Prof. Giuseppe Nibbi Tragòs oidos 2003 8-9-10 ottobre 2003
SULLE TRACCE – ATTRAVERSO IL MITO DI ORFEO – DE IL CANTO DEL CAPRONE…
Sapete già che questa sera il nostro itinerario continua sulla via del canto del caprone: perché? Perché abbiamo imparato, la scorsa settimana, celebrando i rituali della partenza, che il termine tragedia è composto da due parole greche: tragos che si traduce "del caprone", e oidos che si traduce "il canto". Quindi il significato letterale della parola tragedia è "il canto del caprone"! Indubbiamente questo significato fa sì che ci si debba porre qualche domanda: se la parola tragedia significa il canto del caprone, da dove viene fuori questo strano significato?
È evidente che, rispetto a quello che si pensa di solito del concetto di tragedia, ebbene il senso del significato letterale del termine "il canto del caprone" qualche problema di comprensione ce lo crea! Che cosa nascondono queste due parole: tragos oidos? Guardate: non nascondono nulla! Si tratta solo di mettersi in cammino per cercare la sorgente, la fonte da dove sgorgano i significati culturali più profondi di queste due parole: tragos oidos. Se mai, c’è da dire che la fonte, la sorgente di queste due parole è piuttosto lontana, e non basta questo itinerario, ma ce ne vorrà anche un altro: ma siamo qui per viaggiare!
Anche questa sera, in questo itinerario, ci facciamo accompagnare da Ovidio che abbiamo incontrato la scorsa settimana, e ne abbiamo approfittato per raccontare alcuni significativi episodi della sua vita, che ce lo hanno fatto conoscere meglio. Ringraziamo Ovidio, che ci darà ancora modo per parlare di lui, il quale, per accompagnarci, ha lasciato per qualche giorno casa sua: sapete dove abita! Ovidio, insieme a un gruppo di straordinari personaggi, abita nel Limbo (il lembo, il margine), quel famoso luogo di attesa dove lo ha messo, per l’eternità, Dante Alighieri. Il Limbo, dal punto di vista letterario, si trova nella Commedia di Dante, per la precisione nel IV canto dell’Inferno, ma siamo ancora fuori dall’Inferno propriamente detto. Qui nel Limbo si è formata una "bella scuola" (così la chiama Dante, una scuola poetica, e lui vorrebbe farne parte) c’è Omero, Orazio, Ovidio, Lucano e naturalmente Virgilio, "lo buon maestro" che sta accompagnando Dante. Dante c’insegna una cosa molto importante: non è necessario andare al Limbo per incontrare questi formidabili cantori: tutte le biblioteche sono un Limbo, tutte le Scuole sono un Limbo; e attraverso un’esperienza di studio, un itinerario culturale, possiamo cominciare a conoscere il canto di questi maestri.
LEGERE MULTUM….
Dante Alighieri, Inferno IV 85-96
Lo buon maestro cominciò a dire:
"Mira colui con quella spada in mano
che vien dinanzi a' tre sì come sire.
Quegli è Omero, il poeta sovrano;
l’altro è Orazio satiro, che viene;
Ovidio è il terzo, e l’ultimo è Lucano.
Però che ciascun meco si conviene
nel nome che sonò la voce sola,
fannomi onore; e di ciò fanno bene”.
Così vidi adunar la bella scuola
di quei signor dell’altissimo canto
che sovra gli altri com’aquila vola.
Ovidio è ancora qui con noi, quindi questo significa che anche la nostra può essere considerata una "bella scuola…", alla ricerca dell’altissimo canto: in questo caso, siamo alla ricerca dell’altissimo canto del caprone. Sapete già perché abbiamo bisogno della collaborazione di Ovidio! Abbiamo bisogno della sua competenza per definire il termine "tragedia", nel suo significato letterale: il canto del caprone; e per questo dobbiamo utilizzare anche Le Metamorfosi di Ovidio, che viene considerato il più importante romanzo in versi dell’antichità e che compie, in questi giorni, duemila anni giusti giusti: è stata reso pubblico nell’anno 3 d.C durante il Mundus Cereris, che, nel Calendario romano, corrisponde alla prima metà del mese di Ottobre.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
Se tu volessi dare una festa per i 2000 anni de Le Metamorfosi: come la organizzeresti ?
