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LA TRAGEDIA CORRISPONDE AL TALISMANO, SYMBOLON…

Lezione N.: 
12

Prof. Giuseppe Nibb        Tragòs oidos 2004       7-8-9 gennaio 2004

 LA TRAGEDIA CORRISPONDE AL TALISMANO, SYMBOLON…

   Buon anno a tutti, e ben tornati a Scuola…

   Sapete che il nostro itinerario ci ha portato davanti ad un grande paesaggio intellettuale, siamo nel bel mezzo dei racconti della storia di Pelope e dei Pelopidi: quella che viene chiamata dagli esperti la "madre di tutte le tragedie". La storia di Pelope ce la stiamo facendo raccontare da uno scrittore del II secolo: Pausania di Magnesia attraverso la sua opera, Peri egesis - Guida della Grecia - Viaggio in Grecia.

   Sappiamo che queste cose non avvennero mai, ma sono sempre: sono i racconti mitici, sono i racconti originari, sono il canto del caprone, sono la tragedia, e contengono gli stampi della condizione umana. Oggi ci rimangono i calchi di questa tragedia che continuano a riprodursi inesorabilmente, queste cose non avvennero mai, ma sono sempre.

   Pausania, già nel II secolo, con questa consapevolezza – sa di narrare il mito – ci racconta che Pelope, figlio di Tantalo, fu un re potente. Conquistava terre in tutte le direzioni, e chiamò il suo regno Peloponneso. Di Pelope non si ricordano imprese coraggiose. Ma se ne ricorda una per la bassezza dell'inganno, e la parola inganno è una parola-chiave dei racconti delle origini, inesorabilmente incastonata nel contenuto della tragedia!

   Dopo 2500, oggi, nessuno dovrebbe essere più capace di ingannare alcuno! O no? Ma i calchi della madre di tutte le tragedie si riproducono ancora inesorabilmente.

   D’altra parte voi sapete già – dal racconto della settimana prenatalizia – che la storia della vita di Pelope è fondata sulla parola-chiave: inganno. E la parola inganno è fortemente legata alla tragedia! In greco, la parola inganno dice tutto: è dolos, dòlos e traduce anche maledizione, tradimento e vendetta. Le parole inganno, maledizione, tradimento e vendetta sono direttamente collegate con la parola dolore.

   Tantalo, padre di Pelope, pecca di superbia: vuole ingannare gli dèi, e Pelope ci rimette una scapola, la sua protesi d’avorio lo rende splendente (dìos), ma, questo splendore è il simbolo dell’inganno incastonato nella sua pelle.

REPERTORIO E TRAMA... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Se vuoi, puoi fare un viaggio in Lidia usando l’atlante, lo stradario, o una guida della Turchia. Oggi, l’antica Lidia, è una regione della Turchia, vai a cercare la città di Smirne

Ma soprattutto merita una ricerca il sito archeologico della città di Sardi (Sart) che era la capitale dell’antica Lidia. Sardi era la città del famoso re Creso che trasformava tutto in oro, e c’è un motivo dietro a questa leggenda: lì scorre il fiume Gediz dalle cui sabbie si estraeva, e si estrae l’oroA nord-ovest di Sardi trovi la città di Manìsa, l’antica Magnesia di Sipilo, dove, molto probabilmente, è nato Pausania.

Prepara il viaggio: scrivi quattro righe in proposito

   Pausania, nella sua guida, ci racconta già quello che anche le guide turistiche odierne ci raccontano: che nei dintorni di Manìsa possiamo vedere la cosiddetta "roccia di Niobe"!

   Chi è Niobe? Qui dobbiamo fare un inciso: Niobe è un paesaggio intellettuale sul quale dobbiamo soffermarci per un momento: Niobe è la sorella di Pelope, figlia di Tantalo, moglie di Anfione, re di Tebe. Niobe ha ereditato la superbia del padre: è stata una madre molto prolifica, ha partorito sei figli maschi e sei figlie femmine e ha cominciato a vantarsi di questa sua fecondità. Ha sbandierato pubblicamente il suo orgoglio di madre, ritenendosi superiore perfino alla dèa Latona (Leto, l’antica moglie di Zeus) la quale aveva solo due figli e non li aveva neppure partoriti: Apollo e Artemide (Diana). Questi però, ad un certo punto, si irritarono (sapete che Apollo è uno che punisce) e, senza tanti complimenti, un bel giorno, Apollo e Artemide, con le loro frecce, persero la pazienza e fecero strage di tutti i figli e le figlie di Niobe, che per il dolore, si trasformò in pietra, e quella mitica pietra è lì, nei dintorni di Manìsa, la cosiddetta "roccia di Niobe" dalla quale sgorga anche una fonte: le lacrime di Niobe.

   Ma naturalmente la storia di Niobe – che è una metamorfosi – la possiamo trovare e la possiamo leggere nel famoso libro VI de Le Metamorfosi di Ovidio, che conosce questo antico e struggente racconto della tragedia greca, e non si lascia scappare l’occasione di mettere in versi la storia di questa "dolente figura femminile".

   Adesso leggiamo solo un frammento, l’ultima parte, della metamorfosi di Niobe. Quando sta per concludersi la carneficina, e quando Niobe, ormai umiliata, annientata, supplica Apollo e Artemide, di risparmiare almeno l’ultima figlia, la più piccola, una bambina che si era rifugiata tra le sue braccia, sotto la sua tunica: ma gli dèi non conoscono la pietà, non conoscono la misericordia.

   Ovidio, tra le righe de Le Metamorfosi, si pone sempre degli inquietanti interrogativi esistenziali: sì, gli esseri umani spesso non conoscono l’umiltà, sono superbi, sono tracotanti, meritano certamente, ogni tanto, un severo rimprovero. Ma perché gli dèi non conoscono né la pietà né la misericordia, si domanda Ovidio? Niobe ha sbagliato senz’altro, meritava un severo rimprovero, ma la punizione degli dèi è orribile: è giusto colpire quegli innocenti per punire il colpevole? La domanda di Ovidio, purtroppo, continua ad essere di drammatica attualità! Leggiamo:

LEGERE MULTUM….

Ovidio, Le Metamorfosi Libro VI (3 d.C.)

 E dopo che i sei figli sono dati alla morte, e le figlie straziate da differenti ferite,

restava l'ultima: e lei, Niobe, con tutto il corpo, tenta di proteggerla

con tutta la veste tenta di nasconderla: "Lasciatemi quest'ultima, la più piccola

– grida straziata – avete avuto, ormai, la vostra vendetta,

vi chiedo la più piccola, una sola! E mentre ella supplica,

colei per la quale chiede la grazia, cade colpita, trafitta.

