ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»
PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
Un secondo viaggio sul territorio del secolo dei Lumi
6-7-8 e 15 marzo 2024
SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI
KANT PROPONE COME STRUMENTI DELLA CONOSCENZA
IL RAGIONAMENTO TRASCENDENTALE E IL GIUDIZIO SINTETICO A PRIORI …
Questo è il decimo itinerario del nostro secondo viaggio sul territorio del secolo dei Lumi [ed è anche l’ultimo della stagione invernale e quello che precede la pausa pasquale] e come sapete ci troviamo a Königsberg in compagnia di Immanuel Kant, il quale, come abbiamo studiato nel corso dei tre itinerari precedenti, dopo aver messo in evidenza - con il metodo della critica - gli elementi dogmatici presenti nel razionalismo [nel pensiero di Cartesio, di Leibniz e di Wolff] e quelli riscontrabili nell’empirismo [nel pensiero di Newton e di Hume] e dopo aver esaminato il modo con cui sul territorio della Storia del Pensiero Umano è stata affrontata la questione metafisica [e, in proposito, scrive due saggi intitolati Unico argomento possibile per dimostrare l’esistenza di Dio e Sogni di un visionario chiariti coi sogni della metafisica] ritorna a domandarsi: come può la persona aspirare ad acquisire una conoscenza non fondata sui dogmi ma valida razionalmente?
Il 2 settembre 1770 Kant scrive una Lettera a un suo collega, il matematico e filosofo Johann Heinrich Lambert [1728-1777] che risiede e lavora a Lipsia, con il quale è, e sarà per lungo tempo, in corrispondenza. Che cosa scrive Kant in questa importante Lettera a Lambert? Prendiamo il passo leggendone un brano.
Immanuel Kant, Lettera a Johann Heinrich Lambert
Königsberg, 2 settembre 1770
Caro Amico, sono veramente lieto di comunicarti che l’anno 1769 mi ha dato una grande luce! Come tu sai per circa due decenni mi sono impegnato nello studio delle Opere riguardanti le scienze naturali, nello studio delle Opere contenenti le dottrine razionaliste e nello studio delle Opere concernenti i dettami della metafisica e, alla fine di questo lungo tirocinio ho finalmente capito che non è possibile mescolare l’esperienza con la ragione, e tanto meno la fantasia con la metafisica, e neppure è credibile costruire una dottrina scettica per dire: tanto non c’è nulla da trovare, e rimuovere così il problema. Nello sforzo per uscire dalla morsa di queste questioni ho intuito, come in un bagliore crepuscolare, un nuovo concetto teorico: bisogna separare i contenuti del mondo sensibile, l’esperienza, dai contenuti del mondo intelligibile, la ragione, e bisogna costruire un metodo per studiare separatamente questi due mondi. L’intuizione che ho avuto, e che chiamo luce, consiste quindi nella separazione metodologica dei contenuti del mondo sensibile dai contenuti del mondo intelligibile: ho pensato che il territorio della sensibilità va studiato separatamente dal campo della ragione. …
La Lettera, della quale abbiamo letto un brano, che Kant scrive il 2 settembre 1770 al suo amico e collega, il matematico e filosofo Johann Heinrich Lambert che insegna all’Università di Lipsia, contiene il primo tassello di un metodo filosofico che ha preso il nome di “criticismo kantiano”. Dobbiamo anche sapere che Kant in questo momento è particolarmente soddisfatto perché, pochi giorni prima della stesura di questa Lettera, è stato nominato finalmente, all’età di quarantasei anni, dopo quindici anni di precariato, professore ordinario e il 20 agosto 1770 gli viene assegnata la cattedra di Logica e Matematica all’Università di Königsberg. In questa occasione Kant è stato invitato a tenere la rituale Prolusione di insediamento per cui legge davanti ai membri del senato accademico una dissertazione, scritta in latino, intitolata Dissertatio de mundis sensibilis atque intelligibilis forma et principiis [Dissertazione sui principi e sulla forma del mondo sensibile e del mondo intelligibile]: questa Prolusione è entrata a far parte della Storia della Filosofia, e sui Manuali di Storia della Filosofia si legge che Kant nel testo della sua Dissertazione, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno accademico 1770-1771 all’Università di Königsberg, enuncia le linee fondamentali che poi svilupperà nei testi delle sue tre famose Critiche [della ragion pura, della ragion pratica e del giudizio] e, quindi, nel testo della sua Prolusione Kant illustra i presupposti del cosiddetto “criticismo kantiano”. Quali sono questi presupposti, queste premesse, questi punti di partenza, queste basi, queste ipotesi di lavoro?
