ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»
PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA DELLA LETTURA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
La sapienza poetica e filosofica nel secolo dei Lumi
10-11-12 e 19 maggio 2023
SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI
SI COLTIVA IL RACCONTO FILOSOFICO ...
Questo è il quattordicesimo itinerario [l’ultimo] del nostro viaggio sul territorio del secolo dei Lumi e questa sera dobbiamo continuare e concludere il nostro incontro con colui che è diventato l’incarnazione più viva dell’epoca dei Lumi, un’epoca che ha assunto il suo volto e la sua voce: stiamo parlando, come sapete, di François-Marie Arouet detto Voltaire.
La figura di Voltaire attraversa e domina il secolo dei Lumi: lui nasce alla fine del ‘600, nel 1694, e muore nel 1778 alla vigilia della Rivoluzione, un avvenimento che ha auspicato si avverasse in nome della giustizia sociale ma poi, se avesse fatto in tempo a vedere la piega reazionaria che ha preso la Rivoluzione, avrebbe biasimato questo fatto in nome del mancato rispetto per la tolleranza che si è venuto a creare e, forse, avrebbe finito per cadere vittima di una nuova forma di fanatismo, ma il governo rivoluzionario si appropria della figura di Voltaire e, a tredici anni dalla sua morte, l’11 luglio 1791, in piena Rivoluzione, il suo corpo viene trasferito al Pantheon dopo un grandioso funerale solenne.
Voltaire, con la sua scrittura ironica, sarcastica ed elegante, esprime le numerose suggestioni del clima intellettuale illuministico e ne diventa l’araldo mostrandosi come il più deciso demolitore dei principi su cui si fonda la società dell’ancien regime. Voltaire scrive senza sosta [scrive - per gran parte della sua vita - anche fino a dodici Lettere al giorno ai suoi corrispondenti] e diventa, come abbiamo detto, più ancora che Montesquieu, Diderot, d’Alembert, Rousseau, la figura in cui s’incarna un’epoca. Qualcuno, delle tante e dei tanti studiosi che si sono occupati di Voltaire, ha scritto: «La compenetrazione fra Voltaire e il suo secolo, fra la sua opera e le idee che sono “nell’aria” è così stretta che è difficilissimo distinguere il suo genio personale dal genio del tempo, in quanto entrambi sembrano procedere nello stesso senso»; e siccome il secolo dei Lumi è un’epoca complessa, sul cui terreno colturale si sviluppano pensieri contraddittori, anche l’opera gigantesca di Voltaire - visto che il suo genio s’identifica con quello del suo tempo - contiene molti aspetti contraddittori, e i suoi Scritti [l’opera di Voltaire comprende settanta titoli] risultano di volta in volta impegnati ma anche di circostanza, filosofici ma anche leggeri, ironici ma anche serissimi, per cui diventa difficoltoso definire esattamente le caratteristiche del pensiero volterriano: difatti, spesso, per sintetizzare, si finisce per cadere nel semplicismo anche se, per motivi di comprensione, un esercizio di sintesi in proposito è necessario. E allora ci dobbiamo domandare: che cosa è stato Voltaire?
Voltaire, come ha scritto Goethe, è stato soprattutto un pensatore critico eccezionale [una figura capace di smuovere le acque] che, sebbene per esempio la sua partecipazione diretta ai lavori dell’Encyclopédie sia stata molto modesta, tuttavia è stato colui che dall’esterno ha sostenuto con più forza tutte le grandi battaglie ideali di questo movimento contribuendo a farlo decollare. Sebbene la maggior parte dei nuovi filosofi illuministi si siano formati al di fuori della sua orbita tuttavia è stato il suo esempio, prima di tutto attraverso le Lettere filosofiche spedite dall’Inghilterra, che ha contribuito a favorire la loro emancipazione sul piano intellettuale. Quindi, come filosofo, Voltaire può essere considerato “il tutore” dell’illuminismo ma non nel senso che abbia edificato una nuova filosofia [perché lui non lo ha fatto: Voltaire - ci si domanda - è un filosofo senza una sua filosofia?]: eppure è stato il patrocinatore del secolo dei Lumi perché, in un ambiente dominato dal pensiero di Cartesio, ha introdotto lo studio dell’empirismo di Locke e del sistema scientifico di Newton, seguendo in questo, come sappiamo, l’esempio di Émilie du Châtelet.
Voltaire, come filosofo, è un pensatore di scarsa originalità: la sua concezione della realtà si riduce in sostanza a una forma di teismo, cioè, come abbiamo già detto, egli ammette, con un’idea orientata all’ottimismo, l’esistenza di un Essere infinito, un Ente supremo, che ordina l’Universo secondo Leggi positive e immutabili e, quindi, si oppone a ogni tipo di speculazione teologica così come contrasta ogni forma di dogmatismo. Di conseguenza, al grande filosofo suo contemporaneo, Leibniz [il cui pensiero abbiamo studiato nel viaggio dello scorso anno] contesta che ci si possa pronunciare sui fondamentali temi ontologici [su Dio, sulla creazione del Mondo, sulla natura dell’Anima] perché la persona, sostiene Voltaire, non può risolvere i problemi che superano il suo intelletto.
Secondo Voltaire la metafisica è nefasta prima di tutto perché genera sistemi opposti fra loro che dividono le persone e produce teorie nocive come “l’ottimismo di Leibniz” il quale sostiene l’esistenza della Provvidenza divina per cui l’Umanità non può che trovarsi a vivere nel migliore dei mondi possibili mentre l’idea di Provvidenza, sostiene Voltaire, costituisce un freno per l’azione umana che dovrebbe agire senza sosta per rendere le persone meno infelici. I filosofi di nuova generazione come Diderot, d’Alembert, d'Holbach e i loro amici, che sono interpreti di un materialismo profondo, considerano il teismo di Voltaire troppo superficiale, all’acqua di rose, e Rousseau [che incontreremo nel prossimo viaggio], che ha riscoperto la poesia del cristianesimo, considera semplicistico e ridicolo il teismo di Voltaire [Rousseau e Voltaire non sono mai andati d’accordo, e il loro disaccordo ha fatto epoca].
Dunque la filosofia per Voltaire, che fino agli anni ’50 del ‘700 è stato lui pure un tenace ottimista, non è stata la sua principale preoccupazione, però si è adoperato senza sosta perché la mentalità filosofica [la ricerca continua, l’indagine permanente] si diffondesse. Per questo, lo si deve considerare “un filosofo” in possesso di due doti essenziali: in primo luogo possiede una curiosità intellettuale infaticabile e illimitata, e lo attirano tutte le ricerche umane, tutte le speculazioni, tutte le idee, e si occupa di tutto, è informato di tutto, si pronuncia su tutto, sperimenta tutto, dalla matematica, in tutte le sue forme, all’astronomia, dalla fisica alla chimica, dalla geografia alla biologia, dalla psicologia alla storia, dalle arti classiche alle nuove tecniche, dalla morale alla politica e, quindi, come abbiamo detto, a questo proposito, può essere considerata emblematica la composizione del Dizionario filosofico: l’opera enciclopedica di un autore che vuole abbracciare e comprendere tutto lo scibile, e questo è un atteggiamento tipico del filosofo.