Niobe, senza figli, è distrutta: si accascia tra quei corpi, la sua fierezza e svanita tutta,

gli strazii la irrigidiscono: non sposta l'aria un capello, sul viso è un intenso pallore

e vitrei stanno gli occhi sulle gote scavate, nulla c'è di vivo nel suo aspetto esteriore

rimane dentro, nell’animo, un intenso, acuto, profondo, assoluto dolore.

La lingua stessa si ghiaccia contro il palato che s’irrigidisce, alle vene è tolta

la possibilità di pulsare, né può il collo piegarsi né può con le braccia più gesticolare,

dentro di lei pietrose sono pure le viscere, né i piedi possono più camminare.

Ora, può solo piangere Niobe, e avvolta da un turbine di vento possente, da Tebe,

è trascinata nella sua patria: là, immobile, sulla vetta di un monte di Lidia,

fatta di sasso, ancora oggi, come avesse nel seno una fonte,

esprime lacrime quel masso, è l’eterno messaggio di una madre orgogliosa

che ha subìto, degli dèi, l’ira furiosa

      Anche la figura mitica di Niobe, della famiglia dei Pelopidi, ha dato origine a un grande numero di interpretazioni artistiche. Andare fino in Lidia, per vedere la "roccia di Niobe", credo che, a breve, sia difficile per tutti, mentre invece, è possibile andare alla Galleria degli Uffizi, che abbiamo la fortuna di avere in casa: la sala XLII della Galleria degli Uffizi si chiama sala della Niobe. In questa sala sono esposte dal 1780 le statue del cosiddetto: gruppo di Niobe. Queste statue hanno circa 2000 anni e sono state rinvenute a Roma nel 1583 in una vigna presso il colle Laterano. Queste statue sono le stesse citate da Plinio il Vecchio, il quale ci fa sapere che duemila anni fa queste statue, ornavano il Tempio di Apollo, sul colle Laterano. Queste statue raffiguranti la strage dei figli di Niobe sono state scolpite a Roma e sono copie – scrive Plinio – di originali statue greche di età ellenistica del III secolo a.C che non sono state mai rinvenute. Quindi, questo gruppo di statue è l’unico complesso sulla storia di Niobe oggi esistente: forse, vale una visita!

   Ma, adesso, torniamo a Pelope che emigra dalla Lidia, si sposta verso occidente (lì non era aria…), e va a Olimpia (di male in peggio) a chiedere la mano di Ippodamia, figlia di Enomao, il quale tenta di far fuori Pelope con l’inganno. Ma Pelope ha addosso il senso dell’inganno: Pelope conquista Ippodamia e la convince facilmente a liberarsi di suo padre, con l’inganno. Ippodamia, con l’inganno, convince Mìrtilo, innamorato di lei, a ingannare Enomao. Mìrtilo, è l’auriga (l’autista) di Enomao, lo inganna, e ne favorisce l’eliminazione. Poi Ippodamia e Pelope ingannano l’ingenuo Mìrtilo e se ne liberano, spingendolo…

   Queste cose non avvennero mai, ma lo stampo dell’inganno continua a riprodursi da sempre: la storia di Pelope appartiene al racconto, ma la pratica dell’inganno appartiene profondamente alla nostra storia. Nella storia dell’Umanità la pratica dell’inganno è una realtà primordiale: il racconto, codifica, in modo immaginario, questa realtà.

REPERTORIO E TRAMA... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Quale altra parola ti fa venire in mente la parola "inganno"?

Scrivi quattro righe in proposito…

   Pausania ci racconta che Pelope fu un re potente, ma di lui non si ricordano imprese coraggiose, ma se ne ricorda una per la bassezza dell'inganno. Un giorno – ci racconta Puasania – Pelope invitò a casa sua Stinfalo, il re dell’Arcadia, che non riusciva a battere sul campo di battaglia: lo invitò per una conversazione amichevole, per una merenda. Quando Stinfalo arrivò, disarmato, Pelope lo accolse con tutti gli onori, poi, lo fece tagliare a pezzi, proprio come, un giorno, suo padre Tantalo, aveva tagliato a pezzi lui, e lo aveva fatto cucinare per gli dèi. Quindi Pelope ordinò che si sparpagliassero le membra insanguinate di Stinfalo per la campagna circostante. Fu così che – ci racconta Pausania – seguì una terribile carestia in tutta la Grecia.

   Pausania ci racconta che, da Ippodamia, Pelope, ebbe ventidue figli. Tutti i figli di Pelope e di Ippodamia hanno una storia nella grande rete dei racconti mitici e, volendo, si potrebbe imbastire su di loro un percorso lunghissimo. Ma il figlio preferito di Pelope era il ventitreesimo, quello nato da un inganno.

   Il ventitreesimo figlio di Pelope, il suo preferito, si chiama Crisippo. Questo figlio, Pelope, lo aveva generato, non con Ippodamia, ma da una relazione extraconiugale (con l’inganno) con la bellissima Ninfa Axioche. Le Ninfe erano divinità inferiori rispetto agli dèi, ma erano molto attraenti (il termine "ninfa" ha caratterizzato anche la letteratura contemporanea, una delle ninfe più famose della letteratura contemporanea si chiama Lolita: Lolita è il titolo di un romanzo dello scrittore russo, emigrato negli Stati Uniti, Vladimir Nabokov, romanzo pubblicato nel 1955 che si gusta appieno conoscendo la storia dei Pelopidi: la parola inganno taglia trasversalmente tutto il romanzo!

   Le Ninfe rappresentano – nella cultura orfica – le forze elementari della Natura, lo spirito della natura: abitavano sui monti, nei boschi, nelle fonti, nei fiumi, nelle grotte, nel mare, negli alberi. Crisippo, il bastardo Crisippo – come veniva chiamato in casa – era bellissimo, come la madre, e splendente (dìos) come il padre, e Pelope non si meravigliò quando un suo ospite, il nobile Laio di Tebe, che amava i ragazzi, lo rapì. Laio è il padre di un certo Edipo, e li incontreremo, Laio ed Edipo, quando prossimamente, nel percorso del ‘900 andremo a Vienna, a casa del dottor Freud (senza conoscere i modelli della tragedia è molto più difficile capire il linguaggio del dott. Freud!).

   In fondo, anche la vita di Pelope era cominciata in quel modo, era stato rapito da Poseidone e questo fatto gli aveva portato fortuna. Chi covava odio, nei confronti di Crisippo, naturalmente, in silenzio, era Ippodamia. Si sentiva ingannata, soprattutto perché l’inganno era un elemento di complicità che la univa a Pelope: il loro amore si era nutrito profondamente alla fonte dell’inganno. Non si amavano di una complicità, legata alla solidarietà affettiva, si attiravano come complici nell’inganno.

