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SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI LA CRITICA DEL GIUDIZIO PORTA VERSO UN NUOVO TERRITORIO CULTURALE DA ESPLORARE …

Lezione N.: 
14

ASSOCIAZIONE ARTICOLO  34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»

PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE

DELLA DIDATTICA E DELLA SCRITTURA

Prof. Giuseppe Nibbi

Un secondo viaggio sul territorio del secolo dei Lumi

22-23 e 24 maggio 2024

SUL TERRITORIO DEL SECOLO DEI LUMI

LA CRITICA DEL GIUDIZIO PORTA

VERSO UN NUOVO TERRITORIO CULTURALE DA ESPLORARE 

     Questo è il quattordicesimo itinerario [l’ultimo] del nostro secondo viaggio sul territorio del secolo dei Lumi e questa sera dobbiamo continuare e concludere per ora il nostro incontro con Immanuel Kant, che incontreremo ancora nel prossimo viaggio.

     Nel 1790 Kant pubblica la terza delle sue opere maggiori la Critica del giudizio o per essere più precisi la Critica della facoltà di esprimere un giudizio e con il testo di questo trattato intende colmare «l’incommensurabile abisso [scrive Kant] fra due mondi tanto diversi, quello del conoscere e quello dell’agire, che sono tuttavia le due fondamentali prerogative dell’essere umano.». Quindi Kant cerca di creare un anello di congiunzione tra il mondo delle cose materiali, dei fenomeni, e del modo in cui si possa conoscere la natura di questi fenomeni - così come ha scritto nelle pagine della Critica della ragion pura - e il mondo dell’azione morale, che Kant ha analizzato nei capitoli della Critica della ragion pratica.

     Certamente, scrive Kant nel testo della Critica del giudizio, tra il conoscere una cosa e l’agire di conseguenza nei confronti di questa cosa c’è di mezzo il giudizio, cioè la facoltà che la persona ha di giudicare in modo da poter effettuare una scelta virtuosa. Quindi, scrive Kant, la facoltà di esprimere un giudizio è un’attitudine della ragione ed è una capacità intermedia tra la sfera logica del conoscere e la sfera pratica dell’azione morale.

     La ragione ha facoltà di conoscere intellettualmente e di agire moralmente ma tra queste due attitudini deve anche possedere la capacità di giudicare. Si riflette abbastanza [dobbiamo domandarci] nella società in cui viviamo su questo tema posto da Kant, oppure la facoltà di effettuare una scelta [oggi come ieri] è soggetta unicamente al potere della propaganda che condiziona la capacità di giudizio delle persone? L’argomento è di stringente attualità.

     La capacità di giudicare si colloca, scrive Kant, in un ambito particolare della ragione e quest’ambito corrisponde al sentimento. Kant considera il sentimento come una facoltà autonoma della ragione che sta accanto alla conoscenza logica e all’azione morale, e interagisce con loro. Si può parlare, scrive Kant nel testo della Critica del giudizio, di conoscenza logico-scientifica, di conoscenza morale e di conoscenza sentimentale: questi tre elementi si compenetrano e contribuiscono a rendere umana la persona.

     Questo concetto espresso da Kant non è nuovo ed è stato messo in evidenza [e lo abbiamo studiato a suo tempo] da un empirista come Hume e da un matematico come Pascal, il quale quando parla di “esprit de geometrie” intende la conoscenza scientifica che indaga la superficie delle cose, mentre quando parla di “esprit de finesse” intende la conoscenza sentimentale che penetra nel profondo attraverso “le ragioni del cuore”. Il sentimento è, scrive Kant, un’esigenza umana che non ha un valore conoscitivo e teoretico diretto: il sentimento non serve per conoscere direttamente la realtà, ma è una reazione nei confronti della realtà, e ne favorisce la conoscenza. I giudizi conoscitivi e scientifici dati dalla ragion-pura non sono soggetti al sentimento e vengono definiti da Kant “giudizi determinanti” perché identificano gli oggetti rendendoli riconoscibili mediante le forme a priori [lo spazio, il tempo e le categorie dell’intelletto] per cui si può dire, ad esempio, che «Questo tavolo è rettangolare, è alto tanti centimetri, è fatto di determinati materiali» o che «Il sole oggi è tramontato ad una cert’ora» oppure che «Questo libro ha tante pagine»: ebbene, questi sono “giudizi determinanti”.

     Vi è poi un altro tipo di giudizio che Kant chiama “giudizio riflettente” perché “riflette” su un determinato oggetto il sentimento della persona nei confronti dell’oggetto stesso, per cui, in questo caso, si può dire, ad esempio: «Ma guarda che bel tavolo!» o «Che stupendo tramonto!» oppure «Che libro interessante!». Ed ecco che, afferma Kant, il giudizio riflettente - che  esprime il sentimento della persona nei confronti di un oggetto - diventa l’anello di congiunzione tra il conoscere e l’agire e, quindi, quando la persona dice: «Questo è un tavolo grande» o «Questo è un tramontato luminoso» oppure «Questo è un libro pubblicato da poco» emette dei giudizi determinanti, mentre quando afferma: «Questo libro è intrigante!» esprime un giudizio riflettente e la persona può, di conseguenza, continuare tra sé un ragionamento interlocutorio di natura morale domandandosi: «Lo compro o non lo compro?» oppure «Lo rubo o non lo rubo?» e anche «Lo restituisco o non lo restituisco a chi me lo ha prestato?».

     Tra la determinazione, cioè la conoscenza logica di una cosa, e l’azione morale che la persona compie c’è sempre, afferma Kant, l’ispirazione sentimentale proveniente da un giudizio riflettente. Scrive Kant nel testo della Critica del giudizio: «Il sentimento è la componente essenziale del giudizio riflettente, ed è una facoltà fondamentale della ragione che unisce due mondi contrapposti: il mondo della natura cioè della necessità meccanica, e il mondo dell’agire, della scelta morale cioè della libertà. Quindi la facoltà del sentimento, propria della ragione serve per tenere insieme, nella vita della persona, la necessità materiale e la libertà intellettuale. E allora [si domanda Kant] che cos’è la libertà? La libertà è una condizione a-priori, è un postulato che si manifesta quando faccio una scelta morale, quando scelgo la via del Bene o quella che si avvicina di più al Bene. Quando non scelgo la via del Bene posso anche farla franca ma la libertà è pregiudicata in tutte le azioni conseguenti con un danno per la persona e per la società in cui vive. Se una scelta individuale non è compiuta nell’ambito dei principi etici scritti nella coscienza morale viene a determinarsi un condizionamento negativo di tutte le scelte successive della persona, limitandone la libertà, con una ricaduta nefasta per la società e, di conseguenza, con una conseguente diminuzione della libertà anche nella società stessa.».

