ASSOCIAZIONE ARTICOLO 34 - «LA SCUOLA È APERTA A TUTTI»
PERCORSO DEL PENSIERO UMANO IN FUNZIONE
DELLA DIDATTICA E DELLA SCRITTURA
Prof. Giuseppe Nibbi
In viaggio sul territorio del Romanticismo titanico
19-20-21 marzo 2025
SUL TERRITORIO DEL ROMANTICISMO TITANICO
SI SVILUPPA IL DIBATTITO SUL MODO DI “FARE TEATRO” …
Questo è l’undicesimo itinerario del nostro viaggio sul territorio del Romanticismo titanico e come abbiamo detto al termine dell’itinerario scorso a partire dal 1794 Goethe e Schiller diventano grandi amici.
Goethe e Schiller si conoscono a Weimar, leggono reciprocamente le loro opere, fraternizzano, ma il loro non è un rapporto facile anche se risulta proficuo e decisivo per entrambi. La forza del legame tra Goethe e Schiller sta nel fatto che sono uno l’opposto dell’altro e proprio per questo si completano a vicenda. La fine di questo legame, nel 1805, avviene con la morte di Schiller: «Lascia [scrive Goethe] un vuoto e una solitudine definitiva nella mia vita.».
Il primo atto nel rapporto di collaborazione tra i due consiste nella sollecitazione, da parte di Schiller, perché Goethe termini un’opera che aveva lasciato in sospeso dieci anni prima, e Goethe segue questo consiglio. La sollecitazione di Schiller non è casuale perché lui arriva a Weimar sulla scia del grande successo che ha ottenuto nel 1782 con la sua prima opera teatrale e per questo vuole coinvolgere fattivamente Goethe in un dibattito, iniziato da tempo, sulla funzione che deve avere il Teatro in una società.
Il Romanticismo [titanico, in particolare] è un movimento intellettuale che propone e sviluppa un ampio e pressante dibattito sulla funzione morale che deve avere il Teatro e su quali devono essere le forme e i contenuti più appropriati da proporre sul palcoscenico. L’esperienza poetica di Schiller viene considerata la sintesi più completa del dibattito sul valore del Teatro e sul significato da dare all’espressione “fare Teatro”.
Goethe dal 1777 al 1785 si era dedicato a comporre un romanzo sulla figura di Wilhelm Meister [Guglielmo (il) Maestro], un’opera scritta in onore di Shakespeare: e sappiamo che le opere di Shakespeare hanno influenzato profondamente il movimento romantico. La prima stesura di questo romanzo s’intitola La missione teatrale di Wilhelm Meister in cui Goethe narra le vicende del giovane protagonista che, spinto dalla sua vocazione teatrale, rinuncia a un solido futuro nel mondo del commercio preferendo unirsi a una compagnia di attori girovaghi. La missione teatrale di Wilhelm Meister è un significativo affresco molto realistico dell’ambiente teatrale di questo periodo, la fine del ‘700, nel quale il Teatro è visto come un luogo di formazione, una Scuola di educazione sentimentale. Ma questo romanzo rimane incompiuto e solo nel 1794 Goethe, sollecitato da Schiller, ne comporne una nuova versione ultimata nel 1796 dal titolo Wilhelm Meister. Gli anni dell’apprendistato.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il Teatro è un’esperienza che diverte, e fa riflettere: quale rappresentazione teatrale - a cui avete partecipato – vi è rimasta più impressa?...
Scrivete quattro righe in proposito…
Goethe, nella nuova versione del romanzo intitolata Wilhelm Meister. Gli anni dell’apprendistato, narra l’esperienza teatrale del protagonista limitandola al primo stadio del suo sviluppo psicologico e spirituale. L’educazione di Wilhelm [Guglielmo], il suo noviziato, in questa seconda edizione, non avviene più all’interno di una compagnia teatrale ma nell’ambito di una confraternita misteriosa e segreta, chiamata la Società della Torre, che orienta e sostiene il giovane protagonista nelle varie tappe della sua formazione fino al raggiungimento della piena maturità. Wilhelm Meister. Gli anni dell’apprendistato viene considerato il primo “romanzo di formazione” della Letteratura “romantica”, ma in realtà il primo romanzo “romantico” di formazione è Storia di Agatone di Wieland, che abbiamo incontrato strada facendo.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Il testo di Wilhelm Meister. Gli anni dell’apprendistato lo potete richiedere in biblioteca, si tratta di una lettura impegnativa ma interessante dalla quale bisogna lasciarsi incuriosire...
La trama di Wilhelm Meister. Gli anni dell’apprendistato, sebbene complessa e molto articolata, è chiara, e in essa c’è un elemento che deve essere messo in evidenza.
Goethe, nel testo di Wilhelm Meister. Gli anni dell’apprendistato, presenta una figura letteraria molto significativa: il personaggio di Mignon, e c’è chi sostiene che Mignon - giovanissima ragazza vestita da ragazzo - sia il personaggio principale del romanzo e, difatti, è una figura poetica che ha lasciato il segno in Letteratura. Goethe dichiara di aver mutuato il modello della figura di Mignon dal personaggio di Preziosa creato da Miguel de Cervantes [1547-1616]. Goethe legge le Novelle esemplari di Cervantes, una raccolta di dodici racconti pubblicata a Madrid nel 1613, e la prima novella s’intitola La gitanilla, “La zingarella”, di nome Preziosa.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
E Goethe ci consiglia di richiedere in biblioteca le Novelle esemplari di Cervantes e di leggere il testo della prima novella intitolata La zingarella… Incuriositevi...
Anche Mignon è una zingarella, sottratta da Wilhelm ad alcuni venditori ambulanti [una specie di troupe di saltimbanchi] che la maltrattavano, ed ella naturalmente mostra un grande attaccamento verso di lui, mentre la storia della sua vita precedente rimane enigmatica e solo alla fine viene svelata: ciò che si sa subito riguarda l’origine italiana di Mignon, un personaggio tutto sensibilità che soffre di un’infinita nostalgia dell’Italia, e Goethe, nel corso del racconto, le fa recitare versi suadenti rivolti al Bel Paese, il Paese dove fioriscono i limoni, espressione che diventa celebre. Mignon sollecita continuamente Wilhelm a viaggiare verso l’Italia, ciò non avviene e lei non torna più nella sua terra: muore prima consunta da questo desiderio.
Mignon è una metafora letteraria animata dal sentimento e scossa da violenti spasimi “romantici”, è una figura quasi senza corpo e sembra volare quando sta accanto a Wilhelm, è dotata di una grande vitalità che è tutta istinto, tutta intuito, tutta genialità [“genio e natura”, sono le parole-chiave dello Sturm und Drang]. La figura di Mignon porta con sé le particolari caratteristiche del frutto del limone.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Per Goethe il limone è un frutto straordinario [è un’allegoria poetica], e penso che voi possiate scrivere quattro righe sull’uso che preferite fare di questo, come scrive Goethe: «meraviglioso dono della Natura, aspro ma amabile alleato del metabolismo umano»…
Mignon sa cantare [così come Preziosa nella prima Novella di Cervantes] e una delle canzoni che interpreta, quella che ama maggiormente, s’intitola Conosci il paese dove fioriscono i limoni? Leggiamo i famosi versi del ritornello di questa canzone.
Johann Wolfgang Goethe, Wilhelm Meister. Gli anni dell’apprendistato
Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni? | Tra le verdi foglie i loro frutti risplendono come astri d’oro | Il vento spira dall’azzurro cielo per sollevare in aria gli aquiloni | Tranquillo è il sacro mirto e sereno è il sempreverde alloro | So che questo bellissimo paese tu lo conosci e tu lo sai amare | E sai anche che con te, mio caro bene, laggiù vorrei andare! …
C’è una testimonianza di Goethe riguardo al personaggio di Mignon: riflettiamo.
Friedrich von Müller [1779-1849] è un uomo politico, un diplomatico, che ha frequentato Goethe conversando a lungo con lui, e ha pensato bene di annotare sistematicamente sul suo diario, in uno stile molto diretto, i contenuti delle loro conversazioni, e questo diario è stato pubblicato nel 1870, quarant’anni dopo la morte di Goethe, con il titolo Colloqui con il cancelliere von Müller, e naturalmente questo testo è una miniera di informazioni. «Goethe mi ha confessato [scrive von Müller] di avere scritto il romanzo su Wilhelm Meister solamente per lei, per il personaggio di Mignon.». Effettivamente questa figura “romantica” ne ha generate molte di simili e Novalis, Arnim, Brentano, Hoffmann, Heine, Kleist creano delle figure poetiche che sono tutte sorelle di Mignon: anche il personaggio della zingara Esmeralda in Notre-Dame de Paris di Victor Hugo [1831, che conoscete] fa parte di questo filone. Mignon non poteva non diventare protagonista del genere melodrammatico, ed esiste un’opera intitolata Mignon del compositore francese Ambroise Thomas [1811-1896] rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1866 contenente [secondo le studiose e gli studiosi] pagine di grande valore melodico.
La figura di Mignon di Goethe, e tutte le figure che si assomigliano a lei, sono portatrici di un tragico destino, le loro origini sono oscure e vivono ai margini della società, e per queste loro caratteristiche personificano l’aspetto irrazionale, misterioso, morboso e anche un po’ demoniaco del genio poetico “romantico” e i loro autori s’identificano con questi personaggi sui quali scaricano il loro bisogno di eroismo e il loro bisogno di essere un po’ commiserati. «Racchiuso nell’animo e nella mente di ogni autentico [“romantico”] poeta [scrive von Müller, citando Goethe] c’è una Mignon con cui identificarsi.».
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
In biblioteca potreste richiedere [per leggerne qualche pagina] Colloqui con il cancelliere von Müller [tradotto da Renzo Gabetti, Astrolabio 1954], tanto per incuriosirsi...
La saga di Wilhelm Meister si presenta come una trilogia: la prima parte, La missione teatrale, è stata assorbita dalla seconda, Gli anni dell’apprendistato, e la terza parte?
Nel 1821, dopo venticinque anni, Goethe comincia a scrivere la terza parte della saga su Wilhelm Meister, la intitola Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister ovvero Coloro che rinunziano e ne conclude la composizione nel 1829.
Goethe narra l’inserimento di Wilhelm nella vita attiva: ha studiato diligentemente per diventare un medico e un cittadino utile alla società. Goethe racconta i viaggi intrapresi da Wilhelm per completare la sua formazione, e inserisce nel testo una serie di novelle, molte poesie e brani di diario: con questa operazione rompe la cornice formale del romanzo dando un valore sperimentale a quest’opera che non si presenta più organizzata in modo chiuso, rotante attorno a un unico nucleo tematico; questa frammentazione del testo, scrive Goethe: «risponde alla stessa disgregazione che sta subendo l’animo della persona la quale ha perso la visione unitaria e armonica della realtà»: Goethe più invecchia e più diventa pessimista.
Le tre tappe dell’opera su Wilhelm Meister [La missione teatrale del 1785, Gli anni di apprendistato del 1796 e Gli anni di pellegrinaggio del 1829] documentano con il trascorrere degli anni il cambiamento di prospettiva di Goethe sul tema dell’educazione: la formazione attraverso il Teatro, della prima fase, è influenzata dall’idea, tipica del movimento dello Sturm und Drang, secondo cui la persona si forma in base alla propria determinazione interiore per cui la vocazione per il Teatro di Wilhelm è il simbolo del suo destino: «Scegli quello che tu senti di voler fare perché il tuo destino s’identifica con le tue aspirazioni.». Siccome questo non è sempre possibile ne Gli anni di apprendistato Goethe propone per Wilhelm una concezione classico-umanistica della formazione [lo studio dei Classici] che prevede una maturazione guidata e programmata che favorisca uno sviluppo armonico: c’è bisogno della Scuola, più che del palcoscenico. Infine, ne Gli anni di pellegrinaggio, il vecchio Goethe, diventato pessimista sulla possibilità di poter cambiare la società in meglio, pensa che la persona debba essere educata a rispettare i cicli e il mistero della Natura e ad attuare i valori [uguaglianza, giustizia, pace, solidarietà, misericordia] contenuti nella Letteratura evangelica. La comparsa di un sentimento pessimista nell’animo di Goethe va fatta risalire all’anno 1805 in relazione alla morte di Schiller. Sappiamo che il rapporto tra i due non è stato facile ma li legava dal 1794 una profonda amicizia, documentata da un Carteggio pubblicato dall’Istituto Italiano di Studi Germanici – Quodlibet, che ha permesso loro di lavorare insieme: nel 1796 scrivono a quattro mani una raccolta di epigrammi intitolata Xenien [in greco “xenia” è “l’ospitalità”] per polemizzare causticamente contro i bacchettoni [prendono in giro una serie di personaggi che: «Si aggirano nel mondo della cultura cercando chi divorare per nutrire meglio la loro presuntuosa ignoranza.»]. La morte di Schiller lascia nell’animo di Goethe un vuoto e nella sua vita aumenta il senso di solitudine e nella sua mente il tasso di pessimismo.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Per Goethe ci sono alcune parole-chiave e una serie di avvenimenti [da cogliere leggendo la saga di Wilhelm Meister] che legano il suo stato d’animo al pessimismo… Quale parola vi fa venire in mente il termine “pessimismo”, oggi?...
Scrivete quattro righe in proposito…
È tanto che citiamo Schiller ma [è l’ora di domandarsi]: chi è questo multiforme personaggio, al pari di Goethe: poeta, filosofo, storico, drammaturgo, medico?
Friedrich Schiller è nato il 10 novembre 1759 a Marbach am Neckar, una cittadina del Baden-Württemberg vicino a Stoccarda, a Mannheim e ad Heidelberg: non si può fare a meno di visitare quest’area geografica e queste città.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con una guida della Germania e navigando in rete visitate Marbach am Neckar [cittadina che ha oggi circa 16 mila abitanti] dove la presenza di Schiller è tuttora viva e tutto parla di lui. anche l’importante Museo di Letteratura Moderna, LiMo, inaugurato nel 2006 e progettato dall’architetto britannico David Chipperfield (nato a Londra nel 1953 e membro onorario dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze) al quale per questo progetto, per la sua funzionalità, è stato assegnato il Premio Stirling nel 2007... Incontrare Schiller significa riflettere sul presente, incuriositevi...
La famiglia di Schiller è di modeste condizioni economiche: suo padre, Johann Caspar, è un ufficiale [con il ruolo di chirurgo, senza essere medico] dell’esercito ducale del Baden-Württemberg, e sua madre, Elisabeth Dorotea Kodweiss, è una donna gentile e intelligente, di fervente fede religiosa e assidua lettrice di Letteratura devozionale. Friedrich, come ha scritto lui stesso, ha ereditato dalla madre una natura emotiva e altruista e dal padre l’onestà e un’infaticabile energia. Friedrich, da bambino nel paese di Lorch, prende Lezioni dal pastore Moser, un bravo insegnante allievo di Kant, che lo educa allo studio dei Classici [gli insegna il Latino, il Greco, l’Ebraico] e ad amare il Teatro e la poesia e lo indirizza “ad ascoltare la voce della propria coscienza” in chiave luterana ma anche illuminista, e Friedrich si avvia verso la carriera ecclesiale incoraggiato dai genitori che lo iscrivono alla Scuola di Teologia di Ludwigsburg.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
La città di Ludwigsburg nel Baden-Württemberg, a nord di Stoccarda, ha oggi circa 95 mila abitanti ed è sorta dal 1704 attorno a un grandioso Castello… Il Castello di Ludwigsburg è stato fatto costruire dal 1704 al 1733 dal duca Eberardo Ludovico di Württemberg: l’architettura di questa costruzione - compreso il bellissimo parco barocco e “il giardino delle fiabe” - s’ispira alla reggia di Versailles...
Con una guida della Germania e navigando in rete fate visita a questo monumento [che anche Schiller ha potuta ammirare], incuriositevi...
Alla Scuola di Teologia di Ludwigsburg, dove si studia anche la Letteratura e si fa Teatro, Friedrich si distingue come studente molto dotato, e succede che nel 1773 il duca Carlo Eugenio del Württemberg [il quale, a Stoccarda, fonda nel 1767 un’Accademia militare dove precetta - in modo dittatoriale - i giovani più promettenti per preparali a ricoprire incarichi alla Corte, nei Ministeri e nell’Esercito] impone a Friedrich di frequentare l’Accademia [suo padre tenta invano di far revocare questa decisione] e gli ordina di studiare giurisprudenza, disciplina “arida e rigorosa” per la quale Friedrich non nutre interesse. Per fortuna il duca, per contrastare l’Accademia di Tubinga, ha promosso la creazione di una facoltà di medicina e Friedrich chiede, insieme al suo compagno Wilhem von Hoven, di poter studiare questa materia [Friedrich e Wilhem prendono come esempio il medico svizzero Albrecht von Haller (1708-1777) che aveva conciliato bene la medicina con la poesia] e la loro richiesta viene accolta, senza conoscerne bene il motivo. Friedrich, alla facoltà di medicina dell’Accademia di Stoccarda, ha la possibilità di valersi delle appassionanti Lezioni [di fisiologia, patologia, semeiotica e terapeutica] del professor Johann Friedrich Consbruch [1736-1810]. Ma il giovane insegnate che ha influenzato maggiormente Schiller, e con il quale stringe amicizia, è stato Jakob Friedrich von Abel [1751-1829] che ha fatto nascere in lui l’interesse per la nascente psicologia e in particolare per la psicopatologia, disciplina idonea a curare la salute mentale, i disturbi che colpiscono il pensiero, i sentimenti e il comportamento di una persona. Ma von Abel è anche un poeta e fa conoscere a Schiller l’opera di Shakespeare, e lo fa riflettere sul tema della relazione tra il corpo e l’anima, tra la libertà mentale e quella spirituale della persona e sul tema [tipico dello Sturm und Drang] del rapporto tra la Natura e la genialità, per cui Schiller inizia a scrivere versi in forma di dramma.
Nel 1779 Schiller viene premiato dal duca [si classifica primo in chirurgia e in medicina clinica] e alla premiazione, insieme ad altre personalità, è presente anche Goethe che mette gli occhi addosso a questo ragazzo «di vent’anni, alto, pallido e dai capelli rossi». Quando nel 1780 Schiller si laurea in medicina vorrebbe emanciparsi, esercitare la libera professione, ma Carlo Eugenio gli assegna d’autorità l’incarico di medico dei reggimenti dell’esercito ducale [soggetto alla divisa e alla disciplina militare]. Schiller, sebbene assai contrariato, si prodiga con impegno in questo lavoro ma succede che un suo dramma viene rappresentato a Mannheim ottenendo uno straordinario successo e, a questo punto, dal 1782, trova il coraggio di disobbedire al duca e ne subisce le conseguenze.
Il dramma di Schiller che viene rappresentato il 13 gennaio 1782 al Teatro Nazionale di Mannheim s’intitola I masnadieri, e il direttore del Teatro, Wolfgang Herbert von Dalberg [1750-1806], entusiasta per il testo di quest’opera, ha voluto fortemente che si mettesse in scena e invita l’autore, che non conosceva, alla sera della prima. Schiller assai compiaciuto si allontana senza autorizzazione dal suo reggimento: la città di Mannheim, non lontana da Stoccarda, non era sotto il controllo del duca del Württemberg ma era nel territorio del principato del Palatinato renano, ma quando Schiller torna a Stoccarda, gratificato dal grande successo ottenuto, il duca Carlo Eugenio lo fa arrestare.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con la guida della Germania e navigando in rete fate visita a Mannheim, storica residenza del principe elettore del Palatinato, alla confluenza del Reno con il Neckar e oggi città di circa 320 mila abitanti della Renania-Palatinato con interessanti monumenti da mostrare, ed è l’unica città tedesca che ha una pianta quadrangolare, come Torino... Da Mannheim parte la Burgenstraße [La strada dei castelli] uno dei percorsi europei più interessanti che arriva fino a Praga e in rete trovate un itinerario fotografico di tutti luoghi storici che tocca questa via, incuriositevi sapendo che a Mannheim c’è anche una casa diventata monumento che ha ospitato Schiller la notte della trionfale prima de I Masnadieri...
Schiller, fin da giovanissimo, ha la vocazione per fare il poeta e, sia attraverso lo studio dei Classici e sia come medico, coltiva ideali libertari scrivendo versi in forma di dramma anche per reagire e per ribellarsi di fronte a situazioni in cui deve subire.
Il primo dramma in cinque atti che Schiller scrive e fa pubblicare nel 1781 s’intitola I masnadieri, che narra una vicenda legata alle figure di due fratelli: Karl e Franz Moor che sono nemici secondo il mito greco dei Pelopidi [nemici come Atreo e Tieste]. Schiller, oltre ai mitici, e dotti modelli della tragedia greca, ai quali farà sempre riferimento, inserisce nel testo di quest’opera [e ripeterà sempre questa operazione] elementi popolari e più diffusi, provenienti dai testi evangelici. Qui utilizza il tema de “la parabola del figliol prodigo”: infatti Karl se ne va di casa contro la volontà del padre [Maximilian, conte di Moor] ma, dopo un periodo di vita dissoluta vuole tornare, è pentito, e scrive una Lettera al padre perché lo riaccolga; il padre, che aveva continuato a sperare nel ritorno del figlio, accoglie questa Lettera con gioia, mentre il fratello Franz, che sperava di ereditare tutto il patrimonio paterno, non è affatto soddisfatto del ritorno di Karl ma fa finta di gioire e si offre di scrivere lui al fratello per invitarlo a tornare e, a nome del padre, invia a Karl una perfida Lettera con cui gli comunica che è stato ripudiato e diseredato. Karl, che crede che la Lettera sia stata scritta dal padre, non solo rimane deluso ma viene colto dall’ira contro tutto e contro tutti [da “menis”, l’ira funesta di Achille: compare sempre un elemento omerico insieme a quello tragico e a quello evangelico nelle opere di Schiller], e questa rabbia spinge Karl a porsi a capo di una banda di masnadieri con il proposito di vendicare ovunque torti e ingiustizie. Karl ha una fidanzata, Amalia von Edelreich, che lo ama e lo aspetta, e gioisce alla notizia, datagli dal padre, che Karl sarebbe ritornato presto, ma Franz, che si è invaghito di Amalia, vuole sedurla e finge di aver ricevuto un messaggio in cui si annuncia la morte del fratello masnadiero in combattimento; ma invece Karl è vivo e, spinto dalla nostalgia, decide di tornare alla casa paterna anche senza consenso e scopre i misfatti di Franz e, quindi, vorrebbe vendicarsi, ma intanto Franz gli racconta che il padre è morto dal dolore per averlo saputo masnadiero: Karl vorrebbe rinunciare alla vendetta perché ormai dubita che si possa ottenere giustizia con la violenza, ma poi scopre che il padre non è morto ma è stato imprigionato da Franz in una torre. Franz, messo alle strette, si sente condannato, maledice Dio, e si uccide. Karl va a liberare il padre, ma il padre lo respinge perché lo ritiene responsabile della morte del fratello che lui crede onesto, e muore di crepacuore. Karl incontra Amalia - Franz ha detto a Karl, mentendo, che Amalia si è lasciata sedurre da lui - e allora Karl, senza neppure interpellarla, la uccide [altro elemento che Schiller denuncia nelle sue opere è la violenza sulle donne]. A questo punto Karl viene investito da una terribile crisi di coscienza [qui entra in gioco l’elemento psicoanalitico]: potrebbe dileguarsi, darsi alla latitanza con la sua banda di masnadieri, invece decide di consegnarsi alla Giustizia, e va dal magistrato in tribunale a confessare le sue colpe e a raccontare il dramma della sua vita.
Schiller ne I masnadieri attacca le istituzioni sociali e politiche ma sottopone anche la coscienza del singolo individuo a un’analisi seria e realistica e mostra la contraddizione della ribellione irrazionale del suo eroe, la cui grandezza consiste nell’aver raggiunto, alla fine, una lucida consapevolezza della propria colpa e delle proprie responsabilità. La caratteristica dell’eroe schilleriano sta nel riconoscere di aver trasformato lo slancio positivo che deriva da una giusta ribellione [perché ribellarsi all’ingiustizia è giusto] in un comportamento riprovevole: se chi combatte l’ingiustizia si trasforma in malfattore la vittoria dell’ingiustizia è assicurata. Schiller mette in scena la sua coscienza tormentata in modo che possa infondere un’inquietudine che deve contagiare le spettatrici e gli spettatori dei suoi drammi.
Schiller porta in scena il conflitto tra la morale e il potere: perché la conquista del potere avviene sempre senza il rispetto della Legge morale? E la persona che si ribella [e ribellarsi è giusto] è consapevole della necessità di insorgere [perché bisogna insorgere] nel rispetto della Legge morale? Il dramma schilleriano, con le sue tematiche di attualità, costituisce un modello che ha avuto una grande influenza nella Storia del Teatro: Schiller ha dato forma al “poema drammatico di carattere storico-politico permeato da una profonda indagine psicologica” per ribadire quanto sia utile la funzione del Teatro nella società, per cui ogni persona dovrebbe “fare Teatro” in funzione pedagogica e psicoterapeutica: difatti, si è sempre parlato, e tuttora se ne parla, del carattere psicoterapeutico dei drammi di Schiller.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Schiller elenca quattro ragioni per cui la persona dovrebbe dedicarsi a “fare Teatro”: per conoscere meglio parti nascoste del proprio carattere [teatro è psicologia]; per stabilire nuove relazioni con le altre persone [teatro è socialità]; perché è un gioco con il quale la persona mette in scena aspetti inediti della propria personalità [teatro è rivelazione]; perché è utile per far conoscere alla persona le possibilità e i limiti del proprio corpo e della propria voce per meglio gestire le proprie potenzialità [teatro è corporeità]… Quale di queste ragioni, tutte importanti, mettereste per prima... Bastano due righe per dare un parere, esprimetelo...
Noi conosciamo il dramma Torquato Tasso e il poema idillico nazional-popolare Arminio e Dorotea di Goethe, ebbene, queste opere sono state scritte da Goethe seguendo la Lezione data nel decennio precedente da Schiller.
Schiller, dopo un mese di galera, quando viene scarcerato fugge da Stoccarda e, in precarie condizioni economiche e di salute, viene accolto in Turingia a Bauerbach dalla nobile famiglia Wolzogen e qui conosce le sorelle Caroline [1763-1847] e Charlotte Lengefeld [1766-1826] e con entrambe ha imbastito una relazione amorosa dalla dinamica piuttosto complicata e difficile da accertare: in proposito, attraverso i documenti disponibili, sono state scritte numerose opere dando rilievo a questo avvenimento. Prima Schiller, secondo i dati certi che si conoscono, ha coltivato una relazione con Caroline [la quale a 16 anni aveva dovuto sposare un nobile benestante più anziano di lei dal quale divorzia], però, lei ha preferito risposarsi con suo cugino Wilhelm von Wolzogen e, quindi, Schiller nel 1790 sposa la sorella più giovane Charlotte [e avranno quattro figli].
Caroline von Wolzogen [nata Lengefeld] è stata una valida scrittrice che ha prodotto nel 1830 una biografia Schillers Leben di Schiller [«Per smentire - così lei scrive - le insulse e banali biografie finora pubblicate»], ma soprattutto ha ottenuto un grande successo con un romanzo pubblicato nel 1798, che si pensava fosse stato scritto o da Goethe o da Schiller, intitolato Agnes von Lilien.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Mettendo insieme gli elementi che abbiamo citato nel 2014 il regista Dominik Graf ha girato un film intitolato Le amate sorelle [Beloved Sisters] che narra questa vicenda mettendo in evidenza la figura di Caroline von Wolzogen, donna dal forte carattere con una formazione intellettuale in anticipo su i suoi tempi… Sarebbe interessante vedere questo film, e poi di Charlotte Lengefeld, moglie e in seguito vedova di Schiller, avremo modo di parlarne ancora...
Sappiamo che Schiller, su invito di Goethe, dopo essere diventato il più celebre drammaturgo della sua epoca, comincia, a frequentare a Weimar il cenacolo della duchessa Anna Amalia, anche se si sposta spesso da una città all’altra.
Nel 1783 Schiller pubblica il dramma intitolato Fiesko [La congiura di Fiesco a Genova] che ha per argomento la rivolta di Genova comandata da Fiesco conte di Lavagna contro il tiranno Giannettino Doria che, nel testo dell’opera, risulta essere il fratello e successore di Andrea Doria, il fondatore, con la carica di “sindacatore perpetuo”, della potente Repubblica genovese. In realtà Giannettino Doria era il nipote di Andrea Doria, era il suo erede, ed è stato assassinato nel 1547 nella congiura dei Fieschi contro i Doria: quindi, il tiranno Giannettino Doria non è mai esistito in quanto tale [non ha fatto a tempo a diventare un tiranno, ammesso che ne avesse l’intenzione], ma è un personaggio teatrale costruito da Schiller per creare una drammatizzazione, per comporre un dramma ambientato in uno scenario spettacolare, quello della città di Genova, perché l’intento di Schiller, al quale non importa la storia di Genova, è quello di alludere esplicitamente a un uomo di potere che lui considera [ed è] un tiranno: il duca Carlo Eugenio di Stoccarda.
Al centro dell’opera c’è, come sempre nel dramma schilleriano, una coscienza inquieta, quella di Fiesco, in conflitto tra l’ambizione, perché vuole conquistare il potere con ogni mezzo, e la virtù, perché avendo patito l’ingiustizia dei Doria crede di poter governare in modo più giusto rispetto a loro. Schiller mette in scena la grande questione del fascino perverso che ha il potere, un tema che tratta in tutte le sue opere, e su questo tema vuol far riflettere il pubblico;e anche questo dramma, fin dalla prima rappresentazione all’Hoftheater di Bonn il 20 luglio 1783,] ottiene un successo straordinario.
Nel 1784 Schiller scrive e mette in scena il dramma Intrigo e amore. Una tragedia borghese [un altro successo strepitoso fin dalla prima al Schauspiel di Francoforte sul Meno il 13 aprile 1784] in cui il principale personaggio femminile si chiama Luisa Miller: quest’opera è imperniata sul tragico fallimento di un amore puro condannato dall’ambiente sociale [la piccola borghese Luisa Miller s’innamora ricambiata del nobile Ferdinand ma l’altolocato padre del giovane - inorridito che suo figlio possa sposare una ragazza di bassa condizione sociale - trama affinché questa relazione fallisca]. Anche nel testo di questo dramma è facile riconoscere la corte assolutistica e tirannica di Stoccarda dove si era presentato qualcosa di simile. Sempre nel 1784 Schiller scrive e tiene un discorso, in vari Circoli culturali di numerose città, intitolato Il palcoscenico come istituzione morale che diventa un manifesto del Teatro “romantico”, Schiller avrebbe detto “neoclassico, in cui afferma che «il dramma deve essere come il tribunale dell’anima e come lo specchio dei tempi» rilanciando, in termini nuovi, la concezione della Tragedia classica come luogo del “dikasterion” [il tribunale] «dove [attraverso la catarsi, la rigenerazione] si possano riconoscere le proprie colpe per mettere fine alla catena dell’orrore, dell’inganno, della maledizione e della vendetta [al dòlos].».
Schiller, con la sua produzione drammatica, compie un’importante riflessione filosofica sul modo e sugli obiettivi morali da perseguire facendo Teatro, e il Teatro schilleriano rappresenta la continuazione di un cammino che, partendo dall’attività dei tragici greci: Eschilo, Sofocle, Euripide, percorre tutta la Storia del Pensiero Umano. Schiller usa con maestria la scena teatrale e la struttura drammatica ricucendo insieme gli stampi classici antichi [tò tragòs oidos], con i modelli popolari medioevali [la chanson de geste] e rinascimentali [il poema epico cavalleresco], mettendo al centro dell’azione un tipo di dialogo moderno, più agile, più comprensibile, più accattivante, dove la coscienza dei personaggi parla a voce alta e svela le preoccupazioni, le ambiguità, le meschinità e i sentimenti che covano nel loro intimo. Dal punto di vista dei contenuti nella tragedia schilleriana si fa un uso spregiudicato dei fatti storici e un uso politico degli avvenimenti perché Schiller è “un libertario” e vuole sostenere una battaglia politica che è poi diventata contagiosa: difatti, in Italia Schiller, nel giro di qualche decennio, diventerà “un paladino risorgimentale” caro a Mazzini a Garibaldi a Cattaneo a Giuseppe Verdi: le opere di Schiller vengono utilizzate per far nascere nel popolo italiano l’ideale dell’Unità nazionale e dell’Indipendenza perché il Teatro, secondo l’idea schilleriana, deve avere una capacità educativa per le cittadine e i cittadini. Il Teatro non deve servire a insegnare la Storia perché il pubblico, che va educato in proposito, deve sapere che sul palcoscenico la Storia è stata drammatizzata perché il Teatro deve portare un attacco vibrante contro le istituzioni di potere quando praticano l’ingiustizia e deve anche mostrare la complessità psicologica, la profondità umana e le contraddizioni reali dei personaggi [delle eroine e degli eroi] perché anche la persona che si ribella [e ribellarsi è giusto contro l’ingiustizia, sostiene Schiller che fa introspezione su se stesso] non è mai integra e pura fino in fondo perché non sarebbe reale. La persona ribelle non è immune dall’ambiguità e, di conseguenza, quando decide di ribellarsi per combattere l’ingiustizia [e questo è un ideale da perseguire caparbiamente, afferma Schiller] deve saper maturare una lucida coscienza delle proprie responsabilità, e «il compito del Teatro [scrive Schiller] è quello di responsabilizzare il pubblico in modo che si identifichi nelle tragiche contraddizioni da cui neppure la persona eroica è immune, e la libertà individuale consiste in questa presa di coscienza che porta ad acquisire il diritto di cittadinanza. La lotta contro il tiranno che la persona deve condurre comincia con la ribellione contro il tiranno che si annida dentro di essa; in questo modo la persona può dare alla propria coscienza una valenza politica.»: questa affermazione di Schiller, che attribuisce alla coscienza individuale una valenza politica, si presenta in primo luogo come un’affermazione di tipo poetico ma contiene anche un concetto filosofico che apre la strada a quella corrente di pensiero che è stata chiamata “l’Idealismo” e di cui ci occuperemo.
Nel 1785 Schiller scrive Ode alla gioia, un Inno in cui, con grande pathos, descrive l’ideale di una società formata da persone legate tra loro da vincoli di gioia e di amicizia universale [sulla rete trovate il testo di quest’Ode e potete leggerlo], poi fa pubblicare un’opera intitolata Poesie filosofiche in cui spicca il poemetto Gli dèi della Grecia dove emerge la nostalgia per quell’antico mondo favoloso e fecondo dal punto di vista poetico [«Senza gli dei della Grecia - sostiene Schiller - la realtà diventa impoetica.»] perché la ragione, il sentimento e la natura erano intimamente legati tra loro: «Mentre [scrive Schiller provocatoriamente] un Dio unico e trascendente è assolutamente altro rispetto al mondo e alla natura che ha creato. Con il razionalismo il sentimento umano è stato soffocato. Con lo scientismo la natura è un infernale meccanismo. E dove un tempo Elios [dio del Sole] guidava il suo carro dorato ora ruota una morta palla di fuoco e in tutta la realtà l’afflato poetico si spegne a poco a poco. ». Sulla rete trovate il testo di questo poemetto e potete leggerne i versi, sono solo 128.
Nel 1787 Schiller porta a termine un altro dramma, il poema drammatico in pentapodie giambiche (gruppi di cinque versi) intitolato Don Carlos, che prima, dopo aver fatto approfondite ricerche storiche, aveva concepito in prosa. Sullo sfondo di questo poema drammatico di carattere storico-politico e psicologico c’è la lotta di liberazione dei Paesi Bassi contro Filippo II di Spagna. Don Carlos [1545-1568], figlio di Filippo II re di Spagna e di Maria Emmanuela del Portogallo, come riferiscono i documenti ufficiali di corte, aveva dato, fin da bambino, “segni di squilibrio mentale” e, forse, questo era solo un pretesto [scopre Schiller], escogitato da Filippo II per poter accusare e ripudiare la moglie Maria Emmanuela e poter sposare nel 1554, per convenienza politica, Maria Tudor, regina d’Inghilterra. La condizione psicologica di Don Carlos [ironizza Schiller] dipende senz’altro dal nefasto comportamento paterno, «ma i re [scrive Schiller beffardo], prima sono pessimi re, e poi sono repellenti mariti e orribili padri. E ciò rende la monarchia nefasta.». Anche quest’opera, dall’intreccio complesso, riscuote un grande successo così come anche tutti gli altri drammi che Schiller ha composto dopo essersi preso un momento di pausa per dedicarsi allo studio delle Opere di Kant, finché Goethe lo sollecita perché torni a dedicarsi al Teatro. Schiller, dal 1798, scrive e mette in scena la prima tragedia della cosiddetta Trilogia di Wallenstein, composta da tre drammi intitolati Il campo di Wallenstein, “I Piccolomini e La morte di Wallenstein, che narra una serie di vicende ispirate alla Guerra dei trent’anni [1618-1648]:, il protagonista, il duca di Wallenstein, che desidera porre fine alla guerra per poter governare in pace la Boemia, non riesce in questo intento perché contro di lui congiura l’imperatore Ferdinando II e, quindi, il duca di Wallenstein, alla fine, con l’inganno, viene ucciso dai sicari imperiali mentre la guerra si allarga portando rovina e morte. Anche gli altri drammi che Schiller compone nei primi anni dell’800 - Maria Stuarda, La pulzella d’Orléans e Guglielmo Tell [l’ultimo dramma di Schiller del 1804] - ottengono uno strepitoso successo. Tutte insieme queste opere schilleriane hanno favorevolmente influenzato gran parte della cultura europea, da Puskin a Beethoven che, come sapete, ha musicato l’Inno alla gioia nel finale della Nona sinfonia [che è diventato l’Inno dell’Europa], mentre Giuseppe Verdi ha messo in musica - su Libretti tratti dai drammi di Schiller [da Temistocle Solera, Andrea Maffei, Salvatore Cammarano, Joseph Méry e Camille du Locle] - le opere Giovanna d’Arco [1845], I masnadieri [1847], Luisa Miller [1849] e Don Carlo [1867]; inoltre Gioacchino Rossini ha musicato nel 1828, l’ultima sua opera, Guglielmo Tell, sul Libretto italiano di Calisto Bassi.
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
In biblioteca e sulla rete trovate i drammi più significativi di Schiller – I masnadieri, Fiesko, Intrigo e amore, Don Carlos, la Trilogia di Wallenstein, Maria Stuarda, La pulzella d’Orléans, Guglielmo Tel” - leggetene qualche pagina, e poi, per quanto riguarda le opere di Giuseppe Verdi e di Gioacchino Rossini tratte dai componimenti di Schiller, non resta che ascoltarle… Incuriositevi...
A questo punto, dopo aver parlato del contenuto dei suoi drammi, si potrebbe pensare che Schiller sia stato un inguaribile pessimista, è così?
Contrariamente a quanto si possa pensare leggendo i testi dei suoi drammi, Schiller non cede mai al pessimismo e questo avviene soprattutto perché si è dedicato con impegno [come noi nel Percorso dello scorso anno] allo studio delle Opere di Kant. Schiller ha portato la Lezione di Kant [sulle Critiche: della ragion pura, della ragion pratica e del giudizio] a Weimar nel cenacolo della duchessa Anna Amalia e lo studio del pensiero di Kant ha prodotto conseguenze positive in quel circolo di intellettuali: su queste conseguenze sarà interessante riflettere in relazione al fatto che finora abbiamo assistito soprattutto a un dibattito sulla Natura in cui la domanda fondamentale era: la Natura è buona o è cattiva? Adesso, nel cenacolo di Weimar, la domanda fondamentale cambia e ci si domanda preferibilmente: la Natura è bella o è brutta? E se è bella, come spesso ci appare, perché, per quale ragione possiamo affermare che è bella? Ma non sempre la Natura è bella, e quando ci appare brutta può avere comunque, ci si domanda nel cenacolo di Weimar, una sua bellezza per cui, nonostante tutto, si continua a considerala bella? E se il brutto può essere considerato bello: come può essere sostenuto questo paradosso? Si può affermare che la bellezza della Natura non sta nell’oggetto ma nell’idea che gli oggetti naturali stessi esprimono? Anche gli esseri umani fanno parte della Natura e, ci si domanda nel cenacolo di Weimar, riescono a riconoscere negli oggetti naturali quello che essi erano, e sono in grado di riconoscere negli oggetti naturali quello che essi diventeranno?
REPERTORIO E TRAMA … per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Siamo chiamate e chiamati anche noi a riflettere su questi interrogativi prima di sapere quali ragionamenti imbastiscono le intellettuali e gli intellettuali, a cominciare da Schiller, nel cenacolo di Weimar… Riflettete, magari facendo due passi in mezzo alla Natura...
Se si prova a riflettere su questi interrogativi, afferma Schiller: «si può imbastire un discorso e uno studio sulla bellezza della Natura e sul concetto stesso di bellezza per cui la Natura diventa Coltura e ne trae giovamento tanto il corpo quanto l’intelletto della persona».
E ora, per concludere, leggiamo un frammento dal saggio di Schiller pubblicato nel 1795, intitolato Sulla poesia ingenua e sentimentale.
Friedrich Schiller, Sulla poesia ingenua e sentimentale
Che cosa avrebbero per noi di tanto piacevole per sé stesso un fiore inappariscente, una fonte, una pietra coperta di muschio, il cinguettio degli uccelli, il ronzio dell’ape? Che cosa potrebbe dar loro un diritto al nostro amore? Non sono questi oggetti, ma è un’idea che in essi si esprime, quello che in essi amiamo. Noi amiamo in essi la silenziosa vita operante, l’autonoma calma attività, l’esistenza secondo leggi proprie, l’intima necessità, l’eterna unità con se stessi. Gli oggetti naturali sono quello che noi eravamo, e quello che noi dobbiamo di nuovo diventare. Noi eravamo natura, come essi, e la nostra coltura ci deve riportare alla natura per il tramite della ragione e della libertà. Essi sono quindi a un tempo rappresentazione della nostra infanzia perduta, che per noi rimane sempre la cosa più cara, e per questo ci colmano di una certa malinconia. E insieme sono rappresentazione della nostra più alta perfezione nell’ideale, per cui ci procurano una sublime commozione. …
La Natura è bella perché è «una rappresentazione della nostra infanzia perduta, che per noi rimane sempre la cosa più cara che ricordiamo con malinconia?». E allora, secondo ciò che scrive Schiller, la bellezza è soprattutto un concetto di carattere sentimentale piuttosto che razionale, e perché?
Per rispondere a questa e a molte altre domande dobbiamo procedere con lo spirito utopico che lo studio porta con sé consapevoli del fatto che non dobbiamo mai perdere la volontà di imparare, per questo la Scuola è qui e, per metterci in marcia sulla strada tracciata dall’art.34 della Costituzione fondata sui valori dell’Umanesimo, il viaggio continua…