   A proposito di Ippodamia, Pausania ci racconta di aver visto nel santuario di Olimpia il lettino per le bambole con cui Ippodamia giocava da bambina. Era fatto d’avorio, come la scapola di Pelope e, quel lettino – aggiunge Pausania – era diventato un talismano per i fedeli in pellegrinaggio. I pellegrini, nel II secolo, raggiungevano il santuario di Olimpia soprattutto per toccare il lettino di Ippodamia: portava fortuna, ma non solo, doveva portare disgrazia…! Chissà che fine avrà fatto, quel lettino? Si sarà consumato! Il lettino è andato perduto, ma i racconti, per fortuna, sono rimasti…

   Il figlio preferito di Pelope è Crisippo, e lui lo tratta come se fosse il primogenito, e pensa di designarlo come suo erede. Ma anche Ippodamia ha delle preferenze: i figli preferiti di Ippodamia sono Atreo e Tieste. Ippodamia cova odio contro Crisippo e cerca di aizzare i suoi due figli preferiti contro di lui.

   Ma ascoltiamo che cosa ci racconta Pausania:

 LEGERE MULTUM….

 Pausania di Magnesia, Periegesis-Viaggio in Grecia (II sec.)

Sul letto di Pelope, Ippodamia, aveva partorito ventidue figli, e ora la ossessionava un solo pensiero: che fosse designato erede il ventitreesimo, il bastardo.

Sentiva montare dentro di sé il sangue del padre Enomao, la sua furia contro ogni razza mista. Cominciò ad assillare i suoi figli preferiti, Atreo e Tieste, perché uccidessero Crisippo: ma per loro, ragazzi, Crisippo era solo il ventitreesimo fratello. E, alla fine, fu lei, Ippodamia, ad affondare la spada di Laio nel morbido corpo del ragazzo, mentre Crisippo dormiva accanto al suo amante. Pelope maledì Ippodamia, maledì Atreo e Tieste, e li cacciò dal suo palazzo. Ippodamia si uccise in esilio. Atreo e Tieste giunsero a Micene perché il trono era vacante e l'oracolo aveva predetto che sarebbe toccato a un figlio di Pelope. C'era un trono, e due erano i figli di Pelope che si presentarono a Micene.

    Qui la storia dei Pelopidi si sdoppia: la storia dei discendenti di Pelope aveva già preso una brutta piega e, d’ora in avanti, si avvolge proprio nelle atrocità, esaltandole a ogni passo.

   Queste cose non sono mai avvenute, sono racconti, ma conservano un dato reale: lo stampo dell’atrocità. La Storia umana è un susseguirsi di atrocità che hanno, come punto di partenza, l’inganno! In tutte le culture, il racconto delle origini è centrato sull’idea di un "peccato originale", in cui l’inganno è la molla che fa scattare le successive atrocità. Questo vale per i libri dei Veda indiani, per la letteratura dell’Antico Testamento, per la rete dei racconti della tragedia greca.

   Pausania scrive che la storia "atroce" dei Pelopidi è legata alla storia dei talismani! Perché fa questa affermazione? Sapete che cos’è un talismano: è un amuleto, un oggetto porta fortuna, che dà il potere a chi lo possiede. Nel II secolo, sul territorio della Grecia – ci racconta Pausania – erano molti i santuari che custodivano talismani! Nella parola talismano c’è l’eco della parola greca télesma che significa: cerimonia religiosa: La parola cerimonia è strettamente legata alla parola racconto, difatti, il potere di un talismano si regge sul racconto che lo rende significativo. Però la parola talismano in greco si dice: symbolon.

   Pausania visita, questi santuari, nel suo viaggio sul territorio della Grecia: è attirato non tanto dal talismano in se stesso, ma dagli straordinari racconti mitici originari che rendono magico, sacro e potente quel talismano. Anche perché – scrive Pausania – di solito, il talismano, è contenuto dentro una teca opaca e, di quell’oggetto, non rimane che una targa con su scritto: qui era conservato. Spesso, del talismano, non resta che il racconto.

   Pausania, nella sua Guida, fa l’elenco degli oggetti che erano considerati dei talismani: oltre al lettino d’avorio di Ippodamia, che è l’unico che dice di aver visto; cita la scapola d'avorio di Pelope; il suo scettro, che era destinato al figlio Atreo ma che avrebbe voluto destinare al figlio Crisippo; cita la pelle dell'agnello d'oro, che Atreo e Tieste si disputano; la lancia di Pelope, che la bisnipote Ifigenia teneva nella sua camera da letto; cita una statua di legno della dèa Artemis, che Oreste portò dalla terra dei Tauri in Grecia…

   Ma ascoltiamo che cosa ci racconta Pausania a proposito dei talismani:

LEGERE MULTUM….

Pausania di Magnesia, Periegesis-Viaggio in Grecia (II sec.)

Pelope era morto da tempo e la guerra di Troia si trascinava senza fine, quando i veggenti annunciarono che Troia poteva cadere soltanto grazie all'arco di Eracle e alla scapola di Pelope. Così le ossa di Pelope navigarono verso Troia. Durante il viaggio di ritorno, la nave che le trasportava naufragò davanti all'Eubea, non lontano dal luogo dove Mìrtilo giaceva da anni in fondo al mare. E molti anni dopo la caduta di Troia un pescatore dell'Eretria che si chiamava Damarmeno gettò le sue reti in mare e tirò su l'osso. Rimase sbalordito per la sua grossezza e lo tenne nascosto sotto la sabbia, ma alla fine andò a Delfi a chiedere di chi fosse quell'osso e che cosa avrebbe dovuto farne. Ora, per una qualche divina preveggenza, si trovava lì un'ambasciata degli Elei proprio in quel momento per domandare consiglio su come curare la peste, così la Pizia disse agli Elei che dovevano recuperare le ossa di Pelope e disse a Damarmeno di consegnare loro ciò che aveva scoperto. Così egli fece e, fra gli altri riconoscimenti, gli Elei nominarono Damarmeno e i suoi discendenti guardiani dell'osso. Ai miei tempi la scapola di Pelope era ormai scomparsa, secondo me perché era rimasta nascosta troppo a lungo sul fondo del mare, e il mare e l'usura del tempo l'avevano consumata. Il talismano era durato più della stirpe, ma aveva finito per consumarsi. Rimanevano i guardiani dell'osso.