Inoltre [e questa è la sua seconda dote] è proprio del filosofo essersi dedicato a ognuna delle sue molteplici attività con un inesauribile spirito di libertà e di autonomia: Voltaire non si è mai lasciato condizionare da pregiudizi di qualunque natura, nessuno è mai stato più deliberatamente irrispettoso di lui verso tutti i tabù e tutti i feticci, e si potrebbe dire che è stato così tenace [subendo denunce, arresti ed esili] nel proclamare l’importanza del libero pensiero e il valore della Ragione tanto da farli diventare, il libero pensiero e la Ragione, dei veri e propri idoli [un fatto non propriamente positivo che Voltaire avrebbe criticato]. Voltaire cerca di conoscere la verità e s’impegna a cercarla ma appena ritiene di aver trovato “qualcosa di vero” scopre anche, allo stesso tempo, una selva di errori che emergono da quel “qualcosa” rendendolo meno veritiero, e questa situazione fa dilatare il suo spirito di polemista intenzionato sempre a combattere per una giusta causa: quindi, a Voltaire viene attribuito il titolo di “primo intellettuale impegnato in senso moderno” che lotta contro tutti gli abusi politici e sociali, contro i privilegi fiscali e l’iniqua tassazione inflitta ai meno abbienti, e soprattutto s’impegna a denunciare il militarismo, le crudeltà della guerra, l’uso della tortura e della pena di morte.
In proposito scrive il Trattato sulla tolleranza in occasione della morte di Jean Calas con il quale Voltaire riesce a ottenere la revisione del processo e la riabilitazione postuma del modesto commerciante protestante Jean Calas che, a Tolosa nel 1761, è stato giustiziato ingiustamente con la falsa accusa di aver assassinato suo figlio primogenito per impedirgli di convertirsi al cattolicesimo mentre il giovane si era suicidato, ma i giudici si sono lasciati influenzare dai pettegolezzi del vicinato e dal fatto che Jean Calas fosse protestante, e hanno chiuso il caso emettendo una sentenza capitale senza condurre indagini. Voltaire, convinto dell’innocenza di quest’uomo, dà per primo un esempio che lascia un segno: forma un gruppo di pubblica opinione e usa la sua penna corrosiva di intellettuale impegnato in campo sociale perché giustizia venga fatta a quest’uomo e alla sua famiglia.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Utilizzando l’enciclopedia e navigando in rete potete cercare “il caso Calas” per conoscere nei particolari questo avvenimento [il caso, l’intervento di Voltaire, il Trattato sulla tolleranza riguardante, oltre al caso Calas, anche il caso Sirven e il caso La Barre]...
Incuriositevi perché la curiosità stimola la mente a investire in intelligenza...
Voltaire, dopo la morte di Émilie du Châtelet [avvenuta nel 1749, come ricorderete], vive un momento di grande sconforto ma deve reagire e decide di accettare l’invito di Federico II di Prussia con il quale era da tempo in corrispondenza, ancor prima che il monarca salisse al trono.
Voltaire nel 1750 parte per Berlino ospite di Federico II di Prussia che lo insignisce del titolo di membro d’onore dell’Accademia tedesca e lì - oltre a istruire il sovrano - Voltaire lavora per completare il Dizionario filosofico, termina i racconti Zadig e Micromegas e compone anche importanti saggi di storiografia: Il secolo di Luigi XIV, il Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni e Storia della Russia sotto Pietro il Grande. Per Voltaire il dispotismo della monarchia assoluta - che lui chiama “arbitrario”, un tema di cui tratta nei suoi Saggi di storiografia - è sbagliato nel suo principio perché è fondato non sulle Leggi della Ragione ma sul capriccio del sovrano [un atteggiamento che dà adito a comportamenti che forniscono pessimi esempi] ed è, di conseguenza, scrive Voltaire, «un sistema funesto nelle sue conseguenze perché comporta la schiavitù, la persecuzione, l’ipocrisia, l’avvilimento dei sudditi, la venalità dei ministri, la cupidigia dei funzionari e la disonestà dei giudici». Tuttavia Voltaire vorrebbe salvare l’istituto monarchico e opera affinché “il dispotismo arbitrario” cessi di esistere per lasciare il posto a “una forma di governo illuminato” dove chi gestisce il potere orienti la propria mente e uniformi la propria condotta alle esigenze della Ragione. Voltaire ritiene che una sovrana o un sovrano, educato dai filosofi, potrebbe rendere prospero il suo popolo concedendo le libertà fondamentali [i diritti costituzionali] a tutte le cittadine e i cittadini che, formati a loro volta allo spirito filosofico, saprebbero cooperare tra loro per tutelare il bene pubblico.
Ma il sodalizio con Federico II [che, come Caterina di Russia, preferisce agire secondo la ragion di Stato piuttosto che conformemente allo Stato di Ragione] s’interrompe bruscamente: Voltaire è fortemente deluso dal comportamento del monarca prussiano, crollano le sue speranze in una monarchia illuminata e, di conseguenza, dopo una violenta polemica con i membri dell’Accademia berlinese, fugge da Berlino e rientra in Francia nel 1753, ma Luigi XV, irritato con lui per il Saggio su Luigi XIV, non gli permette di avvicinarsi a Parigi. Quindi, Voltaire si trasferisce a Ginevra, in Svizzera, dove, in un primo momento, viene accolto e onorato come il campione della tolleranza ma poi non si sente più al sicuro in questa città che è amministrata da un governo di matrice calvinista molto autoritario - sul quale Voltaire esprime un parere negativo con parole rabbiose e durissime in una Lettera inviata a d’Alembert -, un esecutivo intollerante che vieta anche le rappresentazioni teatrali considerate immorali [mentre Voltaire vorrebbe fondare un teatro ginevrino nel quale rappresentare le sue tragedie] per cui decide di emigrare a Losanna.
Sappiamo che Voltaire, dopo al morte di Émilie du Châtelet, è diventato meno ottimista e queste ultime esperienze, fatte durante la permanenza a Berlino e a Ginevra, non sollevano certo il suo umore, ma [come sappiamo] la svolta scettica di Voltaire matura soprattutto in seguito a una catastrofe, quella del 1° novembre 1755, quando un terremoto, un maremoto e un violento incendio distruggono completamente Lisbona e muoiono circa 40mila persone. Questo avvenimento [una catastrofe che ha un vasto eco nel mondo] suscita una vivissima impressione in Europa, e Voltaire, come sapete, scrive, preso dalla più viva commozione, il Poema sul disastro di Lisbona e si capisce che nella sua mente l’ottimismo ragionevole ha lasciato il posto al ragionevole scetticismo [e la volta scorsa abbiamo anche letto l’incipit di questo Poema]. I lavori di ricostruzione della capitale lusitana [su un piano regolatore - razionale, d’impronta illuminista - voluto dal celebre marchese de Pombal, come abbiamo ricordato nell’itinerario scorso] sono durati un secolo e Lisbona è una bellissima città del ‘700 che si è trovata pronta ad accogliere molti aspetti innovativi novecenteschi.
