzionari di corte], nei quali viene invitato spesso a tenere conferenze sul ruolo del teatro e sulla storia della letteratura e soprattutto a leggere le sue composizioni poetiche: François-Marie è lo studente più assiduo nel seguire il suo professore e frequentandolo impara “l’arte [perché di arte si tratta] della contestazione”. Padre Charles Porée fa apprendere a una generazione di intellettuali [quella dei nuovi filosofi parigini dell’età dei Lumi] “l’arte della contestazione”, e secondo il suo insegnamento il termine “contestazione” [dal latino “contestatio” che significa “testimonianza, attestazione”], oltre a essere usato in termini giuridici, comincia anche ad avere, utilizzato in chiave moderna, un significato riguardante l’atteggiamento fortemente critico e di opposizione, specialmente da parte dei giovani, nei confronti delle strutture sociali, economiche, culturali dell’età contemporanea, in questo caso le strutture dell’Antico regime, ritenute ormai sorpassate e completamente da rinnovare. Naturalmente per padre Porée “l’arte della contestazione” non può essere finalizzata solamente a una sterile attività di protesta ma bensì deve presentarsi come un esercizio creativo del pensiero e, quindi, chi pratica quest’arte deve impegnarsi sul piano letterario nella produzione poetica in chiave satirica componendo tragedie, commedie, apologhi, parabole, favole allegoriche, racconti: e Voltaire si applicherà ben presto proprio in questa maniera secondo la lezione di padre Porée nell’arte della contestazione [ed ecco come Voltaire impara a essere Voltaire!].
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Quale di questi termini - critica, esame, valutazione, polemica, opposizione, contrasto, dibattito, disputa, dissenso o quale altro - mettereste per primo accanto alla parola “contestazione”?... Leggere i termini contenuti in un catalogo, fare la scelta richiesta e renderla palese per iscritto è un utile esercizio creativo che rafforza la funzione del pensiero... Attivatevi intellettualmente...
Nel 1711, quando François-Marie lascia il collegio Louis-le-Grand, s’iscrive, per volere paterno, alla Scuola superiore di Diritto [direttamente collegata alla Sorbona] ma resiste per soli quattro mesi e, di conseguenza, il rapporto con il padre s’inasprisce.
François-Marie vuole rendersi indipendente e per mantenersi emigra in Olanda dove, in virtù delle sue competenze, trova lavoro come segretario all’Ambasciata francese all’Aja e poi, dopo due anni, torna a Parigi e viene assunto nello studio di un notaio [e questo lo riavvicina al padre che decide di non diseredarlo e difatti quando il padre muore, nel 1722, François-Marie eredita una parte piuttosto consistente di beni] ma, da questo momento, comincia anche a dedicarsi all’arte della contestazione secondo l’insegnamento ricevuto da Padre Charles Porée, scrivendo articoli caustici e versi satirici in cui denuncia i comportamenti, spesso deleteri, di chi detiene il potere.
Voltaire [il quale non ha ancora deciso di firmarsi con questo pseudonimo] riceve numerose diffide da parte di chi detiene il potere a causa degli articoli caustici e dei versi satirici che scrive denunciando i comportamenti deleteri di una classe inetta di governanti; tutti questi Scritti, per contro, trovano immediato successo nei salotti parigini per cui François-Marie Arouet le Jeune (Arouet il giovane, come viene chiamato per distinguerlo da suo padre che porta lo stesso nome) si guadagna una certa notorietà. Ma, nel 1716, in relazione alla sua attività di editorialista satirico subisce un provvedimento disciplinare e viene mandato, per un anno, in esilio sotto controllo della gendarmeria locale a Tulle [Tula in occitano] - cittadina della Nuova Aquitania, oggi di circa 15mila abitanti, nel dipartimento della Corrèze, soprannominata “la città dei sette colli” - un comune che ha costruito la sua fama soprattutto sulla manifattura [la lavorazione delle armi e la fabbricazione delle fisarmoniche] e, principalmente, sull’artigianato del merletto: difatti questa cittadina ha dato il nome a un celebre tessuto, il tulle, creato da fili che si intrecciano in modo molto aperto dando origine a una rete trasparente che ha la caratteristica di essere molto stabile garantendo, quindi, la massima vestibilità.
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Con la guida della Francia e navigando in rete fate una visita a Tulle per osservare la sua dislocazione geografica e i suoi monumenti... È probabile che nei vostri guardaroba [e ci si riferisce soprattutto alle signore] ci sia anche qualche capo in tulle…
Incuriositevi e scrivete quattro righe in proposito...
Voltaire [anche provocatoriamente] riferisce di essersi trovato molto bene a Tulle nonostante fosse praticamente agli arresti domiciliari e l’esperienza dell’esilio non lo ha per nulla intimorito ma ha contribuito a rafforzare in lui l’idea di quanto sia da contrastare un regime autoritario come quello fondato sulla monarchia assoluta che nega il diritto al libero pensiero.