    Così Pausania si permette di fare anche un po’ di ironia: per i guardiani del santuario il talismano rappresenta senza dubbio un affare. Pausania, tra le righe, argomenta che spesso i santuari sono "supermercati della superstizione" piuttosto che centri di riflessione sulla fede, sulla condizione umana. Ma – ci ricorda Pausania – nessuno di noi è immune dal potere dei talismani, proprio perché la loro potenza sta nei racconti che contengono: per questo motivo, i talismani – per Pausania – sono molto interessanti.

REPERTORIO E TRAMA... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

La scapola di Pelope, la pelle dell’agnello d’oro sono talismani…

Il talismano è un amuleto, un oggetto porta fortuna che dà il potere a chi lo possiede. Tu conosci dei talismani? C’è un oggetto che tu consideri un talismano?

Scrivi quattro righe in proposito…

     Il talismano è la rappresentazione simbolica di una storia! Il talismano – ci fa capire Pausania – è corrispondente alla tragedia, alla rete dei racconti. Il talismano, come la tragedia, è una rappresentazione, è l’astratto (symbolon). La tragedia, lo ricordavamo già nel nostro secondo itinerario, ad ottobre, si identifica con l’astratto: che cosa significa questa affermazione: merita una riflessione. Che cos’è l’astratto? L’astratto è il procedimento che tende a sostituire, con un simbolo, la realtà effettuale. E il simbolo per eccellenza è il racconto! E, quindi, per portare avanti la nostra riflessione è al racconto che ci dobbiamo affidare.

   C’era una volta un trono a Micene, e due sono i pretendenti: Atreo e Tieste, figli di Pelope e di Ippodamia. Andavano così d’accordo questi due ragazzi! Ma quando si ha a che fare con la conquista del potere il fratello non riconosce più il fratello! Essi sanno che la lotta per il potere consiste nel conquistare il consenso e il consenso lo conquista chi possiede il talismano, chi domina l’astratto. Non mi dite che i modelli della tragedia sono lontani nel tempo: questo concetto (chi possiede il talismano, chi domina l’astratto, conquista il consenso) è di stringente attualità nel mondo: Popper scrive, in Usa: Il consenso democratico non si conquista più sul programma, ma lo conquista chi possiede il manganello mediatico!

   Nel personaggio di Pelope – padre di Atreo e Tieste – c’è una forte tensione, che deriva dal fatto che Pelope è stato smembrato, fatto a pezzi, da bambino, e di conseguenza porta con sé la tendenza a smembrare gli altri, a fare a pezzi gli altri. Questa tensione, nel grande racconto di Pelope, si manifesta appunto nei suoi figli, Atreo e Tieste, che la ereditano. Atreo e Tieste sono i fratelli nemici, come tanti altri che incontriamo nel mito, nella storia, e nella strada. I fratelli nemici sono una categoria letteraria ben fornita.

   Nella nostra cultura giudaico-cristiana, noi conosciamo tutti la storia di due fratelli rivali, legata alla letteratura dell’Antico Testamento (Genesi, 4): una storia – quella del capitolo 4 del libro della Genesi – che è parallela alla storia di Atreo e Tieste, che è parallela alla tragedia. Ma, in fondo, la cultura greca la conosciamo poco, nonostante sia parte fondamentale del patrimonio della cultura occidentale. Se invece leggiamo i primi 16 versetti del libro della Genesi si apre davanti a noi uno scenario conosciuto, familiare alle nostre orecchie:

LEGERE MULTUM….

Libro delle Genesi, 4 1-16

Adamo si unì a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un figlio dal Signore». Poi partorì ancora suo fratello Abele. Ora Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo. Dopo un certo tempo Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; anche Abele offrì i primogeniti del suo gregge. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene il peccato (un demone di nome Rabisu) è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dominalo». Caino disse al fratello Abele: «Andiamo in campagna!». Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». Rispose: «Che hai fatto? Dalla terra il sangue di tuo fratello mi chiede giustizia! Ora tu sei maledetto, respinto dalla terra bagnata dal sangue di tuo fratello che hai ucciso. Quando la coltiverai non ti darà più le sue ricchezze. Sarai vagabondo e fuggiasco sulla terra». Caino disse al Signore: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono? Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque m’incontrerà mi potrà uccidere». Ma il Signore gli rispose: «Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno. Se qualcuno lo incontrava non doveva ucciderlo. Caino andò ad abitare nella terra di Nod, a oriente di Eden, lontano dal Signore.

   Tutto sommato, per noi, rispetto a Caino e Abele, o a Romolo e Remo – altra classica e conosciutissima coppia di fratelli nemici – Atreo e Tieste per noi sono due illustri sconosciuti, ma altrettanto importanti per capire chi siamo, ma, rispetto a ogni altra analoga vicenda di fratelli nemici, la loro vicenda, è un po' più crudele – siamo nel territorio della tragedia e questo è il significato che assumerà questo termine con tutte le sue caratteristiche significative. La tragedia, la rete dei racconti della cultura greca, contiene l’orribile, il comico e l’astratto: "Il comico e l'astratto - scrive Pausania – è il procedimento che tende a sostituire la realtà con un simbolo, e servono a rafforzare l'esaltazione dell'orrore". Il comico e l’astratto: l’orrore finisce sempre per avere degli aspetti anche comici e nei risvolti della tragedia troviamo spazi di drammatica comicità. La tragedia è l’astratto: il sacrificio umano è stato sostituito con il caprone, poi il caprone è stato sostituito dal "racconto", dall’astratto. Ma l’opera di umanizzazione non si è ancora completata: è un’aspirazione! Qual è l’aspirazione umana? Che la tragedia sia un confine invalicabile tra l’astratto e il concreto. Purtroppo l’Umanità non è ancora riuscita a rendere la tragedia solo una rappresentazione…

   Pausania, in visita alle rovine della polis di Micene (con la guida della Grecia fate una visita a Micene: scoprirete molte notizie archeologiche, storiche, artistiche!) ci racconta il mytos (quello che le guide moderne non ci raccontano più: diventerebbero troppo lunghe e complesse!); ci racconta che quelle pietre contengono la storia di due personaggi. E ogni storia di due – aggiunge Pausania – è storia di tre: ci sono due mani che afferrano, nello stesso momento, la stessa cosa, e la strappano in direzioni opposte: quella cosa ciascuno la vuole per sé…

   Qui la terza cosa è l'agnello d'oro, o meglio: la pelle d’oro di un mitico agnello, chi lo possedeva questo talismano, possedeva il potere, possedeva la sovranità. La scapola di Pelope, la pelle dell’agnello d’oro, sono potenti talismani, e Pausania, in giro per la Grecia del II secolo, racconta le sue visite ai santuari, dove la reliquia del talismano è conservata: la reliquia (un oggetto non ben identificato) – già al tempo di Pausania – ha sostituito il talismano: Il talismano – già al tempo di Pausania – è scomparso, resta la reliquia che ha inglobato la storia del talismano: il racconto resta…