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Consultando una guida della città e navigando in rete fate una visita a Lisbona tenendo conto di ciò che abbiamo detto... E, in proposito, volendo, potete leggere il testo del 1925, composto da una quarantina di pagine, dal titolo: Lisboa. Quello che il turista deve vedere scritto da Fernando Pessoa [1888-1935] che propone una visita essenziale alla città e a tutt’oggi utilizzabile… Incuriositevi perché la curiosità potenzia l’attività cognitiva...
Nel 1758 Voltaire inizia a scrivere quella che sarebbe diventata la sua opera più famosa, il racconto intitolato Candido.
Voltaire nel racconto filosofico intitolato Candido, che inizia a scrivere nel 1758, afferma, alla fine come è noto, che il segreto della felicità sta nel “coltivare il proprio orto” e, con questa affermazione [da non considerarsi banale!], vuole proporre una filosofia pratica che escluda tanto l’idealismo astratto ed evanescente quanto la metafisica non praticabile con la ragione. E il suo “orto” Voltaire lo trova a Ferney una località [un piccolo comune nel quale si trasferisce] sulla strada per Ginevra, nei pressi del confine tra la Francia e la Svizzera, dove acquista un castello al centro di una vasta proprietà, e nello stesso tempo compra anche un possedimento a Tournay nel sud della Francia, nel dipartimento degli alti Pirenei, nella regione dell’Occitania vicino al confine con la Spagna], in modo che, in entrambi i casi, attraversando le frontiere, se ce ne fosse stato bisogno, si sarebbe potuto mettere al sicuro da eventuali fermi di polizia.
Voltaire, nel suo possedimento di Ferney, vive il periodo più attivo della sua vita: intorno al castello c’è molta terra da coltivare e lui organizza una tenuta moderna partecipando al movimento di riforma agricola che per merito dei proprietari terrieri più illuminati sta prendendo forma in quest’epoca e assume anche un buon numero di braccianti [regolarmente salariati]. Promuove anche a sue spese la ristrutturazione [siccome era in rovina] della chiesa parrocchiale di Ferney, attigua alla sua proprietà, facendo incidere sulla facciata l’iscrizione “Deo erexit Voltaire” [Voltaire eresse questo a Dio]. Visto che il vescovo di Annecy, sotto la cui giurisdizione era Ferney [fate una visita - con la guida della Francia e navigando in rete - alla città di Annecy situata nel dipartimento dell’Alta Savoia, nella regione Alvernia-Rodano-Alpi] non condivide questo operato [questa iniziativa presa da un filosofo considerato eretico e blasfemo], Voltaire, che non poteva essere fedele a se stesso senza provocare polemiche, nel giorno di Pasqua del 1762 decide di celebrare una funzione [leggendo brani evangelici] e tiene un sermone sul furto e sull’ubriachezza [farà lo stesso anche negli anni successivi violando i divieti vescovili che consideravano il suo un reato sacrilego].
Voltaire poi, da Ferney, si intromette nella politica del governo calvinista ginevrino e prende le parti degli operai [gli onatifs, quelli senza diritti civili] e, per sostenerli diventa imprenditore e impianta una fabbrica di calze e una di orologi nella sua tenuta. Si batte, senza successo, per la liberazione dei servi della gleba nella regione del Giura, ma riesce però a far sopprimere la barriera doganale sulla strada tra il comune di Gex nel Giura e Ginevra, in modo che i prodotti di questa regione [derivanti da un’intesa attività agricola e zootecnica] possano essere commerciati a un prezzo più equo e più vantaggioso per i lavoratori.
Tutti questi generosi interventi procurano una grande popolarità a Voltaire, una popolarità che da Ferney arriva fino a Parigi. Voltaire non ha mai vissuto in isolamento e ha sempre tenuto uno stretto contatto con Parigi, e il castello di Ferney è stato sempre pieno di visitatrici e di visitatori parigini ed europei, e lui ospita tutti volentieri dal momento che, come abbiamo detto,] è diventato un punto di riferimento, una sorta di “padre nobile” del secolo dei Lumi.
Voltaire è sempre stato in corrispondenza [ha scritto e ricevuto migliaia di Lettere] con moltissime persone: con i filosofi parigini, con gli scienziati europei [in particolare con lo scienziato italiano Lazzaro Spallanzani, che Voltaire ammira per i suoi studi innovativi], con le attrici e gli attori del suo teatro, con i membri della corte, in particolare con il duca di Richelieu [pronipote del cardinale di Richelieu], con il duca di Choiseul, con Madame de Pompadour e poi con Madame du Barry [l’ultima favorita di Luigi XV], e da Ferney riprende anche la corrispondenza con Federico II di Prussia, e scambia Lettere pure con Caterina II di Russia che progetta grandi riforme di stampo illuminista. Quando nel 1777 Voltaire decide di tornare a stabilirsi a Parigi il popolo di Ferney lo acclama e, per salutarlo devotamente, accompagna la sua carrozza per molti chilometri. A Parigi Voltaire viene accolto trionfalmente, ma lui si apparta per occuparsi di economia politica e poi dedica gli ultimi mesi della sua vita allo studio della metafisica sull’Ethica di Spinoza e La ricerca della verità di Malebranche fino al giorno della sua morte: il 30 maggio 1778.
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Con la guida della Francia e navigando in rete andate a far visita al castello di Ferney…
Incuriositevi perché la curiosità invoglia la mente a fare ricerca...
Molto altro ci sarebbe da dire sulla biografia di Voltaire ma, come abbiamo capito, l’importanza di questa figura va al di là di tutte le iniziative che ha promosso e anche oltre le teorie da lui proposte. Voltaire, oggi, viene apprezzato come un eccellente e molto efficace romanziere contemporaneo sebbene l’accesso alla sua prosa presenti delle difficoltà di lettura e, quindi, se ci si vuole avvicinare ai testi di Voltaire bisogna farlo tenendo conto di quelli che sono gli elementi del suo stile.