Quando torna a Parigi dall’esilio a Tulle, nel 1717, Voltaire [che non ha ancora deciso di firmarsi con questo pseudonimo] non può fare a meno di mettersi subito a scrivere sugli avvenimenti che riguardano la Francia in questo momento e, di conseguenza, viene condannato a un anno di reclusione alla Bastiglia per aver composto e divulgato un violento e pungente Scritto satirico contro il Duca Filippo d’Orléans che sta ricoprendo il ruolo di reggente facendo le veci di Luigi XV che è ancora un bambino: infatti, quando nel 1715 muore Luigi XIV [il Re Sole] l’erede al trono, Luigi XV, pronipote del Re Sole, ha solo cinque anni e, quindi, prima che raggiunga il tredicesimo anno di età previsto per poter essere incoronato, è necessaria la figura di un reggente, e la reggenza al trono [per le sue qualità di figura moderata e ragionevole] toccherebbe, secondo ciò che si legge sul testamento del Re Sole, a Luigi Augusto di Borbone ma, a corte, si verifica una sorta di colpo di Stato perché Filippo II d’Orléans, nipote di Luigi XIV, con l’appoggio dell’aristocrazia più retriva riesce [«Con una truffaldina manovra di palazzo ben orchestrata e falsificando il testamento del Re Sole», come denuncia Voltaire nel suo Scritto satirico] a farsi nominare reggente dal Parlamento, e il periodo che va dal 1715 al 1723, detto della Reggenza, è stato uno dei più contraddittori e corrotti della storia di Francia. Le scelte operate da Filippo II d’Orléans, compiute per garantirsi il potere, producono effetti deleteri per lo Stato francese: estromette i cittadini di ceto borghese [che erano indubbiamente più competenti] da tutte le cariche istituzionali e affida tutti i posti di potere agli aristocratici più oscurantisti [quelli che lo hanno appoggiato nella sua ascesa truffaldina] i quali, avvezzi a vivere di rendita, non hanno nessun senso dell’amministrazione pubblica contrariamente ai funzionari borghesi che sono più versati in campo finanziario: di conseguenza, a causa dei loro scriteriati provvedimenti il debito pubblico sale vertiginosamente e diventa immenso e lo Stato francese [come denuncia Voltaire nel suo Scritto satirico] si ritrova sull’orlo della bancarotta ma, evidentemente, la satira [soprattutto quando mette in evidenza l’amara verità] non viene tollerata. E poi in questo Scritto satirico Voltaire allude anche al fatto [che gli è stato rivelato da un informatore della polizia alla gendarmeria di Tulle poco prima del suo ritorno a Parigi] che tra Filippo II d’Orléans [che ha fama di essere un individuo piuttosto depravato e non ne fa mistero: infatti, non solo si dichiara ateo ma vuole manifestare la sua blasfemia e partecipa alle funzioni religiose con un atteggiamento irrisorio soprattutto in tempo di Quaresima], ebbene, Voltaire allude al fatto che tra Filippo II d’Orléans e sua figlia primogenita, Marie Louise duchessa di Berry, vi sarebbe un rapporto incestuoso e la fanciulla, rimasta incinta, avrebbe anche partorito di nascosto nel suo castello a La Muette. L’allusione di Voltaire [che scrive: «Colui che del Regno regge le sorti / è tanto amato dalla sua figliuola / che Lei benevolmente lo gratifica / rendendolo padre e nonno in una volta sola»] scatena l’ira della corte e suscita molti pettegolezzi sarcastici nei salotti parigini [dove già, seppure a bassa voce, si chiacchierava in proposito] e, inoltre, aumenta il disappunto delle masse popolari nei confronti dell’istituzione monarchica quando la notizia si diffonde.
In carcere Voltaire non rimane inattivo: si procura carta, penna e calamaio e compone in versi alessandrini la prima delle sue “tragedie filosofiche” che, proprio in relazione al tema dell’incesto, s’intitola Edipo [e se non ricordate il mito di Edipo potete leggere o rileggere i testi che lo raccontano riportati tanto dall’enciclopedia di carta quanto da quelli che compaiono sul video della rete]: Edipo-re è una figura emblematica sulla quale nei secoli, a cominciare da Sofocle e da Seneca, è stata scritta una moltitudine di Tragedie, e Voltaire interpreta questa figura in termini razionali e allusivi: infatti i personaggi mitici di Edipo e di Giocasta lasciano chiaramente trasparire quelli reali di Filippo II d’Orléans e della duchessa di Berry. Questa trasposizione apre le porte alle successive rivisitazioni che ha avuto [e che continua ad avere] in chiave moderna il personaggio di Edipo [e questa figura, nel tempo, si è connotata di un carattere prima romantico, poi simbolista, e poi ancora surrealista e psicoanalitico]. Quando torna in libertà, nel 1718, Voltaire [che per la prima volta ha firmato la sua opera teatrale con questo pseudonimo] viene invitato dalla Comédie-Française [dalla compagnia Quinault-Dufresne] a mettere in scena l’Edipo, e la prima rappresentazione di questa tragedia è avventa il 18 novembre 1718 ed è stata accolta da un successo di pubblico che ha segnato l’inizio della fortuna teatrale e anche della fama di Voltaire che però, suo malgrado, non può essere presente in teatro dove sarebbe stato sicuramente osannato dal pubblico nella Salle des Fossés-Saint-Germain, sede all’epoca della Comédie-Française. E c’è da dire che al successo di quest’opera ha contribuito anche involontariamente Filippo II d’Orléans perché appena viene a sapere che l’allusiva tragedia di Voltaire sta per essere rappresentata decide di intervenire partecipando allo spettacolo: non utilizza come si sarebbe potuto pensare lo strumento della censura [lui vuole apparire come un despota