     Kant [abbiamo detto] definisce il sentimento una forma di conoscenza che si manifesta come un’esigenza che non serve alla persona per conoscere direttamente la realtà [la conoscenza diretta della realtà è data dai giudizi determinanti di impronta matematico-scientifica]: è un tipo di conoscenza che serve per stimolare nell’intelletto della persona una reazione nei confronti della realtà mediante i giudizi riflettenti, favorendo una cognizione non immediata ma più profonda e penetrante delle cose, una comprensione perspicace che, di conseguenza però [e Kant sottolinea questo fatto], fa anche emergere le incognite che la conoscenza matematica e scientifica della realtà presenta: il giudizio determinante di natura matematico-scientifica può davvero mettere a fuoco tutto ciò che di tangibile e misurabile esiste? E il giudizio riflettente di natura sentimentale fino a che punto può abbracciare il mistero della vita?

     Ebbene, questa questione ha dato adito a un’ampia riflessione in campo letterario sul tema de “l’incognita”. Perché la persona, si domanda Kant nel testo della Critica del giudizio, si trova in difficoltà nel dare dei giudizi senza cadere nei pregiudizi, e perché è necessario che la persona si eserciti per imparare a giudicare per poter compiere una scelta improntata ai principi della morale? «L’essere umano [scrive Kant] viene dalla notte del grembo materno, dall’arcana e vibrante notte dei genitori e ciò che ne ricava è oscurità e mistero mentre vorrebbe superare l’incognita per pervenire alla chiarezza e alla serenità.».

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

C’è una cosa sconosciuta sulla quale vorreste fosse fatta chiarezza, e voi avete formulato un’ipotesi che potrebbe far luce su di essa?... 

Scrivete quattro righe in proposito...

     Sul tema de “l’incognita”, di tutte “le incognite” che emergono nella vita, dobbiamo ora, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, incontrare un autore significativo poco letto, e già da noi incontrato a suo tempo.

     L’incognita è il titolo di un romanzo, sul quale vogliamo puntare brevemente l’attenzione, composto nel 1933 dallo scrittore austriaco Hermann Broch che abbiamo incontrato [nel maggio del 2012 durante il Percorso su “La sapienza poetica ellenistica di stampo imperiale”, e forse ve ne ricorderete] come autore di un significativo romanzo, un’altra delle cosiddette cattedrali letterarie del ‘900, che in quel viaggio abbiamo presentato, intitolato La morte di Virgilio ultimato nel 1945. Hermann Broch [ripresentiamo il personaggio] è nato a Vienna nel 1886 in una famiglia di origine ebraica di industriali tessili e fino a quarant’anni, dopo essersi diplomato in economia aziendale, lavora per l’importante compagnia industriale tessile presieduta da suo padre; ma nel 1928 decide di cambiare stile di vita e s’iscrive all’Università per dedicarsi allo studio della matematica, della filosofia, della psicologia e inizia anche a lavorare come giudice conciliatore in un ufficio statale per combattere la disoccupazione che era una preoccupante piaga sociale: Broch s’impegna per cercare di risolvere i problemi che affliggono le famiglie degli operai e trova [secondo la Lezione di Kant] molti momenti di felicità in questa sua «fraterna partecipazione al destino delle persone più bisognose.», così scrive. Inizia poi a studiare con preoccupazione “la psicologia delle masse” nel momento in cui, nella società, si sta sempre più affermando il populismo che condurrà la Germania e poi l’Austria alla perniciosa svolta nazista.

     Nell’anno 1928 Broch inizia a scrivere un grande romanzo, una trilogia, che porta a termine nel 1932 intitolata I sonnambuli che è un grande quadro [un trittico: 1888-1903-1918] della Germania di Guglielmo II, un’opera molto utile per capire gli avvenimenti che hanno portato al primo conflitto mondiale. Ci sarebbero molte cose da dire su quest’opera ed è probabile che la rincontreremo in futuro; adesso, per curiosità, si può ricordare che in un’inquadratura del film del 1961 intitolato La notte di Michelangelo Antonioni, Monica Vitti tiene in mano il primo volume de I sonnambuli di Hermann Broch perché il regista vuole accentuare il tema della solitudine, della disgregazione e del vuoto dei valori, del Wert-Wakuum, del vizio di occultare la decadenza, un vizio che resiste imperterrito.

     Broch vive a stretto contatto con l’ambiente culturale viennese di Musil, di Rilke, di Kafka, di Mann, di Canetti, e frequenta il Circolo di Vienna, uno dei più importanti laboratori intellettuali mitteleuropei dove s’incontrano scrittrici, scrittori, pittori, musicisti e tutte le persone che in questo critico momento storico vorrebbero, attraverso le Arti [e i giudizi riflettenti], cambiare la tragica situazione politica e sociale che si va profilando: Broch scrive in questo periodo tutta una serie di opere [novelle, romanzi, saggi e potete incuriosirvi in proposito].

     Nei suoi articoli Broch denuncia l’affermarsi del Kitsch [del pessimo gusto], dell’abile imitazione banalizzatrice dell’arte «che [scrive Broch] è una pseudo-arte priva di ogni vero valore e asservita solo alle esigenze del mercato. Un decorativismo estetizzante che proclama un falso principio “dell’arte per l’arte” che sta a un passo dal principio “gli affari sono affari” con cui si giustificano le imprese economiche più immorali, e a un passo dal principio “la guerra è guerra” che giustifica l’assassinio in massa degli inermi. E l’estetismo amoralistico del rituale delle grandi adunate di massa [ordinate dal nazismo] conduce inesorabilmente alla dittatura». È inevitabile che, dopo l’occupazione dell’Austria da parte dei nazisti nel 1938, Hermann Broch venga arrestato, anche perché nel 1937 aveva scritto un racconto intitolato Il ritorno di Virgilio che aveva letto alla radio di Vienna: un atto estremo di resistenza alla capitolazione dell’Austria nei confronti della Germania nazista. Per tutta una serie di coincidenze favorevoli Broch viene rilasciato [la seconda guerra mondiale non è ancora iniziata e qualche mese dopo non sarebbe stato così fortunato] e, dopo essersi nascosto in Tirolo, riesce a fuggire a Londra e poi negli Stati Uniti, dove è morto nel 1951.