Voltaire vuole e ama scrivere in modo molto godibile e lo fa, prima di tutto, per divertire se stesso in modo da rendere più piacevole l’attività del proprio intelletto, e poi s’impegna instancabilmente per esercitare il suo spirito scettico. Voltaire vuol essere un brillante sofista e opera con l’intenzione di far diventare il suo stile, permeato di ironia, un vero e proprio genere letterario usando come armi il sarcasmo e l’irrisione e non disdegna, anche per giustificare certi suoi comportamenti, di usare il sarcasmo pure verso sè stesso. Voltaire, come scrittore, si sforza di guardare le cose soprattutto dal lato comico, farsesco, umoristico e osa anche gettare il ridicolo su tre elementi che hanno contribuito a far nascere l’ideologia del secolo dei Lumi di cui lui è diventato il vate: Voltaire, soprattutto nel racconto filosofico intitolato Candido, condanna l’ottimismo provvidenziale incondizionato; Voltaire, soprattutto nel racconto filosofico intitolato Micromega, disapprova la presunzione dell’essere umano quando dichiara di sentirsi al centro dell’Universo e padrone del Mondo; Voltaire, soprattutto nel racconto filosofico intitolato Zadig, critica il fatto che una persona, quando ritiene di essere molto buona, molto bella e molto brava, pretenda che il destino gli garantisca anche la felicità. I tre celebri racconti filosofici intitolati: Zadig, Micromegas e Candido meritano di essere letti [o riletti] perché invitano la persona a riflettere su temi di stringente attualità, e la Scuola, nell’ambito della didattica della lettura e della scrittura, ha il dovere di richiamare l’attenzione su questi testi.
Voltaire [per evitare la censura] ambienta il racconto intitolato Zadig o il destino in Oriente al tempo del Medioevo [nell’anno 837 dell’egira musulmana, seguendo l’esempio delle Lettere persiane di Montesquieu], ed è questa una delle opere più apprezzate di Voltaire, in cui l’autore mostra tutto il suo stile vivo e brillante [lo stile dei “racconti filosofici” che è diventato un genere letterario]. Voltaire, fedele anche lui al metodo dello “strabismo dei Lumi”, ironizza contro il malcostume presente in Oriente in età medioevale mentre il suo obiettivo è quello di colpire i nefasti comportamenti degli aristocratici nel tempo presente a Parigi. La narrazione di Voltaire è vivace, il suo racconto è disseminato di peripezie, e sottolinea come, per quanto l’esistenza sia piena di cambiamenti, resti comunque legata alla imprevedibilità del destino.
Voltaire mutua il nome del protagonista, Zadig, dall’ebraico Zaddiq che è, a sua volta, imparentato con l’arabo Sādiq che significa “giusto, retto”, e il riferimento è rivolto alle qualità morali del protagonista del racconto. Zadig, infatti, è un giovane ricco e pieno di qualità che crede di avere tutto ciò di cui ha bisogno per essere felice [e questo è il personaggio più autobiografico di Voltaire] ma, invece, diventa vittima di una serie di disavventure brillantemente raccontate [che meritano di essere lette] che lo portano a credere che sia impossibile per una persona sfuggire alla sfortuna e alla malasorte, finché incontra un eremita che, comportandosi in modo alquanto strano, gli rivela il segreto della felicità: solamente sottostando ai decreti della Provvidenza una persona riesce, infine, a ottenere ciò che più desidera e a essere felice. E noi, ci domandiamo: ma Voltaire non nega l’esistenza della Provvidenza? La nega finché non ritiene utile servirsene per portare a termine il suo racconto: Voltaire sente il bisogno non soltanto di filosofare [di assillarsi a scrutare la realtà con la Ragione] ma desidera anche trovare consolazione di fronte all’impotenza [magari ci fosse una Provvidenza capace di sanare le ingiustizie del mondo!] ed è un’ottima consolazione pensare che il destino, da qualche parte, prepari, in modo provvidenziale, un lieto fine alle nostre vicende [non è forse questo ciò che tutte e tutti noi vorremmo si realizzasse?]. La storia ruota attorno ai temi posti dal pensiero illuminista: con questo racconto filosofico Voltaire, come in tutti i racconti filosofici che scrive, critica il sistema feudale e dispotico della società aristocratica del '700 legata all’Antico regime, critica il fanatismo religioso che ostacola la ricerca della felicità e critica il sistema della monarchia assoluta che non rende la giustizia uguale per tutti e favorisce la corruzione, e critica l’atteggiamento ipocrita della borghesia affaristica.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Zadig o il destino è un’opera incompiuta ma ha una sua struttura che la rende completa [è formata da una Lettera introduttiva e ventuno brevi racconti allegorici] e la potete richiedere in biblioteca in una delle tante edizioni in cui è stata stampata… Incuriositevi perché l’essere curiose e curiosi ci fa capire che siamo destinate e destinati a imparare a imparare...
Leggiamo i primi tre racconti di Zadig o del destino dove il protagonista dapprima cerca la felicità in amore, e dall’amore riceve le prime delusioni, poi decide di rinunciare alla vita amorosa e di ritirarsi in solitudine per cercare la felicità nello studio della natura ma, anche in questo caso, non trova la felicità ma bensì scopre un metodo e capisce quanto sia pericoloso usare un procedimento scientifico di carattere induttivo in un mondo dove dominano la superstizione e le credenze irrazionali.
Voltaire, Zadig o del destino
IL GUERCIO
Al tempo del re Moabdar viveva in Babilonia un giovanotto di nome Zadig. Aveva un’indole buona, molto bene educata. Quantunque ricco e giovane, egli non si lasciava dominare dalle passioni, non si dava importanza, non voleva avere sempre ragione, tollerava le debolezze umane. Era cosa degna di ammirazione che egli nella sua superiorità di spirito ascoltasse e non schernisse quel chiacchiericcio disordinato, quelle imprudenti maldicenze e ignoranti asserzioni, e le grossolane freddure e l’inconcludente frastuono parolaio, che in Babilonia passavano per conversazione.