illuminato] ma si comporta in modo sprezzante [«Come si comportano i tiranni rappresentati nelle Tragedie», afferma con ironica supponenza] e, dopo aver ordinato [ufficialmente per motivi di ordine pubblico] ai gendarmi della sua guardia del corpo di prelevare e di trasferire Voltaire in momentaneo esilio a Châtenay-Malabry [e il Consiglio comunale di questa cittadina (di circa 33 mila abitanti) dell’Île-de-France nel dipartimento dell’Alta-Senna, ha deciso all’unanimità qualche anno fa, di erigere su di una piazza un busto raffigurante Voltaire in ricordo di questa sua visita forzata, e potete osservarla in rete l’immagine di questo monumento con la quale questa località ha deciso di presentarsi]. Ebbene, la prima di Edipo di Voltaire si svolge [in un clima di forte tensione, i biglietti vanno a ruba, la sala è gremita all’inverosimile] alla presenza del reggente Filippo II d’Orléans accompagnato dalla sua figlia primogenita, la duchessa di Berry, in avanzato stato di gravidanza e questo fatto genera tra il pubblico una situazione talmente paradossale che contribuisce ulteriormente come si è detto al successo della prima tragedia di Voltaire, che a breve viene replicata ben 44 volte. Filippo II d’Orléans ha voluto imporsi con spudorata ironia nei confronti di Voltaire ma il pubblico presente in sala ha assunto un atteggiamento astioso verso di lui, e lui, che si ritiene un esperto conoscitore del genere teatrale e un grande intenditore e collezionista d’arte, si premura [ed è costretto a farlo] di lodare pubblicamente l’autore del dramma appena rappresentato rammaricandosi, ipocritamente, di non potersi complimentare personalmente con lui a causa della sua ingiustificata assenza [ma il pubblico sa come sono andate le cose e Voltaire, senza colpo ferire e senza fare motto, esce vincitore in questa disputa e quando torna a Parigi tutti i salotti se lo contendono].
Voltaire - sulla scia di questo successo - è invogliato a scrivere per il teatro e ha prodotto ben 28 tragedie [e tra le più rappresentate possiamo citare: Bruto del 1730, Zaira del 1732, La morte di Cesare del 1735]: inoltre ha scritto 11 commedie, 5 libretti d’opera e 6 poemi predisposti per essere recitati sul palcoscenico: tutte queste composizioni hanno avuto un notevole successo e spesso hanno provocato l’intervento della censura come, per esempio, nei confronti dell’opera eroicomica La Pulzella d’Orléans del 1755, una pungente satira contro il culto patriottico-religioso strumentalizzato in chiave nazionalistica di Giovanna d’Arco, processata dal Tribunale dell’Inquisizione, condannata per eresia, arsa viva il 30 maggio 1431 e poi riabilitata nel 1456 e, infine, beatificata.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Volendo potete - utilizzando la biblioteca e navigando in rete - informarvi in modo più approfondito sulle opere teatrali di Voltaire... Per farlo potete seguire gli stessi consigli che sono stati dati quando, nel terzo itinerario di questo viaggio, abbiamo citato le Tragedie di Vittorio Alfieri... Per quanto riguarda il tema attinente al celebre personaggio di Giovanna d’Arco [che Voltaire utilizza in chiave anti-nazionalistica e anti-clericale] è doveroso ricordare due libri che potete richiedere in biblioteca: Il processo di condanna di Giovanna d’Arco a cura di Teresa Cremisi [sulla rete potete leggere l’Introduzione intitolata Una ragazza in armi] e Giovanna d’Arco romanzo popolare in sei canti in ottave e un epilogo di Maria Luisa Spaziani [1922-2014]...
Entrambe queste opere sarebbero piaciute molto a Voltaire...
Si è detto che Voltaire firma per la prima volta il testo della tragedia Edipo con questo pseudonimo e qual è il motivo per cui sceglie questo nome d’arte?
Il fatto che Voltaire abbia scelto di firmarsi con questo pseudonimo è un problema che non ha mai trovato soluzione e, in proposito, le studiose e gli studiosi hanno fatto varie ipotesi. Si sa che l’uso dello pseudonimo è, nel ‘600 e nel ‘700, molto diffuso in particolare nell’ambiente teatrale. François-Marie Arouet avrebbe scelto di chiamarsi Voltaire prima di tutto per distinguersi da suo padre con il quale condivide il nome e, quindi, “Voltaire” potrebbe derivare dall’anagramma di Arouet le Jeune [Arouet il Giovane, come veniva chiamato proprio per distinguerlo dal padre] e questa è la teoria più diffusa: ma c’è chi ha pensato che lo pseudonimo faccia riferimento all’anagramma del luogo d’origine della famiglia Arouet, vale a dire la cittadina di Airvault che si trova nella regione della Nuova Aquitania; poi c’è chi ha teorizzato che Voltaire abbia scelto questo pseudonimo per trasmettere una sensazione di agilità e di leggerezza [di destrezza e di acume della mente] che possa accreditare una persona “in rivolta” contro l’ordine dell’antico regime. A noi, infine, piace pensare [ed esiste una tesi in proposito] che Voltaire abbia scelto questo pseudonimo come omaggio alla antichissima città etrusca di Volterra, e difatti nei suoi Scritti cita spesso brani tratti dall’opera del poeta Aulo Persio detto il Volterrano [un personaggio che abbiamo incontrato una decina di anni fa sul territorio della sapienza poetica e filosofica dell’età tardo-antica] il quale appartiene a una ricca famiglia di Volterra dove è nato nel 34 d.C. e, in seguito alla morte del padre [dopo che la famiglia si era trasferita a Roma], viene allevato da una madre volitiva, intelligente e colta, Fulvia Sisenna [dal cognome si capisce l’origine etrusca di questa signora].
