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SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI CI SI DOMANDA SE SI DEBBA VIVERE PERSEGUENDO L’OTTIMISMO RAGIONEVOLE O UN RAGIONEVOLE SCETTICISMO ...

Lezione N.: 
13

ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»

PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

La sapienza poetica e filosofica nel secolo dei Lumi

26-27-28 aprile e 5 maggio 2023

     SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI

CI SI DOMANDA SE SI DEBBA VIVERE PERSEGUENDO L’OTTIMISMO RAGIONEVOLE O

UN RAGIONEVOLE SCETTICISMO ...

     Questo è il tredicesimo itinerario, il penultimo, del nostro viaggio sul territorio del secolo dei Lumi e questa sera come ricorderete dobbiamo continuare il nostro incontro con colui che viene considerato il più brillante scrittore dell’Illuminismo: François-Marie Arouet detto Voltaire.

     Al termine del precedente itinerario siamo venute e venuti a conoscenza del fatto che Voltaire, dopo aver avuto un violento diverbio con il cavaliere di Rohan - che lo ha denunciato [e anche fatto bastonare] per aver scritto un articolo mordace sui vizi e sugli ingiusti privilegi di cui godono gli aristocratici - per non finire in galera è stato costretto a subire l’esilio in Inghilterra. Ma, come ricorderete, il soggiorno in Inghilterra [dal 1726 al 1729] è stato produttivo dal punto di vista intellettuale per Voltaire perché gli ha permesso di entrare in contatto con la realtà colturale e politica inglese e di maturare “le idee illuministe. E, come ricorderete, proprio in ragione di questa esperienza Voltaire ha potuto comporre un’opera molto significativa perché è diventata il manifesto del pensiero del secolo dei Lumi. Quest’opera, di carattere epistolare, è stata pubblicata in volume con il titolo di Lettere filosofiche in Olanda nel 1734, ma circolava già clandestinamente, manoscritta a brani lettera per lettera, dal 1727 al 1729, in tutti i salotti e i circoli di Parigi.

     In queste venticinque Lettere Voltaire - già entro il primo trentennio del ‘700 - codifica il concetto di “illuminismo” un termine coniato in Inghilterra da John Locke, affermando che questo nuovo pensiero mira a rischiarare con i Lumi della ragione tutti i campi dell’attività umana contrastando l’oscurantismo tipico dell’antico regime feudale, la superstizione imposta dal bieco clericalismo, la tradizione dispotica di matrice aristocratica e il nefasto principio d’autorità fondato sul privilegio di casta.

     Ma rileggiamo il brano, tratto da Lettere filosofiche di Voltaire che rappresentata un sunto, un compendio, un riepilogo ideale del pensiero del secolo dei Lumi.

Voltaire, Lettere filosofiche

Questo periodo che, secondo il dettato di John Locke, abbiamo imparato a denominare con il termine di “illuminismo”, sarà sicuramente ricordato come importante nella storia della coltura europea. Questa età così feconda per il pensiero è stata determinata da due importanti correnti filosofiche: l’empirismo che ha avuto inizio con l’opera di Hobbes e il razionalismo fondato dal metodo di Cartesio.

Il termine “illuminismo” si addice al fatto che questo nuovo pensiero mira a rischiarare con i Lumi della ragione tutti i campi dell’attività umana, contrastando l’oscurantismo tipico dell’antico regime feudale, la superstizione imposta dal bieco clericalismo, la tradizione dispotica di matrice aristocratica e il nefasto principio d’autorità fondato sul privilegio di casta. L’oscurantismo, la superstizione, il clericalismo, il dispotismo, l’autoritarismo sono i mali che rendono la vita umana schiava del passato e che il pensiero dei Lumi deve liberare nel presente per preparare un radioso futuro. Questo movimento vuole sottoporre a una critica radicale, in nome della ragione, tutte le istituzioni economiche, giuridiche, politiche, religiose, educative, per porre in Luce la vera natura umana nascosta e soffocata a causa dell’ignoranza e dei pregiudizi.  Dal nuovo pensiero dei Lumi deve scaturire perciò l’idea di un’economia, di un diritto e di una religione naturali.  Il movimento dei Lumi implica un ideale di libertà e d’uguaglianza: poiché ogni persona è partecipe della ragione, una volta tolte le disuguaglianze e spazzati via i privilegi, succederà inevitabilmente che ogni persona sia libera e tutte le persone siano uguali nella realtà della vita e, quindi, svaniscano anche le disuguaglianze create dalla natura per rendere la vita di tutti gli umani degna di essere vissuta. …

     Si capisce che quando Voltaire torna a Parigi dopo quasi quattro anni trascorsi in esilio in Inghilterra - dopo aver denunciato l’oscurantismo, la superstizione, il clericalismo, il dispotismo, l’autoritarismo dei poteri costituiti - è un sorvegliato speciale e quando il volume di Lettere filosofiche viene pubblicato in Olanda nel 1734 rischia di essere nuovamente arrestato con l’accusa di vilipendio nei confronti del regime monarchico e delle istituzioni ecclesiastiche. Per sua fortuna c’è una persona che frequentando la corte non solo lo mette in guardia ma ha già anche organizzato la sua fuga procurandogli un nascondiglio sicuro lontano dalla capitale. Chi è questa persona?

     Questa persona è una signora alla quale Voltaire deve molto: si chiama Madame du Châtelet, ma prima di fare la sua conoscenza dobbiamo affrontare una questione che riguarda ancora il testo delle Lettere filosofiche, una questione che non possiamo ignorare perché su di essa si è sempre riversata l’attenzione delle studiose e degli studiosi in relazione a quello che si presenta a tutt’oggi “il dilemma filosofico più rappresentativo” che l’Illuminismo ci ha lasciato in eredità: nell’affrontare le esperienze della vita una persona si deve affidare a “l’ottimismo ragionevole” oppure  a “un ragionevole scetticismo”? Per fortuna questa alternativa di carattere esistenziale è supportata dall’aggettivo “ragionevole” che dovrebbe suggerire alla persona nel primo caso di non entusiasmarsi eccessivamente e nel secondo di non abbattersi troppo. Ma procediamo con ordine.