Dal primo Libro di Zoroastro egli aveva imparato che l’amor proprio è un pallone pieno di vento, che appena lo buchi sfiata tempesta. Era d’animo generoso, non temeva di fare del bene agl’ingrati; in ciò seguendo quel grande precetto di Zoroastro: «Quando mangi, dà pure qualcosa ai cani, anche se poi mordono». Egli era perfettamente assennato, perché voleva vivere con le persone sagge. Dotto nelle scienze degli antichi Caldei, conosceva tutto quanto a quel tempo si sapeva sui principi fisici della natura, e della metafisica conosceva tutto ciò che in ogni tempo si è saputo, cioè assai poco. Zadig, perché provvisto di grandi ricchezze, e quindi di amici, e con buona salute, simpatico aspetto, intelligenza e spirito, sincerità e nobiltà di cuore, pensava di poter essere felice. Doveva sposare Semira, per beltà, per famiglia, per dote il migliore partito di Babilonia. Sentiva per lei un onesto e sicuro affetto; e Semira a sua volta l’amava appassionatamente. Erano già prossimi all’avventurato momento della loro unione e mentre passeggiavano insieme verso una delle porte di Babilonia, sotto le palme che adornavano la riva dell’Eufrate, ecco venire su di loro un gruppo di uomini armati di sciabole e di frecce. Erano gli sgherri di Orcano, un giovanotto, a cui i cortigiani di un suo zio, ministro, avevano messo in mente che qualunque cosa facesse era lecita. Non aveva nemmeno una delle grazie o delle virtù di Zadig; ma, persuaso della propria superiorità, era pieno di rabbia per non essere il preferito. Siffatta gelosia, derivata soltanto dalla vanità, l’aveva convinto d’essere perdutamente innamorato di Semira. Voleva rapirla. I rapitori l’afferrarono, e nell’impeto della loro violenza la ferirono e la fecero sanguinare. I suoi lamenti salivano al cielo. Gridava: - O sposo mio adorato, mi strappano da te! - Zadig. intanto, la difendeva con tutte le forze del coraggio e dell’amore, e con l’aiuto di due servitori riuscì a scacciare i rapitori e riaccompagnò a casa Semira. Era svenuta e coperta di sangue, ma come riaprì gli occhi e vide il suo salvatore, disse: - O Zadig! Adesso ti amo ancor di più -. Non vi fu mai persona più accorata di Semira nell’esprimere i più commoventi affetti con parole ardenti ispirate dal sentimento. La ferita di lei risultò leggera: guarì rapidamente. Zadig invece aveva una piaga profonda vicino all’occhio. Semira implorava gli dei per la guarigione dell’innamorato; ma sopravvenne un ascesso all’occhio ferito, e si temette il peggio. Si mandò a chiamare il famoso dottor Ermete, di Menfi; che giunse con il numeroso suo seguito. Visitò l’infermo e dichiarò che avrebbe perduto l’occhio; precisando addirittura il giorno e l’ora del funesto evento. - Se fosse stato l’occhio destro, - disse, - l’avrei guarito; ma le ferite all’occhio sinistro sono incurabili -. Tutti i cittadini di Babilonia ammirarono la profondità della scienza d’Ermete. Due giorni dopo, l’ascesso si sgonfiò da sé. Zadig risanò perfettamente. Ermete compose un Libro per dimostrare che quell’occhio non sarebbe dovuto guarire. Zadig non lo lesse; ma appena fu in grado di uscir di casa, si accinse a fare visita a colei che era la sola donna per la quale egli desiderasse d’avere gli occhi. Semira, da tre giorni, era in campagna. Zadig, cammin facendo, venne a sapere che la sua bella dama, dopo aver dichiarato un’invincibile antipatia per i monocoli, s’era ormai sposata, proprio quella notte, con Orcano. A tale annunzio, Zadig svenne; il dolore lo portò sull’orlo della tomba; ebbe una lunga malattia; ma infine la ragione vinse l’afflizione e la stessa atrocità della propria esperienza contribuì a consolarlo. - Poiché ho provato, - disse, - la crudeltà e il capriccio d’una ragazza educata tra i cortigiani, bisogna che io sposi una semplice cittadina -. Scelse Azora, la più sensata e più distinta ragazza della città. La sposò e trascorse con lei un mese nella soavità della più tenera concordia. Si accorse soltanto di una forte inclinazione in lei a credere sempre che i giovanotti più belli avessero anche la maggiore intelligenza e le migliori virtù.
IL NASO
Un giorno Azora tornò molto corrucciata dal passeggio. - Che c’è mia cara? - domandò Zadig. - Ah! - disse lei, indignata - Ero andata a consolare Cosru, la vedovella che ha fatto costruire una tomba al giovane suo sposo, proprio sulla sponda del ruscello qui in fondo al prato. Ella ha giurato agli dei di rimanere presso la tomba fino a quando l’acqua del ruscello scorrerà lì vicino. - Ebbene, - disse Zadig, - davvero ella amava il marito! - Ah, - continuò Azora, - sai che cosa stava facendo, quando giunsi da lei? - Che cosa? - Faceva deviare il ruscello -. Azora si profuse in invettive così violente contro la vedovella, che tutto quello sfoggio di virtù insospettì Zadig. Egli aveva un amico, Cador, che Azora giudicava più meritevole degli altri. Zadig gli confidò una sua segreta intenzione. Azora, dopo aver trascorso due giorni con una sua amica in campagna, tornò a casa. I domestici piangendo le dissero che suo marito era morto all’improvviso, e che non avevano avuto il coraggio di portarle la ferale notizia e che avevano seppellito Zadig nella tomba di famiglia in giardino. Ella pianse, si strappò i capelli, giurò di morire. La sera, Cador chiese di poterle parlare e piansero insieme. L’indomani piansero un po’ meno e pranzarono insieme. Cador le confidò che l’amico gli aveva lasciato tutta l’eredità e le fece capire ch’egli sarebbe stato ben lieto di dividerla con lei, e lei annuì; la cena fu un po’ più lunga del pranzo; la conversazione diventò più confidenziale; Azora fece l’elogio del defunto; ma non nascose ch’egli aveva qualche difetto da cui Cador era immune. Mentre cenavano Cador si lamentò d’un violento dolore alla milza; la donna, agitata e premurosa, si fece portare tutte le essenze che usava sperando di trovarne una che giovasse all’amico; le dispiacque molto che il grande Ermete non fosse rimasto a Babilonia, si degnò persino di tastare il punto in cui Cador sentiva così acuti dolori.
- Ma di questo male soffrite sovente? - gli chiese con compassione. - Qualche volta mi getta sull’orlo della tomba, - le rispose Cador. - Un solo rimedio potrebbe darmi sollievo: mettere, sopra la parte dolente, il naso d’un uomo morto da un giorno. - Che strano rimedio! - disse Azora. - Ma le straordinarie qualità del giovanotto fecero decidere la donna. - In fin dei conti, - disse, - quando mio marito sarà sul ponte Sinavar per passare dal mondo di ieri al mondo di domani, l’angelo Asraele gli impedirà forse il transito soltanto perché il naso nella seconda vita sarà un po’ meno lungo che nella prima? - Azora prese dunque un rasoio e andò alla tomba dello sposo, vi si accostò per tagliare il naso di Zadig. Ma Zadig si sollevò tenendosi il naso con una mano e con l’altra mano fermando il rasoio. - Signora mia, - le disse, - non inveite più tanto contro la giovane Cosru: l’intenzione di tagliarmi il naso e quella di deviare un ruscello si equivalgono assai bene.
IL CANE E IL CAVALLO
Zadig ebbe dunque la prova che il primo mese del matrimonio, come sta scritto nel Libro dello Zend, è la luna di miele e che il secondo mese è della luna d’assenzio.
Quando Azora si rese insopportabile Zadig cercò soddisfazione nello studio della natura. - È una grande soddisfazione - diceva - per un filosofo leggere il grande Libro posto da Dio sotto i nostri occhi. Sono sue le verità ch’egli scopre, e non ha da temere né i malvagi, né la tenera sposa che gli venga a mozzare il naso. Indi si trasferì in una casa di campagna sulla riva dell’Eufrate. Là si applicò allo studio degli animali e delle piante, e non tardò a scoprire le mille differenze che gli altri non vedevano. Un giorno, mentre passeggiava presso un boschetto, vide arrivare un eunuco della regina, seguito da parecchi ufficiali che erano molto inquieti come se fossero alla ricerca di qualche perduta preziosissima cosa. - Giovanotto, - gli chiese il Primo eunuco - avete per caso veduto il cane della regina? - Zadig con garbo rispose; - È una cagna, non un cane. - È vero, - ammise il Primo eunuco. - È una cagna piccolina, di razza spagnuola, - aggiunse Zadig. - Ha da poco avuto i piccoli, zoppica della gamba anteriore sinistra, e ha orecchie lunghissime. - L’avete dunque vista? - disse ansante il Primo eunuco. - No, - rispose Zadig, - non l’ho vista mai e non ho mai saputo che la regina possedesse una cagna. E proprio allora anche il cavallo più bello delle scuderie reali era sfuggito alla custodia d’un palafreniere nella pianura intorno a Babilonia. Il Grande cacciatore e tutti gli altri ufficiali lo inseguivano con la stessa ansietà del Primo eunuco che cercava la cagna. Il Grande cacciatore si rivolse a Zadig domandandogli se aveva veduto passare quel cavallo del re. Zadig rispose: - È un cavallo assai bravo al galoppo, è alto cinque piedi, ha zoccoli molto piccoli; ha una coda lunga tre piedi e mezzo; le due borchie del suo morso sono d’oro a ventitré carati, i ferri d’argento di duecentosessantaquattro grani. - Che direzione ha preso? - domandò il Grande cacciatore. - Non l’ho mica visto, - rispose Zadig - e non ne ho mai sentito parlare. Il Grande cacciatore e il Primo eunuco pensarono, senz’alcun dubbio, che Zadig aveva sottratto il cavallo del re e la cagna della regina; lo fecero trascinare davanti all’Assemblea del Grande Desteram che lo condannò a essere frustato con lo knut e a finire i suoi giorni in Siberia. Appena emessa la sentenza il cavallo e la cagna furono ritrovati. I giudici, di conseguenza, dovettero modificare la sentenza: ma condannarono Zadig a pagare quattrocento once d’oro perché aveva dichiarato di non aver visto ciò che aveva visto. Prima di tutto dovette pagare la multa ma poi gli fu concesso di difendersi davanti al gran Consiglio, e parlò nei seguenti termini: - O stelle di giustizia, abissi di scienza, specchi di verità! Giuro di non aver mai visto la rispettabile cagna della regina e nemmeno il sacro cavallo del re. Udite quanto è successo. Andavo a spasso verso quel boschetto dove poi incontrai il venerando Eunuco e l’illustrissimo Gran cacciatore. Vidi sulla sabbia le impronte d’un animale e capii facilmente che erano le orme d’un piccolo cane. Dai solchi lunghi e leggieri rimasti impressi sui rilievi della sabbia compresi che si trattava d’una cagna con le mammelle penzoloni per aver essa figliato da pochi giorni. Altri segni tracciati in senso diverso sulla superficie sabbiosa mi dimostrarono che la cagna aveva le orecchie molto lunghe e, siccome una delle orme delle zampe sulla sabbia risultava più lieve delle altre, capii che la cagna della nostra augusta regina zoppicava un poco. Per quanto riguarda il cavallo del re, sappiate che nella mia passeggiata nel bosco m’accorsi delle impronte dei ferri d’un cavallo: erano tutte equidistanti. «Ecco», mi dissi, «un cavallo dal galoppo perfetto». Vidi che il polline caduto dagli alberi, in un viottolo largo soltanto sette piedi, a tre piedi e mezzo dal centro, era un pochetto sollevato. «Questo cavallo», mi dissi, «ha una coda lunga tre piedi e mezzo, che nella sua altalena ora a destra ora a sinistra scopò il polline». Vidi pure che, sotto gli alberi che con i loro rami formavano una galleria alta cinque piedi, delle foglie erano cadute da poco e capii che il cavallo aveva sfiorato quelle alte fronde, avendo appunto una statura di cinque piedi. Poi vidi che, con le borchie del morso, aveva rasentato una pietra di paragone, e io ne feci un saggio che conteneva tracce d’oro a ventitré carati, e dalle tracce, poi, che i ferri del cavallo lasciarono su sassi di altra specie mi risultò che i ferri stessi erano d’argento di duecentosessantaquattro grani. - Tutti i giudici ammirarono il sottile discernimento di Zadig; la cosa fu riferita persino al re e alla regina. Nelle anticamere, nella camera regia, nel gabinetto non si parlava d’altri che di Zadig; e sebbene parecchi magi pensassero che lo si dovesse bruciare come stregone, il re diede l’ordine di restituirgli la multa di quattrocento once d’oro cui era stato condannato. Cancelliere, uscieri, procuratori andarono in gran pompa da lui per ridargli le quattrocento once d’oro e, secondo la legge, ne trattennero trecentonovantotto per le spese del tribunale, e anche i servitori pretesero la loro mercede. Zadig s’accorse di quanto pericolo potesse essere il troppo sapere, e giurò che alla prossima occasione non avrebbe detto più nulla di quanto veduto. L’occasione capitò presto. Un prigioniero politico fuggì e passò proprio sotto le sue finestre di casa. Zadig, interrogato, non disse verbo, ma gli dimostrarono ch’egli aveva guardato dalle finestre. Per questa colpa fu condannato alla multa di cinquecento once d’oro; pagò, ringraziò i giudici della loro clemenza e poi disse tra sé: «Gran Dio, com’è pericoloso andare a spasso in un bosco dove siano passati la cagna della regina e il cavallo del re! E ancor più pericoloso è l’affacciarsi alla finestra di casa propria! Com’è difficile trovare la felicità in questa vita!» …
Abbiamo detto che, oltre a Zadig o del destino, è interessante leggere il testo del racconto filosofico intitolato Micromegas.
Voltaire, nel racconto, formato da 7 brevi capitoli, intitolato Micromegas [dal greco “micros” che significa “piccolo” e “megas” che significa “grande”], immagina che un abitante della galassia di Sirio, un gigante di nome Micromegas, s’incontri con un filosofo di Saturno che ha le dimensioni di un nano, e suppone che i due - dopo aver viaggiato di astro in astro - atterrino sulla Terra che credono sia disabitata, ma poi si accorgono, guardando con un diamante utilizzato come lente, che è popolata da esseri microscopici che sanno parlare e anche eseguire calcoli complicati. Ma ciò che sorprende il gigante di Sirio e il nano di Saturno è scoprire che le abitudini di questi esseri microscopici - che si credono potenti e padroni del luogo che abitano - sono basate su comportamenti talmente nocivi e insensati da rendere la Terra un corpo celeste in preda alla follia, una follia che, sentenzia Voltaire, porterà inevitabilmente il pianeta alla rovina. Per evitare questa catastrofe Micromegas consegna ai terrestri un Libro, scritto da lui stesso, che contiene “il senso della vita e l’essenza delle cose”, ma i terrestri, piccoli omuncoli dall’orgoglio smisurato, lo sapranno leggere, questo Libro, oppure, accecati dalla loro supponenza, vedranno solo pagine bianche?
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il testo del racconto filosofico intitolato Micromegas lo potete richiedere in biblioteca in una delle tante edizioni in cui è stato stampato… Incuriositevi perché la curiosità deve servire per salvare il pianeta non per distruggerlo...
Leggiamo il finale di Micromegas che è di un’attualità stringente e sconcertante che dovrebbe far nascere la curiosità di leggere anche il testo che lo precede.
Voltaire, Micromegas
Un misero omuncolo col berretto quadrato [direttore in Teologia della Sorbona], squadrò i due abitanti celesti, li interruppe e disse che sapeva già tutto, e sostenne che le loro persone, i loro mondi, i loro soli, le loro stelle, tutto era creato unicamente a vantaggio dell’uomo. A questo discorso, i nostri due viaggiatori furono presi da un riso inestinguibile che, secondo Omero, è la prerogativa degli dèi, e le loro spalle e i loro ventri andarono a lungo su e giù. … Poi il gigante di Sirio riprese a parlare agli omuncoli ancora con molta bontà, quantunque in fondo al cuore fosse un po’ stizzito nel vedere che costoro, infinitamente piccoli, avevano un orgoglio supponente e infinitamente grande. Infine promise di donar loro un bel Libro di filosofia, scritto minutamente per uso loro, e disse che in questo Libro avrebbero visto il fondo delle cose. Affidò loro il volume prima di partire: esso fu portato a Parigi all’Accademia delle scienze; ma quando il segretario l’ebbe aperto vide soltanto un Libro dalle pagine bianche, e allora sprezzantemente esclamò: «Ah! Mi pareva bene! Lo sospettavo io!». …
Naturalmente, in conclusione, non si può non consigliare, ancora una volta, la lettura o la rilettura di Candido o l’ottimismo, l’opera considerata la più famosa, la più citata, la più parafrasata di Voltaire, ma risulta che è stata letta da poche persone!
Nel testo del racconto Candido o l’ottimismo di Voltaire emergono in modo più evidente gli strumenti di cui l’autore dispone: l’arguzia e il sarcasmo. Le idee di Voltaire non sono nuove nella Storia del Pensiero Umano ma il modo arguto, sarcastico e ironico in cui le esprime risulta innovativo e fa Scuola. Voltaire pensa che solo la Ragione [solo la ragionevolezza] può colmare l’abisso tra il pensiero libero e i pregiudizi che ancora contaminano la vita quotidiana. Se si affermerà la Ragione, scrive Voltaire, allora gli egoismi e le passioni umane, che sono tuttavia ineliminabili, saranno volti al ben-essere del singolo e della collettività. La Storia del genere umano, scrive Voltaire, non rivela alcuna razionalità né, tanto meno, alcun disegno provvidenziale e solo una Filosofia ispirata alla ragionevolezza può spiegare e far comprendere gli errori che, in ogni tempo, hanno afflitto l’Umanità. Solo la Ragione, scrive Voltaire, può mostrarsi tollerante verso gli errori compiuti e correggerli, solo la Ragione ci fa capire che la Storia non ha dentro di sé nulla di ragionevole: difatti gli eventi umani sono un prodotto delle passioni, in cui né la Ragione, né Dio hanno avuto alcuna parte, e Dio [Voltaire ammette che esista un Ente Supremo e che sia l’autore dell’Universo] limita la sua azione al mondo della Natura, e l’Essere umano, scrive Voltaire, si deve guardare da ogni ipotesi metafisica, e deve limitarsi ai dati dell’esperienza e alla loro formulazione matematica.
Candido, il protagonista del racconto, è un ingenuo che ha una fiducia assoluta nella dottrina ottimistica del proprio compagno di viaggio, il filosofo Pangloss [dal greco “pan-tutto e glossa-lingua”, quindi “tutto lingua”] discepolo di Leibniz. Candido passa da una sciagura all’altra, e ogni volta finirebbe all’altro mondo se l’autore non lo salvasse creando coincidenze romanzesche. La satira di Voltaire è diretta contro la convinzione ottimistica che questo mondo, come sostiene Leibniz, sia il migliore dei mondi possibili ma la critica è anche diretta contro Rousseau [che incontreremo nel prossimo viaggio], il quale difende la fede nella Provvidenza nella Lettera sulla provvidenza scritta in risposta al Poema di Voltaire sul disastro di Lisbona. Ma le avventure di Candido, raccontate da Voltaire in trenta brevi capitoli, sono un prologo che deve condurre al finale che consiste in un significativo invito a riconoscere la consistenza del male sulla Terra, una questione che non è facile da definire: che cos’è il male, perché c’è il male, da che cosa dipende, come fare per attenuarlo? Voltaire - con una forte dose di sarcasmo - si pone le stesse domande di Pascal e dei solitari di Port Royal. La risposta provvisoria è molto concreta, realista, laica e di natura benedettina perché le attività umane di valore sono: lavorare, studiare, riflettere, meditare, prendersi cura, divertirsi, riposare, e tutti devono potersi dedicare a queste attività fondamentali che servono per curare [studium e cura sono sinonimi] «il nostro orto». Con questa metafora Voltaire suggerisce che il male si può attenuare se ogni persona pratica la morale della solidarietà, in modo che la comunità umana ne tragga un vantaggio che possa ricadere, come beneficio, su ciascuna singola persona.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Leggete o rileggete il testo di Candido tenendo conto di ciò che abbiamo detto sul significato di quest’opera emblematica… È doveroso ricordare che ci sono molte riduzioni teatrali e cinematografiche di quest’opera, e poi è opportuno citare [per chi ama la musica e il melodramma] l’operetta comica in due atti del 1956, intitolata Candide, del compositore Leonard Bernstein, e poi si può leggere [ispirato al racconto di Voltaire] il romanzo di Leonardo Sciascia, pubblicato nel 1977, intitolato Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia…
Di questi oggetti trovate riscontro in biblioteca e navigando in rete: incuriositevi ascoltando, come monito, le parole di Sciascia tratte dal suo romanzo: «Come poi entrambi avessero attraversato il ginnasio, il liceo e l’università senza aver mai sentito parlare di Voltaire e di Candido, non è da stupirsene: capita ancora»...
E ora, per concludere leggiamo il finale emblematico di Candido.
Voltaire, Candido o l’ottimismo
Sapete altro? … - So anche - disse Candido - che bisogna coltivare il nostro orto.