E Voltaire approva che noi ora ricordiamo seppur brevemente Aulo Persio prima di parlare di lui come autore perché questo personaggio [indipendentemente dal tema dello pseudonimo attribuitosi da Voltaire] ha decisamente influito sulla sua formazione intellettuale. Aulo Persio, giovandosi dell’educazione che ha ricevuto prima a Volterra e poi a Roma insieme a Lucano alla Scuola del filosofo stoico Lucio Anneo Cornuto, diventa un importante scrittore di Satire composte in versi esametri sul modello di quelle di Orazio. Il Libro che contiene le sei Satire di Persio [i 669 versi esametri, pubblicati postumi, che ci sono pervenuti] è scritto con un linguaggio ricercato e oscuro [che è stato definito di carattere sperimentale per il modo in cui è stato redatto], un linguaggio dotato di poche espressioni volgari e di pochi termini osceni [tipici della satira tradizionale] ma soprattutto ricco di toni ironici e parodistici che formano un misto di gerghi popolari e di repertori retorici sofisticati e spesso enigmatici: leggere le Satire di Persio non è facile e, per farlo, non solo bisogna conoscere bene il latino ma anche la storia della lingua latina perché Persio attinge al patrimonio linguistico antico per coniare termini nuovi adatti a descrivere l’attualità della sua epoca, l’epoca neroniana. Voltaire ha potuto conoscere, comprendere e applicare questa strategia lessicale perché, come abbiamo ricordato, si è giovato della straordinaria competenza dei suoi insegnanti del collegio Louis-le-Grand gestito dai gesuiti [dell’ingegno di Padre Charles Porée in particolare, ed ecco come Voltaire impara a scrivere come Voltaire!]. Il Libro delle Satire di Aulo Persio contiene anche, messi in poesia, i concetti morali della filosofia stoica non presentati con un tono precettistico ma descritti attraverso significativi quadri [exempla, in latino] di vita quotidiana, e mostrati attraverso scene esemplari [rivolte contro la superstizione, l’ipocrisia, l’avarizia, l’ozio] che mettono a nudo il degrado morale a cui può giungere la natura umana. Di conseguenza, anche Aulo Persio è da annoverarsi tra quei pensatori classici che coltivano “il [cosiddetto] pessimismo ragionevole” [come l’epicureo Lucrezio, come il tragediografo Seneca, come l’apostolo Paolo di Tarso, come il poeta epico Lucano] e anche Voltaire - proprio perché nella sua formazione ha potuto attingere a queste fonti - maturerà a suo tempo, dopo aver coltivato l’ottimismo ragionevole, un carattere che lo colloca nell’importante corrente del pensiero illuminista che ha preso il nome di “pessimismo ragionevole” secondo la quale la saggezza umana consiste nel liberarsi o, per lo meno, nell’attenuare il male che condiziona, in modo preponderante, l’esistenza della persona tanto sul piano materiale che in quello morale. Aulo Persio, in coerenza con ciò che scrive, ha condotto una vita austera e appartata, dedita allo studio e ai rapporti affettivi con un scelto gruppo di amici [soprattutto ha fraternizzato con Marco Anneo Lucano]; purtroppo Persio si ammala e muore nel 62 a ventotto anni [probabilmente però ha solo anticipato la sua morte di tre anni perché nel 65 avrebbe partecipato con i suoi amici alla fallita congiura guidata da Calpurnio Pisone - la congiura dei Pisoni - contro Nerone, e anche lui, come i suoi compagni, sarebbe stato costretto a uccidersi prima di finire nelle mani dei pretoriani del tiranno]. Quindi [anche se non conosceremo mai il motivo vero legato a quello che è diventato il suo nome] ci piace pensare che Voltaire abbia scelto questo pseudonimo in onore del “volterrano” Aulo Persio al quale deve in buona parte la sua vocazione aforistica [e sui celebri racconti filosofici di Voltaire punteremo l’attenzione nelle prossime settimane].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
E voi quale pseudonimo vorreste creare da affiancare al vostro nome?... Il nome ci viene imposto mentre lo pseudonimo è frutto di una libera scelta e comporta un investimento in intelligenza e, quindi, non rinunciate a fare questo esercizio: datevi uno pseudonimo!...
Per meglio comprendere ciò di cui abbiamo parlato [su richiesta di Voltaire stesso il quale ci tiene a sottolineare quanto sia importante lo studio dei Classici in termini propedeutici rispetto alla Storia del Pensiero Umano, e difatti lui in collegio - avendo raggiunto un’approfondita conoscenza del latino - ha studiato con passione le Opere di Ovidio, Virgilio, Orazio, Lucano, Cicerone, Aulo Persio] ora è utile leggere un brano tratto dal testo della IV Satira di Aulo Persio, ma prima di leggere questo passo è necessario fare una serie di chiose, di annotazioni riguardanti alcune citazioni dell’autore che abbisognano di una seppur breve spiegazione per capire meglio i versi della sua opera.