     Voltaire nella sua opera intitolata Lettere filosofiche, pubblicata in Olanda nel 1734 ma in circolazione già in forma manoscritta, dal 1727 al 1729, in tutti i salotti e i circoli di Parigi, descrive i gravi ritardi della società francese, una società che, come abbiamo ricordato nell’itinerario di fine novembre scorso sul tema de “lo strabismo dei Lumi” in compagnia dell’abate Caraccioli, solo apparentemente [per motivazioni legate alla moda, connesse al gusto del momento saputo ben divulgare] sembra essere all’avanguardia nel mondo mentre, scrive Voltaire, soffre di una preoccupante involuzione sul piano politico dovuta a un sistema di governo di stampo assolutista, con un monarca che gestisce, a suo piacimento, tutti e tre i poteri istituzionali: legislativo, esecutivo e giudiziario. Questa situazione deleteria, scrive Voltaire, potrebbe essere superata con l’organizzazione di un diffuso sistema educativo finalizzato «a far crescere culturalmente un’opinione pubblica capace di smantellare le ossature fatiscenti dell’antico regime». Senza la formazione di “un ceto riflessivo capace di utilizzare strumenti conoscitivi”, scrive Voltaire, la stragrande maggioranza della popolazione langue nell’ignoranza perché «la mente della persona subisce i danni che procura l’alienazione generata dalle immagini dettate dalle mode [che paralizzano l’intelletto] e dai simulacri imposti [sotto l’egida della paura] dal bigottismo religioso, e tanto la frivolezza di certe superficiali tendenze del momento quanto l’ipocrisia clericale servono solo ad atrofizzare l’uso della ragione».

     E ascoltando queste parole si capisce che Voltaire ha letto Le Lettere provinciali di Blaise Pascal pubblicate nel 1657 in cui l’autore dei Pensieri - se ben ricordate - denuncia come i sistemi di distrazione di massa deteriorino il pensiero delle persone dando adito a una società civile votata all’imbecillità. E, di conseguenza, è curioso il fatto che - dopo questa analisi severa sui fenomeni religiosi [per inciso c’è da dire che Voltaire scrive anche una tragedia in cui critica il comportamento di Maometto che utilizza la religione per governare e la dedica provocatoriamente al papa non in segno di omaggio ma per sottolineare come il papato e il califfato condividano gli stessi atteggiamenti autoritaristici] - è curioso il fatto che Voltaire inizi quattro delle sue Lettere filosofiche con un’apologia dei Quaccheri [“i tentennanti” perché pregano facendo oscillare il capo]: l’unico gruppo religioso che Voltaire giustifica, con i quali è venuto a contatto in Inghilterra anche se molti di loro erano già emigrati negli Stati Uniti per sfuggire alle persecuzioni anglicane.

     Può sembrare paradossale che un laico come Voltaire apprezzi l’intransigenza religiosa [di stampo fondamentalista sotto molti aspetti] dei Quaccheri ma, secondo lui, incarnano con coerenza i principi del Vangelo e così facendo, afferma Voltaire, aderiscono alle esigenze dei nuovi tempi: infatti coltivano la virtù, lo spirito di uguaglianza, il pacifismo, l’antimilitarismo e non disdegnano il lavoro e ritengono che i profitti, derivanti dalle operose attività commerciali, siano una cosa buona e giusta perché il guadagno in sovrappiù, ottenuto onestamente, deve essere messo in comune per soddisfare le esigenze collettive della società. Voltaire poi apprezza nei Quaccheri il fatto che si rifiutino di avere un clero professionale e che manifestino verso gli altri la massima indulgenza che vorrebbero fosse riservata anche a loro e, secondo Voltaire, questo modello virtuoso potrebbe portare alla creazione di una società fondata su “la filantropia” dove ogni persona è rispettosa e solidale con tutte le altre persone. Ma soprattutto è ancor più curioso il fatto che altre quattro delle Lettere filosofiche di Voltaire si concludano con un’aspra critica nei confronti delle opinioni di Blaise Pascal [sebbene - per quanto riguarda i danni provocati dai sistemi di distrazione di massa – egli sia, come abbiamo potuto constatare, perfettamente d’accordo con lui]: perché Voltaire si ostina a criticare le opinioni di Pascal sapendo [essendo persona intelligente] che si sarebbe probabilmente esposto a cadere in contraddizione, «a incorrere in una dialettica aporetica», così scrivono le studiose e gli studiosi (che se poi, però, non si danno spiegazioni in proposito non si facilita certo la comprensione di chi legge!)? Voltaire è certamente consapevole che “la contraddizione [nel significato greco di “aporia”]” è un esercizio intellettuale [la dialettica aporetica] che risulta utile per favorire la riflessione conoscitiva: l’aporia - come molte e molti di voi sanno - è una forma di contraddizione che fa ragionare e favorisce l’investimento in intelligenza.

     Ma procediamo con ordine: Voltaire, in particolare, nel testo della sua Venticinquesima Lettera filosofica si dedica al commento dei Pensieri di Pascal e tutte le studiose e gli studiosi che hanno fatto l’esegesi di questo testo hanno affermato di aver percepito chiaramente che Voltaire nutre “un sacro rispetto” nei confronti di Pascal e un interesse quasi morboso verso i Pensieri: difatti, l’ultima opera che Voltaire ha scritto nel 1777, come se fosse una sorta di testamento spirituale, s’intitola Ultime note sui Pensieri di Pascal. Questo significa che per Voltaire il testo dei Pensieri di Pascal è sempre stato un terreno di studio e di riflessione formidabile [noi abbiamo studiato questo argomento] e, di conseguenza, è stato anche uno dei più esperti e competenti esegeti dei Pensieri di Pascal e scrive:  «Sono allo stesso tempo affascinato e infastidito dai ragionamenti che ogni pensiero di Pascal contiene perché stimola il mio senso critico e mi costringe a riflettere». Voltaire non lo dichiara esplicitamente ma si capisce che quest’opera straordinaria avrebbe voluto scriverla lui.