Kant nel testo della Lettera a Lambert, che abbiamo letto e nella quale sintetizza i temi che ha esposto nel testo della Prolusione, afferma che è necessario prendere in considerazione e studiare il mondo della sensibilità, ovvero dei fenomeni riguardanti le sensazioni materiali che la persona percepisce, in modo distinto dall’intelletto ovvero dal campo attinente alle riflessioni intellettuali che la persona è in grado di sviluppare nel proprio pensiero. Questi due elementi [di cui ogni persona è in possesso e, quindi, perché privilegiare uno a scapito dell’altro?], la sensibilità e l’intelletto, devono disporre, scrive Kant, di Leggi proprie, di Leggi ordinarie capaci di mettere ordine, con le quali la funzione percettiva e quella intellettuale possono operare. Mediante queste Leggi, che vanno individuate e conosciute [«E queste Leggi - afferma Kant - esistono senza ombra di dubbio perché, contrariamente, la persona non sarebbe in grado né di percepire né di riflettere»], la persona è in grado di rappresentarsi tanto il mondo esterno, la realtà che la circonda, quanto il mondo interiore, la sfera psichica, mentale, intellettiva. «Senza la sensibilità, come c’insegna la Storia del Pensiero Umano [scrive Kant nel testo della Prolusione] nessun oggetto sarebbe dato alla persona, e senza l’intelletto nessun oggetto sarebbe pensato dalla persona: la sensibilità dà alla persona la materia del conoscere, l’intelletto le dona la forma per conoscere. Ma la forma, come si è potuto dimostrare, non può essere né una tabula rasa come sostengono gli empiristi, perché la tabula rasa [un qualcosa senza forma] non può contenere le sensazioni, le segna solo per un attimo senza trattenerle e, di conseguenza, non può esserci continuità nell’itinerario della conoscenza; né la forma può essere data dalle idee innate come sostengono i razionalisti, perché l’esistenza delle idee innate dipende dall’esistenza di Dio e chi è in grado di sostenere e di dimostrare con la ragione l’esistenza di Dio? Però [prosegue Kant nel testo della Prolusione] la mente della persona deve necessariamente avere delle forme sue proprie, deve possedere delle forme particolari che possano permettere alla mente stessa di accogliere la materia che a lei giunge mediante le sensazioni. Se non ci fosse una forma che raccoglie e trattiene i dati sensibili come può la persona elaborare e conoscere le sensazioni? Di conseguenza [scrive Kant nel testo della Prolusione] ci devono essere delle forme che mettono ordine tanto nel mondo della sensibilità quanto nel mondo dell’intelletto e il compito di chi studia è quello di intraprendere una ricerca in questa direzione.».
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
In quale circostanza avete dovuto o voluto dare una forma ad un oggetto, e che forma avete scelto?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Kant ritiene [e lo scrive nel testo della Prolusione] che ci devono essere delle forme che mettono ordine tanto nel mondo della sensibilità quanto nel mondo dell’intelletto e il compito di chi studia, auspica Kant, leggendo la sua Prolusione, è quello di intraprendere una ricerca in questa direzione.
Kant ritiene [e lo scrive nel testo della Prolusione] che ci devono essere delle forme che mettono ordine tanto nel campo della sensibilità quanto nell’ambito dell’intelletto, e queste forme che devono facilitare e garantire la conoscenza a ciascuna persona [secondo una nozione ormai acquisita nella Storia del Pensiero Umano] non possono che essere dei concetti [delle rappresentazioni mentali, degli stampi sagomati a guisa di contenitori, per usare una metafora]. Ma, si domanda Kant, queste forme sono dei concetti puri, vale a dire, si presentano come delle entità a priori e, quindi, sarebbero già presenti nella coscienza della persona? Sembra proprio che sia così, afferma Kant, visto che il fenomeno della conoscenza è attivo fin dalla nascita della persona e, quindi, queste forme, atte a facilitare e a garantire la conoscenza della persona, non possono essere generate dall’esperienza ma è lecito ipotizzare che siano presenti a priori nella coscienza della persona e che lo spirito umano sia in grado, per sua natura, di trarle dal suo fondo. Quindi, afferma Kant, si può ipotizzare che a rendere possibile l’esperienza conoscitiva della persona ci siano, nella sua coscienza, delle “pure forme a priori”, le quali corrispondono alle Leggi ordinarie predisposte per mettere in ordine i dati provenienti dalle sensazioni percepite dalla persona.
E si può affermare senza dubbio - scrive Kant nel testo della sua Prolusione, tenendo conto delle ricerche effettuate tanto dai razionalisti quanto dagli empiristi [le cui Opere, come sappiamo, Kant ha studiato per vent’anni in modo da sfrondarle dal dogmatismo e da utilizzarne, con il metodo della critica, le potenzialità] - di poter affermare «che due fondamentali forme a priori presenti a nella coscienza della persona sono: lo spazio e il tempo». Attraverso queste due forme presenti nella coscienza umana, la persona, afferma Kant, mette in ordine le sensazioni esterne con la forma a priori dello spazio, e con la forma a priori del tempo ordina le sensazioni interne e, in questo modo, si sviluppa il processo di elaborazione della conoscenza.
Quindi, si domanda Kant, che cos’è lo spazio? Lo spazio, sostiene Kant, è una forma a priori della nostra coscienza, perciò non è e non può essere un prodotto della materia e, quindi, non è neppure una proprietà degli oggetti [così la pensa anche Leibniz, afferma Kant, attirando su di sé l’attenzione dei razionalisti] e, di conseguenza, «non è la forma di una stanza [afferma Kant] che determina la coscienza della persona ma è la forma della coscienza della persona che determina quella di una stanza»: questo significa, afferma Kant, che lo spazio non è neppure un’estensione della materia [come pensa Cartesio e come può sembrare evidente con l’esperienza, col senso comune] e, quindi, non può essere, scrive Kant, un aggregato di sensazioni [e un accumulo di materia] ma lo spazio è un modo: è la condizione perché le sensazioni che la persona percepisce si possano aggregare in una forma [le sensazioni che percepiamo quando entriamo in quest’aula non si potrebbero aggregare se non ci fosse una forma a priori, lo spazio, che crea la condizione perché questo avvenga]. Lo spazio, afferma Kant, non è una proprietà delle cose ma è un’esigenza dell’intelletto, è una necessità del pensiero, per cui la persona si rappresenta lo spazio con un’intuizione della mente e, difatti, la persona si domanda sempre, afferma Kant: qual è il mio spazio, piuttosto che: che cos’è il mio spazio?