Aulo Persio nel testo della IV Satira vuole condannare i comportamenti di Nerone [suo contemporaneo, suo coetaneo e, da ragazzo, suo buon amico, in quanto frequentavano gli stessi ambienti] e lo fa utilizzando il metodo della trasposizione temporale e locale: mette in scena due personaggi vissuti ad Atene quattro secoli prima e, quindi, suppone di far ammonire Alcibiade da parte di Socrate [Alcibiade è stato scolaro di Socrate e pupillo di Pericle, era prestante nel fisico, dotato intellettualmente e molto ricco ma anche vanesio, ambizioso, dissoluto, volubile e demagogo come Nerone]. Aulo Persio ritiene doveroso scrivere per criticare gli atteggiamenti dittatoriali di Nerone il quale, appena andato al potere, si fa promotore di un regime di stampo “populista” usando il metodo demagogico del “panem et circenses”, facendo quotidiane elargizioni di beni di prima necessità e promuovendo grandi spettacoli di distrazione di massa in modo che i cittadini ridotti in miseria - che sono cresciuti in numero considerevole a Roma - non pensino e non si ribellino. Naturalmente questo sistema produce e fa accrescere l’indebitamento dello Stato e Nerone, per pagare i suoi debiti [visto che lo Stato è lui], decide di confiscare d’autorità i beni dei cittadini abbienti [sempre più pochi e sempre più ricchi] ma costoro [e, in proposito, Aulo Persio cita con un gioco di parole un certo Vettidio, ma è un nome metaforico in quanto “Vettidio” indica un tipo scaltro che - secondo l’etimologia del termine - sa “mettere il veto a suo vantaggio” fornendo delle giustificazioni nei confronti dei provvedimenti di Nerone in modo da non subirne le conseguenze]:e difatti soprattutto i proprietari terrieri ai quali Nerone vorrebbe requisire la terra sono più furbi e accorti di lui [sanno ad arte fingersi in miseria per non pagar tributi] e non cedono facilmente alla prepotenza del dittatore, il quale [allude sarcasticamente Persio] investe risorse pubbliche per i suoi trattamenti cosmetici [abluzioni in acque termali, creme e profumi costosi, l’abbronzatura e la depilazione] per poter assomigliare a un dio olimpico. Naturalmente Aulo Persio - in chiave stoica - deplora il comportamento di chi non si esercita a curare, più che l’esteriorità, la propria interiorità e, in particolare, il suo ammonimento vale per quei governanti che mentono facendo promesse vane e che, in funzione del mantenimento del potere, utilizzano espedienti demagogici volti solo ad aggravare la situazione del Paese che dovrebbero ben amministrare. E Voltaire, nei suoi Scritti polemici contro il reggente Filippo II d’Orléans, quando vuole dare uno spessore intellettuale alle sue allusioni critiche, alle sue denunce, cita spesso i versi di Aulo Persio [del Volterrano] e utilizza il suo stesso metodo letterario. Come ammonimento, Aulo Persio nel brano della IV Satira [che stiamo per leggere] chiama in causa il personaggio di Bauci che rimanda al famoso Episodio di Filemone e Bauci tratto dal Libro VIII de Le metamorfosi di Ovidio: è bene ricordare seppur brevemente il contenuto di questa “fabula”, che Ovidio sviluppa in versi, dove si narra come due anziani coniugi, Filemone e Bauci, semplici e poveri, sappiano onorare “il comandamento dell’ospitalità” mentre i loro concittadini benestanti non lo rispettano affatto. Ovidio racconta che Zeus [Giove], accompagnato da Ermes [Mercurio], per mettere alla prova gli esseri umani sulla loro capacità di accoglienza, si presentano in una cittadina della Frigia sotto mentite spoglie, nei panni poco rassicuranti di due mendicanti e vengono scacciati in malo modo da tutti gli abitanti del luogo ai quali si presentano a chiedere ospitalità. Solo Filemone e Bauci, che vivono dei prodotti del loro campicello ai margini del villaggio in una casetta [un rustico] molto umile, li accolgono con favore: gli abitanti di quel posto subiscono una severa punizione mentre i due anziani coniugi vengono ricompensati, e quando gli dèi svelatisi li invitano a scegliersi un premio per la loro bontà Filemone e Bauci, dopo essersi consultati, chiedono non la ricchezza, non la gloria, non il potere, ma di poter morire insieme nello stesso momento quando per loro arriverà l’ora fatale in modo da non dover soffrire della perdita l’uno dell’altro. La loro richiesta è esaudita e un giorno i due vecchi e accoglienti coniugi usufruiscono del dono della metamorfosi e, invece di morire, vengono contemporaneamente trasformati in due alberi che sono ancora là [perché gli alberi hanno lunga vita], uno accanto all’altro, a fare ombra a chi passa perché si sappia, scrive Ovidio, che Filemone e Bauci hanno saputo insegnare l’ospitalità anche agli dèi, per quanto potenti ed eterni possano essere.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Tanto Aulo Persio quanto Voltaire non possono fare a meno di consigliare a noi di leggere o di rileggere - dal Libro VIII de Le metamorfosi di Ovidio [dal verso 624 al verso 720] - l’episodio di Filemone e Bauci per cogliere tutti i particolari, assai significativi, che il poeta mette in evidenza e che, nella sintesi che ne è stata fatta, non sono potuti rientrare...
Il volume de Le metamorfosi lo potete richiedere in biblioteca [se non è già nella vostra biblioteca domestica] ma il testo di Ovidio lo trovate anche in rete...
Incuriositevi, e in quale albero vi vorreste trasformare voi?...
Scrivete quattro righe in proposito sapendo che il fenomeno della metamorfosi, della trasformazione, è una caratteristica fondamentale della vita [come ci ha ricordato Raimondo di Sangro principe di Sansevero qualche settimana fa]...
