ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»
PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
In viaggio sul territorio del Romanticismo titanico
8-9-10 gennaio 2025
SUL TERRITORIO DEL ROMANTICISMO TITANICO
SI STAMPA LA RIVISTA “IL MERCURIO TEDESCO”
ED EMERGE “LA TRADIZIONE DELL’EDDA” …
Ben tornate e ben tornati a Scuola: buon anno di studio a tutte e a tutti voi che rendete possibile, attraverso l’Associazione “Articolo 34”, la presenza della Scuola pubblica degli Adulti su questo territorio.
Inizia, con il sesto itinerario, la seconda parte di questo viaggio che comprende tutta la stagione invernale fino alla prossima primavera, e quindi riprendiamo il nostro cammino sul territorio del Romanticismo titanico dalla città di Weimar dove ci attende un personaggio, Christoph Martin Wieland, del quale, prima della vacanza, abbiamo studiato alcune opere importanti [Vittoria della Natura sulla Fantasia e Storia di Agatone] che hanno convinto nel 1771 la duchessa Anna Amalia ad assumerlo come precettore per i suoi due figli, Carlo Augusto e Costantino.
Ma prima di rincontrare Wieland ci dobbiamo ancora occupare della città di Weimar.
Abbiamo trascorso idealmente le nostre vacanze ospiti della duchessa Anna Amalia nella città di Weimar situata nella regione della Turingia nel centro della Germania, considerata “la città dei poeti e dei pensatori”: essa offre notevoli attrazioni anche perché la lungimirante duchessa Anna Amalia, che l’ha governata saggiamente dal 1758 al 1775, ha invitato a suo tempo a partire dal 1771 nel suo cenacolo colturale una serie di teste pensanti [che abbiamo cominciato a conoscere] - Wieland, Goethe, Herder, Schiller - dando loro la possibilità di impegnarsi a investire in intelligenza. E perché questi personaggi trovano in questa città un terreno molto fertile in cui seminare?
Weimar, nel tempo, ha dato ospitalità a importanti artisti i quali, con la loro genialità, hanno lasciato, ciascuno nel proprio campo, un patrimonio di opere che hanno contribuito a far diventare questa città un significativo laboratorio colturale.
Weimar, come sappiamo, è stata anche la città del pittore Cranach il Vecchio [1472-1553, avete fatto conoscenza con questo personaggio del quale si conservano opere anche agli Uffizi?] che ha dipinto una serie famosa di Crocifissioni con un Gesù crocifisso in mezzo agli alberi, in mezzo alla Natura, per cui la croce è “un albero glorioso”; questo è anche il titolo di una famosa Cantata sacra di Bach [Albero glorioso è un inno luterano che si canta anche nella liturgia cattolica] che il musicista ha composto a Weimar nel 1708 guardando la Crocifissione di Cranach, dove la croce, lo strumento della salvezza, è un oggetto naturale di impianto dionisiaco: è il simbolo del ciclo riproduttivo della vita attraverso la morte e la risurrezione, la croce è metaforicamente un albero non solo perché è di legno ma perché l’albero muore [si spoglia] e risorge [rinverdisce] e, quindi, la Natura [l’albero glorioso della croce] e la Salvezza [la metafora dell’albero che si spoglia e poi rifiorisce] corrispondono. E Cranach il Vecchio coltiva seppur inconsapevolmente durante il Rinascimento nel 1503 a Weimar un tema pre-romantico e il cosiddetto “naturalismo rinascimentale” di Cranach il Vecchio non poteva passare inosservato, circa trecento anni dopo, agli ospiti del cenacolo della duchessa Anna Amalia.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Utilizzando un volume di Storia dell’Arte e navigando in rete osservate la Crocifissione di Cranach il Vecchio e ascoltate la cantata O albero glorioso di Bach... Poi riflettete...
Inoltre Cranach il Vecchio è autore di sensuali figure femminili - Afrodite, Diana, le tre Grazie - tratte dalla cultura greca e inserite nella cornice della Natura, e poi dipinge il famoso Giudizio di Paride, e potevano forse passare inosservate queste opere di gusto pre-romantico agli ospiti del cenacolo della duchessa Anna Amalia?…
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Scorrete ancora sulla rete il catalogo delle opere di Cranach il Vecchio e riflettete osservando il dipinto delle Le tre Grazie e Il giudizio di Paride… Incuriositevi...
Come abbiamo detto, Weimar è, tra il 1708 e il 1717, la città di Johann Sebastian Bach [1685-1750, avete fatto conoscenza con questo personaggio del quale oggi è facile ascoltare le opere?] che all’età di ventitre anni giunge a Weimar con la altrettanto giovane prima moglie Maria Barbara [1684-1720] e qui nascono i primi sei figli [due femmine e quattro maschi] della coppia che diventeranno tutte e tutti musicisti. A Weimar, come sappiamo, l’organista di corte Bach compone per organo Cantate sacre, corali, preludi, toccate, fughe e, cullando le sue figlie e i suoi figli, comincia a pensare a qualcosa da suonare insieme a loro appena sarebbero stati in grado [visto che i figli di Bach hanno cominciato prima a suonare che a parlare, e visto che suona anche la loro mamma]: a Weimar Bach concepisce, sotto forma di appunti, i famosi sei Concerti brandeburghesi che scriverà tra il 1718 e il 1721, a Köthen, quando avrà già lasciato Weimar e le sue figlie e figli, aumentati di numero nel frattempo, formeranno un organico di strumentisti.
I Concerti brandeburghesi sono scritti per poter essere eseguiti da un piccolo gruppo di strumenti [una dozzina] in un formidabile effetto d’insieme ma anche in modo che ogni strumento abbia un suo ruolo perché il singolo esecutore possa mettere in risalto le sue qualità. «I Concerti brandeburghesi sono un esempio insuperabile nella storia della Musica»: questa citazione proviene da uno che se ne intendeva: W. Amadeus Mozart il quale ha sostenuto di essere stato influenzato dal ritmo di questi Concerti. E poteva forse passare inosservata la musica di Bach agli ospiti del cenacolo della duchessa Anna Amalia?
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Riascoltate, utilizzando la rete o la vostra raccolta discografica domestica, i sei Concerti brandeburghesi di Johann Sebastian Bach… Quale vi piace di più?... Scrivetelo...
E, a proposito di musica, abbiamo già ricordato prima della vacanza che nel 1841 fu chiamato alla corte di Weimar dal granduca Carlo Alessandro, bisnipote della duchessa Anna Amalia, il compositore e pianista Franz Liszt [1811-1886 avete fatto conoscenza con questo personaggio del quale oggi è facile ascoltare le opere?] il quale ha vissuto a Weimar dal 1848 al 1861. Siccome uno dei temi fondamentali che il Romanticismo ha messo in evidenza è quello dell’esaltazione delle tradizioni popolari, ebbene Liszt ha utilizzato, come base per la sua musica colta e innovativa, i motivi popolari ungheresi [Liszt era di origine ungherese] e nell’ambiente di Weimar, impregnato di gusti romantici e investito dalle idee rivoluzionarie del 1848, sono state concepite le 19 famose Rapsodie ungheresi per pianoforte; poi a Weimar, [come abbiamo già ricordato prima della vacanza, Franz Liszt, per rendere in modo più efficace i motivi della tradizione popolare, ha creato un nuovo genere orchestrale, il poema sinfonico componendone dodici. Queste composizioni sarebbero piaciute alla duchessa Anna Amalia e agli ospiti del suo cenacolo del quale anche Franz Liszt avrebbe gradito far parte.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Riascoltate, utilizzando la rete o la vostra raccolta discografica domestica, le Rapsodie ungheresi di Franz Liszt, in particolare la numero 2 che è la più famosa…
Ma, come abbiamo detto prima della vacanza, il nome di Weimar è soprattutto legato anche all’esperienza emblematica della Repubblica di Weimar e, in proposito, dobbiamo aprire una parentesi in funzione della didattica della lettura.
La città di Weimar è legata anche al primo tentativo dei Tedeschi di darsi un vero ordinamento democratico, ed è qui che, il 6 febbraio 1919, dopo l’umiliante sconfitta nella prima guerra mondiale e l’abdicazione dell’imperatore Guglielmo II, si è riunita l’Assemblea nazionale per elaborare la Costituzione che ha dato poi il nome alla prima Repubblica tedesca: la Repubblica di Weimar. La scelta di Weimar come luogo per scrivere la prima Costituzione repubblicana è molto significativa e ha un valore simbolico perché la nuova Germania vuole riallacciarsi alla tradizione umanistica e allo spirito dei suoi grandi pensatori: alla Weimar di Goethe, di Schiller, di Herder, di Wieland, in contrapposizione alla tradizione militare prussiana che è stata sconfitta. Purtroppo la Repubblica di Weimar dura soltanto quattordici anni, e quest’esperienza si è conclusa con l’ascesa al potere del nazismo nel 1933. Gli anni della Repubblica di Weimar, dal 1919 al 1933, sono stati fruttuosi come abbiamo già detto nell’itinerario scorso sotto il profilo artistico [in letteratura, nelle arti figurative, in architettura, nel teatro, nella musica] e ci si domanda [ed è una domanda di attualità vista la situazione] come sia stato possibile che la maggioranza del popolo tedesco abbia potuto consegnare il potere assoluto nelle mani del capo di una banda di criminali, secondo la sentenza del Tribunale di Norimberga.
Non è facile dare una risposta [e anche Goethe, Schiller, Herder, Wieland e la duchessa Anna Amalia vorrebbero capire] ma cogliamo l’occasione per incontrare una delle persone [uno scrittore in particolare di Teatro] che ha tentato di far aprire gli occhi a una popolazione alienata dalla propaganda senza riuscirvi perché «a favore della dittatura ha giocato un ruolo fondamentale la stupidità che attanagliava una razza costretta a pensare di essere superiore mentre era succube dell’ignoranza.». Incontriamo quindi Ödön von Horváth il quale si presenta da solo scrivendo di sè stesso: «Sono nato il 9 dicembre 1901 a Fiume quando si chiamava Susak; nel 1902 sono stato portato a Belgrado e nel 1907 a Budapest. Nel 1909 mio padre viene trasferito a Monaco di Baviera come diplomatico e io rimango nel convitto arcivescovile di Budapest; poi nel 1913 raggiungo i miei genitori coi quali nel 1918 torno a Budapest. A partire dal 1919 frequento a Vienna il locale Liceo scientifico e lì faccio gli esami di maturità e poi mi trasferisco a Monaco dove studio e mi laureo in Scienze teatrali. Nel 1924 compio un viaggio di varie settimane a Parigi e poi decido di stabilirmi a Berlino. E ora mi domandate qual è la mia patria? Io sono una tipica mescolanza della vecchia Austria-Ungheria: magiaro, croato, tedesco, ceco, ma preferisco dire che sono un europeo. Durante il periodo scolastico ho cambiato quattro volte lingua d’insegnamento in quattro paesi diversi e non ero veramente padrone di nessuna di queste lingue però le parlavo tutte. Quando giunsi la prima volta in Germania a quattordici anni non riuscivo a leggere i giornali perché non conoscevo i caratteri gotici, ma ora parlo e scrivo correttamente in tedesco, appartengo all’area intellettuale tedesca, al popolo tedesco: ma il concetto di patria, nella sua falsificazione nazionalistica, mi è, e mi sarà sempre, estraneo. Io non ho patria, e non ne soffro, ovviamente, anzi mi rallegro della mia condizione di senza patria perché mi libera da ogni inutile sentimentalismo e siccome ormai il Mondo lo conosciamo nella sua interezza posso ben dire, con un’affermazione tanto cristiana quanto marxista, che è il Mondo intero la mia patria. Nella Berlino post-bellica ho vissuto una vita straordinariamente turbinosa ed esuberante, da bohémiennes, frequentando i locali più estroversi della città, insieme a tutte e a tutti gli amanti dell’Arte espressionista, persone creative, inclini al comico e all’apocalittico, ed è in quel momento che ho cominciato a comporre, operosissimo, le mie opere teatrali diventando famoso, insieme a Bertolt Brecht ad Arnolt Bronnen a Marlène Dietrich, in quella fantastica Berlino dell’epoca di Weimar che è stata un crogiolo di tensioni espressive, di presagi catastrofici, di furori sociali e che ha dato tanto alla Letteratura, alle Arti figurative, al Teatro e alla Musica.».
Tra il 1926 e il 1933 Horváth scrive e mette in scena una serie di lavori teatrali tra i quali ricordiamo Notte all’italiana, Storie del bosco viennese e Casimiro e Carolina: le squadracce naziste, che ormai sono all’opera per rovesciare la Repubblica democratica di Weimar, inscenano violente manifestazioni e pestaggi nelle sale dove queste opere vengono rappresentate. E il ministero della cultura della Repubblica di Weimar conferisce a Horváth il Premio Kleist, il massimo riconoscimento per uno autore tedesco.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
I testi delle opere di Horváth intitolate Notte all’italiana”, Storie del bosco viennese e Casimiro e Carolina sono contenute nel volume Teatro popolare che potete richiedere in biblioteca... Incuriositevi ché la curiosità stimola la mente ad apprendere ...
Nel 1933, quando il nazismo va al potere, Horváth lascia Berlino e fino al 1937 si sposta prima a Budapest poi a Zurigo poi a Vienna poi a Praga, e in queste città continua a scrivere e a mettere in scena le sue opere. Nel 1937 viene pubblicato ad Amsterdam il romanzo Gioventù senza Dio tradotto immediatamente in otto lingue. Nel 1938 torna a Vienna e poi inizia ancora il suo vagabondaggio: a Budapest, a Praga, a Belgrado, a Trieste, a Venezia, a Milano, a Zurigo, ad Amsterdam e infine a Parigi dove il 1° giugno 1938 - mentre si prepara, come tante e tanti altri perseguitati dal nazismo, a partire per gli Stati Uniti - quando esce dal suo albergo mentre è in corso di un violento uragano viene ucciso schiacciato da un grosso albero sradicato dalla bufera: la morte di Horváth è come se fosse un presagio della bufera che sta per scatenarsi sull’Europa e sul Mondo: la lucida previsione di ciò che sarebbe successo è presente nei testi delle opere di Horváth che vanno letti, riletti e rappresentati, come quelli di molte altre scrittrici e scrittori, perché è urgente [direbbero oggi Goethe, Schiller, Herder, Wieland e la duchessa Anna Amalia] salvaguardare i valori dell’Umanesimo.
Scrive Horváth: «Come è stato possibile tutto questo? Per paura, per pochezza e per fragilità la gente si è sfamata con il kitsch [il cattivo gusto] dei luoghi comuni, nascondendo le proprie ansie, le proprie incertezze, le proprie tendenze sadiche dietro il comodo e largo paravento della stupidità fatta di solida ma stolida tradizione come se Dio, la patria e la famiglia potessero garantire la morale. È grazie a questa finta sicurezza che il nazismo ha trionfato ponendosi come emblema massimo della più bolsa e rassicurante stupidità. Nulla dà tanto chiaramente la sensazione dell’infinito come la stupidità, e di fronte a questa insensatezza bisogna sforzarsi - nei libri, a teatro e sulle tele - per dimostrare che l’esistenza non può arroccarsi nell’idiozia e nella crudeltà per giustificare il proprio fallimento morale e intellettuale.».
Dobbiamo, in quanto europei, come dice Horváth, diventare consapevoli che la stupidità dilagante, i luoghi comuni frutto di ignoranza e l’esaltazione della violenza stanno favorendo una nuova impennata fascista e nazista, e se Brecht è stato il poeta del “fascismo strutturale”, Horváth va considerato come il poeta del “fascismo allo stato diffuso”, a livello di coscienza, di costume, di convivenza sociale: di un fascismo che è la seconda natura delle società tardo-capitalistiche e post-industriali. Hermann Hesse [1877-1962] in una Lettera ha scritto: «Le consiglio vivamente di leggere un piccolo libro intitolato Gioventù senza Dio di Ödön von Horváth. Nella sua semplicità è grandioso, e illumina crudamente lo stato morale del mondo per cui, in nome della pace e della giustizia, è necessario vivere sempre all’erta.».
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Seguite il consiglio di Hermann Hesse e leggete Gioventù senza Dio di Ödön von Horváth, un piccolo libro diviso in quarantaquattro brevissimi capitoli ma di una profondità e attualità sorprendente... Incuriositevi e richiedetelo in biblioteca...
Ma torniamo alla seconda metà del ‘700 quando la città di Weimar, per merito del cenacolo colturale della duchessa Anna Amalia, diventa un laboratorio intellettuale dove continuano a fiorire la letteratura, le arti figurative, la musica e la filosofia: a proposito di filosofia, come abbiamo annunciato in partenza, dobbiamo ancora incontrare Christoph Martin Wieland.
Christoph Martin Wieland entra nella storia della letteratura scrivendo due famosi “romanzi filosofici”, dei quali ci siamo occupate e occupati prima della vacanza, intitolati Vittoria della Natura sulla Fantasia [in cui l’autore propone una riflessione sui pericoli del rifugiarsi, in modo acritico, in un mondo virtuale] e Storia di Agatone [considerato il primo “romanzo di formazione moderno” della Storia della letteratura].
Wieland, come sappiamo, è a Weimar dal 1771 in qualità di precettore dei figli della duchessa Anna Amalia ma non gli manca certo né il tempo né la volontà di scrivere per produrre ancora una serie di opere importanti. In proposito, si dedica anche alla fondazione nel 1773 di una rivista, finanziata dalla duchessa Anna Amalia, intitolata [Der Deutsche Merkur] Il Mercurio tedesco [Mercurio, Ermes per i Greci, il dio che propizia l’illuminazione della mente e la liberazione dall’ignoranza]: questa pubblicazione diventa famosa nel panorama editoriale europeo in quanto raccoglie il materiale letterario prodotto nel corso della rivoluzione colturale che sta avvenendo in Europa [della quale ci stiamo occupando], una rivoluzione che è stata chiamata “la rivoluzione romantica” e che si presenta come un avvenimento molto eterogeneo; la rivista Il Mercurio tedesco riesce a dare testimonianza e a tenere insieme le varie correnti di quest’epoca in modo da evidenziarne i caratteri.
La storia insegna che le rivoluzioni, soprattutto se violente, portano sempre a una deriva autoritaria con un conseguente affossamento dei valori che le ha ispirate, mentre le rivoluzioni culturali camminano sotto traccia con un lento ma progressivo andamento che produce elementi di cambiamento nella società. Nel ‘700 si va delineando, come abbiamo studiato in questi ultimi anni, un vasto movimento letterario, artistico, religioso, filosofico, molto eterogeneo, che tende a politicizzarsi, a occuparsi del tema del governo degli Stati e di quello delle riforme sociali necessarie per le popolazioni europee e, di conseguenza, si delinea una situazione in cui le intellettuali e gli intellettuali coinvolti approfondiscono la conoscenza delle tradizioni popolari [secondo la Lezione di Herder] scoprendo le fonti di antiche culture finora ignorate come per esempio, e questa diventa una scoperta fondamentale in epoca “romantica”, l’antica cultura nordica: vengono alla luce i modelli e gli stampi mitici contenuti nella rete formata dai molti racconti dell’antica civiltà dell’Europa artica e si capisce, quindi, che non ci sono solo i miti greci [del Sud, dell’area mediterranea] da prendere in considerazione, ma c’è anche una vasta gamma di miti nordici simili, negli stampi e nei modelli, a quelli della tradizione omerica e della tradizione alessandrina.
Ebbene, a mettere in evidenza queste scoperte è proprio la rivista diretta da Wieland, e Il Mercurio tedesco diventa lo strumento che orienta e che raccoglie i frutti della ricerca sulle fonti dell’antica poesia nordica soprattutto quando anche Goethe e Herder [che inizialmente avevano criticato l’iniziativa di Wieland] diventano collaboratori della rivista capendo che l’iniziativa di Wieland è utile [c’è da dire che Wieland, nei primi numeri delle rivista, aveva recensito con grande acume le Tragedie di Herder e di Goethe e loro erano rimasti assai soddisfatti]. Il gruppo redazionale della rivista Il Mercurio tedesco è formato da letterati [studiosi, artisti, filologi] che hanno soprattutto il merito - lo stesso merito attribuito a Kant - di pensare che la genialità e la creatività va sostenuta con lo studio e non solo affidandosi al sentimento: le tradizioni popolari vanno studiate metodicamente mediante la ricerca e il confronto delle fonti e la rivista di Wieland diventa il punto di riferimento e di raccolta dei dialoghi, delle corrispondenze, delle recensioni che da ogni parte d’Europa le studiose e gli studiosi inviano a Weimar. La rivista di Wieland [come quelle fondate da Karamzin] assume un carattere cosmopolita «capace [come ha scritto Goethe] di dare un'anima all'Europa» [e quanto ci sarebbe bisogno oggi di dare un’anima all’Europa!]. Il Mercurio tedesco ha goduto di longevità cessando le sue pubblicazioni nel 1810, dopo 37 anni di attività.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quali riviste avete preferito leggere – magari abbonandovi - nel corso della vostra vita?...
Scrivete quattro righe in proposito...
Immaginate di poter fondare una rivista: come la intitolereste e di quali temi si dovrebbe occupare?… Scrivete, in quattro righe, l’editoriale del primo numero...
La rivista Il Mercurio tedesco, diretta da Wieland, diventa l’organo di informazione che raccoglie le scoperte della ricerca sulle fonti dell’antica poesia nordica.
La rivista Il Mercurio tedesco diretta da Wieland divulga soprattutto i materiali [frutto di ricerca] riguardanti le fonti dell’antica poesia nordica che vanno a ricomporre un mosaico mitologico che prende il nome di Edda. Edda è il titolo del più antico apparato poetico della cultura nordica e la sua scoperta viene documentata sulle pagine de Il Mercurio tedesco. Edda è il titolo di una raccolta di 29 carmi, o poemetti detti norreni, e il termine “norreno” significa “nordico-artico” e definisce la fase più antica [norrena, tra l’XI e il XIV secolo] della lingua e della Letteratura islandese e norvegese. La lingua norrena ha dato vita [si legge su Il Mercurio tedesco] a una fiorente Letteratura per opera degli “scaldi”: poeti itineranti che, soprattutto in territorio islandese, si spostano cantando i loro componimenti da un centro abitato all’altro, come gli aedi greci e i trovatori provenzali. L’antica poesia degli “scaldi” attinge all’oralità: mette per iscritto gli avvenimenti, i luoghi, i personaggi contenuti in mitiche narrazioni orali riguardanti, le guerre, l’esaltazione degli eroi, la glorificazione dei sovrani e le spesso tragiche relazioni amorose. Il carattere principale della poesia “scaldica” come si legge su Il Mercurio tedesco, è la cura formale: il meticoloso studio della metrica, l’assidua ricerca delle rime e l’accurata costruzione delle metafore poetiche la cui lettura diventa sovente assai ardua e di difficile interpretazione.
Perché si chiamano “scaldi” i poeti artici? Si chiamano “scaldi”, si legge su Il Mercurio tedesco, dal nome del precursore di questi poeti: l’islandese Egill Skaldaspillar [900-982, dove “Skalda” sta per “Uomo del nord”].
La rivista Il Mercurio tedesco divulga e introduce gradualmente nel circuito culturale europeo i contenuti e le forme della tradizione poetica nordica, puntualizzando che a scoprire il primo giacimento di questo apparato è stato, nel 1643, un erudito esegeta, il vescovo islandese Brynjolf Sveinsson il quale, nella Biblioteca di Copenaghen in un manoscritto del XIII secolo [il Codex Regius 2365], ha identificato numerosi testi scritti in antica lingua norrena [una lingua che lui studia e conosce] in forma di carmi di contenuto eroico, composti in Islanda dall’VIII al XIII secolo e capisce di aver scoperto la testimonianza più antica e più importante della mitologia nordica pre-cristiana. Sveinsson, si legge su Il Mercurio tedesco, decide di chiamare questa raccolta poetica col nome di Edda perché i contenuti dei carmi che ha scoperto sono simili [stessi luoghi, stessi fatti, stessi personaggi] a quelli di un’opera in prosa, dal titolo Edda, dello scrittore islandese Snorri Sturluson [1178-1241]. La cosiddetta Edda di Snorri è un trattato sull’arte poetica scritto per l’educazione dello “scaldo” [del poeta itinerante] e la parte più importante di quest’opera è la narrazione in prosa del patrimonio mitologico nordico, norreno, da tramandare. La rivista Il Mercurio tedesco ratifica il fatto che esistono due versioni di Edda: quella in poesia [scoperta dal vescovo Sveinsson] chiamata Edda antica e l’Edda di Snorri scritta in prosa [dallo scrittore Snorri Sturluson], e queste due versioni si completano l’una con l’altra.
A questo punto ci domandiamo [insieme ai redattori de Il Mercurio tedesco]: da dove deriva il termine Edda? Si fanno due ipotesi: il termine Edda deriverebbe dal nome di una zona del sud dell’Islanda che si chiama Eldgjá vicina a una località di nome Hella, la cittadina dell’aurora boreale, e a un centro miniscolo di nome Oddi dove è nato Egill Skaldaspillar, il precursore degli “scaldi”.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con la guida dell’Islanda e navigando in rete andate a visitare queste località: Hella e Oddi...
Incuriositevi perché la curiosità invoglia la mente a fare ricerca...
Ma l’ipotesi più accreditata è che il termine Edda derivi dal nome di un singolare fenomeno naturale: difatti come sapete l’Islanda è una terra che vanta eventi naturali davvero speciali [che hanno una forte valenza “romantica”], e c’è un antico termine norreno, Eddjá, che significa “fessura eruttiva”. Sul territorio islandese [che appare desolato, orrido, inospitale ma straordinariamente affascinante] è presente sotto terra e in superficie molta acqua calda che genera fenomeni termali legati al vulcanesimo: soffioni, geyser, solfatare, fumarole, sorgenti bollenti, pozze di fanghi caldi dai colori straordinari [il paradiso delle pittrici e dei pittori], grigio-blu [dovuti alla presenza di solfuri di ferro] e giallo-bruno e arancio [per la presenza dei composti dello zolfo]. Il fenomeno del vulcanesimo in Islanda ha una caratteristica particolare: è legato a un’attività eruttiva di tipo non centrale ma fessurale [e questo fenomeno non può non ispirare racconti tragici].
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Se tornate sulla carta geografica dell’Islanda [con l’Atlante e con la rete] e andate in ricognizione nella parte sud dell’isola, trovate, a nord-est di Hella [che avete già individuato], la zona che si chiama Eldgjá da dove passa una fessura lavica [da qui il nome “Edda”?] lunga decine di chilometri e punteggiata da centinaia di crateri allineati che formano come una cintura tra il vulcano Hekla [di 1491 m.] e una zona di nome Laki…
In rete trovate numerose immagini raffiguranti questi luoghi, incuriositevi e osservatele...
Lungo la cintura vulcanica islandese si sono verificate tante periodiche terribili eruzioni [la prima è stata documentata nell’anno 934 e l’ultima è del 2023 con meno danni per fortuna], e l’8 giugno del 1783 si è verificata un’eruzione con un’emissione di gas venefici che hanno ucciso buona parte del bestiame [bovini e ovini] determinando una terribile carestia con molte vittime: il 25% della popolazione. Una notizia di questo genere è stata captata anche da Giacomo Leopardi [1798-1837] che l’ha utilizzata per scrivere il testo di una delle Operette morali, una raccolta di ventiquattro componimenti in prosa di natura filosofica - dialoghi e novelle - scritti tra il 1824 e il 1832. Nel Dialogo della Natura e di un Islandese [del 1824] Leopardi dà voce a un Islandese che parla accoratamente dei terribili e inevitabili disagi causati alla specie umana dagli agenti atmosferici e dai fenomeni della Natura [Leopardi cita anche “i ruggiti spaventevoli del monte Ecla”, il vulcano Hekla, da cui parte la fessura dell’Edda come abbiamo detto] per affermare che la vita è segnata da un continuo patire senza alcuna consolazione, e che gli esseri umani non potranno mai vivere senza dolore, e la risposta della Natura è caustica: «Non sono né benigna né matrigna, ma sono semplicemente indifferente».
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Richiedete in biblioteca [se non è già in casa vostra] il volume delle Operette morali di Giacomo Leopardi in cui l’autore parla - con il suo linguaggio ricercato e classico - dell’infelicità delle persone viventi ma ne parla con una leggerezza e con un’ironia che, leggendo, ci si ritrova a tu per tu con la letizia, un sentimento che invoglia a investire in intelligenza, incuriositevi...
E ora leggiamo un frammento dal Dialogo della Natura e di un Islandese.
Giacomo Leopardi, Operette morali
DIALOGO DELLA NATURA E DI UN ISLANDESE
ISLANDESE In fine, io non mi ricordo aver passato un giorno solo della mia vita senza qualche pena; e non posso numerare quelli che ho consumati senza un’ombra di godimento: mi avveggo che ci è destinato tanto il patire quanto il non godere; e mi risolvo a conchiudere che tu la Natura sei nemica scoperta degli umani, e degli altri animali, e di tutte le opere tue; che ora c’insidii ora ci minacci ora ci assalti ora ci pungi ora ci percuoti ora ci laceri, e sempre o ci offendi o ci perseguiti; e che, per costume e per instituto, sei carnefice della tua propria famiglia, e, per dir così, del tuo sangue e delle tue viscere. Per tanto rimango privo di ogni speranza …
NATURA Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie sempre ebbi e ho l’intenzione a tutt’altro che alla felicità degli umani o all’infelicità loro. Quando io vi offendo in qualunque modo, io non me n’avveggo, così come se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni per dilettarvi o giovarvi. E finalmente se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei affatto. …
L’antico termine norreno Eddjá che significa “fessura lavica” ha, quindi, una valenza letteraria [c’è sempre un’identità tra la natura e la cultura].
Il termine Edda [secondo i redattori de Il Mercurio tedesco e secondo le studiose e gli studiosi contemporanei di filologia] corrisponde all’antico termine norreno Eddjá che letteralmente significa “fessura lavica”, una spaccatura che, in senso metaforico, rappresenta la porta dell’Inferno. E i terribili fenomeni naturali che si sprigionano dalle fessure laviche hanno favorito la creazione dei mitici racconti nordici.
La rivista Il Mercurio tedesco porta all’attenzione i personaggi dell’Edda [passati metaforicamente dalla vulcanica porta dell’Inferno] e, in età moderna, fa entrare la loro epopea nell’immaginario germanico tramite la Letteratura del Romanticismo titanico. I personaggi [maschili e femminili] della tradizione dell’Edda, che la rivista Il Mercurio tedesco fa poeticamente rivivere, raggruppati in tre saghe principali, ci sono noti almeno di nome: la prima saga è quella dei Nibelunghi che in origine, nonostante il nome, escono dalla fessura come nani dispettosi e poi diventano guerrieri difensori di un tesoro nascosto; la seconda saga è quella delle Valchirie che sono fanciulle vergini e guerriere di straordinaria bellezza, e la più famosa si chiama Brunilde, ed è in relazione con il personaggio di Sigfrido; poi c’è la saga di Odino [uno Zeus nordico] il dio della tempesta, della guerra e della poesia tragica. I personaggi dell’Edda diventano rilevanti perché alla metà dell’800 entrano in un ciclo melodrammatico creato dal compositore Richard Wagner [1813-1883] con la famosa tetralogia L’anello del Nibelungo formata da quattro opere liriche intitolate L’oro del Reno, La valchiria, Sigfrido e Il crepuscolo degli dèi: nella musica di Wagner traspare - in chiave romantica - il senso della Natura selvaggia che ha fatto nascere, in età antica, i grandi racconti mitici del nord contenuti nei carmi dell’Edda.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Navigando in rete potete raccogliere molte informazioni sui Nibelunghi, sulle Valchirie, su Brunilde, su Sigfrido, su Odino, e potete ascoltare molti brani musicali dalla Tetralogia di Richard Wagner, incuriositevi...
Wieland con la sua rivista ci ha permesso di incontrare la tradizione della Letteratura dell’Edda, ma non solo.
Sulla scia della rivista Il Mercurio tedesco diretta da Wieland, adesso [proiettandoci ai giorni nostri] possiamo effettuare una seppur breve ricognizione nella Letteratura islandese contemporanea, che risulta essere un oggetto semisconosciuto.
Il più importante scrittore islandese, al quale nel 1955 è stato assegnato il premio Nobel per la Letteratura, è Halldòr Kiljan Laxness [1902-1998] il quale è autore di opere significative che, per quanto riguarda i luoghi e i personaggi, contengono caratteristiche tipiche della tradizione tragica dell’Edda. Il romanzo intitolato Gente indipendente [del 1934, in due volumi] è una potente epopea della vita di lavoro e di sacrificio dei contadini islandesi, e il protagonista, Bj’artur [nel quale l’autore si riconosce], è, secondo la tradizione degli scaldi, un contadino-poeta dallo spirito indipendente e inflessibile, teso unicamente alla conquista della libertà che per lui significa l’indipendenza economica, e lotta quotidianamente contro la natura ostile trascurando gli affetti. Bj’artur combatte anche contro la superstizione ancora imperante nella campagna islandese [siamo alla fine dell’800], e attinge sempre nuove forze per la sua cultura personale dal mondo delle antiche saghe islandesi, dalla tradizione dell’Edda rivisitata in chiave moderna. Rimasto vedovo Bj’artur si risposa con una ragazza madre, emarginata dai pregiudizi sociali, attirandosi addosso tutto il sarcasmo feroce dei suoi concittadini. Anche questa seconda moglie muore e lui rimane con la figlia naturale, Asta Sollilja, verso la quale il contadino-poeta dimostra tutta la sua innata bontà, la delicata tenerezza di cui è capace, lo spirito umanitario che ogni persona responsabile deve saper possedere. Bj’artur è capace di dimostrare che i figli non sono una proprietà, che il valore del sangue è secondario e, prima, viene la solidarietà tanto nella famiglia che nella società, e questo aspetto dell’umanità del protagonista fa di questo romanzo un’opera di grande valore poetico oltre che sociale e politico.
L’opera di Laxness intitolata La campana d’Islanda è una trilogia storico-patriottica ambientata nell’Islanda del XVII secolo e comprende tre romanzi: La campana d’Islanda [1943], La fanciulla bionda [1944] e Incendio a Copenaghen [1946]. Questi romanzi raccontano la storia della lunga lotta degli Islandesi per la loro indipendenza dalla Danimarca, per liberarsi dallo sfruttamento attuato su di loro da parte dei commercianti danesi, e racconta il passaggio del paese da una civiltà di tipo pastorale e patriarcale a una società tecnico-industriale. Questi romanzi hanno accompagnato le fasi in cui l’Islanda raggiunse l’indipendenza: quando nel 1940 i nazisti hanno invaso anche la Danimarca è sorto il Movimento di Resistenza Islandese di cui Laxness ha fatto parte: i nazisti hanno fatto molti tentativi, tutti falliti, per invadere l’Islanda perché hanno trovato una forte resistenza, in quanto [racconta Laxness], sul territorio islandese gli antichi Nibelunghi e le Valchirie della tradizione dell’Edda hanno combattuto a fianco delle resistenti e dei resistenti ripudiando i nazisti che di quella tradizione se ne erano appropriati indebitamente. L’Islanda ha fatto da testa di ponte alle navi americane per lo sbarco in Normandia e il 17 giugno 1944, con un referendum popolare, il 95% delle Islandesi e degli Islandesi ha decretato la nascita della Repubblica d’Islanda e approvato la nuova Costituzione democratica.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
In biblioteca trovate le opere che abbiamo citato di Halldòr Kiljan Laxness, premio Nobel per la Letteratura 1955... Incuriositevi ché la curiosità invoglia la mente a fare ricerca...
E per concludere leggiamo un capitolo dal romanzo di Ödön von Horváth intitolato Gioventù senza Dio. La trama è intrigante e ha come protagonista un insegnate trentaquattrenne di Storia e Geografia che, in pieno regime nazista, non approva l’ideologia razzista e totalitaria imperante e propagandata, ma evita di opporvisi apertamente per non perdere il lavoro o subire rappresaglie peggiori; l’autore, oltre a descrivere il dissenso del protagonista per il deleterio influsso del regime sull’istruzione dei suoi giovani studenti [addestrati per la guerra], racconta e coinvolge chi legge in un episodio delittuoso sul quale vuole indagare per far emergere la verità, una verità che rivela un dramma più profondo e più insidioso che sta portando il Mondo alla rovina: un romanzo che continua a toccare temi di attualità,in primis quello della stupidità dilagante.
Ödön von Horváth, Gioventù senza Dio
I RICCHI PLEBEI
Dalle dieci alle undici avevo geografia. Dovevo restituire le composizioni sul tema delle colonie, corrette ieri. Come ho detto, le istruzioni ricevute non mi permettono di discutere i compiti dei miei scolari. Mi limitai, dunque, restituendo i quaderni, a fare delle osservazioni sullo stile, sull’ortografia e su altri particolari di pura forma. Ma, restituendo il quaderno a N, non potei trattenermi dal dirgli: “Scrivi che noi bianchi siamo, per cultura e civiltà, superiori ai negri, e probabilmente hai ragione. Ma hai torto di scrivere che non ha importanza che i negri vivano o no. I negri sono uomini come noi”. Il ragazzo mi guardò fisso un momento e un’espressione sgradevole passò sul suo viso. O m’ero ingannato? Prese il quaderno col voto buono, si inchinò compito e andò al suo posto. Dovevo presto convincermi che non mi ero ingannato. Non più tardi dell’indomani, il padre di N venne a trovarmi durante l’ora di colloquio che devo tenere una volta la settimana per rimanere in contatto coi genitori. Essi vengono a informarsi dei progressi dei loro figli, e fanno ogni genere di domande, la maggior parte stupide, sui problemi dell’educazione. Sono dei borghesi. Operai nessuno. Ci limitiamo a sorriderci, a guardarci e a parlare del tempo che fa. La maggior parte sono più vecchi di me, uno, anzi, è vecchissimo; il più giovane ha appena compiuto i ventott’anni. Penso: anche tu potresti avere un figlio, ormai. Ma perché, rifletto, mettere al mondo dei figli per vederli morire in guerra? Dunque, il padre di N mi stava davanti. Era entrato con passo sicuro e mi guardava fisso negli occhi: “Sono il padre di Otto N”. “Lieto di fare la sua conoscenza”. Mi inchinai come di dovere, e offrii una sedia, che egli rifiutò. “Signor professore,” cominciò, “sono qui per una cosa della massima importanza e le cui conseguenze potrebbero essere gravissime. Mio figlio Otto mi ha detto ieri, indignato, che lei, signor professore, si è lasciato sfuggire un’affermazione addirittura inaudita”. “Io?”. “Sì, lei”. “E quando?”. “Ieri, durante la lezione di geografia. I ragazzi avevano fatto un componimento sul tema delle colonie. E lei ha detto a Otto: “I negri sono uomini come noi. Capisce che cosa intendo dire?”. “No”. Ma quanto è stupido, pensai. “La mia presenza qui,” riprese con voce lenta e grave, “è motivata dal fatto che ho sempre avuto la passione della giustizia. Sono dunque qui per chiederle: quella fatale dichiarazione sui negri è stata proprio fatta nelle circostanze e nelle forme che ho riportate?”. “Sì,” dissi sorridendo. “E la sua presenza qui sarebbe motivata…”. “Prego, un momento,” m’interruppe: “mi sembra che lei non si renda ben conto di che cosa significhi una simile dichiarazione sui negri. È una forma di sabotaggio della patria. Oh, so bene che cosa dirà! Ma io conosco le vie perfide e segrete attraverso le quali il veleno di voi umanitari cerca di minare le innocenti anime dei ragazzi”. Era troppo. “Mi permetta, esclamai, “anche nella Bibbia si legge che tutti gli uomini sono fratelli”. “Quando la Bibbia è stata scritta non c’erano ancora le colonie come le intendiamo noi,” rispose imperturbabile il fornaio. “Non se la caverà tirando in ballo Iddio. Ci sono qui io a sorvegliare, stia tranquillo”. “Non sorveglierà un bel niente,” risposi. E lo invitai ad uscire. Era una messa-alla-porta in piena regola. “Ci rivedremo a Filippi,” mi gridò, e scomparve. E due giorni dopo mi trovai a Filippi. Il preside mi chiama. “Ho qui una lettera dell’ispettore generale,” dice. “Un certo N, fornaio, si è lagnato di lei … per certi discorsi … Capisco bene, so come nascono queste cose, non ha bisogno di spiegarsi; tuttavia, caro collega, è mio dovere richiamare la sua attenzione sulla necessità che questi incidenti non si ripetano. Ha dimenticato la circolare confidenziale n. 5679 u/33? Dobbiamo evitare tutto ciò che possa, in un modo o nell’altro, incrinare le future capacità militari dei giovani; in altre parole, dobbiamo prepararli moralmente alla guerra. Punto e a capo!”. Guardai il preside. Indovinò i miei pensieri e sorrise. Si alzò e si mise a camminare in su e in giù. È un bel vecchio, pensavo. “Lei si meraviglia,” mi disse tutto d’un tratto, “di vedermi dar fiato alle trombe di guerra: e ha ragione di meravigliarsi. Guarda un po’, lei pensa. Qualche anno fa, firmava appassionati messaggi di pace: e oggi? Oggi prepara la gioventù al massacro”. “So che ci è costretto,” dissi, per tranquillizzarlo. Si fermò davanti a me e mi guardò: “Giovanotto,” riprese con voce severa, “ricordi bene una cosa; non ci sono costrizioni di sorta. Potrei oppormi allo spirito dei tempi e farmi mettere in galera da un fornaio; potrei andarmene; ma non voglio perché desidero raggiungere il limite d’età e avere diritto all’intera pensione”. Magnifico, pensai. “Mi ritiene un cinico, vero? Ma noi tutti, che abbiamo aspirato ad un’umanità migliore, abbiamo dimenticato una cosa: l’epoca! L’epoca in cui viviamo. Viviamo in un mondo proletario,” riprese, scrollando tristemente la testa. “Ricordi l’antica Roma, se può, nel 287 a.C. la lotta tra patrizi e plebei non era ancora decisa, ma i plebei avevano già occupato i posti preminenti dello Stato”. “Permette, signor preside,” osai obbiettare; “che io sappia, non sono i plebei che governano, oggi, ma il denaro”. Mi guardò sorpreso e sorrise. “Esatto, ma devo darle un brutto voto in storia, signor professore di storia. Lei dimentica che c’erano anche dei plebei ricchi. Ricorda?”. “Oh, ricordo, certo, ricordo. I plebei ricchi abbandonarono il popolo, e costituirono coi patrizi già un po’ decadenti la nuova aristocrazia, i cosiddetti ottimati”. “Non se ne dimentichi!”. “No, non tema, non me ne dimentico”. …
La rivista Il Mercurio tedesco diretta da Christoph Martin Wieland ci ha portato a viaggiare dentro al fantastico territorio dei miti nordici che, come tutte le mitologie di ogni dove, sono inclini a personificare la Natura che di per sé è indifferente. Ma il nostro incontro con Christoph Martin Wieland non è ancora terminato perché altre due opere di Wieland meritano di essere prese in considerazione e sarebbe un peccato non farlo. E poi Goethe, come sappiamo, è in procinto [sta studiando] di partire per l’Italia e sarebbe un peccato non seguirlo [a febbraio] in giro per la penisola.
E allora: siccome non vogliamo peccare dobbiamo procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé consapevoli del fatto che non dobbiamo mai perdere la volontà di imparare, per questo la Scuola è qui e il viaggio continua…