     E allora ci domandiamo: che cosa critica Voltaire di Pascal, che cosa non condivide del suo pensiero? Voltaire critica Pascal per la poca fiducia che lui ha nei confronti della natura umana: Pascal, come ricorderete, pensa che la natura umana, in quanto tale, sia degenerata [«L’Essere umano creato da Dio ha voluto mettersi al suo posto e ha rovinato la Creazione»], di conseguenza, l’Umanità, afferma Pascal, può trovare redenzione, riscatto, salvazione solo per mezzo del dono della Grazia di Dio, che sprona la persona ad agire ragionevolmente a imitazione di Cristo che ha voluto insegnare agli umani - mediante la predicazione evangelica - come si possano mettere in primo piano le ragioni del cuore. Pascal [che si presenta come uno dei più esperti cultori della ragione, come uno dei più grandi matematici della Storia del Pensiero] sostiene che però si conosce più con il cuore che con la ragione e, di conseguenza, ci si salva col cuore: non con “l’esprit de géometrie” [con l’energia razionale legata alla categoria della quantità] ma con “l’esprit de finesse” [con la tagliente acutezza legata alla categoria della qualità]. Voltaire - che negli anni trenta del Settecento è ancora molto deciso a proclamare la superiorità dell’ottimismo sul pessimismo - intende prendere le difese della natura umana che, secondo lui, è stata bistrattata con scetticismo da Pascal. Voltaire cita Pascal chiamandolo confidenzialmente “il sublime misantropo” [il mirabile solitario] e - mentre si procede nella lettura del testo della Venticinquesima Lettera filosofica - si capisce che Voltaire [al quale la dialettica, soprattutto polemica, non manca] non riesce a trovare le parole adatte per giustificare efficacemente la sua critica e la sua disapprovazione: difatti, quella di Pascal [che rappresenta anche l’esperienza di Port-Royal] è l’unica figura su cui Voltaire non riesce a fare ironia anzi si sente in dovere - forse anche perché riconosce di non essere capace a fare la scelta di vita austera e frugale di Pascal e dei Solitari di Port-Royal - di dichiarare e di riconoscere in Pascal un autentico gigante, il più autorevole “ragionatore [raisonneur] e scienziato [maestro di scienza]” che abbia mai conosciuto. In definitiva succede che Voltaire - a forza di rimuginare sulle opinioni di Pascal - sente la necessità, alla fine, di dover operare una sintesi affermando che, in effetti, tanto la funzione della ragione quanto quella del cuore - senza bisogno di fabbricare una scala gerarchica - risulta importante per corroborare, in maniera positiva, le scelte che la persona deve compiere quotidianamente nella propria vita.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Questi personaggi [Pascal, Voltaire, e non solo loro] ci hanno portato a pensare che la vita è scandita da momenti corroborati dall’ottimismo e momenti condizionati dal pessimismo...

Qual è il motivo che oggi orienta la vostra vita verso un sentimento permeato dall’ottimismo e quale circostanza invece dispone la vostra mente verso il pessimismo?...

Scrivete quattro righe in proposito...

     E ora leggiamo le ultime righe dell’ultima Lettera filosofica di Voltaire, la venticinquesima.

Voltaire, Lettere filosofiche

Quando osservo Londra o Parigi, non vedo nessuna ragione per abbandonarmi alla disperazione di cui parla Pascal: vedo una città per nulla simile a un’isola deserta, popolosa, opulenta, ben ordinata, dove le persone sono felici quanto lo consente la natura umana. Perché dovremmo provare orrore del nostro essere? La nostra esistenza non è così infelice come ci si vorrebbe far credere. Pensare che la terra, gli umani e gli animali sono ciò che devono essere nell’ordine della Provvidenza è, credo, proprio di una persona saggia. Sono convinto che si conosce e ci si salva con la ragione ma non posso, però, alla luce della ragione stessa, non pensare che si possa conoscere e ci si possa salvare anche con il cuore. …

     Voltaire nel complesso delle Lettere filosofiche prende comunque una posizione e ritiene che, nell’affrontare le esperienze della vita, una persona debba in primo luogo affidarsi a “l’ottimismo ragionevole” piuttosto che al “ragionevole scetticismo” che propone Pascal: ma siamo ancora negli anni trenta del Settecento e, qualche decennio dopo come vedremo, Voltaire cambierà opinione in proposito.

     Voltaire nelle Lettere filosofiche propende per “l’ottimismo ragionevole” e non condivide “il ragionevole scetticismo” di Pascal che dubita della bontà della natura umana: l’Essere umano, afferma Pascal, tende al male e per realizzare il bene deve compiere uno sforzo e deve affidarsi alla Grazia di Dio. La critica di Voltaire nei confronti delle opinioni di Pascal riguarda dunque il tema della diversa concezione religiosa che i due perseguono. Va detto che Pascal alla critica di Voltaire non ha potuto replicare [Pascal è morto nel 1662, da circa settant’anni] e se fossero stati contemporanei avrebbero dato luogo a un bel dibattito.

     Voltaire è molto impressionato da come Pascal [e forse ricorderete questo avvenimento - rievocato nel Percorso del 2019-2020 - che ha caratterizzato la vita di Pascal] descrive in un Memoriale un’esperienza molto emozionante [un evento diventato famoso] che lui ritiene fondamentale nel cambiamento del suo stile di vita: un episodio avvenuto la notte del 23 novembre 1654 che lui registra come “la notte di fuoco”. Nell’incipit di questo Memoriale Pascal scrive: «Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe [quindi si tratta della divinità che decide di rivelarsi attraverso la Letteratura biblica], non il dio dei filosofi e dei sapienti [e questa è un’affermazione polemica nei confronti di Cartesio e dei cartesiani che si dichiarano “deisti non rivelazionisti”] mi ha chiamato a un nuovo programma di vita e di pensiero. Non so se ho sognato, ma non credo di aver sognato: ho vissuto in modo drammatico un incontro fiammeggiante col Dio di Gesù Cristo, che mi diceva di seguire le indicazioni dei Vangeli»: questo incipit Pascal lo scrive su un foglio di carta e se lo cuce nella fodera della giacca. Di conseguenza, alcuni giorni dopo, come ricorderete, Pascal decide di iniziare a frequentare regolarmente l’abbazia di Port-Royal per studiare, per meditare e per attuare programmi di solidarietà verso il prossimo. Quindi, Pascal sostiene “la tesi della religione rivelata”: il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe si è rivelato all’Umanità peccatrice nel corso degli eventi e in un determinato momento ha anche deciso che la sua Parola [il Logos] si incarnasse nella Storia per indicare materialmente - attraverso la predicazione e il sacrificio di suo Figlio, Gesù Cristo - la via della salvezza.

     Voltaire contraddice l’ipotesi della religione rivelata sostenendo, invece, la tesi della religione naturale. Voltaire è un deista o, come preferisce dire alla greca, “un teista”, e il suo “teismo” poggia su una visione della vita permeata di ottimismo, un ottimismo “ragionevole e realista” privo di entusiasmi di carattere provvidenziale: Dio esiste, afferma Voltaire, perché la complessa macchina dell’Universo esige “una causa intelligente”, Dio è necessario e va concepito [se lo dobbiamo definire, afferma Voltaire] come “un sublime orologiaio”. Scrive Voltaire nell’opera intitolata Il filosofo ignorante: «L’Essere umano  ha delle aspirazioni morali, sente la pace del suo cuore, e gli ideali che la persona coltiva hanno bisogno di essere fondati e giustificati nell’ambito di una religione naturale: Dio va concepito come il guardiano dell’ordine pubblico e della morale individuale, e la persona lo coglie usando la Ragione e investigando nella Natura e se Dio non ci fosse, bisognerebbe inventarlo».