Voltaire per comporre i testi dei suoi Scritti polemici si rifà allo stile letterario di Aulo Persio. E ora, quindi, leggiamo il brano che abbiamo appena commentato tratto dal testo della IV Satira di Persio in cui lo scrittore, come abbiamo detto, sembra voglia far ammonire Alcibiade da parte di Socrate spostando l’attenzione ad Atene più di quattro secoli prima, invece allude a Nerone [al tiranno suo contemporaneo] così come Voltaire finge di criticare Nerone mentre allude al reggente Filippo II d’Orléans.
Aulo Persio, Satire IV
Immagina che il maestro con la barba - proprio quello che una funesta sorsata di cicuta
ti tolse dai piedi [Socrate] - ti domandi: «Tu tratti affari pubblici in quantità,
ma con quale affidamento? Dimmelo, o pupillo del grande Pericle [Alcibiade].
Naturalmente intelligenza ed esperienza ti son cresciute veloci prima dei peli,
hai fatto il callo nelle cose da dire e da non dire. Perciò, allorquando la plebaglia ribolle
per gli agitati umori, tu sei portato a far tacere l’ardente turba con la maestà della mano.
E poi che cosa predichi? “Quiriti, questo, per esempio, non è giusto, questo è male,
questo è meglio!”. Ma tu non sai quello che dici, tiri a indovinare, però sai esattamente
tener sospesa la giustizia sui due piatti dell’incerta bilancia, distingui la linea retta nel punto dove curva
e capisci quando un regolo inganna il piede zoppo, e sei capace di far finta
di conficcare la negra theta [questa lettera dell’alfabeto greco è il segno convenzionale che indica la morte] nel vizio che hai seminato tu.
Ma perché dunque, bello mio, - tu che ti vuoi far bello solo di fuori - non la smetti di scuotere anzi tempo la coda davanti al popolino
che t’applaude, e non sorbisci piuttosto l’ellèboro [pianta che fa impazzire] di Anticyra?
Qual è per te il massimo del bene? Vivere fra ingrassate padelle e con la tua fine pelle sempre curata al sole?
E sia, ma sappi che ha più senno di te la vecchia Bauci cenciosa mentre canta imbonendo il suo basilico
a uno straccione di schiavo, che è un dio travestito [citazione dal Libro VIII de Le metamorfosi di Ovidio, l’episodio di Filemone e Bauci].
E lei, Bauci, che sa far funzionar la ragione, lo aveva intuito che quello era un dio
ma purtroppo pochi tentano di conoscere se stessi, mentre invece in molti
guardano dentro la bisaccia sulle spalle di chi li precede! Tu non sai far altro che chiedere:
“Conosci i campi di Vettidio?”. Di chi? Di quel ricco avaro che sembra stupido
il quale coltiva a Cure tanta terra quanta non ne sorvola un nibbio? Sappi che non riuscirai
a portargliela via, perché è peggio di te, è un tipo maledetto da tutti e dal suo dio,
che quando appende il giogo ai crocicchi [acquista nuova terra] non stura una bottiglia
di vino vecchio ma piagnucola mordendo la tunica d’una cipolla con un po’ di sale,
mentre i suoi servi fanno festa intorno alla pentola del farro, e lui succhia la feccia dell’aceto evaporato.
Stai pure sdraiato al sole, unto, perché ti trafigga la pelle.
Che bei costumi, passarsi la roncola sul pube e nell’intimità dei lombi per mostrare
alla gente vulve fradice ma ben depilate! Ma ricordati, imbecille, che se impallidisci
alla vista del denaro e fai tutto ciò che garba al tuo pene finirai molto male:
rientra in te stesso, dissennato, e pensa a qual breve scorta di virtù possiedi» …
Gli Scritti polemici di Voltaire non hanno sempre un tono critico perché vuole anche operare una selezione riguardo ai fatti relativi al comportamento di chi gestisce il potere e, in proposito, c’è un esempio significativo di cui ci dobbiamo occupare.