   Ma il racconto non interessa al pellegrino superstizioso! Per il pellegrino superstizioso – scrive Pausania – il talismano non è più una cosa conficcata in un corpo, e donata da un dio, soprattutto non è più una storia da raccontare, ma è un simbolo esterno, che la mano del pellegrino deve toccare per cercare protezione dall’orrore. Naturalmente è anche necessario fare un’offerta alla dèa del santuario per scacciare l’orrore: un’offerta alla dèa Artemis – scrive Pausania – è un’offerta ai guardiani della reliquia…

   A Pausania invece interessa il racconto, dove c’è la vera ricchezza: ci sono gli stampi della tragedia, i cui calchi continuano, inesorabili, a riprodursi! La mano di Atreo stringe l'agnello (l’agnello d’oro) per strangolarlo, avrebbe dovuto offrirlo alla dèa Artemis, ma lo nasconde nei sotterranei della sua casa. Sa che la lotta per il potere consiste nel conquistare il consenso, e il consenso lo conquista chi possiede il talismano, chi domina l’astratto: è l’astratto che produce il concreto, è il concreto che deriva dall’astratto! L’idea astratta è lo stampo per la materia concreta: la forma della materia è determinata dall’astratto! È l’anima astratta, che fa vivere il corpo concreto? Intorno a questa domanda, intorno a questo ragionamento, Platone farà l’esegesi dell’orfismo tragico e costruirà lo schema di base del suo poderoso pensiero: è l’anima astratta, che fa vivere il corpo concreto! Questo concetto è uno dei motivi conduttori dei Dialoghi di Platone.

   Ma ora ascoltiamo Pausania in visita al santuario della dèa Artemis a Micene:

LEGERE MULTUM….

 Pausania di Magnesia, Periegesis-Viaggio in Grecia (II sec.)

(In visita al santuario di Artemis a Micene)

Atreo si impadronisce de l’agnello d’oro, e Tieste cercherà di rubare il talismano, grazie alla moglie di Atreo, la cretese Èrope, che aveva già precedentemente sedotto. Dovrebbe essere questo il primo anello nella catena dei torti, degli inganni ma ci accorgiamo subito che non è così: prima dell'inganno escogitato da Tieste c'è l'inganno di Atreo verso la dèa Artemis, a cui vuole sottrarre la bestia promessa in sacrificio. Fino a quel momento i fratelli erano perfettamente pari nel crimine. Entrambi non avevano impedito, pur conoscendone le intenzioni, alla madre Ippodamia di eliminare il fratello bastardo, Crisippo. Ed entrambi erano stati colpiti dalla maledizione di Pelope, nella quale si ripercuotono e rinnovano quella di Mìrtilo contro Pelope, quella di Enomao contro Mìrtilo e, all'origine di tutto, quella di Zeus contro Tantalo, il capostipite. Il conflitto tra i due fratelli è mirabilmente equilibrato, perché sarebbe del tutto vano stabilire chi dei due è meno ingiusto dell'altro. Ciascuno dei due cerca il peggio.

   Pausania, in visita a Micene, ci fa trovare di fronte ad una storia abominevole. Micene oggi è un mucchio di pietre ben sistemate in resti di edifici, sulla roccia della collina: ma se non facciamo parlare quelle pietre solo pietre vediamo: dentro a quelle pietre – ci dice Platone – c’è l’astratto, ed è l’astratto che dà senso al concreto!

   Dentro a quelle pietre c’è "il canto del caprone": tragòs oidos, la rete dei racconti! E la tragedia è l’astratto. In questo caso, la tragedia, la "madre di tutte le tragedie" è una storia abominevole: e noi dobbiamo tèssere, con pazienza, la rete del mytos…

   Ippodamia, la moglie di Pelope, è la madre di ventidue figli, tra cui predilige Atreo e Tieste, nel branco c’è un figlio che non è suo, il ventitreesimo: è Crisippo, figlio di Pelope e della ninfa Axioche. Ippodamia decide di ucciderlo perché potrebbe ereditare il potere di Pelope. Assistono all’assassinio, come complici, Atreo e Tieste, i due figli prediletti di Ippodamia. Nella ricca e ambìta polis di Micene ci vuole un re: il trono tocca – secondo il responso dell’oracolo – al figlio di Pelope. Il trono è uno, ma i pretendenti sono due: Atreo e Tieste. Nella lotta per il potere, da prima, prevale Atreo perché ha il talismano, lo strumento del consenso: l’agnello d’oro, sottratto alla dèa Artemis. Atreo prevale e non c’è posto per due galli nello stesso pollaio, quindi, Tieste fugge a Creta, come clandestino, dove conosce la più bella fanciulla dell’isola, figlia adottiva del re Catreo: questa fanciulla si chiama Èrope. Tieste la seduce, ha una relazione amorosa con lei (Tieste è un affascinante seduttore, a Micene ha già amoreggiato con molte fanciulle, e alcune sono anche diventate mamme: a Micene ci sono i figli di Tieste, e Atreo, da bravo zio, se ne occupa).

   Atreo cerca anche moglie: come re di Micene, ha bisogno di una bella donna al suo fianco che sappia fare la regina! Dove cerca moglie Atreo? Cerca una donna che venga da una cultura raffinata, come quella cretese. L’agenzia matrimoniale a cui si rivolge gli segnala la fanciulla più bella e raffinata dell’isola, figlia adottiva del re Catreo: Èrope! Atreo spedisce la sua proposta di matrimonio a Catreo, il quale la comunica a Èrope: essa è molto combattuta, in questo momento è segretamente innamorata di Tieste – il bel tenebroso – e lo frequenta clandestinamente e non vorrebbe lasciare Creta; d’altra parte, l’idea di andare a fare la regina, in una polis come Micene, la stuzzica.

   Tieste – che ha un piano – recitando la parte di colui che si sacrifica, convince Èrope a non lasciarsi scappare l’occasione. Èrope, convinta da Tieste, il quale promette che sarebbe andato a trovarla ogni tanto, clandestinamente, accetta di sposare Atreo e parte per Micene.