     Quest’ultima affermazione di Voltaire, che è diventata famosa, dimostra che, secondo lui, la religiosità deve rispondere a un bisogno personale dell’individuo. Per Voltaire la religione è un’esigenza di carattere sentimentale e di stampo intellettuale e, di conseguenza, ripudia tanto la tesi della religione rivelata [di stampo biblico professata da Pascal] quanto l’ideologia materialista e ateista [dei pensatori presenti alla cena dal barone d’Holbach].

     Penso ricordiate che Voltaire [nonostante fosse stato invitato] non era presente alla cena dal barone d’Holbach perché c’erano troppi rappresentanti della corrente materialista e ateista e lui si sentiva in colpa e temeva di essere duramente attaccato perché, per sostenere le sue tesi “teiste”, aveva fatto circolare dopo averlo riscritto, annacquandolo e, in pratica, censurandolo, il Testamento di Padre Meslier. Ricordate di che cosa si tratta? Se n’è ampiamente parlato a cena dal barone d’Holbach ma, tuttavia, credo sia opportuno ripassare seppur brevemente questa questione.

     Jean Meslier [1664-1729, come ricorderete] è un parroco di campagna che ha svolto la sua missione pastorale nella regione delle Ardenne, ed è un prete di campagna che lascia ai suoi parrocchiani in eredità un testo scritto sotto forma di testamento e di confessione che inizia con questa frase emblematica: «Sono diventato sacerdote per compiacere ai miei genitori, e ho sempre fatto il mio dovere di prete fino alla fine condividendo la vostra miseria e i vostri valori: la carità e la solidarietà». Infatti Meslier è stato un sacerdote e un maestro esemplare: caritatevole, disponibile con tutti, molto amato dalle sue parrocchiane e dai suoi parrocchiani il quale ha svolto per trent’anni la sua attività di parroco di campagna nelle Ardenne vivendo in dignitosa povertà. Alla sua morte viene pianto e rimpianto dalla sua gente, e lui lascia alle pecore del suo gregge un testo scritto perché lo leggano segretamente, e sa che possono farlo perché gli ha insegnato lui a leggere e a scrivere facendo loro Scuola in canonica. Ebbene che cosa scrive padre Meslier nel suo Testamento, nella sua confessione? Il testo di quest’opera [che capita anche nella mani di Voltaire perché viene fatto circolare] inizia con la negazione dell’esistenza di Dio, e con un invito a cercare, non Dio, ma il Bene. Poi padre Meslier denuncia i legami tra il potere politico e la religione, condanna il patto nefasto tra il trono e l’altare, i due poteri che si spalleggiano tra loro “come se fossero due tagliatori di borse” [scrive padre Meslier], e che permettono ai nobili, ricchi e prepotenti, di imbastire l’oppressione e lo sfruttamento degli appartenenti alle classi più umili.

     Lo scopo dichiarato di padre Meslier è quello di rivolgersi alle sue parrocchiane e ai suoi parrocchiani come se fossero tutte e tutti gli oppressi del mondo e per avvalorare ciò che scrive riporta - motivandole intellettualmente - le prove [otto prove] che dimostrano la vanità e la falsità di tutte le religioni utilizzate come strumenti per istituire l’oppressione dei padroni sui servi, dei ricchi sui poveri, dei forti sui deboli: per dare valore alla sua denuncia padre Meslier riporta nel testo del suo Testamento otto dimostrazioni che avvalorano il suo pensiero tratte dalle Regole per la guida dell’ingegno di Cartesio, dall’Ethica di Spinosa, dai Libri di Isaia, di Geremia, di Ezechiele, di Osea, dalla Letteratura dei Vangeli e dall’Epistolario di Paolo di Tarso. Quindi, padre Meslier compone, in modo lucido e appassionato, un suo sistema filosofico intorno a tre cardini fondamentali: l’ateismo [perché bisogna cercare il Bene e non Dio], la metafisica materialista [perché il regno del Bene si costruisce sulla Terra] e il comunitarismo [perché i Beni materiali, intellettuali e spirituali vanno messi in comune].

     Il sistema filosofico di padre Meslier non nasce da un pensiero teorico, ma nasce dall’indignazione, nasce dall’invettiva morale di chi ha visto con i propri occhi «l’empietà, l’ingiustizia e il sopruso regnare sulla Terra», e il Testamento di padre Meslier si conclude con un inequivocabile invito alla rivolta.

     Perché Voltaire [ci domandiamo] riscrive in chiave deista e fa circolare il testo del Testamento di padre Meslier censurandolo? Non è forse anche lui animato da un tenace anticlericalismo e non ripudia anche lui il cristianesimo quando agisce come religione repressiva, e non denuncia anche lui [con un atteggiamento che gli è costato botte, denunce, carcere] l’arroganza della classe aristocratica al potere? È interessante constatare che Voltaire si sente messo sotto accusa lui stesso dal testo del Testamento di padre Meslier [da una parte avrebbe voluto scriverlo lui e dall’altra lo ripudia, e per questo lo riscrive epurandolo] e probabilmente prova vergogna - così come quando pensa a come si è comportato Pascal - per non essere stato capace, in definitiva, di rinunciare a tutta una serie di privilegi [il denaro, il successo, la posizione sociale] di cui ha potuto godere. La manomissione che Voltaire ha compiuto del testo del Testamento di padre Meslier è un dato che fa emergere la crisi esistenziale che turba profondamente l’animo delle intellettuali e degli intellettuali del secolo dei Lumi, e rivela che il travaglio interiore che agita queste persone, a cominciare da Voltaire, è dato dal dubbio - parola-chiave che accompagna il termine “ragione” - quello stato di incertezza e di indecisione che emerge e scuote le coscienze di fronte alla difficile scelta esistenziale se propendere per l’ottimismo o per lo scetticismo, se prediligere l’ateismo o la credenza divina, se optare per l’individualismo o per il comunitarismo. Anche quando la persona ha fatto una scelta che ritiene “ragionevole” tuttavia il dubbio [proposto da Socrate, da Sant’Agostino, da Cartesio] continua, in chiave moderna nel secolo dei Lumi, inesorabile ad affacciarsi nella sua mente e ad agitare i suoi pensieri.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale di questi termini - incerto, ipotetico, oscuro, controverso, dibattuto o quale altro termine - mettereste per primo accanto alla parola “dubbio”?...

«E all’improvviso mi è venuto un dubbio!»... A proposito di che cosa all’improvviso vi è venuto un dubbio?...

Scrivete quattro righe in proposito ...