Nel 1724 in Francia termina il periodo cosiddetto della Reggenza e inizia a regnare Luigi XV per cui il reggente Filippo II d’Orléans, che morirà di lì a poco, deve farsi da parte e il governo dello Stato viene affidato dal giovanissimo re al cardinale André-Hercule de Fleury [1653-1743] che è stato [e continua a essere] il precettore del monarca che è ancora un ragazzo preadolescente. Il cardinale de Fleury governa in modo oculato e riesce a tamponare temporaneamente le falle più gravi createsi nell’amministrazione [a contenere il debito] e, quindi, nell’ambito di questo clima più temperato, Voltaire fa pubblicare un’opera che aveva composto nel 1723 e che circolava anonima e manoscritta: si tratta di un poema epico, scritto sullo stile dell’Eneide di Virgilio, dedicato al monarca Enrico IV [1553-1610] intitolato Enriade in cui Voltaire celebra la politica di tolleranza religiosa tenuta da questo sovrano: Voltaire è convinto che ci possano essere “sovrani accettabili” che possano ben governare e, quindi, sarebbe anche disposto a giustificare “il sovranismo illuminato” [tema che abbiamo trattato all’inizio di questo viaggio] purché il monarca che lo esercita abbia davvero le qualità intellettuali e politiche necessarie. Enrico IV nel 1598 [125 anni prima della composizione del poema di Voltaire] aveva intelligentemente promulgato l’importante, sul piano politico Editto di Nantes sulla libertà religiosa riconoscendo il diritto di cittadinanza ai protestanti [agli Ugonotti] in modo da far cessare l’interminabile guerra di religione che stava dissanguando la Francia [un drammatico avvenimento deplorato anche da Montaigne nei suoi Saggi, come ricorderete]. In questo poema Voltaire da una parte esalta la figura di Enrico IV campione della tolleranza religiosa, dall’altra denigra e critica il comportamento oscurantista e intollerante di Luigi XIV [il Re Sole] che 87 anni dopo la sua promulgazione, nel 1685 revoca l’Editto di Nantes e riprende con supponenza a perseguitare i protestanti e i giansenisti facendo anche distruggere - come ricorderete - le abbazie di Port-Royal. Con quest’opera che loda il comportamento di un monarca intelligente, Voltaire avrebbe potuto ricevere gli elogi dell’aristocrazia ma questo non è avvenuto: anzi, nel 1726, viene ancora arrestato per aver avuto un violento diverbio con Guy-Auguste de Chabot cavaliere di Rohan, il quale, dopo averlo fatto bastonare dai suoi servi, lo denuncia per vilipendio a causa di un articolo mordace scritto da Voltaire sui vizi e sugli ingiusti privilegi di cui godono gli aristocratici e lui, per non finire in galera, è costretto a patteggiare in tribunale una pena alternativa per cui viene condannato all’esilio e, di conseguenza, [con il foglio di via] parte per l’Inghilterra.
Il soggiorno in Inghilterra, dal 1726 al 1729, è stato produttivo dal punto di vista intellettuale per Voltaire perché ha potuto incontrare i pensatori anglosassoni di cultura liberale [Walpole, Swift, Pope, Berkeley, tanto per citarne alcuni] e ha potuto conoscere in lingua originale le Opere di Hobbes e di Locke e ciò gli ha permesso di entrare in stretto contatto con la realtà politica inglese e di maturare “le idee illuministe” [ed è in Inghilterra che il termine “Illuminismo” è stato coniato proprio sulla scia del pensiero di John Locke]: e a queste idee Voltaire si propone di dare, per iscritto, una sistemazione teorica anche per poter condannare con validi argomenti il sistema francese dell’assolutismo feudale contro il quale si è sempre battuto.
E il frutto di questa esperienza è maturato in un’opera che risulta essere quella più significativa che Voltaire abbia scritto perché è diventata [probabilmente senza che lui stesso se ne sia reso pienamente conto] il manifesto del pensiero del secolo dei Lumi [il manifesto che ha dato impulso al movimento dei “nuovi filosofi parigini” in particolare di quelli legati all’esperienza dell’Encyclopédie che abbiamo incontrato a suo tempo]: quest’opera, di carattere epistolare, ha preso il nome di Lettere scritte da Londra sugli inglesi o, come viene comunemente chiamata, Lettere filosofiche pubblicata in volume in Olanda nel 1734 ma già diffusa clandestinamente, manoscritta a brani lettera per lettera, dal 1727 al 1729, in tutti i salotti e i circoli di Parigi, [e naturalmente questo fatto non sfugge alla censura regia ed ecclesiastica]. In queste venticinque Lettere Voltaire, in prima istanza, contrappone il sistema parlamentare inglese - che garantisce, con la divisione e l’autonomia dei poteri [quello legislativo del Parlamento, quello esecutivo del Governo e quello giudiziario della Magistratura], un sistema equilibrato e, di conseguenza, più giusto e più libero - rispetto al regime basato sull’assolutismo e sul dogmatismo vigenti in Francia. Le Lettere filosofiche di Voltaire hanno avuto, da subito, un grande successo a Parigi tra gli intellettuali [stimolano il pensiero di Montesquieu, di Diderot, di d’Alembert] e, per contro, vengono duramente condannate dai membri della Corte e dal governo francese.