   Dopo un anno dalla celebrazione del matrimonio tra Atreo e Èrope, Tieste – come aveva promesso – torna di nascosto a Micene. Il suo obiettivo primario non è tanto quello di rincontrare Èrope, ma è quello di rubare il talismano ad Atreo: l’agnello d’oro, che gli avrebbe dato il potere, il consenso, il successo: egli ha un piano e il fatto di conoscere Èrope facilita il suo piano! Sarebbe potuto facilmente entrare in casa di Atreo, di nascosto. Tieste era sicuro che Èrope non si era dimenticata di lui e gli avrebbe sicuramente aperto la porta…

   Dobbiamo anche sapere che Èrope, la moglie di Atreo, nel frattempo, ha partorito un figlio, maschio, che è stato chiamato Plìstene.

   Qui, tutti quelli che sono andati a indagare su questa storia (compreso Pausania), si sono chiesti – e anche noi ci chiediamo: di chi sia figlio, Plistene, di Atreo o di Tieste? Ma, dobbiamo dire che Atreo, non conoscendo i trascorsi amorosi della moglie, era convinto che Plìstene fosse figlio suo, e convinto lui!…

   L’importante è sapere che Plìstene è figlio di Èrope (mater certa est): è questo che importa, nell’economia di questa storia, abominevole, dai risvolti comici!

   Ora dobbiamo sapere che, nonostante Tieste avesse un piano ben congegnato, qualcosa non funziona per il verso giusto: la lontananza ravviva gli ardori! Èrope e Tieste si rincontrano con piacere: avevano molte cose da dirsi, e non solo, avevano ancora da scambiarsi molti gesti affettivi. Tieste perde tempo in casa di Atreo ad amoreggiare con Èrope, e così viene scoperto mentre tenta di rubare il talismano, ma riesce a scappare dalla casa di Atreo – Èrope lo copre – ma Tieste è costretto a fuggire precipitosamente da Micene.

   Atreo, di conseguenza, scopre anche il tradimento della moglie, ma pensa che la tresca sia un fatto recente, però, da marito tradito, reagisce con durezza: rimanda Èrope a Creta dal re Catreo, togliendole il figlio, Plìstene, e tenendolo con sé: per Atreo, Èrope è morta, e quel bambino, Plìstene, crescerà malaticcio credendosi orfano. Èrope viene rispedita a Creta – deve abbandonare il suo piccolo figlio – ma porta con sé, nel suo grembo – non se ne è ancora accorta – il frutto dell’incontro con Tieste.

   Il talismano rimane nelle mani di Atreo. Ma Atreo non si accontenta della vittoria: ma era stata una vittoria? L’inganno genera la vendetta e la vendetta, inesorabilmente, si riproduce…

   Atreo vuole ulteriormente vendicarsi, e vuole che la sua vendetta superi ogni altra. E che cosa fa? Qual è la sua mossa?

   Ascoltiamo la voce di Pausania: lasciamo a lui la responsabilità di raccontarci l’abominevole trama dell’inganno e della vendetta…

 LEGERE MULTUM….

Pausania di Magnesia, Periegesis-Viaggio in Grecia (II sec.)

 Tornato il talismano, e con esso il potere, nelle mani di Atreo, e fuggito Tieste da Micene, si potrebbe pensare che il conflitto si esaurisca, o al più che rinasca con la vendetta di Tieste. Qui invece si compie un’ulteriore esaltazione: è il vincitore che vuole vendicarsi sul vinto, e vuole che la sua vendetta superi ogni altra. Tieste tornò a Micene invitato da Atreo, che ostentava il suo desiderio di rappacificarsi con lui. Venne accolto con un sontuoso banchetto. In un grosso tripode di bronzo bollivano pezzi di carne bianca in quantità. Atreo ne scelse alcuni e li offrì al fratello, con uno sguardo immobile che rimase esemplare: da allora, si parla di "occhi di Atreo". Alla fine del banchetto, Atreo fece entrare un servo. Il servo si presentò con un piatto colmo di mani e piedi umani. Tieste capì di avere mangiato la carne dei suoi figli, generati nei suoi amori di gioventù a Micene; figli, che Atreo, amorevole zio, aveva responsabilmente allevato. Con un calcio, Tieste, rovesciò la tavola e maledì per sempre la stirpe di Atreo.

   D'ora in poi – attraverso la forza del racconto tragico – la lotta tra i due fratelli diventa un puro virtuosismo di crudeltà e traccia come degli arabeschi di orrore: ecco che "il canto del caprone", il racconto delle origini, la tragedia, si identifica sempre di più con la crudeltà e con l’orrore: dobbiamo riflettere! La tragedia greca ci rivela, non ci nasconde, che le nostre origini, le origini dell’Umanità sono indissolubilmente legate all’orrore: finché non ci sarà una seria riflessione culturale collettiva sugli stampi delle origini: queste cose, saranno sempre…

   Tieste scompare di nuovo, inorridito fuggiasco. Ha un solo pensiero: inventare una vendetta che superi quella del fratello, il quale aveva già escogitato la sua, con l'intenzione che dovesse essere insuperabile. Come escogitare una vendetta che possa superare quella di Atreo? A questo punto è necessario interpellare gli dèi: il dio della ragione, il Febo Apollo. Ascoltiamo ancora la voce di Pausania:

LEGERE MULTUM….

 Pausania di Magnesia, Periegesis-Viaggio in Grecia (II sec.)

Ora lo sguardo di Tieste spazia sulle generazioni. Troppo semplice sarebbe uccidere Atreo. Occorre colpire anche il figlio, e il figlio del figlio. Qui si offre il soccorso divino. Pellegrino a Delfi, Tieste chiese consiglio ad Apollo. Il dio rispose con perfetta sobrietà: «Stupra tua figlia». Da quello stupro sarebbe nato il vendicatore

   Ma come? Apollo, con tutte le sue buone qualità (sulle quali abbiamo insistito non a caso), fa da sponsor nella catena della vendetta? E Tieste, coscienzioso, segue il consiglio del dio dell’equilibrio, dell’armonia, della ragione? Se la ragione – ci insegna Platone – non è illuminata dall’idea del Bene: genera mostri! (Quanti progettini di razionalità straordinaria!)