     Voltaire non ha mai dubitato della straordinaria capacità intellettuale di Madame du Châtelet [e se ironizza su di lei lo fa per attirare la sua attenzione]. Sappiamo che quando Voltaire torna a Parigi dopo quasi quattro anni trascorsi in esilio in Inghilterra [dopo aver denunciato l’oscurantismo, la superstizione, il clericalismo, il dispotismo, l’autoritarismo dei poteri costituiti] è un sorvegliato speciale e rischia di essere nuovamente arrestato quando il volume di Lettere filosofiche viene pubblicato in Olanda nel 1734, con l’accusa di vilipendio nei confronti del regime monarchico e delle istituzioni ecclesiastiche, ma per sua fortuna c’è Madame du Châtelet - con la quale Voltaire è entrato in relazione - che non solo lo mette in guardia [frequentando la corte] ma ha già anche organizzato la sua fuga procurandogli un nascondiglio sicuro lontano dalla capitale. Chi è Madame du Châtelet?

     Gabrielle-Émilie Le Tonnellier de Breteuil marchesa du Châtelet è meglio conosciuta semplicemente come Madame du Châtelet [1706-1749] ed è considerata una delle persone più geniali del secolo dei Lumi, è stata una valente studiosa di matematica, di fisica, di filosofia, di letteratura, e ha contribuito soprattutto a divulgare il pensiero di Leibniz e di Newton, due personaggi che abbiamo incontrato nel corso del viaggio precedente. Émilie è nata a Parigi in una famiglia di elevato ceto sociale: suo padre Charles Le Tonnellier de Breteuil ha ricoperto incarichi di prestigio alla corte di Luigi XIV [il Re Sole], ed è il proprietario dello splendido castello di Breteuil che testimonia ancor oggi l’alto livello della famiglia di Émilie.

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con una guida della Francia e navigando in rete andate a visitare il castello di Breteuil situato nella valle della Chevreuse, nel piccolo comune di Choisel [che conta appena circa 550 abitanti] nel dipartimento dell’Yvelines, nella regione dell’Île-de-France a 35 chilometri a sud di Parigi… Questo monumento è stato trasformato in un grande museo che presenta al pubblico, nei suoi vari e spaziosi ambienti, tutta una serie di scene legate alla vita e alla storia del castello realizzate con statue di cera .. Inoltre fino al 2015 il castello di Breteuil custodiva La tavola di Teschen [o tavola di Breteuil] ora conservata al Louvre: andate a osservare questo capolavoro dell’oreficeria settecentesca della ditta tedesca Neuber e a conoscere che cosa vuole simboleggiare questo oggetto chiamato anche “la tavola della pace”....  Incuriositevi...

     Nel Settecento lo studio viene riservato esclusivamente ai discendenti maschi delle grandi famiglie aristocratiche e borghesi; le giovani donne di queste stesse famiglie sono escluse da una formazione di livello superiore e universitario [solo coloro che soggiornano nei conventi - come abbiamo potuto constatare - hanno la possibilità di accedere a una qualche forma di istruzione]. Émilie ha la fortuna di ricevere, fin da bambina, da precettori privati tutti di grande prestigio, una completa formazione di base e già a dodici anni la sua conoscenza del latino, del greco, dell’inglese e del tedesco risulta di notevole livello così come quella della matematica, della fisica e della letteratura.

     Il suo impegno negli studi - soprattutto in quelli scientifici - non le impedisce di dedicarsi, in modo brillante, alla vita mondana: a sedici anni viene presentata a corte dove si distingue anche per la sua competenza in fatto di musica, di danza e di teatro, e in tutti i salotti parigini la giovane Émilie tiene testa, nel confronto dialettico sul piano scientifico e umanistico, ai più importanti pensatori del momento che la temono perché sono costretti ad ammettere di dover prendere lezioni da una giovane donna. Il 12 giugno 1725 a diciannove anni Émilie sposa il trentenne marchese Florent-Claude du Châtelet. Si tratta - come è costume nell’ambito delle famiglie aristocratiche -  di un matrimonio combinato privo di motivazioni sentimentali e, di conseguenza, il marchese, impegnato nella carriera militare [che è la cosa a cui tiene di più], incontra assai di rado la moglie: tuttavia Émilie partorisce tre figli, due maschi e una femmina, scomparsi prematuramente [la primogenita è stata data in sposa a sedici anni, è diventata dama di corte nel regno di Napoli ed è morta ventottenne nel 1754, il secondogenito è stato ghigliottinato nel 1793 e il terzo è morto a sedici mesi].

     Émilie du Châtelet non è stata una madre fortunata ma neppure dedita alla maternità e, visto anche il disinteresse del marito nei suoi confronti, ha avuto una vita amorosa assai libera e, dopo una serie di relazioni, il rapporto sentimentale più duraturo della sua vita è stato quello con Voltaire che l’aveva già incontrata nel 1723 ed era rimasto colpito [e un po’ indispettito] da questa diciassettenne che lo aveva messo in difficoltà per le sue inusuali capacità matematiche. Il legame culturale e sentimentale tra Voltaire ed Émilie du Châtelet inizia nel 1733: lui [anche se il regime lo avversa] è all’apice del successo e lei conduce un’esistenza agiata e ricca di soddisfazioni sul piano intellettuale. Prima dell’inizio di questa relazione Voltaire, sempre sarcastico con tutte e con tutti, non era stato tenero con Émilie e l’aveva descritta come «una gran dama capace di grandi piccolezze» e come «la più colta delle donne, ma la più frivola delle colte», ma dopo averla conosciuta meglio ha dovuto riconoscere la straordinaria capacità di questa persona nel saper investire in intelligenza.

     Nel maggio del 1734 Voltaire, quando il volume di Lettere filosofiche viene pubblicato in Olanda nel 1734 e si diffonde in Francia, rischia di essere nuovamente arrestato con l’accusa di vilipendio nei confronti del regime monarchico e delle istituzioni ecclesiastiche, ed è Émilie che prontamente organizza la sua fuga procurandogli un nascondiglio sicuro lontano dalla capitale [alla corte andava bene che i dissidenti si auto-esiliassero e stessero a distanza da Parigi]: difatti, la coppia si stabilisce a Cirey-sur-Blaise nel castello di Cirey di proprietà del marito di Émilie. Il marchese Florent-Claude du Châtelet, che non ha mai battuto ciglio nei confronti delle relazioni della moglie, in questo caso, è altresì più che mai contento che Voltaire [il pubblico amante di sua moglie] si sia rifugiato lì perché, essendo il castello del quale lui si è disinteressato da tempo in pessime condizioni [è abitabile solo in una zona di un’ala], necessita di notevoli opere di ricostruzione per essere pienamente utilizzato, e Voltaire, che - dopo la morte del padre - dispone di una buona rendita, è ben lieto di provvedere finanziariamente per realizzare i lavori necessari [i due stipulano un accordo: Voltaire presta la somma di 40.000 franchi al marchese du Châtelet che l’avrebbe restituita senza interessi a tempo indeterminato].