     L’incognita, dicevamo, è il titolo del romanzo che Broch ha composto nel 1933 il cui protagonista, Richard Hieck, è un giovane matematico che lavora all’osservatorio astronomico di Vienna e che ha deciso di dedicare tutta la sua vita alla conoscenza scientifica. Dopo la morte del padre, diversamente dalla madre e dalle sue sorelle e i suoi fratelli, Richard si aggrappa con caparbietà alla scienza e diventa un cultore dei giudizi determinanti, eppure il mondo, e le sue manifestazioni più spontanee e inaspettate lo colpiscono molto e, quindi, i giudizi riflettenti, che lui sentimentalmente esprime, lo confondono: il tuffo di una ragazza da un trampolino, il fischio di un treno, il vento tra gli abeti, le stelle nell’oscurità della notte, il luccichio di un sasso, il ricordo di un profumo, e via dicendo. La scienza, è costretto a domandarsi Richard, può davvero abbracciare il mistero della vita ed esiste la possibilità di risolvere un’equazione così complessa e sfuggente? Richard non smette di cercare ma quando la morte e l’amore irrompono nella sua vita è costretto a confrontarsi con la grande incognita.

     Nel testo di questo romanzo, ambientato negli anni 1926 e 1927, compare per la prima volta nella Letteratura del ‘900, la dicitura “interferenze quantistiche [«In questi calcoli - scrive il matematico Broch facendo parlare il protagonista del suo romanzo - o c’è un errore o c’è un miracolo. Se le teorie sulle interferenze quantistiche stessero in piedi allora... »]”.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Questo romanzo [oltre a essere in linea con la Lezione di Kant] è considerato un capolavoro della narrativa sebbene il suo autore non lo considerasse tale, e merita di essere letto e lo potete richiedere in biblioteca: incuriositevi perché la curiosità invoglia la mente a fare ricerca...

     Adesso noi abbiamo solo il tempo per leggere l’incipit di questo romanzo.

Hermann Broch, L’incognita

L’aula di fisica, con le sue file di banchi laccati di bianco e le mattonelle anch’esse bianche alle pareti, trasmetteva un senso di igiene e pulizia. Sulla lunga cattedra ai piedi dell’anfiteatro era disposta una fila di contenitori in vetro dalla forma stranamente ritorta che l’inserviente di laboratorio, Anton Krispin, era intento a rimuovere. Basso e mal rasato, con un camice nero non stirato e pieno di macchie che gli pendeva dalle spalle, una catena da orologio in argento che gli ciondolava sopra il panciotto a quadri, era costretto a sollevarsi sulle punte dei piedi per cancellare la nera lavagna inzeppata di formule matematiche usate durante la lezione. Fra i banchi sedevano ancora alcuni studenti che osservavano l’ardesia stillante acqua biancastra mista a gesso, resa sempre più nera e lucida dai colpi ampi e umidi dello straccio, e nel vedere l’inserviente raccogliere con un’ultima passata orizzontale lungo il margine inferiore una fila di gocce in precario movimento, qualcuno dei presenti provò piacevoli sensazioni. A Richard Hieck, per esempio, quella lavagna umida, nera e luccicante [e questo è “un giudizio determinante”], ricordò un vellutato cielo notturno [e probabilmente questo ricordo del cielo notturno, che corrisponde a “un giudizio riflettente” del protagonista, ha ispirato la scelta dell’immagine di copertina di questo romanzo]…

     Kant con quest’opera, La Critica del giudizio, porta la Storia del Pensiero Umano oltre il territorio dell’Illuminismo da noi attraversato. E allora è doveroso che ci si domandi: ma che tipo di illuminista è Kant? Kant è un illuminista convinto e, in proposito nel 1784 scrive per la Rivista mensile di Berlino un famoso saggio intitolato Risposta alla domanda: Che cos’è l’Illuminismo? Leggiamo che cosa scrive.

Immanuel Kant, Rivista mensile di Berlino

Che cos’è l’Illuminismo? L’Illuminismo è l’uscita della persona dallo stato di minorità [oggi Kant direbbe “dallo stato di debolezza cognitiva”] che essa deve imputare a sé stessa. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto. “Sapere aude!” Che, tradotto dal latino, significa: “Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza!” [Investi in intelligenza]. La pigrizia e la noia sono le cause per cui tante persone rimangono volentieri per l’intera vita minorenni, per cui riesce facile a qualcuno ergersi a loro tutore. È con l’educazione, promossa per far acquisire una testa ben fatta, che la persona può uscire dalla minorità per camminare poi con passo più sicuro sulla via del sapere guidata dalla propria coscienza. …

     E ora torniamo a occuparci della Critica del giudizio per capire in che modo Kant, riflettendo da illuminista, ha indirizzato l’Illuminismo al di là dell’Illuminismo stesso.

     La Critica del giudizio è un’opera che Kant ha dedicato soprattutto all’analisi dei giudizi riflettenti, e questo elemento, che caratterizza quest’opera, è il veicolo che porta il pensiero dell’illuminista Kant al di là dell’Illuminismo stesso verso un nuovo versante intellettuale che si sviluppa nell’800 nella Filosofia, nella Letteratura e nell’Arte. In proposito, risulta importante il modo con cui nel testo della Critica del giudizio Kant analizza quell’esigenza umana che è “il sentimento” utilizzando il metodo critico, vale a dire: senza sentimentalismi. Ed è per questo che, con l’analisi di Kant, il concetto di “sentimento” si dilata formando significativi paesaggi intellettuali sui quali è necessario riflettere perché è sulla scia di questo fenomeno, de “la dilatazione del concetto di sentimento”, analizzato da Kant nel testo della Critica del giudizio, che si aprono nuove prospettive. Parlare di “sentimento senza sentimentalismi” significa per Kant continuare a riflettere sul tema del dovere e sulla consapevolezza di fare il proprio dovere. Se l’Illuminismo è «l’uscita della persona dallo stato di minorità [dalla debolezza cognitiva] che essa deve imputare a se stessa» significa, per Kant, che la persona deve diventare maggiorenne tanto sul piano della ragione quanto su quello del sentimento, cioè deve imparare a pensare e a riflettere con la propria testa e a sentire con il proprio cuore. Per questo l’educazione ha un ruolo fondamentale, e per trasformare la società, scrive Kant, conta l’autonomia intellettuale e sentimentale della singola persona ed è necessario “avere la testa ben fatta” come scrive Montaigne nei suoi Saggi (1580): questo significa che l’educazione deve insegnare alla singola persona a fare il proprio dovere ma “fare il proprio dovere”, afferma Kant, non vuol dire ubbidire meccanicamente a un ordine esterno, in modo eteronomo [declinando ad altri le proprie scelte], ma significa ubbidire alla propria coscienza in modo autonomo, cioè «la persona [scrive Kant] non deve imparare a fare le cose solo per saperle fare ma deve imparare a riflettere se, le cose che fa, sono rivolte al Bene per la società in cui vive, e questo significa possedere un’autonomia intellettuale [avere la testa ben fatta] in modo da saper coniugare tra loro la conoscenza, la morale e il sentimento.». Purtroppo l’educazione impartita oggi, scrive Kant, è eteronoma cioè tende a far ubbidire meccanicamente la persona mediante un input esterno senza farla riflettere sul valore morale di quello che impara a fare e che deve saper fare.

     Questo ragionamento di Kant lo ha fatto proprio Hannah Arendt nel saggio La banalità del male del 1963 [lo trovate in biblioteca] e poi nel 1993 lo ha fatto proprio il filosofo Karl Popper [nato a Vienna nel 1902 e morto a Londra nel 1994, che abbiamo citato più volte in questi anni] il quale nell’ultimo saggio che ha scritto intitolato Cattiva maestra televisione afferma, parafrasando Kant, che il tipo di educazione impartito da questo mezzo, e da tutto il sistema mediatico in generale, è di carattere eteronomo [tende a far ubbidire meccanicamente la persona perché votato alla propaganda] e agisce non tanto sui contenuti ma soprattutto, scrive Popper riportando il pensiero di Kant, sulle forme. Scrive Popper: «Il mezzo mediatico instaura un sistema educativo di tipo eteronomo che condiziona l’assetto delle forme a priori dell’intelletto delle persone, per cui lo spazio, il tempo, le categorie e le idee della ragione assumono sembianze atte a creare teste ben piene, schizofreniche, non articolate, e incapaci di seguire un ragionamento progressivo, di coltivare una riflessione e un pensiero autonomo. Per questo - ma sembra che le persone non se ne accorgano neppure - oggi la lotta per il potere è, più che mai, una lotta per il controllo di quello che chiamo “il manganello mediatico”, lo strumento che reputo il più pericoloso per la sopravvivenza del sistema democratico perché riempie la mente delle persone di idee demagogiche e populiste.». Purtroppo tutto questo ha avuto e sta avendo un riscontro a livello planetario [le democrazie, dove esistono, vengono gradualmente sostituite dalle democrature] e gli Stati democratici - invece di promuovere sistemi educativi che insegnino a far buon uso de “le forme a-priori della mente” così come Kant ha raccomandato di fare per favorire l’autonomia intellettuale di ogni singola persona - assecondano la crescita spropositata dell’onda mediatica credendo che questo fenomeno possa “illuminare” la mente delle singole persone ma «sulla cresta [scrive Popper parafrasando Kant] della sempre più possente onda mediatica l’Umanità è destinata a viaggiare verso una fatale decadenza.».

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Lo scritto di Karl Popper intitolato Cattiva maestra televisione a quasi trent’anni dalla sua pubblicazione è ancora di attualità perché il sistema mediatico è diventato sempre di più “ladro di tempo e servo infedele”… Richiedetelo in biblioteca e incuriositevi perché la curiosità deve servire per l’edificazione di una testa ben fatta …

      Kant nel testo della Critica del giudizio afferma che l’educazione ha un ruolo fondamentale per trasformare la società in meglio.

     Kant, senza mai dimenticare di essere un insegnate, nel testo della Critica del giudizio ritiene molto concretamente che l’istituzione scolastica debba promuovere un programma educativo che possa fornire a ogni persona l’autonomia intellettuale e sentimentale [e fondamentale in proposito, in prima istanza, è la conoscenza delle parole-chiave e delle idee-cardine della Storia del Pensiero Umano] in modo da creare comportamenti virtuosi che possano favorire il ben-essere dell’intera società: per raggiungere questo obiettivo, Kant sostiene la necessità di promuovere una riflessione collettiva partendo da un semplice interrogativo: che cos’è un’opera bella, ovvero, sa la persona emettere giudizi riflettenti frutto dell’autonomia della propria mente?

     In proposito Kant imbastisce nella Critica del giudizio una riflessione piuttosto articolata. Scrive Kant: «Non esiste società umana che sia priva di creazione artistica, e non esiste persona che non abbia dei gusti estetici, e che non avverta un piacere particolare a contatto con certe opere». Il problema, scrive Kant, è che la persona non fa fatica a dire “questo mi piace, questo non mi piace” ma si trova in difficoltà a giustificare i propri gusti e, soprattutto, fa fatica a spiegarli, a rispondere alla domanda: perché questo mi piace e questo non mi piace? Ciò che riguarda l’arte, scrive Kant, sembra puramente soggettivo, spontaneo, e alla persona sembra che, in questo campo, il ragionamento passi in secondo piano; si usa dire, afferma Kant, che non si discutono i gusti, per esempio non si discutono le preferenze personali sui colori. A questo proposito, Kant, si legge nella Critica del giudizio, gioca con i suoi studenti per ragionare sul giudizio riflettente; se per esempio si danno i voti ai colori [verde, rosso, blu, giallo, arancione] si pensa, a prima vista, scrive Kant, di poter dare delle preferenze in modo molto personale, tuttavia, se in una decina di gruppi di una ventina di persone ciascuno [nel XVIII secolo in un paese dell’Europa occidentale] si danno i voti ai colori si ritrova statisticamente, in media, la stessa classifica in ogni gruppo; una persona è diversa dall’altra, scrive Kant, ma, statisticamente, la maggior parte delle persone indica in testa il blu vicino al verde e al rosso, e il giallo in coda vicino all’arancione; dunque, afferma Kant, il gusto delle persone sui colori è stato influenzato a loro insaputa da ragioni temporali e ambientali e culturali e sentimentali: dunque la persona non sceglie quel colore perché per lei è bello ma la persona dice che è bello per giustificare il fatto che lo sceglie, ed è per questo motivo che alla domanda “che cos’è un’opera bella?” non c’è persona che non risponda “è bella perché mi piace!” Ma siccome questa stessa opera, afferma Kant, a una persona piace e a un’altra non piace, allora come la mettiamo: sarebbe bella per una persona mentre per un’altra non lo sarebbe e, allora, è bella o non è bella l’opera in questione? Ciò dimostra, afferma Kant, che non si può rispondere oggettivamente con l’affermazione “quest’opera è bella perché mi piace” in quanto questa affermazione, in effetti, non risponde alla domanda: “che cos’è un’opera bella?”