   Atreo aveva fatto cucinare i figli di Tieste! Ma dobbiamo sapere che a Tieste è rimasta una figlia, si chiama Pelopia, e a questo punto, suo malgrado, Pelopia, entra nella abominevole trama. Pelopia, era la figlia maggiore di Tieste, ed era sopravissuta (non era stata cucinata dal cuoco di Atreo) perché da tempo, da bambina piccola, era stata trasferita a Sicione, presso il re Tesproto che gestiva il santuario di Atena. La polis di Sicione l’abbiamo già citata parlando del carro di Tespi, il primo spettacolo tragico viaggiante nell’area agricola di Sicione (oggi Sicione è un interessante sito archeologico a nord-ovest di Corinto: potete visitarlo con la guida della Grecia! )

   Pelopia, a Sicione, era cresciuta ed era diventata sacerdotessa di Atena. Una notte, stava celebrando un rito in onore della dèa, con altre fanciulle. Tieste, deciso a seguire il consiglio di Apollo, la spiava dietro una siepe. Queste giovani fanciulle, guidate da Pelopia, danzavano e cantavano intorno a un caprone (ò tragòs) sgozzato. Pelopia scivolò in una pozza di sangue, macchiandosi il peplo, l’abito da cerimonia. Tieste la vide allontanarsi dalle compagne verso un ruscello. Pelopia si sfilò la veste macchiata, e per la prima volta, Tieste vide la bellezza di sua figlia, nuda: balzò su quel corpo bianco, coprendosi la testa con il mantello. Pelopia, aggredita, si difese con furia, da quello sconosciuto. Rotolarono a terra: Tieste, con la forza, riuscì a penetrarla e a gettare in lei il suo seme. Alla fine, Pelopia si ritrovò sola, ma, in mano aveva la spada di quello sconosciuto che era riuscita a strappargli. Quella notte fu concepito Egisto, "l'impeccabile", come lo chiama Omero, e come verrà chiamato in tutte le tragedie che lo vedranno tra i protagonisti!

   Intanto, dopo che Atreo aveva macellato e cucinato i figli di Tieste, una grave siccità aveva colpito Micene. L’oracolo interpellato aveva predetto che la siccità sarebbe finita soltanto se fosse stato richiamato il fuggiasco Tieste. Atreo sapeva che Tieste era dal re Tesproto, a Sicione. Andò a Sicione, ma Tieste – dopo aver violentato la figlia – era fuggito di nuovo. A Sicione, alla corte di Tesproto, Atreo, incontra Pelopia, la sacerdotessa di Atena, e si innamorò subito di lei. Chiese a Tesproto la sua mano, credendo che Pelopia fosse sua figlia, la figlia del re.Atreo non immaginava neppure lontanamente che Pelopia fosse la figlia di Tieste: sua nipote, per giunta! Tesproto non lo disilluse: Atreo era già stato tradito dalla moglie Èrope e poi, in fin dei conti, Tesproto, era come se l’avesse adottata, Pelopia, e quindi la sollevò dall’incarico di sacerdotessa, che prevedeva la verginità, e la concesse in sposa ad Atreo. Pelopia accettò, anche perché la verginità l’aveva perduta a causa di quello stupro. Lei non ne aveva parlato con nessuno, ma, di fronte alla dèa Atena, si sentiva indegna del ruolo di sacerdotessa che le era stato affidato.

   Atreo tornò a Micene senza il fratello ma con una nuova sposa, che nascondeva nel bagaglio la spada di uno sconosciuto, e nel ventre un bambino concepito con un altrettanto sconosciuto violentatore. Dopo essere stato tradito e irriso da Èrope, Atreo voleva una nuova famiglia: impeccabile, e voi capite che questo termine – impeccabile – quando viene usato dagli scrittori di tragedie (e dagli scrittori in genere…) assume un connotato comico.

   Nove mesi più tardi, Pelopia partorì Egisto, ufficialmente figlio di Atreo, in realtà figlio di Tieste. Questo bambino – nei confronti di Pelopia (lei non lo sa, ancora) – è anche suo fratello altre che suo figlio! Questo figlio la imbarazza, la spaventa. Lo consegna a dei pastori, perché lo facciano crescere sulle montagne, nutrito da una capra. Atreo pensò che Pelopia fosse stata colta da un momentaneo, e scusabile, attacco di esaurimento. Mandò i suoi uomini in cerca del bambino sulle montagne. Lo recuperarono nel giro di pochi giorni, e Atreo fu molto contento: quello – Egisto – era il suo unico figlio non contaminato, pensava lui, quello, finalmente, era il suo erede.

   A Micene, la natura continuava a essere immobile: rifiutava di dare frutti, perché Tieste non era ancora tornato. Infine lo scovarono, lo catturarono e lo gettarono in prigione. Atreo chiamò il piccolo Egisto e gli affidò la sua prima impresa da uomo: doveva prendere la spada che la madre Pelopia teneva sempre con sé e usarla per trafiggere il prigioniero nel sonno: voleva coinvolgere tutta la famiglia nell’eliminazione del nemico-fratello!

   Ma Tieste, stava all’erta: si accorse che qualcuno stava entrando nella sua cella, e riuscì ad opporsi a chi tentava di colpirlo. Tieste riuscì a sfuggire alla morte, e tolse facilmente di mano la spada a quel ragazzino. Guardò e riconobbe la spada! Ecco dov’era finita: quella era la spada che aveva perduta quella notte, a Sicione, usando violenza a sua figlia Pelopia, seguendo il consiglio di Apollo. Capì il senso del consiglio che aveva ricevuto da Apollo, capì che quel ragazzino, Egisto, poteva essere, era suo figlio (ed era anche suo nipote contemporaneamente!). Dopo averlo disarmato, Tieste disse ad Egisto di andare, di nascosto, a chiamare sua madre.

   Pelopia, davanti alla spada, dopo aver riconosciuto suo padre Tieste: capì tutto. Pelopia, che era già fortemente provata psicologicamnete, impugnò quella spada e l'immerse nel proprio corpo: dandosi la morte. Tieste estrasse la spada dal petto di Pelopia e la diede al piccolo Egisto, imbrattata di sangue della madre, raccontò a quel bambino una storia per far scatenare in lui l’odio contro Atreo: raccontò che Atreo aveva violentato Pelopia a Sicione e l’aveva condotta a Micene per forza; gli disse di tornare da Atreo e di mostrargli la spada imbrattata di sangue, come prova che aveva eseguito gli ordini: uccidendo il prigioniero.

   Preso da euforia, convinto di essersi liberato dal nemico-fratello, quindi dalla sua ossessione, Atreo pensò che innanzitutto avrebbe dovuto ringraziare gli dèi. Fece preparare un solenne sacrificio in riva al mare. Mentre lo celebrava, il piccolo Egisto gli si avvicinò e affondò la spada di Tieste nel corpo di Atreo. Tieste cercò invano l’agnello d'oro, ma non lo trovò, e non poté diventare re di Micene: tornò ad essere un fuggiasco.

   Così, provvisoriamente, si concludeva lo scontro fra i due fratelli, almeno nel senso che uno moriva prima dell'altro. Ma la macina dell’orrore avrebbe continuato a stritolare ossa, ancora per una, due, tre generazioni: e qui, le tragedie, come genere letterario si sono sbizzarrite. Lo scontro tra i fratelli nemici diventa un’esibizione di forme poetiche, un duello tra artisti della forma letteraria…

   Per concludere facciamo un passo indietro (bisogna prendere la rincorsa per saltare più in là). Riportiamo indietro il racconto.