     Émilie naturalmente si dedica a dirigere i lavori e Voltaire, con il suo solito stile ironico, in una Lettera alla contessa de La Neuville del novembre 1734 scrive: «La signora du Châtelet è diventata architetto e giardiniera. Fa montare le finestre dove avevano messo le porte. Trasforma le scale in camini e i camini in scale. Sta facendo piantare dei tigli dove avevano proposto degli olmi; e se io avessi piantato un orto, lei avrebbe fatto un’aiuola. Inoltre, fa il lavoro delle fate in questa casa. Trasforma gli stracci in arazzi; trova il segreto per ammobiliare Cirey con un nonnulla». Alla fine dei lavori di ristrutturazione nel luglio 1737 il castello può ricevere un gran numero di ospiti che vanno a trovare la coppia, e vanta una biblioteca che contiene ben ventunmila titoli [più volumi di una biblioteca universitaria].

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Con la guida della Francia e navigando in rete fate una visita a Cirey-sur-Blaise, comune che conta 116 abitanti, nel dipartimento dell’Alta Marna, nella regione del Grand Est, e visitate [documentandovi, leggendone la storia riportata sulla guida della Francia e sulla rete] il castello di Cirey che ha ospitato Voltaire e Émilie du Châtelet dal 1734 al 1749...

     Émilie du Châtelet sprona Voltaire a comporre opere, e lei non rimane certo inattiva, anzi, si può dire che è Voltaire a doverle stare a ruota. Émilie traduce e rimaneggia La favola delle api, ovvero vizi privati e pubbliche virtù di Bernard de Mandeville [un’opera e un autore di cui ci occuperemo nel viaggio del prossimo anno] e nella prefazione scrive: «La legislazione di tutte le nazioni, anche di quelle in cui è una regina a reggerne le sorti, prevede che si insegni alle donne solo a servire gli uomini, mai che si preveda di educare le donne a pensare di testa propria e, se questo avvenisse, c’è da credere che sarebbero capaci di partorire un pensiero superiore sotto il profilo umano a quello, sciatto e ripetitivo, che sono stati capaci di produrre gli uomini finora». Voltaire, sollecitato da Émilie, inizia a comporre il Dizionario filosofico, che verrà pubblicato nel 1764, un’opera che non serve solo per veicolare un sapere ma, soprattutto, per procurare divertimento alla lettrice e al lettore per mezzo del racconto di spassosi aneddoti storici, di dilettevoli ritratti morali, di gioviali fantasie satiriche, di immagini originali, di acute sentenze, di deliziosi tratti di spirito e di ingegnose e gustose osservazioni. Quest’opera contiene l’instancabile polemica di Voltaire contro il pericolo del razzismo, del settarismo, delle superstizioni di ogni genere che provocano inevitabilmente le persecuzioni e l’intolleranza che è la vera peste nociva per la vita sociale. Voltaire affronta i grandi temi dello Stato laico, della sovranità popolare, della libertà di pensiero, dei vantaggi della critica perspicace e della diffusione dell’istruzione come strumento di progresso civile.

     Voltaire, al lavoro nel castello di Cirey, affina le sue armi più micidiali: l’arguzia e il sarcasmo, e Émilie du Châtelet lo incalza ricordandogli che «il riso ha in sé qualcosa di rivoluzionario. In chiesa e a corte non si deve ridere. Almeno apertamente. I servi non hanno diritto di sorridere alla presenza dei loro padroni. Solo le persone che si considerano uguali ridono insieme tra loro. Il riso distrugge più del pianto». Da questo momento tutte le opere che Voltaire compone [e sono molte] si caratterizzano per questi elementi.

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Richiedete in biblioteca o consultate sulla rete il Dizionario filosofico di Voltaire e leggetene una voce [sono 119 voci] al giorno...

     E ora leggiamo la prima voce del Dizionario filosofico di Voltaire che corrisponde al termine “abate”. Noi abbiamo incontrato gli abati più trasgressivi, Voltaire descrive “l’abate medio e maggioritario” quello che aspira ad avere un po’ di potere e un buon reddito, e che approfitta dell’ignoranza e della superstizione popolare …

Voltaire,  Dizionario filosofico

Abate (Abbé). “Dove andate, Signor abate?” con quel che segue … Ma lo sapete che abate significa padre? Se lo sapete davvero, rendete servizio al pubblico, e farete senza dubbio la miglior cosa che possa fare un uomo: padre di esseri ragionevoli. Opera in cui c’è qualche cosa di divino. Ma se voi siete il “Signor abate” soltanto perché avete la tonsura, portate un collettino rotondo e un mantello corto, e state in attesa di qualche beneficio, non meritate tal nome. I monaci di una volta chiamarono così il loro superiore che essi stessi eleggevano: l’abate era il loro padre spirituale. Ma come cambia il significato dei nomi nel tempo! Quell’abate spirituale era un povero, capo di numerosi altri poveri. Ma questi poveri padri spirituali sono venuti ad avere col tempo i tre e i quattrocento mila franchi di rendita all’anno; e vi sono oggidì dei poveri padri spirituali in Germania, che mantengono un reggimento di Guardie.

Un povero, che ha fatto giuramento di restar povero, e che di conseguenza diventa sovrano! È stato già detto, ma non bisogna stancarsi di ripeterlo: è un fatto inammissibile. Gridan le leggi contro questo abuso, la vera religione se ne indigna, e i poverelli autentici, nudi e senza cibo levan grida e lamenti alla porta del palazzo del Signor abate. Ma qui i signori abati d’Italia e di Germania, delle Fiandre e della Borgogna protestano, e dicono: “E perché non dovremmo accumulare anche noi beni ed onori? Perché non dovremmo poter essere principi? Lo fanno bene anche i vescovi; in origine essi erano poveri come noi; poi si sono arricchiti, si sono elevati e uno di loro è diventato persino superiore ai re: lasciateci imitarli fin che possiamo”.

E avete ragione, signori: invadete il mondo, poiché il mondo appartiene ai forti e ai furbi che lo san conquistare. Voi avete approfittato dei secoli di ignoranza e di superstizione e di demenza, per spogliarci delle nostre eredità, per metterci sotto i piedi, per ingrassarvi coi beni degli sventurati: attenti che non arrivi il giorno del trionfo della ragione. …

     Émilie du Châtelet dal 1737 si dedica ad approfondire ancor di più la tematica scientifica contenuta nel pensiero di Newton [che abbiamo incontrato nel Percorso dello scorso anno e che non è certamente di facile comprensione] e, di conseguenza, invoglia anche Voltaire a occuparsi di Fisica in modo da dare inizio alla divulgazione delle questioni assai complesse poste da questa disciplina: lui scrive La metafisica di Newton.

     Émilie du Châtelet traduce dal latino in francese il celebre trattato di Newton del 1687 intitolato Philosophiae Naturalis Principia Matematica [l’opera più importante della Storia della Fisica] e poi pubblica nel 1737 un saggio intitolato Elementi della filosofia di Newton con lo scopo di divulgare presso un pubblico non dotato di particolari conoscenze scientifiche il pensiero del grande scienziato inglese che ha codificato la Legge di gravitazione universale, come abbiamo studiato nel viaggio dello scorso anno.

     Due anni prima una simile operazione, ma meno approfondita, l’aveva compiuta, con lo stesso intento divulgativo, lo scrittore e saggista Francesco Algarotti [nato a Venezia nel 1712 e morto a Pisa nel 1764] il quale ha composto un trattatello intitolato Newtonianismo per le dameVisto che nei salotti - scrive Algarotti - le più interessate a sentir parlar di scienza sono le signore mentre i signori non han voglia di imparar nulla, e preferiscono discorrere di aspetto fisico piuttosto che di Fisica»]. Francesco Algarotti è stato spesso ospite di Émilie e di Voltaire a Cirey ed è un personaggio che merita di essere conosciuto [ed è bene iniziare a suggerire i compiti per le vacanze].

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Con l’enciclopedia e navigando in rete andate a documentarvi su Francesco Algarotti...

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     La prefazione dell’opera Elementi della filosofia di Newton di Émilie du Châtelet è stata scritta da Voltaire e vi si legge, un po’ come se lui si volesse appropriare di questo testo: «Non si tratta qui di una filosofia immaginaria. Lo studio solido che voi, Émilie, avete fatto di molte nuove verità, e il frutto di un lavoro rispettabile, sono ciò che io offro al pubblico per la vostra gloria, per quella del vostro sesso, e per l’utilità di chiunque vorrà coltivare la propria ragione e gioire senza fatica delle vostre ricerche». E poi Voltaire aggiunge anche una dedica in versi: «Tu mi chiami a te vasto e possente genio,/ Minerva rediviva, Émilie immortale,/ allieva di Newton, e della Verità,/ tu penetri i miei sensi coi fuochi della tua chiarezza/ io rinuncio agli allori del teatro [che ha dato il successo a Voltaire] ed entro, come discepolo, nel laboratorio di Fisica da te creato» [nel castello di Cirey è stato allestito un piccolo teatro e un ben attrezzato laboratorio di Fisica]. Nel 1738 Voltaire concorre al Premio dell’Accademia delle Scienze di Parigi: si tratta di un concorso al quale si partecipa  inviando una tesi Sul fenomeno del fuoco, e anche Émilie gareggia inviando la sua dissertazione all’insaputa di lui. Il premio in palio [su una cinquantina di concorrenti da tutta Europa] se lo aggiudica Eulero [Leonhard Euler, nato a Basilea nel 1707 e morto a San Pietroburgo nel 1783] che è considerato il più importante matematico del ‘700, ed è stato il più grande fornitore di “denominazioni matematiche” avendo dato il suo nome a una quantità enorme di formule, di teoremi, di metodi, di criteri, di relazioni, di equazioni: le sue 887 opere sono contenute in ben 74 volumi [la raccolta di studi matematici più vasta al mondo], e questo personaggio merita di essere conosciuto.

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Con l’enciclopedia e navigando in rete andate a documentarvi su Eulero... 

Incuriositevi perché la curiosità potenzia l’attività cognitiva...

     Ebbene, Voltaire è quarto nella classifica del Premio dell’Accademia delle Scienze di Parigi mentre il secondo posto, dopo Eulero, se lo aggiudica Émilie du Châtelet e questo fatto produce grande scalpore negli ambienti intellettuali europei.

     Nel 1740 Émilie compone Istituzioni di fisica, un’opera nella quale fa combaciare le teorie filosofiche di Leibniz con le posizioni scientifiche di Newton, e la dedica è rivolta a suo figlio dodicenne: «Negli anni in cui l’intelletto comincia a pensare, ma il cuore non sente ancora quelle violente passioni che possono turbarlo, bisogna prepararsi alle avversità della vita, nelle quali lo studio può offrire consolazione e riparo basandosi sull’esperienza che è un bastone che la Natura ha dato a noi ciechi per guidarci nelle nostre ricerche»: nel 1746 quest’opera le è valsa la nomina a membro dell’Accademia delle Scienze di Bologna, e questo è avvenuto su proposta della professoressa Laura Bassi appena nominata [prima e unica donna] membro effettivo dell’Accademia bolognese. Laura Bassi [1711-1778] è una delle prime donne laureate in Italia e detiene la cattedra di Fisica newtoniana all’Università di Bologna [Bologna si trova nello Stato pontificio, ed è un papa illuminato, Benedetto XIV, Prospero Lambertini, a favorire la carriera intellettuale di questa persona di valore].

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Laura Bassi è una figura che merita di essere conosciuta utilizzando l’enciclopedia e navigando in rete: è stata una delle prime donne al mondo a ottenere una cattedra universitaria, ed è stata anche l’insegnante del gesuita e biologo Lazzaro Spallanzani [1729-1799, che era suo cugino, ed è considerato il padre scientifico della fecondazione artificiale]…                  

Incuriositevi perché la curiosità invoglia la mente a fare ricerca...

     Nel 1741 Émilie du Châtelet si dedica anche all’esegesi biblica in chiave razionalista e compone due opere intitolate Esami della Genesi e Esami del Nuovo Testamento, due trattazioni sistematiche delle quali Voltaire si è servito nella redazione di molte voci del Dizionario filosofico per ironizzare sulle incongruenze della religione rivelata. Voltaire ed Émilie ogni tanto [senza dare nell’occhio] fanno una puntata a Parigi dove soggiornano nell’appartamento di lei e s’incontrano anche con Madame de Pompadour, la principale amante in questo momento di Luigi XV, che è una grande sostenitrice delle Arti e delle Lettere ed è impegnata a proteggere le intellettuali e gli intellettuali, in particolare, i redattori dell’Encyclopédie, un’impresa che lei sostiene anche economicamente.

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Madame de Pompadour [Jeanne-Antoinette Poisson (nata a Parigi nel 1721 e morta a Versailles nel 1764) nota come Marchesa de Pompadour, detta Reinette, la più celebre favorita di Luigi XV e la donna francese più potente del secolo dei Lumi] è una figura che merita di essere studiata utilizzando l’enciclopedia e navigando in rete...

