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SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ MEDIOEVALE L’INCONTRO TRA TEOLOGIA NATURALE, RAZIONALE E RIVELATA DETERMINA L’AVVENTO DI UNA NUOVA STAGIONE ...

Lezione N.: 
29

Prof. Giuseppe Nibbi    La sapienza poetica e filosofica dell’età medioevale    27-28-29  maggio  2015

Tommaso d'Aquino

SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ MEDIOEVALE 

L’INCONTRO TRA TEOLOGIA NATURALE, RAZIONALE E RIVELATA

DETERMINA L’AVVENTO DI UNA NUOVA STAGIONE ...

 

   Dopo circa otto mesi di cammino il nostro viaggio sta per concludersi e stiamo per incamminarci sul penultimo itinerario, il ventinovesimo, di questo Percorso: il prossimo tragitto, il trentesimo ed ultimo, sarà breve ma sarà pur sempre una Lezione, sebbene compresa nel contesto di un sobrio incontro conviviale.

   La storia del movimento della Scolastica - che noi abbiamo seguito dal momento della sua nascita nel IX secolo [con l’attività di Alcuino di York] - raggiunge il suo apice nel XIII secolo con la coppia formata da Alberto Magno e da Tommaso d’Aquino.

   Alberto Magno, che ha dato lustro alla Facoltà delle Arti di Parigi, è stato un valido maestro - ha saputo preparare il terreno - introducendo nel dibattito filosofico una serie di “questioni fondamentali” che il suo discepolo Tommaso è stato capace di trasformare in un sistema che ha caratterizzato per lungo tempo [e che ancora oggi influenza] la Storia del Pensiero Umano.

   Tommaso d’Aquino, per imbastire il suo complesso ragionamento progressivo utilizza i concetti aristotelici che ha acquisito alla Scuola di Alberto Magno perché Alberto ha saputo fare la sintesi di un lungo percorso intellettuale [che, come voi ben sapete, parte dalla Scuola di Toledo attiva prima dell’anno Mille per approdare alla Facoltà delle Arti di Parigi nel XIII secolo: un percorso che corrisponde al tragitto del viaggio che abbiamo compiuto e che sta per concludersi], un percorso intellettuale fondato sullo studio delle Opere di Aristotele [utilizzate da principio in termini neoplatonici fino alla loro riproposizione, mediante la cultura araba, in versione originaria], uno studio infaticabile che crea un clima culturale che determina l’avvento, il fiorire di una nuova stagione caratterizzata da alcuni presupposti fondamentali codificati da Alberto Magno nei suoi scritti che sono: la netta distinzione tra l’ambito della Fede e quello della Ragione; la precisa ripartizione tra ciò che è dimostrabile e ciò che non lo è; il fatto che il Pensiero prende coscienza del proprio valore, dei propri diritti e dei propri doveri se conosce i suoi limiti; il fatto che le ragioni di Dio sono inaccessibili all’essere umano e l’essere umano deve, di conseguenza, imparare a cavarsela da sé mediante lo studio, rivendicando l’autonomia dello studio, la necessità dello studio, il diritto-dovere allo studio.

   Con l’entrata in circolo di questi concetti, che determinano quello che è stato chiamato “il trionfo dell’aristotelismo e della Scolastica aristotelica”, si approssima l’inizio dell’autunno del Medioevo: la stagione cosiddetta dell’Umanesimo che dà i suoi frutti [e l’autunno è una stagione molto ricca di frutti] su un territorio nel quale viaggeremo nel corso del prossimo anno scolastico.   Ma non anticipiamo i tempi: siamo ancora nella tarda estate del Medioevo e con Alberto Magno e con Tommaso d’Aquino dobbiamo cogliere i frutti più maturi di questa stagione.

   Chi è Tommaso d’Aquino e come si articola il suo pensiero? Tenendo conto dei presupposti, che trovano posto nelle Opere del suo maestro Alberto Magno, che abbiamo enumerato, Tommaso d’Aquino comincia a riflettere [e lo abbiamo già ricordato la scorsa settimana] come se avesse in mano tre fili - uno blu, uno verde e uno rosso - con i quali tesse la tela del suo pensiero. I tre fili che ha in mano Tommaso come sappiamo corrispondono a tre dati acquisiti: il primo dato è che Tommaso ha piena fiducia nella Ragione [nel filo blu del Logos, nel patrimonio dei Classici e in particolare privilegia le Opere di Aristotele], il secondo dato è che Tommaso coltiva un grande interesse per la Natura [per il filo verde della Physis, il filo dell’azione sperimentale e preferisce partire sempre dalla realtà esterna per elaborare il pensiero] e il terzo dato è che ha Fede nella Parola di Dio [nel filo rosso del Verbum rivelato dalla Letteratura dell’Antico Testamento e dei Vangeli].

   In quale rapporto si domanda Tommaso stanno questi elementi - Ragione, Natura e Fede - pur rimanendo nella loro autonomia? In che rapporto stanno la Ragione dotata della sua Logica, la Natura con la sua Causalità e la Parola di Dio contenente la Buona notizia [l’Euanghelon, il Vangelo] della salvezza, la Rivelazione?

   Tommaso d’Aquino inizia la sua riflessione, sempre incoraggiato dalla lezione di Alberto Magno, facendo l’analisi del ruolo che ha la Ragione sul piano della conoscenza [sulla qualità del filo blu], sapendo di trovarsi tra due fuochi: di fronte a due linee di tendenza che si ostinano a non voler intessere rapporti tra loro. Ci sono infatti, come sappiamo, coloro che considerano la Ragione umana un elemento debole [fragile, inconsistente a causa del peccato originale] e, quindi, ritengono [come Bernardo di Clairveaux] che la Ragione senza la Fede non ha la capacità di raggiungere la conoscenza [bisogna credere per conoscere]. E ci sono poi coloro che considerano la Ragione umana uno strumento autonomo [come Abelardo] e, quindi, ritengono che l’unico sapere valido sia quello filosofico, fondato sulla Logica [bisogna capire per credere].

   Ebbene, Tommaso si propone di superare questa contrapposizione [questa dicotomia] perché, come ha imparato alla Scuola di Alberto Magno, pensa che la Ragione e la Fede appartengano a due campi distinti della conoscenza ma non siano due aree contrapposte: Tommaso ritiene che la Ragione sia forte e potente proprio perché tende [e qui nella mente di Tommaso c’è incipit della Metafisica di Aristotele] verso la Verità. La Ragione, scrive Tommaso, aspira a conoscere delle verità che superano il proprio campo d’azione perché, afferma Tommaso, desidera utilizzare la sua Logica per dare una forma ai contenuti della Fede. [«Se la Ragione - scrive Aristotele nella Metafisica - non produce ideali orientati alla costruzione del bene comune questa facoltà non può più essere chiamata Ragione» e di questa affermazione Tommaso ne tiene conto in termini teologici]. Infatti, dichiara Tommaso, in questi secoli la Ragione [l’attività di ricerca della Filosofia scolastica] si è diretta soprattutto verso due mete culturali [verso due grandi argomenti di studio] che hanno per oggetto due verità di Fede: il tema dell’esistenza di Dio e quello dell’immortalità dell’anima e la Ragione ha saputo dare una “forma logica” a questi due “contenuti dottrinali”, naturalmente dentro i suoi confini, nell’ambito dei suoi limiti.

   Tuttavia questo dimostra, afferma Tommaso, che la Ragione e la Fede non sono in disaccordo fra loro anche se hanno ciascuna un loro campo d’azione distinto ed autonomo: la Ragione controlla le verità naturali, la Fede ha come suo oggetto quelle soprannaturali, ma, sostiene Tommaso, vi è anche un terzo campo comune dove ci sono alcune verità di Fede che possono essere dimostrate con la Ragione. Infatti, afferma Tommaso, “l’esistenza di Dio” e “l’immortalità dell’anima” sono due temi ai quali la Ragione ha saputo dare una “forma logica” [non una definizione assoluta - altrimenti come si potrebbe giustificare il dono della Fede - ma ne ha garantito l’attendibilità e la plausibilità (il filo blu della Ragione e quello rosso della Parola di Dio hanno trovato il modo d’intrecciarsi)], e Tommaso definisce questi due temi con il termine di “praeambula fidei [preamboli della fede]” in quanto sono argomenti che generano nella mente della persona un discorso introduttivo [un preambolo è un’introduzione] tanto sulla necessità della Fede [seguendo il filo rosso della Parola di Dio] quanto sulla fiducia, nonostante i suoi limiti, nella Ragione [utilizzando il filo blu dell’azione intellettuale] perché, afferma Tommaso, la Fede e la Ragione, proprio perché sono due realtà autonome l’una dall’altra, possono collaborare tra loro: l’azione intellettuale della Ragione può far sì che le verità di Fede non vengano proposte in modo irrazionale, ma vengano esposte in forma logica, per cui la Ragione, sostiene Tommaso, valorizza il dono della Fede e, anche se le verità di Fede non possono essere risolte dalla Ragione, la Fede dona alla Ragione come un’aureola soprarazionale che la nobilita, che le conferisce dignità [che la santifica].

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

A quale oggetto rosso e a quale oggetto blu siete particolarmente affezionate e affezionati?...

Scrivete quattro righe in proposito...

 

   Partendo da questi “preamboli” Tommaso getta le basi del suo sistema, e anche lui affronta l’argomento della dimostrazione dell’esistenza di Dio: pensa di dover iniziare da questo tema ad intrecciare i tre fili fondamentali, quello blu della Ragione, quello verde della Natura e quello rosso della Parola di Dio. Sul tema della “dimostrazione dell’esistenza di Dio” Tommaso ha a disposizione i risultati di una tradizione consolidata a cominciare dalla famosa “prova ontologica” di Anselmo d’Aosta [un argomento che abbiamo studiato all’inizio di febbraio].

   Ma prima di occuparci di come Tommaso affronta il tema della “dimostrazione dell’esistenza di Dio” dobbiamo conoscere meglio questo personaggio che vive tutt’oggi in un vasto paesaggio intellettuale chiamato della “Filosofia tomistica o della Teologia naturale”. Chi è Tommaso d’Aquino?

   Tommaso è nato intorno al 1225 a Roccasecca nei pressi di Cassino, in provincia di Frosinone, ed è l’ottavo o il nono figlio [comunque l’ultimo] della moglie, Teodora, del conte Landolfo d’Aquino che è un feudatario fedele all’imperatore Federico II di Svevia [che abbiamo incontrato] il quale - insieme a tutta la sua famiglia, ai suoi servi e alla sua guardia armata - vive in un bel castello dotato, per l’epoca, di molte comodità e, quindi, Tommaso ha vissuto certamente un’infanzia serena. I suoi genitori Landolfo e Teodora - essendo un bambino introverso e riflessivo - pensano che Tommaso possa fare carriera ecclesiastica e lo mandano a studiare all’abbazia di Montecassino sperando che gradualmente] possa salire nella scala gerarchica e, magari, diventare abate. Ma Tommaso è più interessato allo studio che alla carriera [è precoce sul piano intellettuale] e quindi nel 1239 accetta ben volentieri [non ha ancora preso i voti benedettini e non è che un ragazzo] di essere inviato a Napoli, all’Università fondata da Federico II, per approfondire la sua preparazione in una facoltà dove entra con soddisfazione in contatto con le Opere di Aristotele. Le Lezioni sono tenute da alcuni maestri domenicani [Pietro d’Irlanda, Guglielmo di Tocco] appartenenti alla corrente dei missionari predicatori e Tommaso, nell’aprile del 1244, decide di entrare nell’Ordine domenicano, accolto da Giovanni di San Giuliano e da Tommaso da Lentini.

   Ai suoi genitori, però, il fatto che lui abbia deciso di farsi frate domenicano [di entrare in un Ordine mendicante] non piace affatto e, quando vengono a sapere che si è messo in viaggio con altri novizi verso il Nord, lo fanno inseguire dalle loro guardie le quali lo intercettano, lo catturano e lo riportano a casa, dove rimane sequestrato per quasi un anno. Lui ne approfitta per leggere e imparare a memoria tutta la Bibbia e per fare un riassunto della Metafisica di Aristotele utilizzando gli appunti che aveva preso durante le Lezioni all’Università di Napoli: nasce la versione originale della prima opera scritta da Tommaso - riscritta poi una prima volta a Parigi nel 1252 e, in versione definitiva nel 1256 - intitolata Ente ed Essenza.

  Si dice - ma queste notizie hanno un carattere leggendario - che per dissuaderlo dal diventare frate domenicano una sera il padre gli abbia fatto trovare in camera una giovane prostituta tutta nuda, ma quando Tommaso la vede le si rivolge dicendole: «Vi stavo aspettando Alètheia [che in greco significa “Verità”], e siete come al solito tutta nuda [si dice che la Verità è nuda]!», la ragazza resta perplessa [non capisce la battuta di stampo platonico] e dice di non chiamarsi così e di non essere lei quella a cui lui allude, e allora Tommaso le mette addosso un suo mantello dicendole di coprirsi per non prendere freddo e per non ammalarsi. La ragazza si avvolge nel mantello e scappa via ma s’imbatte nel conte Landolfo che era fuori dalla porta a spiare e lei gli dice piccata: «Suo figlio ha già un’amante che si chiama Algèdeia [sbaglia il nome]», e Tommaso esce dalla stanza e si mette a ridere [una delle rare volte che a Tommaso scappa da ridere] perché Algèdeia significa “sofferenza” e dice: «Questa ragazza, padre, merita di essere pagata perché ha fatto il suo dovere dimostrando quanta sofferenza [algèdeia] si possa creare quando non si vuole accettare la Verità [alètheia]!».

   E così Landolfo e Teodora lasciano libero Tommaso che torna a Napoli e poi, nell’autunno del 1245, insieme a Giovanni il Teutonico, uno dei maestri domenicani più autorevoli, parte per Parigi dove s’iscrive e studia alla Facoltà delle Arti e lì segue le Lezioni [dal 1245 al 1248] di Alberto Magno il quale si accorge subito del valore e della preparazione di questo studente e lo invita a seguirlo a Colonia come suo assistente fino a che la Facoltà delle Arti di Parigi cerca un valido magister di Teologia; Alberto Magno, che è il più autorevole magister domenicano in questo momento, propone Tommaso ma lui non ha ancora l’età - bisognava aver compiuto ventinove anni per ricevere la “licentia docendi [l’abilitazione per insegnare] - ma viene assunto ugualmente nel 1252 con la carica di “baccelliere [il primo grado del dottorato di ricerca] sentenziario [insegna in virtù di una sentenza emessa dal collegio degli insegnanti della Facoltà in cui si dichiara che lui, pur non essendo ancora un magister, sta facendo le veci di Alberto Magno]” finché nel 1256, non ancora trentenne, diventa maestro reggente.

   Tommaso è un uomo grande e grosso [quando è stata ispezionata la sua sepoltura agli studiosi è comparso lo scheletro di una persona alta quasi due metri], e riportano le cronache che «è scuro di carnagione, di carattere scontroso, introverso, parla poco e non fa comunella né con i colleghi né con gli studenti tanto che si guadagna il soprannome di “bue muto”» e questo particolare Giovanni il Teutonico, che è diventato rettore della Facoltà delle Arti a Parigi, lo scrive in chiave ironica ad Alberto Magno [che in questo momento è a Roma a difendere, presso la curia vaticana, l’operato degli Ordini mendicanti sempre sospettati di eresia] e Alberto gli risponde dicendo: «Quello che oggi chiamano “bue muto” un giorno muggirà così forte che lo sentiranno in tutto il mondo civile» e ha avuto ragione.

   Tommaso nel 1259 lascia la cattedra parigina, si mette in aspettativa, e torna in Italia, prima va a Napoli e poi si stabilisce, dal 1261 al 1265, nel monastero domenicano di Orvieto [un posto tranquillo] per poter studiare e finire di scrivere una serie di trattati, che aveva iniziato a comporre a Parigi, ma che lì [in quel clima effervescente e per il gran numero di studenti che frequentavano le sue Lezioni] non aveva potuto portare a termine.

   Giovanni il Teutonico, il rettore dell’Ateneo, e Alberto Magno, che intanto è stato nominato vescovo di Ratisbona oltre che magister della cattedrale, gli mandano a dire per quale ragione si sia “imboscato” ad Orvieto, e [per giustificare questa scelta, o questa fuga] Tommaso scrive ai suoi autorevoli interlocutori che lui ha bisogno di un po’ di tranquillità, e Tommaso - prendendo spunto dall’esperienza che sta facendo perché probabilmente è stato invitato a dare un contributo manuale alle attività del monastero che lo accoglie - scrive: «Mi è necessaria la stessa tranquillità che hanno le galline del gran pollaio del convento orvietano [probabilmente questa è la mansione, non troppo faticosa, che gli è toccata] le quali, scrive Tommaso, becchettano attente in ogni palmo di terreno individuando tutto ciò che può essere commestibile come se intuissero che così facendo produrranno tante buone uova per la gloria di Dio e per la letizia della mensa quotidiana e, quindi, per il momento, scrive Tommaso, vorrei fare la gallina pensierosa anch’io». E, naturalmente, su questa singolare affermazione di Tommaso - «vorrei fare la gallina pensierosa anch’io» - torneremo fra poco in funzione della didattica della lettura e della scrittura [quando ho scoperto nelle notizie biografiche questa affermazione sono rimasto sconcertato sicuramente molto di più di Giovanni il Teutonico e di Alberto Magno].

   Nel 1265 però il Capitolo dell’Ordine domenicano comanda a Tommaso di lasciare Orvieto [di cessare di fare la gallina pensierosa] e di trasferirsi a Roma per fondare uno “Studium [una facoltà di Teologia]”: Tommaso ubbidisce, va presso la basilica di Santa Sabina e istituisce la Scuola, riprende l’insegnamento, forma un certo numero di validi insegnati e poi, nel 1268, torna a Parigi perché ha bisogno di promuovere [di far circolare in modo che possano suscitare un dibattito] - nel centro europeo culturalmente più importante - le sue Opere [sedici trattati]. Si trattiene a Parigi fino al 1272, fino a quando il vescovo Étienne Tempier [sempre lui, il custode dell’ortodossia] emette una condanna su 219 proposizioni del pensiero di Tommaso [le stesse che sono nel pensiero di Alberto Magno] considerate eterodosse e pericolose; allora Tommaso, che non vuole litigare perché ha un caratteraccio che potrebbe portarlo ad alzare la voce [ma ci pensa Alberto Magno ad intervenire in sua difesa], lascia Parigi e torna ad insegnare a Napoli [città più solare, allegra e tollerante dove lui insegna Ontologia in napoletano ed è strano che un tipo introverso come Tommaso dica di trovarsi bene in una città così estroversa come Napoli, ma questo - volendo applicare il concetto dantesco del contrappasso - è successo anche, per esempio, a Leopardi], e a Napoli Tommaso scrive la terza parte della Summa teologica, e noi ora lo lasciamo lavorare anche perché non gli rimane molto tempo e, difatti, non riesce a concluderla.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Con la guida del Lazio e navigando in rete fate visita alla località di Roccasecca, nei pressi di Montecassino [in provincia di Frosinone] dove Tommaso è nato, e anche alla località di Aquino [sempre in provincia di Frosinone] dove rimangono tracce delle proprietà degli avi di Tommaso...     

Poi con la guida dell’Umbria e navigando in rete fate visita ad Orvieto che è collocata su una caratteristica [e pericolosa, ma gli Etruschi non lo sapevano] rupe tufacea: questa bella cittadina  è celebre per i suoi molti monumenti e, soprattutto, per il famoso Duomo [che al tempo della permanenza di Tommaso non era ancora stato costruito, i lavori iniziano nel 1290], e in Orvieto, una delle chiese più antiche è quella di San Domenico che era attigua al convento domenicano dove Tommaso ha potuto domandarsi se anche le galline potessero essere pensierose, buon viaggio...

 

   Questa affermazione [sul tema delle galline pensierose] non è gratuita perché ci porta sul terreno della didattica della lettura e della scrittura in quanto ci troviamo di fronte ad un esplicito e un po’ bizzarro intreccio filologico. Il fatto è che, entrando in questo terreno, ci si fa inevitabilmente una domanda alla quale, però, non c’è una risposta da dare. Luigi Malerba [è coinvolto nella questione] - e noi conosciamo questo scrittore [nato in provincia di Parma nel 1927 e scomparso nel 2008] perché, da ottobre a marzo, abbiamo letto per intero Storie dell’anno Mille che lui ha scritto in cooperazione con Tonino Guerra - nel 1980 ha pubblicato un libretto intitolato Le galline pensierose che ha composto ad Orvieto e, di conseguenza, come si fa a non domandarsi [piacevolmente sorprese e sorpresi] se fosse al corrente Malerba che anche il filosofo di Ente ed Essenza e della Summa theologica proprio ad Orvieto ha utilizzato questa curiosa espressione: sarà l’aria orvietana [ci si domanda con preoccupazione ontologica] a far diventare “pensierose” le galline? Ma la cosa ancor più curiosa sta nel fatto che, dopo due decenni [dal 1994], questo libretto, proprio quest’anno è stato ristampato. Le galline pensierose è una raccolta formata da 146 brevissime storie, più 9 inedite composte da Malerba nel 2008 e aggiunte a quest’ultima edizione. Italo Calvino, recensendo questo libro nel 1980, ha scritto: «Queste storie stanno tra il leggero umorismo del non-senso e la vertigine metafisica degli apologhi zen, e per Malerba, scrive Calvino, osservare le galline vuol dire esplorare l’animo umano nei suoi inesauribili aspetti gallinacei». E, infatti, in questo libro le galline [che rappresentano l’animo umano nel suo aspetto gallinaceo, ai livelli più bassi di capacità riflessiva] pensano, parlano, progettano e si danno da fare ad imitazione e in concorrenza con gli esseri umani, e questo loro sforzo crea una situazione bizzarra simile a quando la persona tenta di far uscire i propri pensieri dalla comica [ma non sempre comica] stupidità dei luoghi comuni producendo, involontariamente, una riflessione insulsa che, però, finisce paradossalmente per ammantarsi di un anelito quasi filosofico. Le “galline pensierose” riflettono, parlano, si informano, osservano le persone e gli altri animali, e prendono spunto da osservazioni storiche, archeologiche, artistiche, e fanno deduzioni, anche di tipo scientifico e matematico producendo un pensiero che destabilizza, in modo soffice e leggero, il pensiero stesso [la lettura di questo libro non è facile: perché il testo si presta ad essere etichettato come noioso e insignificante se non ci si sforza di capire che anche nella banalità c’è un filo logico da seguire che potrebbe portare ad investire in intelligenza]. Leggiamo con pensierosa spensieratezza qualche storia da Le galline pensierose.

 

LEGERE MULTUM….

Luigi Malerba, Le galline pensierose

   Una gallina moltiplicata per una gallina fa una gallina: prima erano due e adesso ne è rimasta una sola. E l’altra dove è andata a finire? La gallina decise di non lasciarsi mai moltiplicare perché, a forza di moltiplicazioni, c’era il rischio che il pollaio restasse vuoto.

   Una gallina cercava di insegnare il teorema di Pitagora alle sue compagne, ma incontrava gravi difficoltà. Un giorno finalmente si mise al centro del pollaio e lo spiegò con parole nuove: «La gallina disegnata sulla ipotenusa di un triangolo rettangolo equivale alla somma delle galline disegnate sui due cateti». Da quel giorno il teorema di Pitagora entrò a far parte del patrimonio culturale del pollaio.

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   Tommaso d’Aquino, come abbiamo detto, getta le basi del suo sistema partendo da un “preambolo” e  affronta anche lui l’argomento della dimostrazione dell’esistenza di Dio e pensa che questo sia il tema più idoneo per sperimentare l’intreccio dei tre fili fondamentali che ha a disposizione [che ha ereditato dal produttivo lavorio intellettuale messo in atto dal IX secolo dal movimento della Scolastica]: il filo blu della Ragione [nella sua raggiunta autonomia], quello verde della Natura [soggetta alla sperimentazione] e quello rosso della Parola di Dio [con il patrimonio della Rivelazione contenuta nella Sacra Scrittura].

   Sul tema della “dimostrazione dell’esistenza di Dio” Tommaso ha a disposizione i risultati di una tradizione consolidata. Tommaso d’Aquino sul tema della dimostrazione dell’esistenza di Dio, primo grande argomento di cui tratta nella prima parte della “Summa theologica”, ha a disposizione tutta una tradizione in proposito a cominciare dalla prova ontologica di Anselmo d’Aosta [ve lo ricordate?]. Tommaso [e su questo tema la pensa come Gaunilone di Marmoutier che critica la prova ontologica di Anselmo scrivendo “In difesa dell’insipiente”] dichiara che questa prova non è valida perché l’essenza di Dio è pensata dall’intelletto come concetto [è, di conseguenza, solo un’idea] e, quindi, anche la sua esistenza rimane solo “pensata” dall’intelletto e non ha un valore effettivo: Dio non è “l’idea che noi abbiamo di Dio”, sostiene Tommaso, e non possiamo affermare che Dio esiste per il solo fatto che noi abbiamo in testa un’idea con la quale tentiamo di rappresentarcelo. Secondo la Logica di Aristotele, afferma Tommaso, quando faccio l’anali logica della proposizione “Io penso Dio” devo riconoscere che in questa frase il soggetto non è Dio ma è il mio pensiero: il soggetto, afferma Tommaso, è l’Io, mentre Dio è l’oggetto e, allora, in questo caso, scrive Tommaso, non ho fatto altro che pensare “me stesso come se fossi Dio” e l’idea di Dio diventa una controfigura, e tutto questo perché l’essenza di Dio, che è infinito e onnipotente, non può essere colta dalla mente umana che è limitata e, di conseguenza, la prova ontologica a priori [senza l’apporto dell’esperienza] non ha alcuna validità.

   Le uniche prove valide, afferma Tommaso, che possono essere utilizzate per la dimostrazione “razionale” dell’esistenza di Dio sono quindi quelle a posteriori: quelle cioè che partono dalla realtà e si basano sull’esperienza concreta, sull’esistenza delle cose e chiamate quindi “prove cosmologiche”. Tommaso ne elenca cinque: la prima prova, scrive Tommaso, è che ogni movimento è posto in atto da un altro movimento e, di conseguenza, si deve risalire a un Motore immobile che muove tutto senza essere mosso da nulla [e questa è la prova cosmologica per eccellenza, dettata da Aristotele e ribadita da Averroè]; la seconda prova è che, scrive Tommaso, ogni cosa [ogni effetto] ha la sua causa e quindi si può risalire all’indietro fino ad arrivare ad “una causa prima non causata”, ad una “causa causarum [la causa delle cause]” che è causa di tutto senza essere causata da nulla [anche in questo caso c’è il pensiero di Aristotele commentato da Averroè]; la terza prova è che, scrive Tommaso, ogni cosa esistente è contingente e ha in un’altra cosa la propria ragione d’essere e si deve, quindi, risalire ad un Essere necessario che abbia in se stesso la propria ragione d’essere [qui Tommaso si rifà ancora ad Averroè e a Maimonide]; la quarta prova è che, scrive Tommaso, ogni cosa esistente ha un proprio grado di perfezione [di completezza] e risalendo in questa gerarchia di valori [come dal caldo si risale al fuoco cioè al grado massimo di calore] si giunge all’Essere perfettissimo [e questo è il pensiero di Platone per cui il mondo perfetto e reale è quello delle Idee]; la quinta prova consiste, scrive Tommaso, nel fatto che nel mondo esiste una armonia, esiste un ordine che presuppone una Intelligenza ordinatrice [e questo concetto è patrimonio di tutta l’Età assiale della Storia e Tommaso pensa a Pitagora in particolare].

   Le prove “a posteriori dell’esistenza di Dio” [partendo dall’esperienza] sono soprattutto una riflessione e una presa di coscienza della realtà esistenziale e servono [e Tommaso ne è consapevole] a chiarire a quali principi è legato il concetto di “Umanità”. Questa riflessione, che riguarda le prove “a posteriori” dell’esistenza di Dio, è un pretesto - è un “preambolo”, direbbe Tommaso - che nel tempo presente serve per compiere un improrogabile e ben ponderato ragionamento sul tema della “salute [nella più ampia accezione del termine]” sempre più precaria del Pianeta su cui viviamo del quale, dice Tommaso, non siamo i padroni e non possiamo farne ciò che vogliamo perché, aggiunge Tommaso, siamo solo di passaggio e le questioni che lui elenca - il movimento, la causa, la necessità, la perfezione [la completezza], l’armonia - sono servite a lui e servono oggi a noi per stabilire il rapporto che c’è tra l’ordine metafisico [che cosa dobbiamo fare di bene per la “salute” del Pianeta?] e l’ordine logico [come si realizzano le cose “salutari - salvifiche”?] e, quindi, le “prove cosmologiche” di Tommaso sono utili per riflettere sul senso che ha l’esistenza umana.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quale di queste questioni [che oggi sono in relazione con “la salute” del Pianeta] – il movimento, la causa, la necessità, la perfezione [la completezza], l’armonia - mettereste per prima?...  

Scrivetela...  

 

   Il genere letterario della “favola” - visto che stiamo leggendo delle brevissime “favole” – utilizza, come ben sappiamo, gli animali perché favoriscono la brevità e la speditezza della narrazione: basta dire lupo, agnello, gallo, volpe, serpente, asino, cornacchia per capire con che tipo psicologico abbiamo a che fare, qual è il suo carattere saliente, se è l’astuzia, la vanità, l’umiltà, la crudeltà. E così, in questo modo, senza troppi preamboli, si procede spediti verso “la morale della favola”. E la gallina? «La gallina [come dice anche il testo di una canzone] non è un animale intelligente» e, per giunta, dire ad una persona “hai un cervello di gallina” risulta piuttosto offensivo. Dunque, il personaggio della gallina non può essere che stupido? O forse - ci ricorda interrogativamente Luigi Malerba, e prima di lui Tommaso d’Aquino - è l’essere umano che non ha riflettuto abbastanza sul tema della stupidità? Leggiamo che cosa ne pensano le galline “pensierose”.

 

LEGERE MULTUM….

Luigi Malerba, Le galline pensierose

   Una gallina babilonese zampettava avanti e indietro sui mattoni di creta ancora tenera prima della cottura. Le zampe affondavano nella creta e lasciavano dei segni.

I mattoni furono mandati alla cottura, ma non vennero usati e restarono ammucchiati in un magazzino. Più di tremila anni dopo, gli archeologi che facevano gli scavi per rimettere in luce le rovine di Babilonia trovarono i mattoni con le impronte della gallina. Fecero molti studi e finalmente riuscirono a leggere quei segni e li tradussero nelle lingue moderne. Così, per merito di quella gallina babilonese, gli archeologi ricostruirono un periodo di storia che altrimenti sarebbe rimasto oscuro.

... continua la lettura ...

 

   Tommaso ribadisce, quindi, che è possibile, utilizzando lo strumento autonomo della Ragione, dimostrare l’esistenza di Dio “a posteriori” con una serie di “prove cosmologiche [partendo dall’esperienza pratica e da quella culturale della Scolastica: latina, greca, araba ed ebraica]” ma afferma altresì che questo ragionamento è un “preambolo”: è un’introduzione che invita ad entrare nell’ambito specifico della Fede e, a questo punto, Tommaso ritiene opportuno, nel testo della Summa teologica, intrecciare il filo blu della Ragione con quello rosso della Rivelazione [della Parola di Dio], l’evento che ha portato Dio ad entrare nella Storia.

   E intrecciare il filo blu della Ragione con quello rosso della Rivelazione [della Parola di Dio] significa far avvicinare due tipi di verità, e Tommaso afferma - rispondendo a una delle accuse che gli rivolge il vescovo di Parigi - che esiste inequivocabilmente una “doppia verità [così come sostiene Averroè, anche se Tommaso modifica l’impostazione averroistica]”: una verità filosofica basata sulla Ragione e una verità teologica basata sulla Rivelazione per cui l’essere umano, sostiene Tommaso, deve tendere ad arrivare “fin dove la Ragione è in grado di fare luce” perché senza questo sforzo intellettuale non si può accedere all’area della Fede. A questo proposito, Tommaso risponde, senza però neppure citarlo ma ignorandolo volontariamente, al vescovo Étienne Tempier che lo accusa di non credere nell’immortalità dell’anima scrivendo un breve trattato intitolato Commento al libro “Sull’anima” di Aristotele, del quale leggiamo un frammento dove Tommaso ribadisce la necessità di far convergere la verità filosofica [il filo blu della Ragione] con quella teologica [il filo rosso della Rivelazione].

 

LEGERE MULTUM….

Tommaso d’Aquino, Sententia in librum De anima [Commento al libro Sull’anima]

Secondo il giudizio del nostro intelletto, che è dono di Dio - come affermano con autorevolezza i Padri della Chiesa - dobbiamo ritenere che esista una verità filosofica basata sulla Ragione che opera nell’ambito dei suoi limiti umani e una verità teologica basata sulla Rivelazione che è frutto dell’infinita saggezza divina; ciò premesso posso affermare che sul tema della qualità dell’anima, a differenza del commentatore arabo di Aristotele [Averroè], io credo che l’anima possegga una natura immortale e ne sono convinto in nome della Fede che m’ispira il testo del Dionigi l’Areopagita, ma la Ragione m’invita comunque a domandarmi: che cos’è l’anima? E io non posso non esaminare la questione perché la Ragione tende sempre, per volontà divina, ad andare oltre se stessa e allora mi chiedo se l’anima sia una parte del corpo come il cuore e il cervello, diversa da persona a persona e immortale, oppure sia una piccola particella della Mente di Dio che per qualche anno vive dentro di noi, per poi tornarsene a casa per dissolversi nell’Intelletto divino.

Queste stesse domande se le pose, a suo tempo, Aristotele il quale non può essere accusato di essere vissuto quattro secoli prima di Cristo e, se fosse nato dopo, io sono certo che avrebbe adattato la sua concezione dell’anima alla fede cristiana.

 

   Tommaso crede nell’immortalità dell’anima secondo la verità teologica esplicitata in termini neoplatonici nel Dionigi Areopagita, ma ribadisce che secondo la verità filosofica il tema rimane aperto e, quindi, ritiene opportuno [nella terza parte della Summa theologica] intrecciare il filo blu della Ragione con quello rosso della Rivelazione soprattutto per quanto riguarda la [grande e delicata] questione di quale sia il Dio a cui la Fede cristiana fa riferimento, e Tommaso, a questo proposito, afferma che possiamo dire qualcosa solo di un Dio che è entrato nella storia con la Rivelazione [che si manifesta nella Sacra Scrittura].

   Tommaso d’Aquino, dopo aver dimostrato, mediante lo strumento autonomo della Ragione, l’esistenza di Dio “a posteriori [elencando cinque prove cosmologiche]”, afferma che questo ragionamento, che sviluppa nella prima parte della Summa teologica, è un “preambolo [preambulum fidei]”: è un’introduzione che invita ad entrare nell’ambito della Fede perché la Ragione sente la necessità di andare oltre il proprio campo d’azione e questa realtà avvalora il fatto che “l’ipotesi dell’esistenza di Dio, scrive Tommaso, è credibile sul piano teoretico [astratto, speculativo, intellettuale]” ma in concreto, si domanda Tommaso, di quale Dio vogliamo proclamare l’esistenza?

   Per rispondere a questa domanda, scrive Tommaso, possiamo riferirci solo ad un Dio che è entrato nella Storia con la Rivelazione mediante la Sacra Scrittura e questo significa che questo Essere Supremo ed Eterno [Immobile, Necessario, Perfetto, Intelligente, Causa Prima] non disdegna di “rivolgere il suo volto, scrive Tommaso, verso l’esperienza umana” e, quindi, è disposto [dobbiamo pensare che questo Dio sia disposto], nella sua infinita misericordia, a rendere manifesta la sua “Essenza”. Quindi, con la Ragione, afferma Tommaso, noi possiamo dimostrare [seppure “a posteriori”, partendo da ciò che conosciamo con certezza] l’esistenza di Dio e possiamo anche, però, in questo caso, con l’ausilio della Fede, intuire la sua Essenza, ma non potremmo mai, afferma Tommaso, conoscere l’Essere di Dio, per lo meno in questa vita.

   Quindi, di fronte a questa realtà, è necessario, scrive Tommaso nella seconda parte della Summa theologica, ridefinire i termini dell’Ontologia [la disciplina che studia le caratteristiche dell’Essere facendo tesoro delle ricerche di Agostino, di Anselmo, di Abelardo, dei maestri di Chartres, di Averroè, di Maimonide, di Alberto Magno] per capire bene che differenza c’è tra l’Essere, l’Essenza e l’Esistenza [un tema, quello ontologico, dotato di complessità e sempre attuale perché noi continuiamo a domandarci: chi siamo, da dove veniamo e perché si deve morire?].

   Tommaso, nella seconda parte della Summa theologica, compie quella che è stata chiamata “la rivoluzione copernicana dell’Ontologia”: mentre l’Ontologia di stampo platonico [di Agostino e di Anselmo] parte dall’Essere [dall’Iperuranio, dal Mondo delle Idee, da Dio stesso] per dare un senso all’Esistenza, Tommaso pone in primo piano un’Ontologia di stampo aristotelico che si pone il problema di cercare l’Essenza dell’Esistenza per poter definire l’Essere [ed è questa presa di posizione che fa di Tommaso il protagonista di un cambiamento epocale che determina l’avvento di una nuova stagione]. L’Esistenza [e questo lo sappiamo, scrive Tommaso] è solo una proprietà delle cose che esistono, mentre l’Essenza è qualcosa in più, è una facoltà che sta rinchiusa all’interno di un Ente [di una cosa] e che lo identifica più di ogni altra definizione, per cui l’Esistenza di un Ente [di una cosa] è destinata a non durare, mentre la sua Essenza risulta durevole [un oggetto, un libro, per esempio: la sua Esistenza è determinata dalla materia, dal modo in cui è fatto e dura finché dura, mentre la sua Essenza è la ragione che dà un senso alla sua Esistenza ed è durevole rispetto alla sua Esistenza]. Essenza ed Esistenza dunque, come insegna Aristotele, scrive Tommaso, stanno tra loro come la Potenza e l’Atto: che cosa vuol dire? Vuol dire [scrive Tommaso, mentre, nella seconda parte della Summa theologica, inizia ad intrecciare anche il filo verde della Natura con quello blu della Ragione e quello rosso della Rivelazione] che tutte le cose che abbiamo intorno [la Natura] non sono altro che delle forze potenziali che si sono trasformate in realtà attuali, e il Mondo creato, perciò, rappresenta sotto forma di Atto tutto quello che Dio era una volta in Potenza.

   A questo punto, si domanda Tommaso, posso pensare [visto che ho il filo blu della Ragione] che nella Natura [visto che ho il filo verde per sperimentare] ci sia l’Essenza di un Dio che si rivela [visto che ho anche il filo rosso da utilizzare] perché se si tiene conto del fatto che gli oggetti naturali, come possiamo constatare sperimentalmente, perdono ciclicamente la loro Esistenza: come farebbe ad esserci la Natura senza un’Essenza [il supporto durevole] data da un Dio che si manifesta e si rivela?

   E, sulla scia di questa domanda, Tommaso si chiede che cosa faceva la Potenza, cioè Dio, prima di mettere in Atto la Creazione? [Tommaso è uno di quelli che se lo incontrate e gli chiedete “Che ora è?”, lui non vi risponde finché non gli avete spiegato a che cosa vi serve saperlo!]. Dio, scrive Tommaso, non poteva far altro che pensare Se stesso secondo l’ipotesi di Aristotele, e il fatto che Dio sia “Pensiero di Pensiero”, scrive Tommaso chiosando Aristotele, avviene perché “l’Essere di Dio è l’atto stesso della sua Esistenza”, quindi, l’Essenza di Dio è il suo Essere, in quanto l’Essenza divina, scrive Tommaso parafrasando Aristotele, è della stessa sostanza dell’Esistenza. Che cosa significa? Quando Dio ha creato, scrive Tommaso, è successo [deve essere successo] che il suo Pensiero si è orientato su “qualcosa di altro da Lui” e sono scaturite, scrive Tommaso, pensando all’Uno di Plotino, sostanze che non sono l’Essere [che non hanno la trascendenza di Dio] ma sono “Essenze filtrate attraverso il Pensiero di Dio” per cui la Natura [il Mondo creato] ha un’Esistenza perché ha ricevuto l’Essenza da Dio e, di conseguenza, nella Natura non c’è l’Essere di Dio perché Dio e Natura non possono essere la stessa cosa, ma c’è la sua Essenza [per dirla con un’allegoria: Dio è il gelsomino la Natura è il profumo del gelsomino, Dio è il miele la Natura è la dolcezza del miele].

   Il ragionamento ontologico di Tommaso, che riassume l’esperienza ontologica maturata nei secoli nelle Scuole della Scolastica, ha preso il nome di “teologia naturale [diventando la disciplina che studia la Natura in quanto contenitore dell’Essenza di Dio]” e questa argomentazione ha favorito la creazione, nell’ambito della dottrina cristiana [e lo è a tutt’oggi], di un punto d’incontro tra la “teologia razionale [la disciplina che studia le potenzialità e i limiti della Ragione nel momento in cui essa aspira ad entrare nel campo della Verità o degli Ideali]” e la “teologia rivelata [la disciplina che cura l’interpretazione della Sacra Scrittura, della Parola di Dio]”.

   Ed ecco che il sistema di Tommaso [che è diventato il sistema di pensiero stesso della cristianità, e anche - in funzione della didattica della lettura e della scrittura - il supporto ideologico fondamentale della Divina Commedia di Dante Alighieri] si può concretamente, e non solo metaforicamente, paragonare ad un quadro [ad un arazzo] tessuto con il filo blu della Ragione [l’Esistenza], quello verde della Natura [l’Essenza] e quello rosso della Rivelazione [l’Essere].

   E ora, insieme a Tommaso, dobbiamo cercare - siccome [c’informa Tommaso] manca un tassello significativo - di dare una risposta alla domanda che ci siamo fatte e ci siamo posti all’inizio di questa esposizione sul tema ontologico: chi è il Dio di cui vogliamo proclamare l’Esistenza, l’Essenza e l’Essere? La Ragione aspira ad entrare nel campo della Verità, nella Natura c’è l’Essenza divina, e il Dio che si rivela, che si manifesta, si domanda Tommaso, chi è?

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il termine “essenza” ci ha accompagnate ed accompagnati in questa disquisizione sul tema ontologico che Tommaso affronta nella seconda parte della Summa theologica...

Materialmente parlando “l’essenza” è un estratto dotato di fragranza, di aroma: c’è un’essenza che vi piace?...  C’è un essenza capace di stimolare il vostro ricordo?...

Scrivete quattro righe in proposito, anche la scrittura può avere la sua fragranza... 

 

   E quale tipo di fragranza può far venire in mente una gallina pensierosa? Tutte le galline sotto sotto si sentono un po’ filosofe, soprattutto quando vengono portate in tavola.

 

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Luigi Malerba, Le galline pensierose

   Una gallina devota andava in chiesa ogni domenica e si univa al coro con i suoi coccodè. Il prete andò a lamentarsi dalla padrona. Era proprio quello che voleva la gallina devota che sperava di morire sul rogo come Giovanna d’Arco. Invece finì arrostita sulla graticola come san Lorenzo.

   Una gallina spiritualista aveva sentito dire che con duemila respiri profondi si potevano avere le visioni e raggiungere l’estasi. Si mise all’ombra di un sambuco e incominciò a respirare. Quando arrivò a millenovecento respiri ebbe finalmente una visione: una donna con un vestito a fiori le si avvicinava, la prendeva per il collo e glielo stringeva forte. Fu così che quella gallina finì dentro la pentola credendo di avere raggiunta l’estasi.

... continua la lettura ...

 

   Tommaso [nella terza parte della Summa theologica, opera che - sebbene assai esaustiva - rimane incompiuta per la prematura scomparsa dell’autore e viene portata a termine da Reginaldo  da Piperno che sviluppa gli appunti di Tommaso] si propone di dare una risposta alla domanda che gli possa permettere di completare, in senso logico e teologico, il quadro del suo sistema.

   La Ragione aspira ad entrare nel campo della Verità, nella Natura c’è l’Essenza divina, e il Dio di cui vogliamo e dobbiamo proclamare l’Esistenza, l’Essenza e l’Essere, si domanda Tommaso, chi è? Che personalità ha il fondamento [Dio] su cui si regge il sistema di Tommaso d’Aquino?

   Tommaso d’Aquino - dopo aver affermato che la Ragione umana, nonostante i suoi limiti, aspira ad entrare nel campo della Verità [della Fede] ed enumera, in proposito [nella prima parte della Summa theologica], le cinque prove della “tesi cosmologica” per dimostrare a posteriori l’esistenza di Dio, e dopo aver sostenuto nella seconda parte della Summa theologica la “tesi ontologica” secondo cui nella Natura c’è l’Essenza divina che avvalora l’Esistenza del creato – affronta, nella terza parte della Summa, la “tesi teologica” ponendosi una domanda indispensabile ed essenziale per la tenuta del suo sistema: chi è il Dio [il Dio cristiano] nella cui “unità in tre Persone uguali e distinte” coincidono l’Esistenza, l’Essenza e l’Essere? La risposta che Tommaso si dà è inequivocabile e a noi non fa un grande effetto ma, in questo momento [nel 1273] viene accolta dalle autorità ecclesiastiche con grande scetticismo [e il vescovo di Parigi bolla questa affermazione come assai inopportuna].

   Il Dio di cui possiamo, dobbiamo e vogliamo proclamare l’Esistenza, l’Essenza e l’Essere, scrive Tommaso, si manifesta nel Libro dell’Esodo [e ci dobbiamo ricordare che il Libro dell’Esodo - con quello dell’Apocalisse, della Genesi e del Vangelo secondo Giovanni - è uno dei quattro testi più importanti della cultura medioevale]. E, per la precisione, il Dio “cristiano della Summa theologica di Tommaso d’Aquino” si fa riconoscere nel famoso versetto 14 del capitolo 3 del Libro dell’Esodo. E, quindi, per fare chiarezza leggiamo il testo [un testo che ben conoscete] dei versetti 13 e 14 del capitolo 3 del Libro dell’Esodo: «Mosè disse a Dio: - Ecco, quando andrò dagli Israeliti e dirò loro: il Dio dei vostri Padri mi ha mandato da voi, essi mi chiederanno “Come si chiama?”. Ed io che cosa dovrò rispondere? E Dio disse a Mosè: - Io sono colui che sono [io sono colui che sarò o io sarò colui che sarò]! Poi soggiunse: - Così dovrai rispondere agli Israeliti: il Dio che si chiama “Io-Sono”, mi ha mandato da voi.».

   Tommaso d’Aquino [e non solo per giustificare il suo sistema e per dargli un fondamento]  vuole sostenere un nuovo metodo di esegesi e diventa, quindi, il fondatore di una disciplina esegetica di “carattere filologico” che trova le sue radici nella lingua originale ebraica del testo biblico, e voi vi starete domandando: ma perché viene censurato, che cosa c’è di strano nel suo modo di fare,  di leggere la Bibbia?

Il fatto è che vige - a livello dei poteri religiosi che fanno riferimento al monoteismo - la mentalità di “avere un proprio Dio” da far prevalere su quello degli altri [una mentalità foriera di guerre di religione che purtroppo dominano la scena medioevale e domineranno la storia dell’Età moderna, e tuttora con questa fobia ci stiamo facendo drammaticamente i conti]. Tommaso [partendo dalla versione latina, la cosiddetta Vulgata, di Gerolamo, passando poi alla versione greca cosiddetta dei Settanta, fino a risalire al testo ebraico di partenza] legge con grande attenzione il capitolo 3 del Libro dell’Esodo dove si narra che Mosè, in esilio nella terra di Madian in fuga dall’Egitto, portando al pascolo il gregge di suo suocero Ietro, nei pressi del monte Horeb diventa protagonista di una “teofania [una manifestazione divina]” perché la divinità gli si manifesta nel fuoco del roveto ardente che brucia senza consumarsi e, come abbiamo letto poca fa, questo Dio, che parla attraverso un fuoco inestinguibile, gli affida la missione di liberare il popolo ebraico dalla schiavitù e, soprattutto, gli rivela il suo nome. Questo nome nel testo ebraico [e la scrittura ebraica non fa uso di vocali] è formato da quattro consonanti [un tetragramma], YHWH, da leggere Jahvé - un termine che gli Ebrei non osano pronunciare [come se Dio non volesse svelare il suo nome per non venir confuso con uno dei tanti idoli o babilonesi o cananei] e ammiccano con vari attributi al nome di Dio, e uno di questi [quello più in uso] è “Adonai” [il Signore].

   Tommaso punta l’attenzione [la Ragione] con grande interesse sul termine “Jahvé” proprio perché, etimologicamente, si collega con il verbo “essere”, in ebraico “hawah” e, di conseguenza, il nome di Dio significa “Io sono colui che sono” [ma, siccome nella lingua ebraica i verbi si coniugano solo al presente, il significato di questo nome è anche “Io sono colui che sarò” oppure “Io sarò colui che sarò” per cui la continuità eterna dell’Essenza divina si fa ancora più esplicita], quindi, secondo la disciplina esegetica di “carattere filologico” sostenuta da Tommaso - che consiste nel risalire alle radici della lingua ebraica [l’idioma originario del testo biblico elaborato in esilio a Babilonia] - il nome di Dio suggerisce esplicitamente “la totalità dell’Essere, della sua Essenza e della sua Esistenza”. E, quindi, sostiene Tommaso, la traduzione greca cosiddetta dei Settanta [influenzata dal giudaismo-ellenistico del III secolo e pur degna di rispetto sul piano culturale, precisa Tommaso] non riproduce in modo esatto il nome di Dio così come Dio stesso lo ha rivelato a Mosè perché rende la parola “Jahvé” con il termine greco “Kýrios, il Signore” che, a sua volta, il venerabile Gerolamo, nel V secolo, traduce [ed è questa traduzione, detta la Vulgata, che la Chiesa di Roma considera ortodossa] in latino con la parola “Dominus, il Signore”. E, quindi, Tommaso ribadisce, con la sua scelta esegetica, che la cultura della cristianità è imprecisa nel considerare il valore del nome di Dio perché il “Dio della Rivelazione” è sì, formalmente, il “Signore del Mondo [Adonai, Kýrios, Dominus]” ma, nella sostanza, proclama Tommaso, è “Colui in cui coincidono l’Esistenza, l’Essenza e l’Essere” e, con questa riflessione esegetica, Tommaso, nella terza parte della Summa theologica, costruisce il punto di riferimento fondamentale del suo sistema: il luogo, lo spazio, il sito dove la teologia razionale [che si occupa del tema dell’Esistenza], quella naturale [che studia il tema dell’Essenza] e quella rivelata [che riflette sul tema dell’Essere] s’incontrano. E sarà - nonostante la grande diffidenza iniziale nei suoi confronti - il sistema di Tommaso d’Aquino a diventare [e ad essere tuttora] la base della dottrina della cristianità.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Leggete o rileggete i primi tre capitoli del “Libro dell’Esodo” per fare, questa volta con Tommaso d’Aquino, il punto della situazione...

 

   E le “galline pensierose” come lo fanno, a proposito del nome di Dio, il punto della situazione? Le “galline pensierose” sono furibonde e questa furia le ha portate ad una loro riflessione teologica: che cosa è successo?

   Quando le galline pensierose hanno scoperto che in tutta la Bibbia non vengono mai nominate, nemmeno quando si parla dell’Arca di Noè, hanno stabilito, tutte d’accordo, che Dio è proprio un “Essere [con la E maiuscola] smemorato [con la esse minuscola]” e Aristotele approverebbe questa definizione [Tommaso tace diplomaticamente ma si è molto divertito] e noi, per concludere, leggiamo ancora otto storie, di più non ce ne stanno.

 

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Luigi Malerba, Le galline pensierose

   Una gallina medievale aveva deciso di vendere l’anima al Diavolo. Andò in giro a cercarlo da tutte le parti e finalmente un giorno lo trovò in un orto che rubava il sedano. Gli propose di cedergli la sua anima in cambio di una manciata di orzo, ma il Diavolo le fece una risata sul becco. Fu così che quella gallina medievale scoprì di non avere l’anima.

... continua la lettura ...

 

   Nel dicembre del 1273, in seguito ad una non precisata esperienza, Tommaso smette di scrivere la Summa theologica nella quale, tuttavia, non c’era più molto da aggiungere. Tommaso appare profondamente mutato, smette anche d’insegnare e da Napoli si trasferisce nel castello di San Severino presso sua sorella Teodora per un periodo di riposo. All’inizio di febbraio del 1274 riceve l’invito [l’ordine] da parte del Capitolo generale dei domenicani di recarsi a Lione per partecipare [forse doveva anche difendere le sue tesi?] al concilio ecumenico convocato da papa Gregorio X [c’era, all’ordine del giorno, da organizzare una crociata, c’era da riunificare la chiesa greca con quella latina ma poi non se ne fece nulla. Dobbiamo ricordare che durante il concilio di Lione - che inizia nel maggio del 1274 - muore Bonaventura da Bagnoregio: verrebbe da dire che non era un concilio per santi]. Tommaso parte per Lione e durante una sosta a Maenza presso sua nipote Francesca le sue condizioni di salute peggiorano e viene trasferito nell’infermeria dell’abbazia di Fossanova, non lontano da Roma, dove muore il 7 marzo del 1274, aveva 49 anni e si racconta che poco prima di morire abbia detto al suo amico e segretario, il monaco Reginaldo da Piperno [oggi Priverno]: «Non me la sento proprio di rileggere quello che ho scritto. Avrei l’impressione di aver detto solo cose imprecise e finirei col buttare tutto nel fuoco [tutto ciò che ho scritto mi sembra paglia]». Reginaldo risponde a Tommaso facendo una riflessione, e sul significato di questa riflessione termineremo la breve Lezione della prossima settimana quando concluderemo il nostro viaggio. Nella foresteria dell’abbazia di Fossanova si conserva la camera nella quale Tommaso d’Aquino è morto.

 

REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

L’abbazia di Fossanova si trova lungo la via Appia nel Comune di Priverno in provincia di Latina, ed è curioso il fatto che l’ultimo importante personaggio che incontriamo sia morto per via, strada facendo e, per giunta, in un insigne monumento di architettura gotico-cistercense: in un’abbazia fondata nel IX secolo dai Benedettini quando il nostro viaggio ha avuto inizio…

Con la guida del Lazio e navigando in rete fate visita all’abbazia di Fossanova dove l’anima pensierosa di Tommaso continua ad aleggiare insieme alla sua memoria intellettuale

 

   Tommaso sa benissimo di essere andato oltre i canoni tradizionali dell’ortodossia sintetizzando tutto il pensiero della Scolastica, e si rende conto di aver sfidato la pigrizia della mentalità ecclesiastica che ha la tendenza ad adagiarsi sulle soluzioni più immediate e a prestare attenzione a ciò che pare confermare le credenze consolidate: Tommaso non ama le semplificazioni della credenza che favoriscono l’inerzia del pensiero, preferisce le complicazioni che crea la Ragione quando aspira ad affacciarsi nel campo della Fede.

   Dal 1277 al 1323, per quasi mezzo secolo, il pensiero di Tommaso d’Aquino viene indagato e processato come inopportuno, tendenzioso e, perfino, eretico, finché papa Giovanni XXII, ad Avignone, lo proclama santo, ma questa è un’altra storia che riguarda le dinamiche politiche del papato durante la lunga permanenza dei pontefici ad Avignone e di questi avvenimenti ce ne occuperemo nel prossimo viaggio.

   Quando uno diventa santo tutti ne vogliono le spoglie: nel 1369, a 95 anni dalla morte, il corpo di Tommaso è stato riesumato dal cimitero dell’abbazia di Fossanova e la testa è stata conservata nella Basilica-cattedrale di S. Maria Annunziata a Priverno [in provincia di Latina, nel Comune dove è morto], la mano destra [con la quale ha scritto quotidianamente quattro righe in proposito], invece, è stata collocata nella Chiesa di San Domenico a Salerno [andate a visitarla con la guida della Campania e navigando in rete], mentre il corpo, decollato e monco, è stato trasportato - e lì lo si può venerare - nella Chiesa dei Giacobini a Tolosa, l’antica capitale della Linguadoca, situata sulle rive della Garonna, ricca di monumenti [con la guida della Francia e navigando in rete fate una visita a Tolosa]. Io credo, metaforicamente, che Tommaso se la rida pensando al fatto che anche lui, in fondo, ha fatto la fine che spesso fanno [a pezzi in un tegame] le “galline pensierose”.

   Ora, per concludere, non resta che leggere l’ultima storia da Le galline pensierose e se lo volete leggere tutto per intero questo libro - noi ne abbiamo letto solo una piccola parte - lo trovate in biblioteca.

 

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Luigi Malerba, Le galline pensierose

Una gallina che studiava le favole antiche disse alle compagne che tutte quelle che aveva letto finivano nello stesso modo: «E vissero felici e contenti». Tutte insieme andarono dall’autore di un libro intitolato Le galline pensierose e gli chiesero di proporre un finale adatto alle favole future sulle galline. L’autore si fece pensieroso e poi disse: «E vissero a lungo tenendosi il più possibile lontane dalle pentole».

 

   Noi ci auguriamo - come nelle fiabe - di “vivere a lungo felici senza perdere mai la volontà d’imparare”.

   E, a questo proposito, come è tradizione, è stato preparato un pro-memoria [sotto forma di volantino]: divulgate l’idea che imparare ad apprendere è un diritto da garantire ed è un dovere a cui ottemperare perché - come recita l’articolo 34 della Costituzione - “la Scuola è aperta a tutti.”.

   C’è ancora un itinerario da fare che, sebbene sia di carattere conviviale [il 4 giugno ad Impruneta e il 5 giugno a Firenze], contiene pure la trentesima Lezione: una Lezione più breve ma pur sempre una Lezione nel corso della quale leggeremo un intero Libro: il più enigmatico dei testi della Scolastica medioevale [che ha un protagonista d’eccezione]. E allora: perché mancare? [... disse la gallina pensierosa al cappone all’inizio dell’estate: “C’è tempo a Natale! Purtroppo ti toccherà invecchiare!”]. La Scuola, si sa, allarga la vita…

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Maggio 29, 2015