   Atreo, aveva scacciato la prima moglie, la cretese Èrope, la traditrice che, prima di andare a Micene, come sposa di Atreo, aveva conosciuto Tieste già a Creta. Tieste, allora, era un fuggiasco straccione, esiliato dal fratello, ma sappiamo che conquistò subito quella bellissima ragazza, come Teseo fece con Arianna.

   Poi, sappiamo che Èrope fu chiesta in sposa da Atreo e, su consiglio di Tieste, accettò. Dopo un anno dalla celebrazione del matrimonio tra Atreo ed Èrope, Tieste torna di nascosto a Micene. Sappiamo che il suo obiettivo è quello di rubare il talismano ad Atreo: l’agnello d’oro, che gli avrebbe dato il potere, il consenso, il successo. Il fatto di conoscere Èrope, facilitava il suo piano. Sarebbe potuto facilmente entrare in casa di Atreo, di nascosto: Èrope – era sicuro – non si era dimenticata di lui, e gli avrebbe sicuramente aperto la porta. Sappiamo anche che Èrope, la moglie di Atreo, nel frattempo, ha partorito un figlio, un figlio maschio: Plìstene.

   Abbiamo detto che, nonostante Tieste avesse un piano ben congegnato, qualcosa non funziona per il verso giusto perchè Tieste perde tempo ad amoreggiare con Èrope e viene scoperto mentre tenta di rubare il talismano, ed è costretto a fuggire in fretta da Micene.

   Atreo, scopre il tradimento e, da marito tradito, reagisce con durezza: rimanda Èrope a Creta dal re Catreo, togliendole il figlio, Plìstene, e tenendolo con sé. Sappiamo che per Atreo Èrope è come fosse morta, e quel bambino, Plìstene, crescerà malaticcio credendosi orfano. Ma sappiamo che, Èrope, scacciata da Micene, porta in grembo il frutto dell’incontro amoroso con Tieste. Il re cretese Catreo volle punire Èrope e anche la sorella Climene e le affidò a un altro re, Nauplio, re di Argo, perché le annegasse o le vendesse come schiave. Nauplio, invece, decise di sposare la bella Climene e la portò ad Argo. Climene pretese che la sorella Èrope rimanesse con lei, per giunta era incinta. Èrope, giunta alla fine del tempo di gestazione, partorì due gemelli, creduti figli di Atreo, ma in realtà, anche questi, figli di Tieste: saranno chiamati Agamennone e Menelao.

   Attenzione, perché dal ripudio di Èrope, alla morte di Atreo per mano del piccolo Egisto passano gli anni! Sono gli anni in cui succedono gli avvenimenti che abbiamo raccontato!

   Dopo la morte di Atreo – ucciso da Egisto, che ufficialmente è figlio di Atreo e di Pelopia, ma in lui scorre il sangue di Tieste – ad Argo, arriva anche Plìstene, il malaticcio figlio di Atreo, ufficialmente figlio di Atreo e di Èrope ma anche in lui scorre il sangue di Tieste. Plìstene è gracile e malaticcio, e alla corte del re Nauplio, ad Argo, conosce una bella signora Èrope, madre di due gemelli suoi coetanei, e la chiede in sposa. Nauplio gliela concede: i due non si riconoscono ma sono madre e figlio: Èrope madre di Plìstene, sposa Plìstene, figlio di Tieste!

   Èrope è madre dei due gemelli coetanei di Plìstene, Agamennone e Menelao, figli di Tieste. Plìstene, figlio di Tieste, diventa marito di Èrope, sua madre, amante di Tieste, e diventa padre di Agamennone e Menalao, i suoi fratelli, figli di Tieste: la spirale della vendetta conduce le istituzioni allo sfacelo…

REPERTORIO E TRAMA... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

La parola-chiave "vendetta" richiama altre importanti parole: rappresaglia, punizione, rivincita, castigo, rivalsa… Quali oggetti, episodi, fatti, sentimenti puoi descrivere, raccontare, esprimere riflettendo su queste parole?

Scrivi quattro righe in proposito…

      Penso abbiate capito perché la parola tragedia assume il significato di tragedia! Ma il racconto della madre di tutte le tragedie non è finito qui! Già Euripide, nel 438 a.C, ce ne anticipava la continuazione nel testo di una sua tragedia Le Cretesi, di cui ci sono rimasti solo alcuni frammenti:

LEGERE MULTUM….

 Euripide, Le Cretesi Frammento 18, 2 (438 a.C)

 Quando, al ritorno da Troia, Agamennone (figlio di Atreo ed Èrope, ma sangue di Tieste), impigliato in una rete (di racconti?) e con un piede ancora nell'acqua del bagno, viene abbattuto da sua moglie Clitennestra e dal vendicatore Egisto, suo amante (figlio di Atreo e Pelopia, ma sangue di Tieste), il sangue scorre fra Tieste e Tieste, tra chi è figlio di Tieste e chi è figlio di Tieste e della propria sorellastra Pelopia. Nella casa degli Atridi non vi è più nulla di Atreo: trionfa il sangue di Tieste. Nella casa degli Atridi vi abita solo la maledizione di Tieste, che Cassandra avverte nell'aria.

    Voi, probabilmente, conoscete già queste storie, ma ci sono dei risvolti culturali, che non vengono mai approfonditi, su cui è necessario riflettere…

REPERTORIO E TRAMA... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Utilizzando la guida della Grecia è utile fare una visita ai famosi siti archeologici di Micene, di Sicione e di Argo Queste polis fanno da scenario alla storia dei Pelopidi: che cosa, di questi siti, ti colpisce di più?

Scrivi quattro righe in proposito…

   A Micene troviamo le tombe degli Artridi: quelle pietre che visitiamo – quasi religiosamente – a Micene risultano di proprietà di Atreo, ma, l’essenza di quelle pietre è il sangue di Tieste! Vale la pena vivere di inganni, vale la pena vivere per perseguire la vendetta? Ci sono dei risvolti culturali, su cui è necessario continuare a riflettere…

   Sapete come continua la riflessione sull’itinerario della madre di tutte le tragedie, c’è di mezzo una parola, la parola: tarassέ tarassè? Sapete che cosa significa questa parola? Letteralmente significa: inquietudine. La incontreremo nel prossimo itinerario, e chissà non ci procuri, questa parola, un po’ di tranquillità, di atarassé…

   Accorrete, la Scuola è qui!…

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Gennaio 9, 2004
Anno Scolastico: