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SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI KANT DESCRIVE LA FUNZIONE DELL’ESTETICA, DELL’ANALITICA E DELLA DIALETTICA TRASCENDENTALE …

Lezione N.: 
12

ASSOCIAZIONE ARTICOLO  34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»

PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

Un secondo viaggio sul territorio del secolo dei Lumi

17-18-19 e 26 aprile 2024

SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI

KANT DESCRIVE LA FUNZIONE DELL’ESTETICA,

DELL’ANALITICA E DELLA DIALETTICA TRASCENDENTALE …

     Questo è il dodicesimo itinerario del nostro secondo viaggio sul territorio del secolo dei Lumi [ed è il terzultimo itinerario di questo Percorso e avete ricevuto - allegato al REPERTORIO... - anche il Questionario di fine Percorso] e, come sapete, ci troviamo sempre a Königsberg in compagnia di Immanuel Kant. Al termine dell’itinerario scorso abbiamo detto che, prima di affrontare il tema della Legge del dovere, argomento che Kant tratta nelle pagine della Critica della ragion pratica, dobbiamo ancora occuparci del testo della Critica della ragion pura perché nella seconda parte di quest’opera Kant vuole chiarire nei particolari come si sviluppa e come funziona il meccanismo della conoscenza sintetica a-priori.

     Kant, nella seconda parte della Critica della ragion pura, spiega nei particolari come si sviluppa l’attività della ragion-pura nel campo della conoscenza e afferma che questa attività si sviluppa attraverso tre gradi: quello dell’intuizione o l’Estetica, quello dell’intelletto o l’Analitica e quello della Dialettica. Ognuno di questi tre gradi, scrive Kant, realizza la funzione che gli viene affidata governando il contenuto sintetico di sua competenza e utilizzando le forme a-priori di cui è dotato.

     Ma procediamo con ordine: il primo gradino della conoscenza, scrive Kant nel testo della Critica della ragion pura, è quello dell’intuizione, e questa fase Kant la chiama dell’Estetica trascendentale. Voi dovreste sapere che Kant utilizza il termine “estetica” perché in greco la parola “aistesis” significa “sensazione” e, quindi, non rimanda alla scienza del bello ma indica la disciplina dell’esperienza sensibile nell’ambito dei limiti e delle possibilità della ragione. Difatti, il processo della conoscenza, afferma Kant, ha inizio con l’esperienza sensibile, con l’intuizione empirica che è l’atto con il quale la persona, attraverso i sensi, riceve le sensazioni che modificano la sua coscienza dando inizio al percorso della conoscenza. Quindi, afferma Kant, le sensazioni sono il contenuto sintetico, sono la materia prima di competenza dell’intuizione. Ma perché la mente possa concretamente intuirle, e sia in grado di fornire un ordine alle sensazioni percepite, sono necessarie le forme a-priori dell’intuizione, delegate a raccogliere le sensazioni percepite dai sensi, altrimenti queste sfuggono e non si possono associare tra loro. Le forme a-priori dell’intuizione empirica nella fase dell’Estetica trascendentale della conoscenza sono lo spazio e il tempo [e ricorderete che delle forme a-priori di spazio e di tempo ne abbiamo già parlato nel corso del decimo itinerario studiando il testo della Prolusione di Kant].

     Lo spazio, scrive Kant nel testo della Critica della ragion pura, è la forma a-priori che rende possibile alla persona l’intuizione delle percezioni provenienti dal mondo esterno mentre il tempo  rende possibile l’intuizione delle percezioni del mondo interiore della persona. Per esempio, se punto l’attenzione su un oggetto [uno dei tanti oggetti che ci circondano: la graffetta che ho in mano], ebbene, questo oggetto impressiona i miei sensi e le sensazioni percepite, attraverso le forme a-priori dello spazio e del tempo presenti nella mia mente, fanno sì che io intuisca l’oggetto: ma intuirlo non significa ancora conoscerlo, l’intuizione empirica segnala che, per il momento, questo oggetto me lo sto solo rappresentando perché mi trovo ancora sul primo gradino della conoscenza che è il momento dell’Estetica trascendentale e che corrisponde, scrive Kant, all’intuizione empirica delle sensazioni percepite che, in questa fase, vengono ordinate a-priori dalle forme dello spazio e del tempo nell’ambito delle possibilità e dei limiti della ragione cioè in modo trascendentale.

     Che cosa c’insegna, scrive Kant nel testo della Critica della ragion pura, la fase dell’Estetica trascendentale? Questa fase ci porta a riflettere sulla validità di due importanti discipline fuse insieme nella scienza matematica. Se la forma a-priori dello spazio gestisce le sensazioni percepite dal modo esterno alla persona significa che amministra la disciplina della geometria, e se la forma a-priori del tempo gestisce le sensazioni intese dalla persona nel suo mondo interiore significa che amministra la disciplina dell’aritmetica. Ebbene, se è così possiamo affermare, scrive Kant, che la matematica - in cui si armonizzano la geometria [lo spazio] e l’aritmetica [il tempo] -  è una disciplina soggetta ai giudizi sintetici a-priori perché per risolvere un problema di matematica devo essere in grado di intuire, cioè di collocare i dati dell’esperienza sensibile, la sintesi, dentro le forme a-priori dello spazio e del tempo, cioè devo saper compiere un ragionamento sintetico a-priori. Quindi, si domanda Kant, la matematica [disciplina fondamentale per la conoscenza umana] è possibile come scienza? Per far comprendere il funzionamento dell’Estetica trascendentale Kant scrive nel testo della Critica della ragion pura: «Io ho due mele in borsa, per strada [nello spazio] ne raccolgo altre due: quante mele porto a casa? Quattro mele. E perché posso dire che questo “quattro” è un giudizio sintetico a-priori? Perché questo “quattro” con il primo “due” e con il secondo “due” non ha nessun rapporto in quanto l’esperienza sensibile del “due sul terreno prima” e del “due sul terreno dopo” [nel tempo] diventa un’intuizione [due più due] solo quando questi dati entrano nelle forme a-priori dello spazio e del tempo. Ma l’intuizione non è ancora la conoscenza, è solo una rappresentazione. Se io vi dico che alla mia destra camminano due marziani e alla mia sinistra altri due: quanti marziani ci sono con me? Potete, senza dubbi, rispondere: quattro. Ma è proprio vero? È una vera conoscenza oppure è una rappresentazione? Infatti immagino vi stiate domandando se i marziani possano passeggiare in mia compagnia! Ma io vi ho forse chiesto di dire se esistono o non esistono i marziani? No. Vi ho chiesto: quanti sono? E, voi, giustamente, avete risposto. Voi capite, scrive Kant, che per conoscere è necessaria l’esperienza sensibile, per conoscere, io devo sapere in modo empirico se esistono i marziani. Però voi avete capito che per intuire - e l’intuizione empirica è il primo gradino della conoscenza - per rappresentarmi la realtà non ho proprio bisogno dell’esperienza sensibile. Per intuire il risultato - due marziani più due marziani - ci siete arrivate e arrivati indipendentemente dall’esperienza sensibile perché avete utilizzato le forme dell’intuizione, lo spazio e il tempo, che ogni persona possiede a-priori, di conseguenza, noi indipendentemente dall’esperienza, abbiamo compiuto una sintesi a-priori. Noi non abbiamo mai visto un marziano, però, anche se noi non conosciamo il contenuto, intuiamo la forma, e siccome abbiamo esperienza della realtà sappiamo che i marziani sono un oggetto vuoto, ma abbiamo intuito lo stesso, c’è stata lo stesso una rappresentazione a-priori perché l’intuizione dipende non tanto dall’esperienza sensibile ma dalle forme a-priori della nostra mente e, quindi, noi formuliamo comunque un giudizio sintetico a-priori: sono quattro i marziani che dovrebbero camminare insieme a me! Ma si tratta di quattro oggetti vuoti e, quindi, scrive Kant della Critica della ragion pura, facciamo funzionare l’intuizione: se sono oggetti vuoti, quanti marziani camminano alla mia destra? Zero. E quanti marziani alla mia sinistra? Zero. E, allora, se devo risolvere il problema matematico in cui mi si domanda quanti marziani camminano con me in tutto? Posso rispondere quattro così come posso rispondere zero. E, di conseguenza, stiamo facendo confusione? No. Stiamo continuando a formulare giudizi sintetici a-priori, stiamo continuando a mettere ordine, ci stiamo occupando di matematica, di ipotesi matematiche, come prevede la scienza. Quindi, la matematica - anche quando si esprime sul piano della rappresentazione, scrive Kant - è soggetta ai giudizi sintetici a-priori e, di conseguenza, è possibile come scienza. La matematica, afferma Kant, non è conoscenza della realtà in quanto tale, è una rappresentazione, è intuizione e, se non si sale questo gradino fondamentale, senza la scienza matematica, non siamo sulla via della conoscenza. E, conclude Kant, la matematica va studiata [ci insegna a intuire]».

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quali sono, ci chiederebbe Kant, le vostre competenze sul piano della matematica, quanta aritmetica e quanta geometria avete studiato a Scuola?…

Scrivete quattro righe in proposito…

     Dopo aver illustrato [nel testo della Critica della ragion pura] il funzionamento del primo gradino della conoscenza, quello dell’Estetica trascendentale, Kant passa a descrivere il secondo gradino, quello dell’Analitica trascendentale.

     Il secondo gradino della conoscenza, scrive Kant nel testo della Critica della ragion pura, è quello dell’intelletto, chiamato da Kant dell’Analitica trascendentale.

     L’intelletto umano, afferma Kant, operando dentro i limiti e le possibilità della ragione, ha la funzione di analizzare le intuizioni empiriche generate dalle sensazioni, di ordinarle e di unificarle tra loro; sappiamo, afferma Kant, che le intuizioni empiriche generate dalle sensazioni non sono ancora [come abbiamo imparato poco fa studiando il funzionamento dell’Estetica trascendentale] delle vere e proprie conoscenze ma si presentano come delle rappresentazioni che, però, costituiscono la materia prima per l’intelletto che, nel momento in cui opera per ordinarle e unificarle, le trasforma in un oggetto, e la particolarità di un oggetto, scrive Kant, è quella di essere definibile per se stesso per distinguersi dagli altri oggetti garantendo la propria conoscibilità.

     Ma perché questo possa avvenire, afferma Kant nel testo della Critica della ragion pura, anche l’intelletto deve usare le forme a-priori di cui è dotato per cui ogni intuizione empirica, ogni rappresentazione trasformata in oggetto realmente conoscibile, deve entrare nei contenitori, necessari e universali, che garantiscono l’attuarsi del fenomeno della conoscenza perché sono le forme a-priori dell’intelletto che trasformano gli oggetti intuiti in oggetti pensati convertendoli in concetti [idee, pensieri, nozioni, immagini, astrazioni, opinioni, giudizi]. Kant - con il pensiero rivolto alla stagione della Scolastica medioevale e alla lezione aristotelica - le forme a-priori dell’intelletto le chiama “categorie”: ricordate le categorie di Aristotele? Quante volte abbiamo incontrato questo argomento! Le categorie - afferma Aristotele - sono i dieci concetti più generali oltre i quali non si può andare nella scala (nella gerarchia) delle idee, quindi, è nel quadro di questi predicati supremi – sostanza, qualità, quantità, relazione, luogo, tempo, azione, possesso, stato e passione – che sta la possibilità della conoscenza della realtà]. Scrive Kant nel testo della Critica della ragion pura: «Le categorie sono forme ideali che noi non ricaviamo dall’esperienza, ma sono le forme costitutive del nostro intelletto e hanno la caratteristica di essere soggettive ma universalmente umane perché ogni persona che pensa non può pensare se non attraverso queste forme, ed è per questo motivo che le persone possono capirsi tra loro, in virtù del fatto che l’intelletto di ognuno è dotato di categorie».

     Kant ipotizza e scrive [usando, da prima, il condizionale nel testo della Critica della ragion pura] che le categorie dell’intelletto potrebbero essere dodici divise in quattro gruppi di tre: il primo gruppo [e qui Kant invece utilizza l’indicativo] comprende le categorie della “quantità” e sono: l’unità, la pluralità e la totalità. Il secondo gruppo comprende le categorie della “qualità” e sono: la realtà, la negazione e la limitazione. Il terzo gruppo comprende le categorie della “relazione” e sono: la sostanza, la causa e la reciprocità. Il quarto gruppo comprende le categorie della “modalità” e sono: la possibilità, l’esistenza e la necessità. Le categorie, afferma Kant, sono i modi con cui funziona il nostro intelletto, sono i modi con cui pensiamo e, quindi, a ogni categoria corrisponde un giudizio, ed è sul giudizio, ribadisce Kant, che si fonda la conoscenza, e Kant chiama questa operazione affidata alle categorie dell’intelletto: la deduzione trascendentale.

     Se nella fase dell’Estetica trascendentale la persona deve saper intuire [intendere, avvertire, percepire, sentire, presentire, accorgersi, nell’ambito dei limiti e delle possibilità della ragione], e nella fase dell’Analitica trascendentale deve saper dedurre [ricavare, desumere, immaginare, ipotizzare, argomentare, nell’ambito dei limiti e delle possibilità della ragione], vi rendete conto [ci dice Kant oggi attraverso il testo della Critica della ragion pura] di quante specifiche azioni cognitive è dotato in potenza il pensiero della persona la quale non sa neppure che esistano: quindi, la mente non è in grado di metterle in atto perché le attività che devono stimolare i processi di apprendimento in apposite Officine di apprendistato cognitivo non vengono promosse, e purtroppo le cittadine e i cittadini non vengono esortati a rivendicare il diritto-dovere all’Apprendimento permanente!

     E ora ascoltiamo Kant che, per farci comprendere il funzionamento dell’Analitica trascendentale scrive nel testo della Critica della ragion pura: «Nel capitolo precedente  ho fatto un esempio dicendo che alla mia destra, mentre camminavo, mi si sono affiancati due marziani, e poi se ne sono aggiunti altri due alla mia sinistra e ho chiesto quanti marziani camminavano con me, e avete risposto “quattro marziani” perché avete avuto un’intuizione empirica in virtù delle forme a-priori dello spazio e del tempo in linea con la fase dell’Estetica trascendentale della conoscenza. Ebbene, questa intuizione empirica, “quattro marziani”, è entrata subito dopo, come rappresentazione, nelle categorie del vostro intelletto, cioè nelle forme a-priori che governano la fase dell’Analitica trascendentale della conoscenza. Quando l’intuizione “quattro marziani” è entrata nelle categorie della “quantità” ha subito trovato una forma a-priori a cui corrispondere: “la pluralità” [i marziani sono quattro] piuttosto che “l’unità” [non è uno] e “la totalità” [non sono tutti] e questa constatazione vi ha permesso di dedurre sul piano della quantità. Quando poi l’intuizione “quattro marziani” è entrata nelle categorie della “qualità”: quali forme a-priori ha trovato a cui corrispondere? Non certo “la realtà” [non esistano i marziani], ma neppure “la negazione” perché questa intuizione, composta di oggetti vuoti, ne fornisce comunque una rappresentazione [con l’immaginazione i marziani ce li possiamo rappresentare], e allora non resta che “la limitazione” [l’idea di quattro oggetti vuoti] a permettervi di dedurre sul piano della qualità. Quando l’intuizione “quattro marziani” è entrata nelle categorie de “la relazione” tanto “la sostanza” [di che sostanza sono fatti i marziani? Quella dei sogni?] che “la causa”[non può la ragione trovare una causa che vada oltre i suoi limiti], quanto “la reciprocità” [siamo portati inevitabilmente a pensare la loro immagine in analogia con la nostra], ebbene, tutte e tre queste categorie possono creare delle connessioni per permettervi di dedurre sul piano della relazione. E, infine, quando l’intuizione “quattro marziani” è entrata nelle categorie de “la modalità” e si è trovata a corrispondere con le forme a-priori de “la possibilità”, de “l’esistenza” e de “la necessità”, voi avete potuto dedurre che “la modalità” a-priori che si lega a questa intuizione, “quattro marziani”, può essere primariamente “la necessità” in quanto l’intelletto ha ritenuto necessario fare un esempio perché si potesse capire il funzionamento del processo della conoscenza attraverso le fasi dell’Estetica trascendentale in cui la coscienza intuisce e dell’Analitica trascendentale in cui l’intelletto deduce. E con questo esempio avete potuto capire meglio il processo della conoscenza,». Per inciso Kant non ha mai dimenticato che il termine “categoria” ha anche una valenza sociologica e le persone [compresa ciascuna e ciascuno di noi] sono sempre state inserite nel corso della loro vita in determinate categorie sociali anch’esse rispondenti a esigenze riguardanti la quantità , la qualità, la relazione e la modalità.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Voi a quale categoria, o a quali categorie sociologiche, dichiarereste di appartenere oggi?…

Dichiarate la vostra identità categoriale: probabilmente bastano due righe di scrittura, ma non è detto perché, nel tempo e nello spazio, si accumulano ruoli e aumentano le categorie di appartenenza…      

La raccolta di racconti di Italo Calvino intitolata Ti con zero è stata pubblicata nel 1967 ed è divisa in tre sezioni, le prime due sono intitolate Altre cose e Priscilla, composte da racconti che l’autore definisce “soggetti alla coscienza che intuisce” e, quindi, all’Estetica trascendentale, e la terza sezione, intitolata  Ti con zero [che dà il titolo alla raccolta], composta da racconti che l’autore definisce “deduttivi da parte dell’intelletto” e, quindi, in linea con l’Analitica trascendentale… 

Il volume Ti con zero lo potete richiedere in biblioteca…

     Subito dopo aver descritto l’efficacia delle categorie dell’intelletto in funzione della conoscenza, Kant precisa che queste dodici forme a-priori devono poter svolgere il loro ruolo in modo armonico senza ostacolarsi e sovrapporsi a vicenda. In che modo possono farlo, si domanda Kant?

     Le dodici categorie dell’intelletto, scrive Kant nel testo della Critica della ragion pura, per favorire la conoscenza deduttiva della persona, possono funzionare in armonia tra loro perché coordinate da una categoria suprema che svolge un ruolo di supervisione [una categoria delle categorie]: quindi, tutto il procedimento deduttivo della mente umana, afferma Kant, trova la sua connessione in virtù di una super-categoria che svolge un’azione di sintesi e che, alla fine del processo deduttivo, emette un giudizio [perché giudicare è conoscere] che costituisce il coronamento del procedimento della conoscenza sostenuto dalle azioni cognitive di cui si avvale la ragion-pura: conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare e valutare, e Kant questa super-categoria, che svolge un’azione di sintesi emettendo un giudizio, la chiama “l’io penso” o “appercezione trascendentale”. La parola “appercezione” [proveniente dalla Scolastica medioevale] Kant la mutua dal pensiero di Leibniz, il quale, rifacendosi a Cartesio e a Locke, utilizza questo termine per definire [come forse ricorderete] il momento in cui la coscienza della persona si accorge di percepire chiaramente proprio la sensazione che sta percependo. Noi abbiamo già avuto a che fare con il termine “appercezione” un po’ di anni fa, quando sul territorio della Scolastica medioevale abbiamo incontrato San Bonaventura da Bagnoregio [1217-1274], il filosofo francescano [amico di Tommaso d’Aquino; entrambi hanno insegnato a Parigi alla facoltà delle Arti] che, nell’opera intitolata Itinerario della mente verso Dio, presenta “l’appercezione” come una qualità donata da Dio all’anima della persona per dare la possibilità ai sensi di percepire la realtà, quindi, secondo una visione tutta metafisica della prassi della conoscenza. È per questo che Kant affianca al termine “appercezione” l’aggettivo “trascendentale” per sottolineare che l’attività di questa super-categoria per essere efficace sul piano conoscitivo non può sconfinare sul terreno della metafisica ma deve avvenire nell’ambito dei limiti e delle possibilità della ragione.

     E, allora, dopo aver inserito questo nuovo elemento [l’io penso o l’appercezione trascendentale] utile al processo conoscitivo, Kant riassume [ricapitola] ancora nel testo della sua opera il modo in cui la ragion-pura svolge la sua azione per conoscere il mondo, per comprendere la realtà delle cose e per acquisire la conoscenza degli oggetti. La ragion-pura mediante i sensi percepisce le sensazioni che, a loro volta, tramite le forme a-priori dello spazio e del tempo, si trasformano in intuizioni empiriche che si presentano nella coscienza umana come rappresentazioni degli oggetti percepiti, e questo primo momento della conoscenza di carattere intuitivo è la fase dell’Estetica trascendentale. Poi le intuizioni, le rappresentazioni empiriche degli oggetti, vengono assorbite dalle dodici categorie dell’intelletto che, nella mente della persona, trasformano questi oggetti sensoriali in concetti intellettuali, e questo secondo momento della conoscenza di carattere deduttivo è la fase dell’Analitica trascendentale. A questo punto “l’io-penso” [la super-categoria che svolge un’azione di sintesi] alla fine del processo deduttivo emette un giudizio, formula un’opinione valutativa che permette alla mente umana di affermare: questi concetti li conosco, oppure questi altri non li conosco ancora, oppure questi potrebbero essere conoscibili in seguito. E il giudizio emesso dall’io-penso è, afferma Kant, un giudizio sintetico a-priori, ed è così che funziona la ragion-pura nel dare al pensiero umano la possibilità di conoscere. [Questa trafila ha costituito la base teorica di cui si sono avvalse e avvalsi le studiose e gli studiosi quando, dalla prima metà dell’Ottocento, hanno iniziato le ricerche per indagare sul funzionamento del cervello umano].

     Kant poi nel testo della Critica della ragion pura riflette [perché, per rifuggire dal dogmatismo, Kant non smette mai di riflettere] sul sistema del funzionamento del processo della conoscenza che lui ha descritto, e scrive: «Abbiamo detto che le categorie sono forme a-priori e questo significa che sono universalmente valide nel pensiero umano, e ciò significa che l’esperienza sensibile, la consapevolezza empirica, è fondata su qualcosa di umanamente universale. Quindi, se è vero che le forme a-priori stanno nella mente umana, è vero anche che l’oggettività è interna al pensiero umano, e questo significa che l’esperienza sensibile trova nel pensiero una collocazione razionale e, di conseguenza, c’è un rapporto tra l’esperienza e la ragione. L’esperienza sensibile entra in rapporto con la ragione attraverso le forme a-priori: in una prima fase attraverso lo spazio e il tempo, poi in una seconda fase attraverso le categorie dell’intelletto e, infine, attraverso la super-categoria dell’io-penso. Ebbene, se le cose stanno così, afferma Kant, se il pensiero umano possiede le forme a-priori, significa che l’esperienza e la ragione sono in relazione tra loro. Il pensiero non si contrappone all’esperienza come insinuano i razionalisti, né l’esperienza si contrappone al pensiero come ventilano gli empiristi, bensì la ragione e l’esperienza s’incontrano in modo sintetico a-priori. E così l’esperienza (nella sintesi) e la ragione (a-priori), operando insieme, fanno conoscere la realtà alla ragion-pura nell’ambito dei suoi limiti e delle sue possibilità cioè in termini trascendentali. Alle categorie, alle forme a-priori dell’intelletto, scrive Kant, non sfugge nessun evento, nessun fenomeno fisico, e di conseguenza anche la fisica è soggetta ai giudizi sintetici a-priori e, di conseguenza, è possibile come scienza: infine, si può affermare che tutte le scienze, a cominciare dalla matematica e dalla fisica, sono valide, sono fondate, e ogni persona, nell’ambito dei limiti e delle possibilità della ragione che agisce in accordo con l’esperienza, è in grado, quindi, di studiare tutte le discipline scientifiche. Allora, si domanda Kant, è tutto risolto sul piano della conoscenza? Possiamo dire di essere riusciti a conciliare il razionalismo di Wolff con lo sperimentalismo di Newton con l’empirismo di Hume e con l’umanesimo di Rousseau? Magari così fosse [sospira Kant] in quanto la questione della conoscenza rimane ancora aperta.».

     Perché Kant fa questa affermazione sconsolata nonostante abbia dimostrato che tutte le scienze sono valide e possono essere studiate con la ragione e sottoposte al vaglio dell’esperienza?

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Quali discipline scientifiche nella vostra carriera di studentesse e di studenti [ci chiederebbe Kant] avete avuto occasione di studiare?…  Quali ricordi rimangono nella vostra mente di questi studi?… 

Scrivete quattro righe in proposito…

     Perché Kant fa questa affermazione sconsolata nonostante abbia dato dimostrazione di come avviene il procedimento della conoscenza, qual’è il problema? Il problema delicato, scrive Kant nel testo della Critica della ragion pura, sta proprio nel modo in cui la persona [ciascuna e ciascuno di noi] conosce. Che cosa significa?

     La questione della conoscenza [scrive Kant, nonostante ne abbia puntigliosamente descritto il procedimento] rimane tutta ancora aperta, perché, si domanda Kant? Secondo la dimostrazione data da Kant nel testo della Critica della ragion pura la persona [ciascuna e ciascuno di noi] conosce a-priori in virtù della ragione, però, la conoscenza acquisita si concretizza solo nell’ambito dell’esperienza e, di conseguenza, la persona non conosce “la realtà in sé”, non riesce a comprendere “l’essenza delle cose” [la radice profonda dell’esistenza, afferma Kant] ma percepisce “la realtà come appare” [in superficie]; la persona conosce la realtà non come è ma come la pensa e, quindi, non percepisce il mondo nella sua essenza ma come gli appare perché il pensiero e la sensibilità, che agiscono insieme, forniscono alla persona una conoscenza di tipo fenomenico, la persona conosce soltanto i fenomeni del mondo, e il sapere è dato dalla conoscenza dei fenomeni che si manifestano: in greco, il verbo “fènomé”, al quale Kant si rifà, significa “apparire” e, di conseguenza, “un fenomeno” non si presenta per quello che è ma per come appare, e questa situazione, afferma Kant, porta inevitabilmente la persona a domandarsi se “la realtà in sé” [“l’essenza delle cose”] ci sia davvero. La realtà esiste davvero, si domanda Kant nel testo della Critica della ragion pura, o è solo un apparire di fenomeni conosciuti unicamente come apparizioni e come le manifestazioni della realtà? Tuttavia, afferma Kant, non si può escludere l’esistenza de “la realtà in sé” perché, anche se la persona non è in grado di percepirla, deve comunque esistere, altrimenti come potrebbero sussistere e manifestarsi i fenomeni? Se non ci fosse l’essenza di un fenomeno come potrebbe manifestarsi?

     Il fatto è, afferma Kant, che la persona è protagonista solo dell’esperienza che fa, in quanto le forme a-priori identificano soltanto la realtà che cade sotto il controllo dell’esperienza, quindi, è chiaro che “la realtà in sé” non può essere conosciuta dall’intelletto della persona ma “l’essenza delle cose” può essere solo pensata come possibilità. L’intelletto della persona può solo pensare, afferma Kant, che l’esistenza de “la realtà in sé” sia possibile ma non può dimostrare che ci sia, quindi, la sua esistenza è soltanto pensabile. Kant decide di chiamare “la realtà in sé” col nome di “noumeno”, e attinge questo termine dal verbo greco “noéo” che significa “pensare” come dire che “il noumeno” è “la realtà pensabile ma inconoscibile”, e siccome la persona può conoscere solo il mondo fenomenico, afferma Kant, succede che la sua mente sente impellente l’esigenza di andare al di là dei fenomeni, oltre l’esperienza, ma, nonostante gli sforzi, questa operazione di carattere metafisico non ha nessuna possibilità di riuscita perché la mente umana può conoscere solo i concetti che fanno parte della sua esperienza empirica: il mondo noumenico, afferma Kant, cioè la realtà che sta al di là dell’esperienza, è pensabile ma non è conoscibile.

     Ebbene, dopo aver condotto puntigliosamente nel testo della Critica della ragion pura, questa riflessione sul tema del “noumeno” [la realtà in sé, pensabile ma inconoscibile]Kant teme di essere caduto in contraddizione, infatti: come si fa, si domanda Kant, a dichiarare il noumeno come qualcosa di inconoscibile e contemporaneamente a dire che esiste? Molte pensatrici e molti pensatori nei secoli a venire [e se continueremo a viaggiare li incontreremo] hanno studiato questo tema: è davvero una contraddizione, si sono domandate e domandati, ipotizzare l’esistenza di qualcosa di pensabile ma non ancora conoscibile? Kant paventa di essere caduto in contraddizione ma ritiene di dover rifuggire dalla tentazione di formulare ipotesi che vadano al di fuori dell’esperienza, e decide di mantenere un atteggiamento coerente di fronte ai concetti fondamentali della metafisica che tendono a debordare nel territorio ultraterreno.

     Quando la persona si domanda, afferma Kant, che cos’è il mondo in sé e che cos’è l’anima e che cos’è Dio deve sapere che questi concetti fanno parte del mondo noumenico [di una realtà pensabile ma non conoscibile]: sono concetti pensabili a-priori ma non conoscibili perché manca la sintesi, manca il dato dell’esperienza sensibile. Per conoscere, afferma Kant, sono necessarie le forme a-priori date dalla ragion-pura ma è necessaria anche la sintesi frutto dei dati empirici, e la ragione pretenderebbe di conoscere il mondo in sé e l’anima e Dio ma, per poter dare un giudizio conoscitivo è necessaria l’esperienza sensibile di questi oggetti.

     Tuttavia non si può negare, afferma Kant, che esista l’esigenza del pensiero di andare a conoscere l’Assoluto, e questa esigenza  costituisce un terzo gradino della conoscenza che Kant chiama della Dialettica trascendentale e, quindi, nel capitolo della Critica della ragion pura dedicato alla Dialettica trascendentale, Kant sente ancora la necessità di domandarsi se la metafisica possa essere considerata una scienza che offra delle conoscenze certe. Kant utilizza il termine “dialettica” in modo negativo come caratteristica di un certo tipo di ragione di cui Kant intende analizzare e smascherare le argomentazioni di natura metafisica perché la mente umana tende comunque ad andare oltre l’esperienza cadendo fatalmente nell’errore e nell’illusione: la mente umana desidera sempre “spingersi oltre” e “il voler trascendere”, afferma Kant, è insito nell’indole umana.

     Di conseguenza, Kant, nel testo della Critica della ragion pura nel capitolo della Dialettica trascendentale, scrive che la ragione, per raggiungere questo scopo illusorio, si sdoppia e, di conseguenza, è necessario distinguere tra due tipi di ragione: la ragione, [che Kant chiama in tedesco] Vernunft, che spinge l’intelletto ad andare oltre l’esperienza per entrare nell’ambito della metafisica, e la ragione, [che Kant chiama in tedesco] Verstand, che invita l’intelletto a mantenersi nel perimetro dell’esperienza. La ragione, Vernunft, che pretende di andare oltre l’esperienza, possiede anch’essa, afferma Kant, delle forme a-priori, universali e necessarie, che Kant chiama “Idee della ragione supponente” e queste Idee sono: l’Idea psicologica che pensa l’anima, l’Idea cosmologica che pensa il mondo in sé e l’Idea teologica che pensa Dio. Questa ragione Vernunft è portata a unificare i sentimenti dell’interiorità della persona mediante l’Idea di anima, poi è portata a unificare gli stimoli che la persona riceve dall’esterno mediante l’Idea di mondo e inoltre è portata a unificare i dati esterni e interni con l’Idea di Dio intesa come fondamento di tutto ciò che esiste. L’errore della metafisica, afferma Kant, consiste nel trasformare queste tre semplici “esigenze mentali” in realtà oggettive mentre si tratta di un’illusione, ma è un’illusione così forte che non cessa neppure quando la persona con la ragione Verstand [quella che si mantiene dentro i propri limiti] si rende conto che non è possibile poter fare esperienza di questi oggetti [del mondo in sé, dell’anima e di Dio] ma la ragione supponente Vernunft esercitando la dialettica illusoria, continua a pensare di potercela fare.

     La persona, afferma Kant, può ammettere solo per Fede l’esistenza dell’anima, del mondo in sé e di Dio e deve rassegnarsi a non poterli conoscere razionalmente, anche se proprio l’impossibilità di conoscere Dio fa ipotizzare paradossalmente la sua possibile esistenza: la mente umana potrebbe conoscere Dio solo attraverso l’esperienza sensibile e, quindi, Dio dovrebbe presentarsi come un fenomeno fisico-naturale, in modo corporeo, nello spazio e nel tempo ma, se questo avvenisse, afferma Kant, Dio perderebbe i connotati divini. La conoscenza razionale di Dio, afferma Kant, neutralizza i valori della Fede e, difatti, la stessa incarnazione [secondo la Letteratura dei Vangeli, scrive Kant] è un mistero della Fede, e Gesù Cristo in terra è “vero uomo” per un breve momento in quanto torna presto al Padre, come “vero Dio”, per rimanere in eterno nell’ambito della trascendenza. La ragione umana, afferma Kant, non è in grado di conoscere Dio ma può concepire l’Idea di Dio come un postulato cioè come un principio valido a-priori che la persona può pensare ma non può conoscere. Scrive Kant: «Dio non può essere conosciuto con l’esperienza umana altrimenti non potrebbe esistere in quanto Dio perché sarebbe solo un fenomeno naturale di questo mondo, e in questo mondo Dio può essere postulato ma non conosciuto e, di conseguenza, però, non si può neppure dimostrare che non esista e, quindi, per paradosso, è sul fatto di non conoscerlo che si può postulare l’esistenza di Dio, e anche la sua sconfitta.».

     Questa affermazione di Kant su “la sconfitta di Dio” è molto significativa: Kant non sviluppa questo tema ma allude al fatto che Dio è stato ridotto dagli apparati religiosi alla figura di un idolo, di un feticcio, di un simulacro. La teologia contemporanea [quella del ‘900] è stata particolarmente influenzata dal pensiero di Kant che ha ispirato le studiose e gli studiosi a postulare l’esistenza di un Dio non conosciuto, silenzioso, nascosto, in esilio, e dobbiamo in proposito fare un esempio citando un saggio intitolato, appunto, La sconfitta di Dio scritto nel 1992 dal teologo [potremmo dire “kantiano”] [Sergio Quinzio, nato ad Alassio nel 1927 e morto a Roma nel 1996, uno studioso del quale abbiamo commentato alcune opere esegetiche in questi anni. La questione essenziale [che ci dobbiamo porre e che Kant implicitamente si è posto, scrive Quinzio] riguarda le promesse di Dio - di felicità, di pienezza di vita, di pronta giustizia - di cui il testo biblico, che nasce dall’esercizio razionale a-priori degli scrivani ebraici che danno voce a Dio, è pieno, ma queste promesse non sono state mantenute. Il testo biblico, scrive Quinzio, racconta una sequela di vicende fallimentari che gli esseri umani attribuiscono a Dio: un Dio sconfitto, senza onnipotenza, in esilio, ma di cui [scrive Quinzio, seguendo le orme di Kant] siamo condannati a parlare, perché, afferma Quinzio parafrasando Kant, «non è facile nemmeno non parlarne più». E, scrive Quinzio, è proprio per parlare de “la sconfitta di Dio” che le persone potrebbero incontrarsi per riflettere sulla condizione umana. Il problema esistenziale de “la sconfitta di Dio”, scrive Quinzio pensando a Kant, turba la tranquillità di coloro per cui avere fede o non avere fede sono due modi diversi di archiviare la questione più importante, quella riguardante il valore che, per ogni persona, dovrebbe avere la conoscenza da acquisire mediante lo studio.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Le opere di Sergio Quinzio – La sconfitta di Dio, La fede sepolta, Dalla gola del leone, Radici ebraiche del moderno - non sono di facile lettura ma potete richiederle in biblioteca, sfogliarle e leggerne anche solo qualche pagina, incuriositevi…  

     Kant critica con grande severità quella che lui chiama “la religione dell’infantilismo dell’Umanità” basata sul sentimentalismo e sull’immagine antropomorfa di Dio: una forma di religione che sfocia nel fanatismo e nella superstizione. Kant condanna il fatto che gli uomini di potere chiamino in causa Dio per giustificare le proprie azioni spesso nefaste, e ritiene questo comportamento immorale e blasfemo, [lesivo nei confronti dell’Idea di Dio.

     Kant nel testo della Critica della ragion pura, nel capitolo della Dialettica trascendentale, riprende la tradizione della Scolastica medioevale per rafforzare il suo pensiero secondo cui la ragione umana non è in grado di conoscere Dio ma può concepire l’Idea di Dio come un postulato cioè come un principio che la persona può pensare ma non può conoscere. Kant cita gli Scritti di Averroé, di Abelardo, di Tommaso d’Aquino, di Sigieri, dei maestri della facoltà delle Arti di Parigi i quali nel corso del XIII secolo [come abbiamo studiato a suo tempo] affermano che la ragione può concepire Dio come un concetto teoretico [sotto forma di elaborazione ideale]: Kant aderisce e sviluppa questa ipotesi secondo la quale Dio può essere pensato solo sotto forma di Idea.

     Perché, si domanda Kant, questo è stato un importante evento nella Storia del Pensiero Umano? Perché, afferma Kant, per formulare il teorema di Dio i pensatori della Scolastica medioevale hanno dovuto riflettere sul fenomeno della condizione umana e hanno dovuto ammettere l’esistenza del Bene morale e del Male morale, e hanno capito che il Bene morale non è un postulato, un principio teorico, ma è una realtà radicata nel mondo dei fenomeni, nel campo dell’esperienza sensibile, e la persona riconosce a-priori che cos’è il Bene mediante la sua esperienza sensibile e umana: di conseguenza, afferma Kant, il Bene morale è sottoposto al giudizio sintetico a-priori: è conoscibile e dimostrabile come fenomeno. Naturalmente, per contro, afferma Kant, siccome la persona può cogliere solo la realtà fenomenica, non può conoscere il Bene in sé, il Bene Assoluto, la persona coglie il Bene morale perché fa parte dell’esperienza e lo riconosce con la ragione, mentre il Bene Assoluto è un’Idea che si può postulare, che si può pensare a-priori ma non si può conoscere: il Bene Assoluto, afferma Kant, corrisponde all’Idea di Dio per cui la domanda che la persona si deve porre è se ciò che viene chiamato Dio sia un’Entità divina oppure sia l’Idea del Bene assoluto: esiste Dio come Bene Assoluto o esiste il Bene Assoluto identificato con l’Idea di Dio?

     A questa domanda, afferma Kant, la persona non può e non deve rispondere con la ragione perché su questo quesito entra in gioco la Fede. Il laico Kant, sempre attento a non cadere nel dogmatismo di alcun genere, naturalmente non si esprime in proposito perché nessuno deve dire quale scelta andrebbe fatta, però Kant invita ogni persona a scegliere secondo il proprio punto di vista tenendo conto del fatto che la ragione umana postula l’Idea del Bene, quindi, ogni persona [e su questo non si discute, secondo Kant, perché è un imperativo categorico] è chiamata comunque a spendere bene il Bene. Il problema fondamentale, afferma Kant,] non è sapere se Dio c’è o non c’è perché la metafisica non può essere una scienza delle cose divine, ma è la Fede la disciplina delle cose divine.

     Allora, si domanda Kant nella parte finale del testo della Critica della ragion pura, che cos’è la metafisica? La metafisica, afferma Kant, è il territorio dell’esperienza morale, è la questione morale, e trova il suo fondamento solo nell’ambito dell’esperienza morale e, quindi, in conclusione, Kant formula un fondamentale giudizio sintetico a-priori che ha cambiato i connotati della metafisica moderna, scrive Kant: «Non è perché io conosco Dio che c’è la Legge morale ma è la Legge morale presente nella mia mente che mi fa postulare Dio.». La Legge morale, afferma Kant, è scritta naturalmente nel pensiero umano e la persona la riconosce con la ragione e, quindi, ha il dovere di osservarla e di rispettarla per dovere e non per paura delle sanzioni o per narcisismo moralistico. Ed è su questo giudizio a-priori, afferma Kant, che le persone credenti possono fondare la propria Fede: il rispetto della Legge morale, scritta naturalmente nel pensiero, conosciuta con la ragione e rispettata unicamente per dovere indipendentemente dal castigo e dal premio di Dio, è il presupposto teoretico per postulare Dio. Kant ci ha insegnato che, siccome la metafisica corrisponde alla questione morale, è intorno alla questione morale che tutte le cittadine e i cittadini devono fare comunità.

     Sul tema secondo cui Dio è un postulato si può citare un romanzo [che sarebbe piaciuto molto a Kant] intitolato Il mondo creato scritto nel 1986 da Franco Ferrucci, nato a Pisa nel 1936 e morto nel 2010 negli Stati Uniti, il quale ha insegnato per diversi anni all’Università di New York e si è occupato di poetica e di estetica, e ha scritto dei romanzi come L’anatra nel cortile, Il cappello di Panama, A sud di Santa Barbara e dei saggi Addio al Parnaso, L’assedio e il ritorno, Il giardino simbolico, Lettera a me stesso ragazzo, opere di cui si consiglia la lettura. Il mondo creato è una autobiografia di Dio: si può postulare che anche Dio abbia uno spirito autobiografico e che cerchi di coltivarlo per prendersi cura di sé, e perché Dio ha bisogno di curarsi [di sfogarsi, di mettere a nudo le proprie frustrazioni]? Il mondo creato racconta la storia appassionata di una lunga incomprensione tra Dio e quelle persone [sono soprattutto uomini] che si sono fatti carico con determinazione di trasmettere il pensiero divino. Il disappunto scaturisce dal fatto che quando questi uomini si sono manifestati in nome di Dio lo hanno fatto senza tenere conto delle sue vere intenzioni: le intenzioni di Dio sono sempre state considerate poco consone con la gestione del potere e così il suo autentico pensiero è stato travisato e, di conseguenza, fatalmente, ognuno di questi rapporti è finito in tragedia. È causa di grande sconforto per Dio che proprio gli uomini che l’hanno maggiormente invocato siano stati i suoi interpreti più infedeli [in primo luogo Mosè, «col suo fortissimo bisogno di credere in un solo Dio augusto, possente e che desse un potere sulle folle»]. Dio - descritto con compassione da Ferrucci - assiste così, impotente, al precipitare della storia: si dispera, si agita, si affanna a parlare con i suoi figli prediletti e deve concludere malinconicamente che l’opera, il mondo creato, gli è sfuggito di mano: «Il mio mondo [afferma] era un’opera imperfetta, una sorta di abbozzo da perfezionare; e sapevo che la revisione non poteva essere fatta su questo pianeta. Dovrei ritentare altrove l’esperimento?». Un interrogativo che fa riflettere, direbbe Kant, su ciò che è pensabile ma non conoscibile.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Il mondo creato di Franco Ferrucci lo potete richiedere in biblioteca… Incuriositevi…

     Kant nel 1785, mentre sta riscrivendo il testo della Critica della ragion pura, compone un saggio [pubblicato anni dopo] intitolato Fondazione della metafisica dei costumi, e le idee contenute in quest’opera verranno sviluppate e descritte in modo più ampio nella Critica della ragion pratica, che sarà pubblicata a Riga nel 1788.

     E, ora, per concludere questo itinerario leggiamo un brano da la Fondazione della metafisica dei costumi.

Immanuel Kant,  Fondazione della metafisica dei costumi

Le Leggi morali derivano la loro necessità e la loro universalità dalla ragion-pura che si fa pratica, e sono quindi a-priori: valide, anche se non confermate dall’esperienza.

L’imperativo della morale è un imperativo categorico e il sommo bene per l’essere umano - che è insieme ragione pratica e sensibilità - è sintesi di virtù e di felicità.

Non si deve incominciare dunque a ragionare di bene morale dalla teologia perché il ragionamento morale fondato sulla teologia non può mai contenere alcunché di morale: in esso si avrà soltanto da un lato la paura e dall’altro la speranza di ricompense, conducendo così la morale verso un culto superstizioso o utilitaristico.

La moralità deve dunque precedere e la teologia seguire: allora si ha la vera ricerca del Bene. La Legge che è in noi si chiama coscienza, che è subordinazione delle nostre azioni alla morale. Se la religione non s’accompagna alla coscienza morale non ha efficacia e si risolve in pratica superstiziosa. Servire Dio, lodandolo e celebrandone la potenza e la saggezza, senza pensare di educare alle pubbliche virtù, fa sì che quelle lodi e quelle celebrazioni siano un sonnifero per le persone, e un guanciale su cui possono dormire tranquillamente. …

     Che cos’è “la Legge del dovere”, e che cos’è “un atto morale” si domanda Kant? Riflettere su che cosa sia “la Legge del dovere” e su che cosa sia “un atto morale”, afferma Kant, è il primo passo per la fondazione di una metafisica dei costumi, e questo è il tema dominante della Critica della ragion pratica.

     Di fronte all’affermazione: «Nella vita bisogna fare il bene ed evitare il male», la risposta, in teoria, sembra semplice, afferma Kant, ma perché, poi, le cose in realtà sono molto più complicate?

     Compilate il Questionario: avete tempo tre settimane.

     E poi, guardando il Calendario, dobbiamo dire che senza “la Legge del dovere” non c’è convivenza civile, non c’è democrazia e non c’è libertà, e la data del 25 aprile [con il ritorno alla democrazia] celebra la libertà quando la si esplicita come un valore trascendentale a-priori corroborato dai valori a-priori dell’Umanesimo che hanno animato in tutta Europa la Resistenza: l’uguaglianza, la giustizia, la pace, la solidarietà, la misericordia.

     E, quindi, in primis facciamo gli auguri a Kant che il 22 aprile ha compiuto 300 anni, e poi, in nome di questi valori, la Scuola è qui e il viaggio continua: Viva il 25 aprile e Viva il 1° maggio!...

 

PER INVESTIRE IN INTELLIGENZA

parola per parola … idea per idea ...

     Kant nel testo della Critica della ragion pura scrive che le categorie dell’intelletto sono dodici divise in quattro gruppi di tre.

 

Il primo gruppo comprende le categorie della quantità e sono:

l’unità, la pluralità e la totalità

Scegli quella che preferisci, e scrivila ............................................................................................................…

 

Il secondo gruppo comprende le categorie della qualità e sono:

la realtà, la negazione e la limitazione

Scegli quella che preferisci, e scrivila ............................................................................................................…

 

Il terzo gruppo comprende le categorie della relazione e sono:

la sostanza, la causa e la reciprocità

Scegli quella che preferisci, e scrivila ............................................................................................................…

 

Il quarto gruppo comprende le categorie della  modalità e sono:

la possibilità, l’esistenza e la necessità

 

Scegli quella che preferisci, e scrivila ............................................................................................................…

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Aprile 26, 2024