E così anche il tempo, scrive Kant, non è un aggregato di sensazioni materiali, e gli oggetti che lo rappresentano non sono il tempo ma sono la rappresentazione materiale esterna del tempo, che è di per sé, in realtà, un concetto interno alla coscienza della persona perché il tempo è la condizione con cui formalmente la persona si rappresenta gli eventi. Lo spazio e il tempo sono, quindi, sostiene Kant, due intuizioni pure, due concetti puri, sono due fondamentali forme a priori della coscienza che rendono possibile alla persona la conoscenza della realtà. «Lo spazio e il tempo [scrive Kant] non esistono materialmente nella realtà esterna, e non è la forma delle grandi praterie che definisce lo spazio ma è il concetto di spazio presente come forma pura nella mente della persona che determina le grandi praterie così come determina il piccolo giardino o il minuscolo orto o un vaso di fiori. E non è l’orologio, non è l’oggetto che lo scandisce a creare il tempo ma è il concetto a priori di tempo a creare l’orologio. Spazio e tempo sono due forme a priori, sono due Leggi ordinarie interne alla coscienza, presenti nella mente e operanti nel pensiero della persona le quali permettono ai dati sensibili che la persona percepisce di aggiungersi uno accanto all’altro secondo la forma a priori di spazio, e di aggregarsi uno dopo l’altro secondo la forma a priori di tempo».
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
In relazione a che cosa avete detto: «Adesso voglio uno spazio per me»?... E dunque prendetevi lo spazio [che è una forma a priori della coscienza] per scrivere quattro righe in proposito: Virginia Woolf lo ha fatto scrivendo Una stanza tutta per sé E in riferimento a quale esperienza avete detto: «Adesso voglio un po’ di tempo per me»?... E allora prendetevi il tempo [che è una forma a priori della coscienza] per scrivere quattro righe in proposito: Virginia Woolf lo ha fatto scrivendo Tra un atto e l’altro …
Kant si prende dello spazio e del tempo soprattutto per studiare, ed è fiducioso, come si legge nella Lettera che scrive a Lambert, che sia possibile costruire a breve un sistema per chiarire come funziona il meccanismo della conoscenza umana. Intanto nella coscienza umana, scrive Kant, emergenti dal profondo dello spirito, esistono delle forme a priori indipendenti dall’esperienza, lo spazio e il tempo, che hanno un ruolo nel processo della conoscenza sensibile, e Kant prosegue fiducioso nella sua ricerca [e noi - su questo impervio sentiero - lo seguiamo].
Nel testo della Prolusione, letta da Kant in occasione dell’inaugurazione dell’Anno accademico 1770-1771 all’Università di Königsberg, Kant formula il suo programma di ricerca e conclude la sua Dissertazione - come scrive anche nella Lettera a Lambert del 2 settembre 1770 - manifestando un certo ottimismo e affermando che si sarebbe potuto in breve tempo costruire un sistema che avrebbe chiarito come può la persona aspirare ad acquisire una valida conoscenza razionale non fondata sui dogmi [senza chiamare in causa la metafisica]. Ma Kant - fiducioso per avere definito il ruolo delle forme a priori della coscienza [lo spazio e il tempo] - si è sbilanciato troppo perché ci sono voluti undici anni di studio e di intensa ricerca condotta in silenzio per dare corpo al suo progetto: e allora seguiamolo mentre percorre il suo impegnativo itinerario intellettuale.
Il programma di Kant parte dalla formulazione di un’ipotesi che lui presenta, così scrive, in modo semplice e chiaro sul piano materiale, intellettuale e morale: «Si deve operare [afferma Kant] per comprendere il meccanismo [l’apparato, il dispositivo] sensoriale e razionale con cui la persona può acquisire una conoscenza della realtà, e l’acquisizione della conoscenza della realtà può andare a buon fine se la persona è consapevole del funzionamento che regola il fenomeno dell’apprendimento in modo che la persona possa assicurarsi una conoscenza che sia la più fondata possibile, e le permetta di agire [di criticare, di giudicare] secondo parametri moralmente virtuosi per poter rendere il Mondo in cui vive il più abitabile possibile per sé e per le altre persone con cui condivide lo stesso spazio e lo stesso tempo». Con la formulazione di questa ipotesi Kant spiega anche a che cosa deve servire, secondo lui, la Filosofia: la Filosofia, sostiene Kant, non deve servire solo per interpretare il mondo ma deve essere utile per cambiare il Mondo.
Il programma di ricerca di Kant, come ha ribadito nel testo della sua Prolusione, dà, in primo luogo, particolare rilievo all’azione del “sintetizzare” affermando che «la persona conosce la realtà che la circonda in modo sintetico; il pensiero della persona opera una sintesi tra la materia fornita dalle sensazioni e le forme a priori [come lo spazio e il tempo] che forniscono la struttura alla mente umana», ma, ribadisce Kant, questa è una supposizione che va dimostrata e poi, soprattutto, bisogna chiarire, in tutti i suoi aspetti, il funzionamento del meccanismo [dell’apparato sensoriale e del dispositivo razionale] della conoscenza.
Per poter raggiungere questi due obiettivi Kant ritiene che sia necessario mettere a punto un metodo che abbia la prerogativa di rimanere rigidamente all’interno dei confini della consapevolezza umana senza sconfinare nella metafisica [senza sottostare al dogmatismo che blocca il sistema della conoscenza perché i dogmi sono realtà date ma non dimostrate]. Kant ritiene che sia necessario codificare un metodo che sia categoricamente fondato sulle capacità della ragione, un metodo che possa utilizzare tutte le potenzialità della ragione obbligandola però a rimanere tassativamente dentro i limiti della ragione stessa. Questo metodo, che non deve andare al di là delle possibilità proprie della ragione, deve saper utilizzare al meglio la dote maggiore che la ragione possiede: la Storia del Pensiero Umano [e Kant si riferisce in particolare alla coltura della Scolastica medioevale e moderna] ci ha insegnato che la peculiarità specifica della ragione consiste, afferma Kant, nel saper organizzare l’attività di apprendimento attraverso la gestione delle principali azioni cognitive [e voi sapete benissimo a che cosa si sta riferendo Kant perché noi veniamo a Scuola proprio per questo motivo, che è il motivo per cui fin dalle origini esiste la Scuola: per esercitarci a far funzionare al meglio le principali azioni dell’apprendimento, codificate già a suo tempo, dal 1247, dai magisteri della Facoltà delle Arti di Parigi] che sono: conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare e valutare [e se siete state attente e attenti vi siete rese e resi conto che Kant, nello sviluppare il suo ragionamento progressivo, segue sempre coerentemente un itinerario conoscitivo tracciato dalle azioni dell’apprendimento, perché questa è la strada da percorrere per imparare a investire in intelligenza rimanendo nei limiti della ragione].
Il metodo di ricerca che Kant si propone di definire non deve entrare assolutamente nel territorio del trascendente [della metafisica, e «le Opere della metafisica - scrive Kant -vanno studiate bene per evitare che si possa cadere nel dogmatismo»] perché in quest’area, afferma Kant, la ragione non può procedere, e se volesse muoversi in questo campo otterrebbe solo il nefasto risultato di utilizzare l’idea di Dio come tappabuchi per coprire i vuoti della conoscenza senza fornire alcun vantaggio reale alla conoscenza stessa. Se la persona si illude di spingere la propria ragione al di là delle sue possibilità, afferma Kant, utilizzando come aleatorio punto d’appoggio l’idea di Dio commette due azioni negative: fa violenza alla ragione umana e fa perdere valore al sentimento della Fede fondato non sulla certezza ma sulla Speranza che Dio ci sia; ma, aggiunge Kant, è proprio necessario sapere che Dio ci sia per garantire all’idea del Bene di esistere?
Il metodo di cui Kant definisce le caratteristiche può, dunque, essere utilizzato all’interno di un perimetro i cui contorni, afferma Kant, corrispondono a una serie di domande: fin dove può arrivare la ragione umana e fin dove può spingersi il pensiero umano sul terreno della conoscenza, che tipo di ragionamenti può fare la mente umana mediante l’utilizzo delle azioni cognitive e che tipo di giudizi può dare la ragione umana? Ebbene, quali risposte si propone di dare Kant a queste domande che lui considera ipotesi di lavoro? Kant inizia sistematicamente a prendere appunti [che poi, strada facendo, andrà sviluppando metodicamente e meticolosamente]. E noi non possiamo fare a meno di continuare a seguirlo mentre percorre il suo impegnativo itinerario intellettuale.
Se la peculiarità specifica della ragione - mentre opera nell’ambito delle sue possibilità e dei propri limiti – consiste, afferma Kant, nel saper organizzare l’attività di apprendimento attraverso la gestione delle principali azioni cognitive, allora, in funzione della conoscenza, tra le azioni cognitive che la ragione può utilizzare, oltre a quella del conoscere e del capire e dell’applicare e del sintetizzare e del valutare, c’è l’azione dell’analizzare che entra in gioco molto spesso in funzione della conoscenza: e come si può definire la sua azione e come può essere utilizzata al meglio nel sistema della conoscenza, si domanda Kant?
L’azione dell’analizzare, scrive Kant, svolge l’attività di ricerca messa in atto dalla ragione, e perché questa funzione sia valida deve procedere rimanendo sempre all’interno dei confini della ragione stessa in quanto l’analisi condotta nel campo della trascendenza non può che fornire dati fantasiosi volti solo a produrre soluzioni di natura irrazionale e di carattere dogmatico; di conseguenza, scrive Kant, l’attività dell’analisi, quando si svolge correttamente all’interno del perimetro dei limiti della ragione, la si può chiamare “analisi trascendentale”, e l’attività di ricerca messa in atto dalla ragione e il metodo stesso che la ragione utilizza rimanendo nel proprio ambito, lo si può definire “ragionamento trascendentale”. Il “ragionamento trascendentale”, afferma Kant, è una riflessione analitica condotta fino ai limiti della ragione, non oltre, perché non è possibile per la ragione umana avventurarsi in un territorio che sta al di là delle possibilità della ragione stessa. L’ambito di azione della ragione in fase analitica, quindi, non può essere il “trascendente” [continua a sostenere Kant con determinazione perché è facile cadere nel dogmatismo, e Kant sa per esperienza che le persone - anche quelle che hanno studiato - sono state educate male in proposito, sono state abituate a considerare i dogmi come se fossero dei saperi mentre in realtà servono solo a far aumentare il peso della debolezza cognitiva] ma, di conseguenza, per fare chiarezza, il campo in cui la ragione può manifestare le proprie reali possibilità analitiche va definito con il termine “trascendentale”.