     Quindi, di fronte a questo interrogativo, scrive Kant, la persona deve compiere una riflessione più approfondita e deve domandarsi: un’opera è bella da sempre di per se stessa oppure è diventata bella nel tempo per una serie di cause esterne?  Facciamo un esempio [che avrebbe potuto fare anche Kant]: un quadro di Van Gogh, così come un quadro di Munch, piaceva a pochi quando lui era in vita, e adesso ormai piace alla maggior parte delle persone: questo significa [direbbe Kant] che quel quadro era originale già in partenza ma la sua bellezza non è emersa finché l’opera non ha influenzato il gusto delle altre pittrici e degli altri pittori, e poi quello delle amatrici e degli amatori, e infine quello del grande pubblico. Di conseguenza, dice Kant, un’opera non è bella perché piace ma finisce col piacere perché modifica il gusto delle persone, e ciò significa che non è l’opera a venire incontro al gusto delle persone ma è il gusto delle persone che finisce per raggiungere l’opera.

     Allora [si domanda Kant, e noi con lui], come si forma il gusto della persona? La formazione del gusto dipende dalla natura oppure dipende dalla cultura? Intanto, scrive Kant, le persone sono pronte ad affermare che in natura si trovano tante “cose belle” e si sente parlare spesso di “bei paesaggi]”, per esempio, e allora è la natura che condiziona nella persona il gusto del bello oppure è l’opera che rappresenta la natura, indipendentemente dalla natura stessa, che condiziona il gusto del bello nella persona? Ciò significa, scrive Kant, che quando la persona vede un quadro che rappresenta bene un paesaggio brullo, orrido, spettrale, brutto, dice lo stesso: che bel quadro! E, allora, è la cultura che condiziona nella persona il gusto del bello? Certamente [afferma Kant, ed è qui che voleva arrivare] il concetto di “bello” è una creazione umana che per essere compresa esige sempre una riflessione intellettuale. Ciò che si definisce opera d’arte, scrive Kant nel testo della Critica del giudizio, è una cosa creata per procurare un’emozione, un piacere particolare che non deve essere utile nel senso corrente del termine: vale per l’estetica quello che vale per la morale! Una carta geografica serve a fornire l’orientamento, un libro di ricette serve per cucinare, che siano belli o no, la questione non cambia. Ma da un quadro o da una poesia ci si attende la bellezza, ed è assurdo chiedere se servono o meno a qualcosa. Posso amare un quadro che raffigura delle mele anche se le mele non mi piacciono. Quando un’opera mi piace, afferma Kant, non è perché rappresenta una cosa bella ma perché rappresenta in una bella maniera una cosa: è l’opera in sé che mi piace non il suo oggetto. Ed è per questo che, se quest’opera coincide con i miei sentimenti e i miei gusti, posso davvero provare davanti a essa un’impressione di verità. Tuttavia, sarebbe assurdo, scrive Kant, chiedersi se l’artista ha ragione. Un’opera bella non deve spiegare, quindi l’artista si differenzia dallo scienziato. Lo scienziato si sforza di formulare proposizioni, leggi, rapporti matematici che riflettono le proprietà della realtà oggettiva e che si possono verificare con il ragionamento e la sperimentazione. Se seguo passo passo, scrive Kant, il procedimento teorico e pratico di uno scienziato posso ripetere le applicazioni vere come le sue. Se studio l’opera di Newton,[ice Kant, sono in grado di ripetere e di proseguire i suoi lavori e posso arrivare anche a formulare nuove affermazioni che derivano dai suoi studi. Al contrario, io posso saper copiare alla perfezione la Gioconda ma una copia, per quanto perfetta, non è la Gioconda; o posso conoscere a memoria tutta l’opera di Mozart [Kant ha fatto in tempo ad ascoltare le opere di Mozart che è vissuto tra il 1756 e il 1791 ed è morto 14 anni prima di Kant sebbene fosse nato 32 anni dopo di lui] ma ciò non mi consente di creare una nuova sinfonia, potrei al massimo imitarla in stile mozartiano ma non si tratterebbe di una nuova opera d’arte perché non esiste creazione artistica se non originale. Per creare come Leonardo da Vinci occorre che io crei diversamente da lui, è necessario che m’inventi una mia originalità che mi allontani dal suo stile per darmene uno mio che non esisteva prima della mia opera. È uno dei paradossi dell’arte, afferma Kant, il fatto che ogni opera deve essere assolutamente singolare e soggettiva e, tuttavia, milioni di persone devono ritrovarsi in essa per ricavarne un piacere estetico.  L’arte, scrive Kant nel testo della Critica del giudizio, contraddice la procedura dello scienziato e del filosofo perché costoro per procedere nel loro campo devono scartare tutto ciò che può distoglierli dalla realtà oggettiva: le apparenze, le sensazioni, i sentimenti soggettivi, le emozioni, i desideri e le credenze. Al contrario l’opera dell’artista fa emergere le emozioni e invita la persona a guardare il mondo in modo particolare: l’artista, afferma Kant, seduce la persona senza doverla convincere, e insegna alla persona a provare emozioni e il suo ruolo è importante nella società. Lo scienziato e il filosofo fanno di tutto per convincere la persona e, spesso, le loro conclusioni non piacciono affatto alle persone; se Galileo non avesse abiurato, scrive Kant,] sarebbe finito arrosto non solo per la sentenza del tribunale ecclesiastico ma anche a furor di popolo, e non per questo il Sole avrebbe cominciato a girare attorno alla Terra! Lo scienziato, il filosofo e l’artista hanno un ruolo pedagogico importante nella società; queste tre figure, scrive Kant, devono contribuire a favorire la crescita delle facoltà della ragione, delle facoltà morali e di quelle sentimentali. Pur mantenendo ciascuna figura il proprio ruolo, tuttavia, tra loro deve valere lo stesso rapporto che c’è tra il cuoco e il medico: infatti, un piatto che è buono al gusto può farmi male alla salute mentre una medicina disgustosa può essere talmente buona da salvarmi la vita e, allora, aboliamo i cuochi come nemici dell’Umanità? I primi a non essere d’accordo, scrive Kant, sarebbero i medici i quali sostengono che bisogna abbinare la buona cucina alla buona salute. Nella società le persone dovrebbero allo stesso modo poter usufruire delle competenze dell’artista, del filosofo e dello scienziato. L’artista seduce la persona stimolando le sue emozioni con le opere che crea e la seduzione, scrive Kant, è un aspetto importante della vita; il filosofo e lo scienziato insegnano alla persona a ragionare per superare le illusioni che nascono dalle sensazioni, e la riflessione è un aspetto altrettanto importante nella vita. La persona deve poter imparare ad abbinare la seduzione con la riflessione. Davanti all’opera d’arte, scrive Kant, la persona non conosce la realtà ma coglie qualcosa della realtà che gli era sfuggito e la ragione ne trae giovamento, fa i conti con i propri limiti e con le proprie possibilità. L’arte è propedeutica alla conoscenza e la pratica dell’arte è propedeutica alla metafisica che è la disciplina che indaga, non sulle cose dell’Altro mondo, ma sui limiti e le possibilità della ragione. Quindi, siccome la persona non conoscerà mai tutto e assolutamente, ciò che la persona sente soggettivamente fa anch’esso parte della realtà umana, e l’arte, scrive Kant, partecipa in un modo specifico alla conoscenza umana. Così un’opera bella non è un’opera che mi piace ma è un’opera suscettibile di piacere universalmente, ma per provare questo piacere è necessario che la persona acquisisca una coltura estetica perché il piacere dipende dal gusto e il gusto della persona dipende dalla sua capacità cognitiva.

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

La copertina del romanzo L’incognita di Hermann Broch riporta l’immagine [parziale] de la Notte stellata di Edvard Munch (del 1893) che potete osservare meglio navigando in rete sapendo che Kant avrebbe apprezzato questo dipinto ispirato da un giudizio riflettente… Quest’opera d’arte – così come la Notte stellata di Van Gogh [facilmente reperibile] - non ci fa conoscere la realtà ma tende a farci cogliere qualcosa che riguarda la nostra dimensione sentimentale...  Quali aggettivi [non più di tre] usereste per definire “una notte stellata”?... 

Scriveteli...

     Kant ha dato l’avvio a una vibrante discussione sul tema del “gusto estetico” e sul territorio del prossimo viaggio, se riusciremo a farlo, ne prenderemo atto. E ora, per concludere dobbiamo soffermarci seppur brevemente su altre due opere di Kant.

     Nel 1793 Kant fa pubblicare un saggio intitolato La religione nei limiti della semplice ragione. Se la ragione, scrive Kant, con i suoi limiti e le sue possibilità fa capire alla persona che la cosa più importante dell’esistenza è il rispetto della legge morale che alberga a-priori nell’intimo di ogni persona, allora, tutto il sistema di relazioni che danno vita alla società è condizionato positivamente da questo fatto e, di conseguenza, anche la religione si realizza nei limiti della ragione: quindi la religione deve predicare sostanzialmente la fede nella morale perché la fede nella morale equivale alla Fede in Dio. Nel Cristianesimo diffuso in tutta l’Europa, scrive Kant, l’incarnazione di Gesù Cristo, secondo la Letteratura dei Vangeli, equivale all’ideale morale e, difatti, la Letteratura evangelica presenta la figura di Gesù di Nazareth come maestro dell’ideale morale: non della morale ipocrita, utilitaristica, istituzionalizzata del potere ma di un’etica che invita - anche in modo paradossale ma vitale - a scegliere, dopo aver valutato la propria azione, sempre la via del Bene o la via più vicina possibile al Bene anche se questa scelta ha un costo. Scrive Kant: «È significativo il silenzio assoluto di Dio nell’orto degli ulivi [in Mc.14, Mt.26, Lc.22]: una parola detta da Dio in quel momento avrebbe liquidato la scelta morale e avrebbe pregiudicato la salvezza che è, e che deve essere, nelle mani dell’essere umano! La ragione non deve, e non può, dimostrare l’esistenza di Dio, perché la dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio vanifica la Fede! Una Fede, o un giusto Ideale per cui ci si batte, si manifesta solo nell’ambito dei limiti e delle possibilità della ragione. Il nucleo centrale delle religioni e di tutte le intenzioni rivolte al Bene è la legge morale. Per questo esiste una comunità invisibile che unisce tutte le persone di buona volontà quando rispettano la legge morale indipendentemente dalla varietà del loro pensiero: è il rispetto della legge morale, quindi, che costruisce la comunità umana.».

     Purtroppo, scrive Kant amaramente, sulla necessità del rispetto della legge morale sul piano politico ha prevalso l’uso spregiudicato del potere, la volontà di imporsi con la forza e con l’inganno e l’istinto di possesso delle classi agiate mentre per quanto riguarda le Chiese [e Kant guarda alle Chiese luterane, in particolare] hanno prevalso le pratiche liturgiche, il culto, il clericalismo, la superstizione, lo spiritismo, la preghiera per chiedere favori personali: tutto ciò finisce per prevaricare, afferma Kant, il rispetto della legge morale che è l’essenza tanto della Fede religiosa quanto dell’Ideale politico.

     In quest’opera Kant affronta il tema [che è stato molto dibattuto e sul quale tutt’ora si dibatte] del male radicale. Kant, come sappiamo, è stato influenzato dalle opere di Rousseau ma non ne condivide l’ottimismo sulla natura umana: per Kant la natura umana non è di per sé né buona né cattiva, vi è però [scrive Kant parafrasando il pensiero contenuto ne L’epistolario di Paolo di Tarso] la tendenza da parte delle passioni a subordinare la ragione, ed esiste nell’essere umano come “un male radicale”; ogni persona alla radice [diranno le pensatrici e i pensatori successivi] nasce con “un ramo storto” [il ramo storto dell’esistenza] ma, tuttavia, afferma Kant, la ragione umana è consapevole del fatto che le passioni la possono subordinare e, quindi, il male radicale non è assoluto e l’idea di Bene, presente nella mente di ogni persona, può avere la meglio per cui la persona può sempre compiere un’appropriata scelta esistenziale.

     Quando nel 1794 esce la seconda edizione de La religione nei limiti della semplice ragione interviene la censura [reale ed ecclesiastica]; interviene personalmente il primo ministro dello Stato prussiano, il reazionario Wöllner [così si definiva lui stesso] il quale invita il re di Prussia, Federico Guglielmo II, a censurare Kant per aver denigrato la religione e le istituzioni, consigliandogli di fare miglior uso del suo talento e imponendogli il silenzio. Kant, che si sente ormai vecchio e anche superiore intellettualmente a questi personaggi, si dimostra coraggioso: prende una copia della seconda edizione de La religione nei limiti della semplice ragione e la spedisce al re con questa dedica: «Maestà, il tacere, in questo caso, sarebbe dovere del suddito, ma il ritrattare sarebbe viltà per lo studioso. Prosit. Kant.».

     Nel 1795 Kant [in silenzio] fa pubblicare un saggio al quale, con un intento ironico, dà il titolo di Per la pace perpetua che era il nome di un’osteria gestita da un olandese, dove Kant raramente andava a cena [con intellettuali inglesi e francesi che frequentavano i salotti di Königsberg], e sull’insegna di questa osteria era dipinto un cimitero come per dire “qui si mangia bene da morire!”. Nel saggio Per la pace perpetua Kant sostiene che per promuovere la pace bisogna costituire una federazione di tutti gli Stati con un superparlamento che deve fare da arbitro sulle questioni che possono generare dei conflitti. Scrive Kant: «Gli Stati nazionali devono assumere tutti la forma repubblicana con un parlamento che respinga per principio [a-priori] la guerra come strumento per dirimere le controversie fra le nazioni [L’art.11 della Costituzione cita direttamente Kant, andate a rileggerlo]. I Monarchi devono, se sono responsabili, ritirarsi a vita privata perché, per formazione, sono portati a considerare lo Stato come loro proprietà e a considerare la guerra come un mezzo per governare. Dimostrino, i Monarchi, la loro nobiltà facendo la scelta morale di lasciare nelle mani dei rappresentanti del popolo le istituzioni dello Stato che devono essere orientate al cosmopolitismo, a promuovere la fratellanza tra i popoli e la libera circolazione delle persone.». Kant ritiene obbligatoria l’identità tra la politica e la morale, e l’imperativo categorico della politica è quello di costruire la giustizia sociale [non c’è pace senza giustizia], e per dare concretezza alla pace bisogna promuovere, scrive Kant, una Scuola pubblica che educhi a far diventare la guerra un tabù [la guerra non si fa perché non si deve fare, a questo imperativo bisogna ubbidire a-priori.].

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

Richiedete in biblioteca Per la pace perpetua di Kant e puntate la vostra attenzione sull’indice che Kant ha intitolato Progetto filosofico (1795) dove riporta [in due parti più un’appendice] la sintetica descrizione – che potete leggere - degli articoli preliminari e di quelli definitivi per la pace perpetua tra gli Stati...  Poi potete leggere il testo della famosa enciclica dell’11 aprile 1963 di Giovanni XXIII intitolata Pacem in Terris che trovate in rete, incuriositevi perché coltivare la curiosità è un esercizio propedeutico per costruire la pace ...

     Kant lascia l’Università di Königsberg, e va in pensione, alla fine dell’anno scolastico 1801. Gli ultimi tre anni della sua vita Kant li vive in solitudine e in precarie condizioni di salute assistito dal suo fedele servitore Martin Lampe che è stato con Kant per quarant’anni. Kant muore d’inverno, il 12 febbraio dell’anno 1804, e affida le sue ultime volontà a Lampe che è anche l’unico testimone della sua morte e dirà che le ultime parole di Kant sono state: Es ist gut [è bene così]! Lampe, a cui Kant ha lasciato l’uso della sua casa, muore due anni dopo. La casa di Kant viene requisita e smantellata e sulla fine di Kant possiamo seguire il racconto del filosofo Piero Martinetti.

     Piero Martinetti [1872-1943] è stato uno studioso di Kant, ed è l’autore di un’opera intitolata Kant, pubblicata a Milano nel 1943, l’anno della sua morte. Ora possiamo solo dire che Martinetti, nato a Pont Canavese in provincia di Torino, è stato un singolare intellettuale fuori dagli schemi, pacifista a oltranza [ha studiato a Lipsia oltre che a Torino e si è occupato del pensiero Indiano, della Letteratura dei Vangeli, del Neoplatonismo, di Spinoza, di Kant, di Schopenhauer], ed è vissuto e ha insegnato negli anni più travagliati del ‘900; è stato [senza che lui lo volesse perché si sentiva estraneo alla politica] il punto di riferimento culturale di quel gruppo di intellettuali aderenti al movimento Giustizia e Libertà [Carlo e Nello Rosselli, Ferruccio Parri, Emilio Lussu] e di un gruppo di intellettuali cattolici [come Giuseppe Dossetti e Aldo Capitini sebbene Martinetti si sentisse estraneo alla tradizione cattolica e fosse ateo e anticlericale]: è attraverso le opere di Martinetti che le idee di Kant sono entrate nell’assemblea Costituente per diventare testo della Costituzione. Quando nel dicembre del 1931 il ministro dell’educazione nazionale Balbino Giuliano ha imposto ai professori universitari il giuramento al regime fascista, Martinetti - che era per sua definizione “un antifascista a-priori” - è stato tra i dodici su 1225 che si sono rifiutati di giurare a favore di una dittatura «che contraddiceva il carattere morale del pensiero di Kant. [Scrive Martinetti]».

REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:

A Piero Martinetti dovremmo dedicare un intero itinerario ma non abbiamo tempo, quindi, cercate voi sull’enciclopedia e in rete notizie sulla sua vita, sul suo arresto, sulla sua morte e sulle sue opere, incuriositevi che la curiosità è virtù kantiana ...

     Leggiamo le ultime righe del saggio di Pietro Martinetti intitolato Kant.

Piero Martinetti, Kant

I discepoli sono scomparsi, i vecchi e provati amici sono morti, e anche il fedele e affezionato Lampe è morto. La casa di Kant viene requisita: che fine fanno le sue reliquie? Esse finiscono in mano degli speculatori e sono vendute ad alto prezzo, come curiosità: il suo berrettino da mattina è venduto per dieci sterline a un inglese; dei suoi bianchi capelli si fanno anelli che vengono venduti, e in breve ci sono più anelli di quanti capelli Kant avesse mai avuto in testa; da ogni parte, anche dall’estero arrivano commissioni per l’acquisto di qualcuna delle reliquie di Kant. Le sue carte manoscritte - migliaia di fogli - restano abbandonate presso il libraio Nicolavius e, dopo la sua morte, vengono vendute, a peso, ai bottegai di Königsberg che le utilizzano per impacchettare, e, solo per una serie di casi fortuiti se ne salvò una parte. Uno studente trovò presso un merciaio un esemplare delle Riflessioni sul bello e sul sublime con fogli e aggiunte di mano di Kant. E in mezzo a tanto entusiasmo nessuno si cura di salvare dalla profanazione la casa di Kant, che viene trasformata in un caffè; la stanza dove aveva scritto le sue opere diventa una sala da biliardo, e nel 1893 la casa viene distrutta per rinnovamenti edilizi. Kant - quasi come risarcimento -è stato sepolto nella Cattedrale, ma neanche in quel caso è stata rispettata la sua volontà affidata al vecchio Lampe: «Desidero essere sepolto accanto ai miei genitori nel cimitero dei poveri e sulla pietra desidero si scriva Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me». Per fortuna, almeno questa frase, la possiamo leggere, oggi, sulla sua tomba. La fine di Kant e ciò che è avvenuto sembrano una riprova della dottrina del male radicale, ma le opere di Kant - nelle quali il mondo contemporaneo può bere le sue migliori essenze e dove noi stessi siamo stati culturalmente edificati - ci sono rimaste in eredità e questo a riprova che il male radicale non è assoluto. …

     E con questa affermazione termina il nostro viaggio e voi capite che d’ora in avanti nella Storia del Pensiero Umano, come scrive Martinetti,] è difficile prescindere dal pensiero di Kant.

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Adesso, è bene si sappia qual è lo stato patrimoniale dalla nostra Associazione Art.34 

Con ciò che è stato raccolto, il patrimonio dell’Associazione è di 3220 € e 19 Cent

Abbiamo versato: 700 € alla Scuola Redi per la stampa dei REPERTORI ...

Abbiamo devoluto:

1000 € all’Associazione Il Cuore si scioglie della Coop

350 € all’Associazione AISLA per la ricerca

250 € alla Coop delle Donne dell’Ass. Mexiquemos

Per cui rimangono 920 € e 19 Cent, e di questi, 700 €, sono necessari a settembre per rinnovare l’Assicurazione obbligatoria per le Associazioni e, quindi, le finanze dell’Associazione sono in attivo (come previsto dalla Legge) di ben 220 € e 19 Cent.: quindi, anche se si assottiglia la partecipazione e diminuiscono le entrate, siamo fiduciosi di poter continuare a rispettare gli impegni che ci siamo dati  anche per il prossimo anno.

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     E, quindi, a ottobre [sperando di poterlo fare] ci rimetteremo in cammino su quello che è stato chiamato il territorio del Romanticismo. La parola-chiave “romanticismo” è molto evocativa e richiama molti paesaggi intellettuali che dovremo osservare. Perché dobbiamo ripartire ancora da Königsberg da casa di Kant? Risponderemo dopo la pausa estiva, e la doverosa pausa estiva deve servire per rafforzare e per far crescere in noi la convinzione che non bisogna mai perdere la volontà d’imparare e, per soddisfare questa necessità costitutiva della persona, salvo imprevisti, secondo il Calendario che avete ricevuto,  ripartiremo il 9-10-11 ottobre [e sarà la 41esima volta].

     E, per concludere, plaudo al vostro impegno perché senza di voi non ci sarebbe stata la Scuola, e vi ringrazio perché senza la Scuola io non avrei potuto esercitarmi costantemente nell’esercizio dell’Apprendimento che è il tirocinio più utile che si possa fare per preservare la mente dal degrado cognitivo e, di conseguenza, è bene che la Scuola ci sia per farci continuare a viaggiare sui sentieri di quel vasto territorio che è la Storia del Pensiero Umano, e poi è utile che i compiti delle vacanze siano stati assegnati [io li farò!] e, infine, è cosa buona e giusta che, ancora una volta possa [per il 40esimo anno] augurare a tutte e a tutti voi una buona vacanza di studio perché lo studio è cura, e questo Pianeta che ci ospita ha bisogno di cura!

     Arrivederci a ottobre!...

 

 

ANNO SCOLASTICO 2024 2025

Percorso di Storia del Pensiero Umano in funzione della

didattica della lettura e della scrittura

Un viaggio sul territorio del Romanticismo titanico...

Calendario delle Lezioni

prof. Giuseppe Nibbi

Lezione prima                      Bagno a Ripoli e Tavarnuzze       il   09-10 ottobre 2024        ore 21-23

                                            Firenze                                       il  11 ottobre 2024               ore 17-19

 

Lezione seconda                  Bagno a Ripoli e Tavarnuzze       il  23-24 ottobre 2024       

                                           Firenze                                        il  25 ottobre  2024

        

Lezione terza                      Bagno a Ripoli e Tavarnuzze        il  06-07 novembre 2024  

                                          Firenze                                         l’  08 novembre 2024

        

Lezione quarta                   Bagno a Ripoli e Tavarnuzze         il  20-21 novembre 2024   

                                          Firenze                                         il  22 novembre 2024

                        

Lezione quinta                   Bagno a Ripoli e Tavarnuzze         l’  11-12 dicembre 2024    

                                          Firenze                                         il  13 dicembre 2024    
pausa natalizia                      

Lezione sesta                     Bagno a Ripoli e Tavarnuzze         l’  08-09 gennaio  2025           

                                          Firenze                                         il  10 gennaio 2025

 

Lezione settima                  Bagno a Ripoli e Tavarnuzze         il  22-23 gennaio 2025          

                                          Firenze                                         il  24 gennaio 2025

 

Lezione ottava                    Bagno a Ripoli e Tavarnuzze         il  05-06 febbraio 2025           

                                          Firenze                                         il 07 febbraio 2025   

 

Lezione nona                      Bagno a Ripoli e Tavarnuzze        il  19-20 febbraio 2025            

                                          Firenze                                        il  21 febbraio 2025

 

Lezione decima                  Bagno a Ripoli e Tavarnuzze        il  05-06 marzo 2025                

                                          Firenze                                        il  07 marzo 2025

 

Lezione undicesima            Bagno a Ripoli e Tavarnuzze       il  19-20 marzo 2025  

                                          Firenze                                       il  21 marzo 2025                     

 

Lezione dodicesima            Bagno a Ripoli e Tavarnuzze      il  02-03 aprile 2025           

                                          Firenze                                      il  04 aprile 2025

 

Lezione tredicesima           Bagno a Ripoli e Tavarnuzze      il  09-10 aprile 2025           

                                          Firenze                                      l’ 11 aprile 2025

pausa pasquale, 25 aprile e 1° maggio 

Lezione quattordicesima    Bagno a Ripoli e Tavarnuzze      il  07-08 maggio 2025        

                                          Firenze                                      il  09 maggio 2025

 

Lezione quindicesima         Bagno a Ripoli e Tavarnuzze     il  21-22 maggio 2025  

                                          Firenze                                     il  23 maggio 2025

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Maggio 24, 2024