- Avete ragione - disse Pangloss - perché, quando l’essere umano fu messo nel giardino dell’Eden, vi fu messo ut operaretur eum, perché lavorasse; il che dimostra che la persona non è nata per il riposo ma per il lavoro e per lo studio e per la ponderazione. - E allora lavoriamo, ma non senza riflettere - disse Martino - questo è il solo mezzo per rendere la vita sopportabile. Tutta la piccola brigata aderì a quel lodevole proposito; ognuno si mise a esercitare i propri talenti. Il piccolo podere fruttò molto. Cunegonda in verità era proprio brutta, ma divenne un’eccellente pasticciera; Pasquina ricamò; la vecchia ebbe cura della biancheria. Non ce ne fu uno, non escluso fra’ Violacciocca, che non si rendesse utile, e questi fu un ottimo falegname e divenne persino un galantuomo; e Pangloss diceva talvolta a Candido: - Tutti gli avvenimenti sono concatenati nel migliore dei mondi possibile; perché insomma, se voi non foste stato cacciato da un bel castello a pedatoni nel sedere per amore di madamigella Cunegonda, se non foste stato sottoposto all’Inquisizione, se non aveste percorso l’America a piedi, se non aveste dato un bel colpo di spada al barone, se non aveste perduto tutti i montoni del buon paese d’Eldorado, non mangereste qui cedri canditi e pistacchi. - Ben detto, - rispose Candido - per cui, a contrasto di ogni male, è opportuno che ogni persona coltivi il nostro orto [non il “proprio” ma “il nostro”: l’orto dove si coltivano le idee dell’Illuminismo].…
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E ora, per quanto riguarda il nostro orto, prima di concludere è doveroso fare brevemente un bilancio [dando un po’ di numeri] per quanto riguarda lo stato patrimoniale della Associazione Art.34: abbiamo raccolto complessivamente 3122 € e 69 Cent. che con i 183 € e 26 Cent. rimasti in cassa dallo scorso anno fanno 3305 € e 95 Cent.
Abbiamo versato: 700 € alla Scuola Redi per la stampa dei REPERTORI
Abbiamo devoluto: 1000 € all’Associazione Il Cuore si scioglie della Coop
350 € all’Associazione AISLA per la ricerca
250 € alla Cooperativa delle Donne di Mexiquemos
Per un totale di 2300 €, per cui rimangono in cassa 1005 € e 95 Cent, dei quali 700 € saranno necessari a settembre per rinnovare l’Assicurazione obbligatoria prevista per le Associazioni, per cui restano ben 305 € e 95 Cent. Questa somma costituisce “il patrimonio attivo” dell’Associazione, e verrà sommata ai contributi del prossimo anno utili a sostenere le future spese da fare e i futuri contributi da elargire, nella speranza che anche il prossimo anno ci sarà un numero consistente di donatrici e di donatori come quest’anno.
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E, quindi, a ottobre [sperando di poterlo fare] ci rimetteremo in cammino partendo da Napoli, e chi dobbiamo incontrare a Napoli? Napoli, come sapete, è una delle capitali del secolo dei Lumi [e, in proposito, ricorderete senz’altro la figura di Raimondo di Sangro principe di Sansevero]. Ebbene, a Napoli c’è un personaggio con cui abbiamo appuntamento e c’è anche uno scrittore contemporaneo che ci aspetta e che ci accompagnerà in partenza. La doverosa pausa estiva deve servire per rafforzare e per far crescere in noi la convinzione che non bisogna mai perdere la volontà d’imparare e, per soddisfare questa necessità costitutiva della persona, salvo imprevisti secondo il Calendario che avete ricevuto, ripartiremo l’11-12-13 e 20 ottobre [e sarà la 40esima volta].
E, per concludere, plaudo al vostro impegno perché senza di voi non ci sarebbe stata la Scuola, e vi ringrazio perché senza la Scuola io non avrei potuto esercitarmi costantemente nell’esercizio dell’Apprendimento che è il tirocinio più utile che si possa fare per preservare la mente dal degrado cognitivo e, di conseguenza, è bene che la Scuola ci sia per farci continuare a viaggiare sui sentieri di quel vasto territorio che è la Storia del Pensiero Umano, e poi è utile che i compiti delle vacanze siano stati assegnati [io li farò!] e, infine, è cosa buona e giusta che, ancora una volta possa [per il 39esimo anno] augurare a tutte e a tutti voi una buona vacanza di studio perché lo studio è cura! Arrivederci a ottobre! …
ANNO SCOLASTICO 2023 2024
Percorso di Storia del Pensiero Umano in funzione della didattica della lettura e della scrittura
Un secondo viaggio sul territorio della sapienza poetica e filosofica nel secolo dei Lumi …
Calendario delle Lezioni
prof. Giuseppe Nibbi
Lezione prima Bagno a Ripoli e Tavarnuzze 11-12 ottobre 2023 ore 21-23
Firenze primo gruppo il 13 ottobre 2023 ore 17-19
Firenze secondo gruppo il 20 ottobre 2023 ore 17-19
Lezione seconda Bagno a Ripoli e Tavarnuzze il 25-26 ottobre 2023
Firenze primo gruppo il 27 ottobre 2023
Firenze secondo gruppo il 03 novembre 2023
Lezione terza Bagno a Ripoli e Tavarnuzze il 08-09 novembre 2023
Firenze primo gruppo il 10 novembre 2023
Firenze secondo gruppo il 17 novembre 2023
Lezione quarta Bagno a Ripoli e Tavarnuzze il 22-23 novembre 2023
Firenze primo gruppo il 24 novembre 2023
Firenze secondo gruppo il 01 dicembre 2023
Lezione quinta Bagno a Ripoli e Tavarnuzze il 13-14 dicembre 2023
Firenze primo e secondo gruppo il 15 dicembre 2023
PAUSA NATALIZIA
Lezione sesta Bagno a Ripoli e Tavarnuzze il 10-11 gennaio 2024
Firenze primo gruppo il 12 gennaio 2024
Firenze secondo gruppo il 19 gennaio 2024
Lezione settima Bagno a Ripoli e Tavarnuzze il 24-25 gennaio 2024
Firenze primo gruppo il 26 gennaio 2024
Firenze secondo gruppo il 02 febbraio 2024
Lezione ottava Bagno a Ripoli e Tavarnuzze il 07-08 febbraio 2024
Firenze primo gruppo il 09 febbraio 2024
Firenze secondo gruppo il 16 febbraio 2024
Lezione nona Bagno a Ripoli e Tavarnuzze il 21-22 febbraio 2024
Firenze primo gruppo il 23 febbraio 2024
Firenze secondo gruppo il 01 marzo 2024
Lezione decima Bagno a Ripoli e Tavarnuzze il 06-07 marzo 2024
Firenze primo gruppo il 08 marzo 2024
Firenze secondo gruppo il 15 marzo 2024
PAUSA PASQUALE
Lezione undicesima Bagno a Ripoli e Tavarnuzze il 03-04 aprile 2024
Firenze primo gruppo il 05 aprile 2024
Firenze secondo gruppo il 12 aprile 2024
Lezione dodicesima Bagno a Ripoli e Tavarnuzze il 17-18 aprile 2024
Firenze primo gruppo il 19 aprile 2024
Firenze secondo gruppo il 26 aprile 2024
Lezione tredicesima Bagno a Ripoli e Tavarnuzze il 08-09 maggio 2024
Firenze primo gruppo il 10 maggio 2024
Firenze secondo gruppo il 17 maggio 2024
Lezione quattordicesima Bagno a Ripoli e Tavarnuzze il 22-23 maggio 2024
Firenze primo e secondo gruppo il 24 maggio 2024