Incuriositevi perché la Marchesa è più conosciuta di nome, per sentito dire, che di fatto...

     Voltaire, per merito di Madame de Pompadour, può riprendere a frequentare la corte, e nel 1746 viene accolto all’Accadèmie Française con il titolo di storiografo del re: ma Luigi XV non lo ama, i cortigiani lo detestano e a lui non piace la subordinazione e, quindi, nel 1747, dopo avere scritto il racconto filosofico [con molti accenti autobiografici] intitolato Zadig o il destino, torna a Cirey. Il rapporto sentimentale tra Voltaire ed Émilie a partire dal 1740 si trasforma esclusivamente in complicità intellettuale e in amicizia. Voltaire inizia una relazione - prima parentale e poi amorosa - con sua nipote Marie-Louise Mignot, scrittrice, musicista, e vedova di Nicolas Denis e, quindi, nota come Madame Denis [1712-1790, figlia di sua sorella Marie e di Pierre-François Mignot].

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Se volete documentarvi sul complesso legame intercorso nel giro di mezzo secolo, dal 1726 al 1778 tra Voltaire e Madame Denis potete scorrere la vita di questa persona [e la bibliografia che la riguarda] utilizzando l’enciclopedia e navigando in rete…

Incuriositevi perché la curiosità favorisce la comprensione delle idee...

     E poi succede che Émilie, nel 1746, è presa da un’improvvisa passione per il poeta Jean-François de Saint-Lambert [nato a Nancy nel 1716, di dieci anni più giovane di lei]. Sembra che Saint-Lambert non sia stato particolarmente attratto da Émilie ma che abbia agito solo per far ingelosire la sua precedente amante, Madame de Boufflers, che lo aveva abbandonato. La relazione si risolve tragicamente perché Émilie rimane incinta e affronta una gravidanza a un’età che, all’epoca, costituisce un rischio notevole e, difatti, dà alla luce una bambina che muore subito dopo la nascita e lei stessa muore sei giorni dopo [il 10 settembre 1749] assistita da Voltaire e da Saint-Lambert entrambi affranti per questa disgrazia.

     Dopo la morte di Émilie, Voltaire scrive a Madame Denis: «Non ho perduto una persona amata ma la metà di me stesso. Un’anima fatta appositamente per la mia anima». Mentre Saint-Lambert nel 1750 entra in contatto con gli enciclopedisti [Diderot e d’Alembert] e scrive per l’Encyclopédie ventisette voci, tra cui “genio” e “lusso”, e trattando il termine “lusso” compone una definizione che suona come una critica nei confronti della corte dove si vive esaltando la presunta bontà del lusso: «Il lusso [scrive Saint-Lambert all’omonima voce dell’Encyclopédie] è deprecabile sfoggio di ricchezza, di sfarzo, di magnificenza, è tendenza verso spese superflue, incontrollate, per l’acquisto e l’uso di oggetti che, o per la qualità o per l’ornamentazione, non hanno un’utilità corrispondente al loro prezzo, e sono solo volti a soddisfare la perversa ambizione dell’acquirente.». Come poeta Saint-Lambert ha composto molte opere [è stato un interprete del gusto letterario dell’età dei Lumi, quello della poesia descrittiva: volta a osservare e descrivere per stimolare la riflessione esistenziale] e il poema Le stagioni del 1769 è considerato il suo capolavoro. Saint-Lambert ha convissuto per molti anni con la contessa Sophie d’Houdetot [1730-1813, che rincontreremo nel viaggio del prossimo anno perché di lei, nel 1757, si è invaghito, non corrisposto, J-J Rousseau che la raffigura nella sua opera intitolata Nouvelle Héloïse. Saint-Lambert [dal 1770 al 1789] è stato membro dell’Accadèmie Française ed è morto a Parigi nel 1803 dopo aver vissuto, durante il periodo rivoluzionario [dal 1789 al 1801], appartato con Sophie in un villaggio di campagna  dove i due si sono comportati come una coppia di contadini qualunque.

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Con l’enciclopedia e navigando in rete andate a documentarvi sul poeta enciclopedista Jean-François de Saint-Lambert e su la contessa Sophie d’Houdetot... 

Incuriositevi perché la curiosità indirizza verso le attività di apprendistato cognitivo...

     Voltaire, dopo al morte di Émilie, diventa meno ottimista e ciò è documentato nelle sue opere [specie nei romanzi filosofici di cui parleremo nel prossimo itinerario]. Ma la svolta scettica di Voltaire matura anche in seguito a una catastrofe. Il 1° novembre 1755 un terremoto, un maremoto e un violento incendio distruggono completamente Lisbona [muoiono circa 40mila persone]: questo avvenimento, la prima catastrofe che fa eco nel mondo, suscita una vivissima impressione in Europa. Ora per concludere cogliamo l’occasione per dire che i lavori di ricostruzione [su un piano regolatore voluto dal celebre marchese de Pombal] sono durati un secolo e Lisbona è una bellissima città del ‘700 [consultate una guida e navigate in rete per un riscontro in proposito].

     Voltaire scrive subito, preso dalla più viva commozione, il Poema sul disastro di Lisbona e si capisce che nella sua mente l’ottimismo ragionevole ha lasciato il posto al ragionevole scetticismo. E ora leggiamo per chiudere l’incipit del Poema.

Voltaire, Poema sul disastro di Lisbona

Filosofi in errore, che affermate “Tutto è bene!” / Accorrete, osservate le rovine spaventose e riflettete … / Lisbona non esiste più, e fu forse più viziosa di Londra o di Parigi, infettate dai piaceri? / Lisbona è distrutta, e a Londra danzano e danzano a Parigi … / I Filosofi non mi hanno insegnato quali nodi invisibili / nel più perfetto degli universi possibili / fanno sì che un eterno disordine, un caos di sventure, / mescolino sofferenze reali e presenti ai nostri frivoli e vani godimenti, / né perché gli innocenti, come i colpevoli, / siano soggetti egualmente in modo reale a questo inevitabile e catastrofico male. / E non comprendo come possa andar tutto bene: / sono come un dottore; ahimé, non so nulla! Posso solo constatare l’immenso dolore.

     Anche nell’ultimo itinerario dobbiamo procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé consapevoli che non bisogna mai perdere la volontà di imparare! Il Calendario 2023-2024 è già pronto [e lo avrete nel prossimo itinerario] per cui, dopo la vacanza estiva, speriamo di poter intraprendere un nuovo viaggio…

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Maggio 5, 2023