Perché Kant usa questo termine per definire l’azione analitica quando si svolge dentro i confini della ragione umana? Non si tratta di un termine nuovo, coniato da lui, perché questa parola-chiave è già esistente nella Storia del Pensiero Umano. Kant, che, come sappiamo, è un grande studioso della Scolastica medievale e moderna, utilizza il termine “trascendentale”, e si avvale dell’idea significativa contenuta in esso, mutuandolo dalle Opere di Tommaso d’Aquino [1225-1274]. Tommaso d’Aquino, commentando il tema delle Categorie di Aristotele [un argomento sul quale torneremo perché anche Kant parla di “categorie”], scrive che l’Intelletto umano contiene, per natura, alcune proprietà che la persona coglie con l’intuizione. Queste proprietà, scrive Tommaso in particolare nel Commento alle Categorie di Aristotele, sono addette a far funzionare l’Intelletto umano e non derivano direttamente da Dio, non sono trascendenti ma sono, per natura, concetti superiori, sublimi, eccezionali che si elevano al di sopra dell’esperienza materiale e dell’esperienza sensibile che la persona fa per renderla comprensibil: la parola-chiave che Tommaso utilizza per definire questi concetti superiori e sublimi, ma non trascendenti, è “trascendentale” perché la parola latina “trascendentalis” significa “superiore, eccezionale, sublime”. Secondo Tommaso le proprietà, gli attributi, i concetti trascendentali che fanno funzionare l’Intelletto umano sono: ens [ente], res [cosa], aliquid [essenza], unum [unico], verum [vero], bonum [buono]. Quando la persona, scrive Tommaso, coglie la realtà con i sensi prova delle sensazioni che l’Intelletto percepisce e i concetti trascendentali elencati, presenti nell’Intelletto, permettono - ciascuno a suo modo - che la conoscenza vada a buon fine.
Lo studio è cura, e Kant fa tesoro dell’insegnamento [teoretico e filologico] di Tommaso d’Aquino che, con la sua saggezza, aveva intuito l’esistenza di proprietà superiori, trascendentali [non dipendenti da Dio, non soggette alla trascendenza] che, per natura, coordinano l’attività dell’Intelletto: Kant riconosce nelle proprietà trascendentali citate da Tommaso quelle che lui chiama “pure forme a priori” utili a favorire la conoscenza della persona. Quindi, nel glossario delle definizioni di Kant riguardanti i tasselli del sistema della conoscenza che lui sta mettendo in ordine: le forme a priori sono trascendentali, l’azione dell’analisi in funzione della ricerca è trascendentale, ed è trascendentale il ragionamento analitico in quanto questi elementi rispondono al metodo che Kant propone per studiare il fenomeno dell’apprendimento, anch’esso trascendentale perché deve essere condotto categoricamente entro i confini della ragione senza alcuna concessione al campo della trascendenza.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Oggi il termine “trascendentale” viene utilizzato, qualche volta ma raramente, in funzione di aggettivo, ebbene, c’è un oggetto che, per la sua utilità, bellezza, singolarità, eccellenza, potreste definire con il termine trascendentale, sinonimo di superiore, eccezionale, sublime?…
Forse è necessario sbilanciarsi un po’ per scrivere quattro righe in proposito, ma è bene provarci rimanendo categoricamente entro i confini della ragione...
Kant chiarisce la differenza tra il termine “trascendente” e la parola-chiave “trascendentale” che lui, come abbiamo visto, utilizza anche in relazione all’azione dell’analizzare. E, dopo aver aggiunto questo nuovo tassello alla sua ricerca [il tassello dell’analisi trascendentale a quello delle forme trascendentali a priori], Kant prosegue sul percorso del suo impegnativo itinerario intellettuale [e noi - su questo impervio sentiero - continuiamo a seguirlo].
Il termine “trascendentale”, scrive Kant, facendo riferimento al Commento alle Categorie di Aristotele di Tommaso d’Aquino, serve a definire gli elementi a priori che la ragione utilizza in funzione della conoscenza rimanendo tassativamente nell’ambito delle potenzialità e dei limiti della ragione stessa. Kant, che è molto scrupoloso, ritiene che sia indispensabile mettere bene a fuoco il termine “a priori” e il concetto che questo termine rappresenta sia sul piano materiale [in quanto si deve imparare a conoscere a priori per cambiare il Mondo in meglio], sia sul piano intellettuale [in quanto si deve imparare a conoscere a priori per arricchire le proprie potenzialità cognitive] e sia sul piano morale [in quanto si deve imparare a conoscere a priori per vivere a fin di Bene]. Se, ribadisce ancora Kant, nella mente della persona esistono, emergenti dal fondo dello spirito, le forme a priori - come lo spazio e il tempo - che sono dei concetti puri presenti per natura nella coscienza umana significa che queste forme non sono state generate dall’esperienza ma sono “modi a priori” con cui funziona la mente per rendere possibile l’esperienza: è un luogo comune, afferma Kant, pensare che possa essere l’esperienza [come sostengono dogmaticamente gli empiristi] a incidere sulla coscienza perché la persona è in grado di fare esperienza solo se è già cosciente [se ha consapevolezza di sé]; quindi, prima, afferma Kant, c’è lo stato di coscienza che, con le sue forme a priori [in primis lo spazio e il tempo], rende possibile l’esperienza. Quindi, afferma Kant, con la dicitura “forma trascendentale” [perché il significato dei termini va ben chiarito, ribadisce Kant] s’intende un dispositivo che nella mente della persona non deriva dall’esperienza ma rende possibile a priori l’esperienza stessa mettendo in ordine e unificando i dati sensibili. Se lo spazio e il tempo, [scrive Kant, fossero idee innate, come sostengono dogmaticamente i razionalisti, collocate nella mente umana direttamente da Dio che è, per definizione, un’entità trascendente, anche lo spazio e il tempo avrebbero una natura trascendente e un’origine divina ma, di conseguenza, la mente umana, non essendo in grado di speculare nel campo della trascendenza [ma solo di fantasticare], non sarebbe in grado di ragionare in termini di spazio e di tempo. Se lo spazio e il tempo, afferma Kant, fossero idee innate la ragione umana non sarebbe in grado di percepirle, e poi il concetto metafisico di Dio che, per definizione, è un ente onnipotente ed eterno non può contenere né lo spazio né il tempo, perché l’idea di spazio limita l’onnipotenza di Dio e l’idea di tempo limita l’eternità di Dio, quindi, scrive Kant,, lo spazio e il tempo non possono essere idee innate di natura divina e di provenienza trascendente.
Le forme a priori della coscienza, afferma Kant, sono trascendentali perché non dipendono dalla trascendenza divina, e ciò significa che anche il metodo della conoscenza si fonda [e deve fondarsi] su un tipo di ragionamento di carattere trascendentale che [ribadisce Kant] utilizza le forme a priori della mente affinché la persona possa, attraverso l’analisi trascendentale, utile per fare ricerca, mettere in ordine le sensazioni e i dati della realtà traducendoli in esperienze. Se si afferma che il metodo della conoscenza, scrive Kant, si fonda sul ragionamento trascendentale è necessario tener conto del fatto che “ragionare” significa “conoscere” e “conoscere” significa “giudicare” [valutare per esprimere un giudizio] e allora quale tipo di giudizio, si domanda Kant, è più funzionale all’acquisizione di una buona conoscenza basata sul ragionamento trascendentale? I razionalisti parlano di un giudizio analitico, afferma Kant, ma se volessimo conoscere solo facendo l’analisi la conoscenza risulterebbe astratta perché i risultati delle analisi vanno poi interpretati, e se non si conosce il sistema d’interpretazione le analisi risultano senza significato.
I razionalisti, scrive Kant, parlano di giudizi analitici affermando [come sempre dogmaticamente] che il sistema d’interpretazione è dato dalle idee innate ma, come si sa è facile dimostrare che le idee innate non possono esistere, quindi, l’azione dell’analizzare [l’analisi trascendentale] così utile per fare ricerca, di per sé non è adeguata per giudicare i risultati della ricerca stessa e, quindi, non possono sussistere giudizi analitici. E allora quale tipo di giudizio, si domanda Kant, è funzionale all’acquisizione di una buona conoscenza basata sul ragionamento trascendentale?
Gli empiristi, scrive Kant, parlano di giudizio sintetico e questo potrebbe andar bene, ma la sintesi è sì un contenuto concreto ma è anche, di per se stessa, un prodotto particolare, soggettivo e sfuggente per cui, se non si fa affidamento su una forma oggettiva che possa tutelare la sintesi, questo contenuto si sfalda e la persona riesce a intenderlo solo in modo frammentario e disorganico e questo fatto, scrive Kant, pregiudica l’efficacia del giudizio sintetico.
E allora, si domanda Kant, quale tipo di giudizio è funzionale all’acquisizione di una buona conoscenza basata sul ragionamento trascendentale? È vero, scrive Kant, che per acquisire la conoscenza di un contenuto è necessario formulare una sintesi, quindi, per conoscere, è essenziale dare “un giudizio sintetico” ma questo non basta a far sì che il processo della conoscenza vada a buon fine perché, per dare al contenuto un valore conoscitivo, la mente umana deve essere provvista di una forma che, a sua volta, contenga questo contenuto espresso in modo sintetico: questa forma, scrive Kant, deve necessariamente essere “a priori” e, quindi, non può derivare dall’esperienza perché se l’esperienza soggettiva si confonde con l’esperienza soggettiva, se la sintesi individuale si somma con un’altra sintesi individuale, la conoscenza non è oggettiva e non è più valida.
Dopo aver ipotizzato [scrive Kant, sempre cauto] che la coscienza di ogni persona possiede una forma, e che nella mente umana ci sono delle forme a priori [delle intuizioni pure trascendentali come lo spazio e il tempo], ecco che il giudizio, per poter avere una valenza conoscitiva, non può che essere “un giudizio a priori”. E allora, perché la persona possa conoscere la realtà [sostiene Kant ricapitolando] è necessario che ci sia un contenuto proveniente dall’esperienza acquisita per merito delle forme a priori della coscienza [come lo spazio e il tempo] e questo contenuto [per esempio, siete andate e andati a vedere un appartamento che poi è diventato il vostro appartamento: lo avete visitato e osservato e ne avete fatto esperienza mediante le forme a priori della vostra mente, in particolare lo spazio e il tempo, e nella vostra mente si è formato un contenuto]: ebbene, questo contenuto si presenta come una sintesi, è “un giudizio sintetico”, e questa operazione conoscitiva è andata a buon fine [il contenuto acquisito non si è sfaldato e la sintesi non si è sgretolata] in virtù della presenza nella mente di un ulteriore strumento a priori che funga da contenitore [nella nostra mente è necessario ci sia una forma a priori, indipendente dall’esperienza, che funga da contenitore di questa sintesi in modo che la sua conoscenza si consolidi e ci permetta di sapere a mente come è fatto il nostro appartamento].
Per cui [si domanda Kant ricapitolando] quale tipo di giudizio è da ritenere funzionale all’acquisizione di una buona conoscenza [basata sul ragionamento trascendentale]? Ebbene, risponde Kant, il giudizio più funzionale all’acquisizione di una buona conoscenza [basata sul ragionamento trascendentale nei limiti delle possibilità che la ragione ha] lo si può chiamare “giudizio sintetico a priori” [la conoscenza a mente che abbiamo del nostro appartamento è un giudizio sintetico a priori]. E, allora, si domanda Kant scrupolosamente, è possibile che la persona possa davvero conoscere proprio tutto quello che la ragione abbraccia? Il Mondo che dobbiamo aver premura di costruire deve essere soggetto solo, o principalmente, alle regole della ragione, alla costanza della ragione?
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
La costanza della ragione è il titolo di un romanzo di Vasco Pratolini [1913-1991] pubblicato nel 1963... Bruno, il protagonista del racconto, pensa di poter costruire il suo mondo supportato soltanto dalle regole della ragione ma proprio utilizzando il giudizio sintetico a priori capisce che è necessario riflettere sull’invadenza della costanza della ragione...
Questo romanzo lo potete richiedere in biblioteca...
Intanto, dopo il suo lungo ciclo di studi, Kant può dire, orgogliosamente, di aver formalizzato un tipo di giudizio [e giudicare è conoscere] che gli permette di dare una risposta a una domanda significativa: da che cosa dipende la conoscenza?
Kant ritiene che il giudizio da cui dipende la conoscenza è “il giudizio sintetico a priori”, concreto e fecondo perché ha come suo contenuto [sintetico] i dati sensibili provenienti dall’esperienza resa possibile dalle forme a priori perché proprie della coscienza e indipendenti dall’esperienza. E allora, afferma Kant, se questo è il metodo della conoscenza, però della conoscenza sensibile, perché non utilizzarlo [ed è qui che lui voleva arrivare] per analizzare anche la ragione stessa, per capire quali sono davvero le possibilità della ragione e le sue caratteristiche anche in funzione della conoscenza intellettuale che non dipende dalle idee innate? Quindi Kant può affermare [e questo non piace agli ambienti accademici ancorati ancora al pensiero di Cartesio] che le forme a priori non sono come le idee innate, non sono delle nozioni metafisicamente precostituite che si adeguano a un mondo già formato, a una realtà destinata a rimanere per sempre così com’è, perché le forme a priori, afferma Kant, al contrario delle idee innate, non riflettono il mondo, come potrebbe fare uno specchio, in quanto non sono sagome rigide come le idee innate. «Se io avessi in testa l’idea innata del gatto [scrive Kant], quando vedo il mio gatto lo riconoscerei come tale? Ma i gatti sono forse tutti uguali? Per conoscere proprio il mio gatto dovrei avere in mente le idee innate di tutti i gatti di questo mondo, e vi sembra possibile? Ma non sono io che conosco il gatto perché non esistono le idee innate nella mia mente! Ma bensì è il gatto, è l’oggetto che, attraverso i sensi, entra come contenuto nelle forme a priori della mia mente, le modifica, essendo contenitori flessibili, e si genera la sintesi e allora io conosco il mio gatto con un giudizio sintetico a priori. Quindi non conosciamo il mondo così com’è, ma è il mondo a essere formato dal nostro pensiero che possiede le forme indipendenti dall’esperienza, a priori, universali, e necessarie per sintetizzare i dati che arrivano dalle sensazioni.». Le forme a priori della mente, scrive Kant, non sono forme rigide, come le idee innate, sono contenitori flessibili che si adattano ai dati sensibili di volta in volta intuiti, e pertanto non rispecchiano un mondo già costruito, ma le forme a priori contribuiscono, adattandosi alle esperienze, a costruire il mondo dandogli un ordine.
Quindi il mondo noi lo costruiamo nel momento in cui lo conosciamo e, di conseguenza, afferma Kant,, la persona si trova di fronte a una questione fondamentale: la conoscenza comporta la responsabilità, la conoscenza serve per rendere la persona responsabile del destino umano. Questa scoperta è quella che Kant, scrivendo a Lambert, chiama “la rivoluzione copernicana”, e come Nicolò Copernico, rovesciando la concezione astronomica di Tolomeo, ha posto il Sole, invece che la Terra, al centro del nostro sistema, così Kant, rovesciando il modo di concepire la Filosofia, considera la persona non più come una fedele osservatrice di un mondo già ordinato, bensì, come responsabile della creazione del mondo e, quindi, conoscere, attraverso il giudizio sintetico a priori, sostiene Kant, non è solo un problema razionale ma è soprattutto un problema morale: il sistema della conoscenza ha ragione di essere solo in funzione della costruzione di un mondo migliore e la persona deve sentirne la responsabilità.
Nel gennaio del 1771 Kant in un’altra Lettera a Lambert scrive: «Sto lavorando a un’opera la quale, sotto il titolo I limiti della sensibilità e della ragione, non solo deve trattare dei principi e delle Leggi fondamentali che concernono il mondo sensibile ma deve anche essere un abbozzo di ciò che costituisce la dottrina del gusto, della metafisica e della morale.». Kant sta scrivendo l’indice di quella che diventerà la sua opera più importante, formata dalle tre celebri Critiche [della ragion pura, pratica e del giudizio].
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quale pensiero nasce nella vostra mente pensando alla parola “responsabilità”?...
Scrivete quattro righe in proposito...
L’antropologo statunitense Ralph Linton nel suo saggio intitolato Studio sull’Uomo del 1936 cita l’uso del giudizio sintetico a priori per farci riflettere, con ironia, sul fatto che tutte e tutti noi possiamo vantare un’identità umana virtuosa a priori perché è aperta alla pluralità delle esperienze.
Ralph Linton, Studio sull’Uomo
Il cittadino medio statunitense si sveglia in un letto costruito secondo il modello che ebbe origine in Oriente e che venne poi modificato nel Nord Europa prima di essere importato in America. Egli scosta le lenzuola e le coperte che possono essere di cotone, pianta originaria del Nord-Africa, o di lana di pecora, animale originariamente addomesticato in Medio-Oriente, o di seta, il cui uso fu scoperto in Cina. Tutti questi materiali sono stati filati e tessuti secondo procedimenti inventati in Oriente. Si infila i mocassini, inventati dagli indiani delle contrade boscose dell’Est, e va nel bagno, i cui accessori sono un misto di invenzioni europee. Si leva il pigiama, indumento inventato in India, e si lava con il sapone, inventato dalle antiche popolazioni galliche. Poi si fa la barba, rito masochistico derivato dai Sumèri e dagli antichi Egizi. Andando a fare colazione si ferma a comprare un giornale, pagando con delle monete che sono un’antica invenzione della Lidia. Al ristorante viene in contatto con tutta una serie di elementi culturali: il suo piatto di terracotta è stato inventato in Cina; il suo coltello è d’acciaio, una lega fatta per la prima volta nel Sud dell’India, la sua forchetta ha origini italiane e medioevali, il cucchiaio è stato inventato dai Romani. Quando il nostro amico ha finito di mangiare si appoggia alla spalliera della sedia e fuma, secondo un’abitudine degli Indiani d’America, sterminati da tempo: era un segno di pace. Mentre fuma legge le notizie del giorno, stampate in un carattere inventato dagli antichi semiti, su di un materiale, la carta, inventato in Cina, secondo un procedimento di stampa messo a punto in Germania. Mentre legge i resoconti dei problemi che s’agitano all’estero, se è un buon cittadino conservatore, secondo l’ideologia britannica, con un linguaggio indo-europeo, senza neppure accorgersi di aver ragionato dando un giudizio sintetico a priori secondo il tedesco criticismo kantiano, ringrazierà Dio, una divinità ebraica, di averlo creato al cento per cento americano. …
Nel settembre 1771 Kant scrive a Lambert dichiarando che di lì a poco [dopo circa tre mesi] avrebbe fatto stampare un’opera intitolata Critica della ragion pura. Sapete quanti anni sono passati prima che avvenisse la pubblicazione di quest’opera, e di che cosa tratta la Critica della ragion pura? Dopo la vacanza ce ne occuperemo.
Anche Kant per celebrare la Pasqua sarebbe d’accodo a richiamare l’attenzione su papa Gregorio Magno il quale, nell’anno 590, ha redatto - nel secondo Libro dei suoi Dialoghi - la Regola di San Benedetto che corrisponde a un programma politico [una giornata che prevede quattro ore per lavorare, quattro ore per studiare, quattro ore per pregare e per riflettere, quattro ore per prendersi cura di sé e degli altri, otto ore per riposare] che attuato concretamente ha risollevato le sorti dell’Europa dopo la cosiddetta “caduta dell’Impero romano d’Occidente” [provocando una Rinascita] e sul “benedetto progetto politico gregoriano” bisognerebbe promuovere una riflessione universale.
E ora, come è tradizione, ricordiamo solo un frammento di ciò che scrive papa Gregorio Anicio nei suoi Dialoghi.
Gregorio Magno, Dialoghi
La luce che risplende nelle tenebre dell’ignoranza è generata dallo studio, e chi studia comincia a risorgere. …
E, di conseguenza, “studiare” [cioè prendersi cura della propria anima, del proprio intelletto e del proprio corpo] è un gesto pasquale per eccellenza da coltivare per rivendicare il nostro diritto-dovere all’Apprendimento permanente. Studiare è cominciare a risorgere perché lo studio è cura: stimola il sistema immunitario e rinfranca e ritempra lo spirito rendendoci consapevoli del fatto che non dobbiamo mai perdere la volontà d’imparare.
Per questo la Scuola è qui e il viaggio continua [mercoledì 3 aprile a Bagno a Ripoli, giovedì 4 aprile a Tavarnuzze e venerdì 5 e 12 aprile a Firenze] e, per concludere questo rituale, anche quest’anno scenda su di noi l’augurio di una buona Pasqua di studio.
E fate ruzzolare l’uovo secondo tradizione! Auguri!...