Che cosa scrive Voltaire? Voltaire nelle sue Lettere scrive che “la coltura” [anche lui preferisce utilizzare la o prima della u] è un’attività che va promossa per fornire un sapere destinato a tutta l’Umanità, e deve essere intesa in chiave cosmopolitica [perché ogni persona è cittadina del Mondo], e l’esercizio intellettuale non può essere, quindi, solo un oggetto destinato a gruppi di individui privilegiati che ambiscono a vivere chiusi nel loro ambito dediti unicamente alla difesa dei loro privilegi di casta utilizzando la conoscenza come strumento per esercitare in modo spregiudicato il potere [e questa è l’idea che porta - come abbiamo studiato a suo tempo - alla nascita e allo sviluppo di uno strumento come l’Encyclopédie]. Voltaire nelle sue Lettere scrive che la ragione si presenta come l’unico e privilegiato strumento in grado, nonostante i suoi limiti, di permettere a ogni singola persona di conoscere la realtà. Voltaire nelle sue Lettere scrive che è proprio la ragione a far sì che la conoscenza avvenga esclusivamente attraverso l’esperienza che è una dote posseduta da ogni persona vivente. Voltaire nelle sue Lettere scrive che è necessario opporre un ferreo rifiuto nei confronti della tradizione accademica che ripropone in modo ripetitivo argomenti ormai desueti e non permette a ogni singola persona di coltivare le proprie capacità critiche. Voltaire nelle sue Lettere scrive che il compito degli intellettuali è quello di mettersi al servizio dell’educazione di ogni persona poco istruita perché è un diritto e un dovere di ogni individuo prendere dimestichezza con lo studio. Voltaire nelle sue Lettere scrive che deve entrare in vigore la tolleranza per tutte le idee che risultano fruttuose per la crescita umana e pacifica della società e deve valere il rispetto nei confronti delle varie fedi religiose per creare il clima indispensabile a favorire la convivenza civile, perché si creino le condizioni necessarie per dare sviluppo alla libertà di pensiero, all’uguaglianza economica e alla fraternità in modo da annullare tutte le nefaste tensioni sociali che avvelenano la collettività umana. Voltaire nelle sue Lettere scrive che è necessario contrastare l’assolutismo dei sovrani che vogliono imporre la loro autorità sui sudditi sostenendo anacronisticamente l’origine divina del loro potere quando il potere è stato ottenuto principalmente con la forza e, spesso, con l’inganno e non certo per volontà di Dio. Voltaire nelle sue Lettere scrive che bisogna coltivare un atteggiamento di fiducia nei confronti del progresso che viene compiuto, mediante la ricerca, in tutti i campi del sapere in modo che si possano migliorare costantemente le condizioni di vita delle persone.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Le Lettere filosofiche di Voltaire contengono il primo catalogo delle idee-guida dell’Illuminismo ed è un inventario sul quale dobbiamo riflettere [nel momento in cui ci stiamo avviando verso il termine di questo viaggio]... Quali di queste affermazioni - un sapere destinato a tutta l’Umanità, la ragione come strumento privilegiato per apprendere, l’esperienza come fonte primaria di conoscenza, la maturazione delle capacità critiche individuali, la tolleranza per tutte le idee che risultano fruttuose, il rispetto per ogni fede religiosa, uguali diritti per ogni persona, la gestione del potere in funzione del bene comune, il progresso come garanzia del miglioramento della qualità della vita - ebbene, quale di queste asserzioni [non più di tre] mettereste per prime nel catalogo volterriano delle idee-guida dell’Illuminismo?...
Non rinunciate a rispondere: tenete conto del fatto che le idee-guida dell’Illuminismo fanno ancora fatica ad affermarsi e hanno bisogno di essere sostenute...
E ora, per concludere leggiamo un brano tratto da quest’opera-manifesto.
Voltaire, Lettere filosofiche
Questo periodo che, secondo il dettato di John Locke, abbiamo imparato a denominare con il termine di “illuminismo”, sarà sicuramente ricordato come importante nella storia della coltura europea. Questa età così feconda per il pensiero è stata determinata da due importanti correnti filosofiche: l’empirismo che ha avuto inizio con l’opera di Hobbes e il razionalismo fondato dal metodo di Cartesio.
Il termine “illuminismo” si addice al fatto che questo nuovo pensiero mira a rischiarare con i Lumi della ragione tutti i campi dell’attività umana, contrastando l’oscurantismo tipico dell’antico regime feudale, la superstizione imposta dal bieco clericalismo, la tradizione dispotica di matrice aristocratica e il nefasto principio d’autorità fondato sul privilegio di casta. L’oscurantismo, la superstizione, il clericalismo, il dispotismo, l’autoritarismo sono i mali che rendono la vita umana schiava del passato e che il pensiero dei Lumi deve liberare nel presente per preparare un radioso futuro. Questo movimento vuole sottoporre a una critica radicale, in nome della ragione, tutte le istituzioni economiche, giuridiche, politiche, religiose, educative, per porre in Luce la vera natura umana nascosta e soffocata a causa dell’ignoranza e dei pregiudizi. Dal nuovo pensiero dei Lumi deve scaturire perciò l’idea di un’economia, di un diritto e di una religione naturali.
Il movimento dei Lumi implica un ideale di libertà e d’uguaglianza: poiché ogni persona è partecipe della ragione, una volta tolte le disuguaglianze e spazzati via i privilegi, succederà inevitabilmente che ogni persona sia libera e tutte le persone siano uguali nella realtà della vita e, quindi, svaniscano anche le disuguaglianze create dalla natura per rendere la vita di tutti gli umani degna di essere vissuta. …
Si capisce che quando Voltaire torna a Parigi dall’esilio in Inghilterra è un sorvegliato speciale e, quattro anni dopo, rischia di essere nuovamente arrestato con l’accusa di vilipendio nei confronti del regime monarchico. Per sua fortuna c’è una persona che non solo lo mette in guardia ma ha già anche organizzato la sua fuga procurandogli un nascondiglio lontano dalla capitale. Chi è questa persona? Questa persona è una signora alla quale Voltaire deve molto: si chiama Madame du Châtelet, e perché vale la pena conoscere questa signora che ha da insegnarci molte cose? [E non si dica il pensiero delle donne non conta durante l’età dei Lumi!].
Per rispondere a questa, e a molte altre domande, dobbiamo come sapete procedere con lo spirito utopico che lo “studio” porta con sé.
E guardando il Calendario nella consapevolezza che non bisogna mai perdere la volontà di imparare: viva il 25 aprile! Perché con il ritorno alla democrazia e con il riconoscimento nella Costituzione del diritto-dovere all’Apprendimento permanente possiamo affermare che le Officine di Apprendistato cognitivo hanno ragion d’essere [direbbe Kant, che incontreremo nel Percorso del prossimo anno] e, per questo motivo, la Scuola è qui e il nostro viaggio continua.
Viva il 25 aprile e viva il 1° maggio!...