Scrivi quattro righe in proposto…
Di quest’opera abbiamo parlato a lungo la scorsa settimana. Le Metamorfosi è un’opera importante ma non facile da leggere, non tanto perché non conosciamo il latino (ci sono raffinate traduzioni), ma perché raccoglie una fittissima e ricchissima rete di riferimenti culturali, di chiavi di lettura. Ed è proprio per questo motivo che è importante e che c’interessa quest’opera! I libri, di solito, sono utili e divertenti, soprattutto per i riferimenti culturali che contengono: per le inferenze intellettuali che ci permettono di fare. Che cos’è un’inferenza? È quando scopro una chiave, un significato, in quel testo, la porto con me, e con quella chiave apro tante altre porte (scopro il significato di tanti altri testi).
Ma allora che cosa c’entra Le Metamorfosi con il significato della parola tragedia: il canto del caprone? Che cosa c’entra Le Metamorfosi con il significato di questa parola, che al tempo di Ovidio ha già circa 500 anni di storia, come parola scritta? Per Ovidio la parola tragedia è antica come lo è per noi. Prima di tutto dobbiamo dire che il concetto di tragedia trova una sua collocazione ne Le Metamorfosi di Ovidio perché quest’opera, come ci dicono gli esperti, è fortemente permeata, fortemente intrisa di cultura orfica. E questa è la strada che dobbiamo percorrere per definire il significato del termine tragedia!
Qui ci eravamo fermati per pernottare e per riflettere la settimana scorsa. E allora che cosa significa dire che Le Metamorfosi è un’opera intrisa di cultura orfica? Se questa è una chiave da utilizzare per conoscere e per capire che cosa significa il canto del caprone, allora ci dobbiamo domandare: cos’è la cultura orfica? Abbiamo già dato una breve definizione che, però, va spiegata e dimostrata. La cultura orfica, l'Orfismo, è una dottrina che sta alla base della nostra cultura (occidentale)! C’è chi afferma che è la dottrina fondamentale che sta alla base della nostra cultura! Questo è vero: l’Orfismo è alla base della nostra cultura, insieme ad altri elementi che abbiamo studiato in questi anni. Difatti l’antropologia culturale e la psicologia ci dicono che noi, oggi, continuiamo puntualmente a pensare e ad agire anche in chiave orfica: molte manifestazioni della nostra vita sono permeate di Orfismo! E allora che cos’è la cultura orfica e che cosa c’entra il canto del caprone? Mettiamoci in movimento e prendiamo il passo che la strada è lunga e faticosa…
La cultura orfica, l'Orfismo, è una dottrina profondamente radicata e incastonata nella Stopenum. L’Orfismo infatti è alla base del pensiero di Pitagora, di Eraclito, di Empedocle; anche Socrate è influenzato dall'Orfismo, così come Platone il quale rielabora completamente l'Orfismo e produce un pensiero che, senza la cultura orfica, sarebbe incomprensibile: quindi, per Bacco, è importante la cultura orfica! Non solo questa questione l’abbiamo già studiata sotto l’impulso di papa Giulio II, nel 1508-1511, davanti alla Scuola di Atene di Raffaello, ma senza la cultura orfica sarebbe incomprensibile anche il pensiero del Cristianesimo. Ecco perché affermiamo con determinazione che la cultura orfica, l'Orfismo, è una dottrina che sta alla base della nostra cultura!
Ma in che cosa consiste la cultura orfica? Che cos’è l’Orfismo? Per noi ora rappresenta la strada per cominciare a riflettere sul significato del termine tragedia, sul significato del canto del caprone. E allora riflettiamo! L'Orfismo è la religione fondamentale dell’antica Grecia, ma non è la più antica: c’è un modo di pensare ancora più arcaico prima dell’Orfismo con cui dobbiamo venire a contatto. Gli dèi dell’Olimpo sono "nuovi", scrive Erodoto (lo incontreremo, vengono dopo: sono un prodotto dell’Orfismo! Sono un prodotto "nuovo"! Non sono gli dèi che generano il culto orfico, ma è il culto che genera gli dèi; e dal VI secolo a.C, per i Greci e per le popolazioni mediterranee ed europee l’Orfismo rappresenta il più importante schema di Pensiero, che, come substrato culturale, abbiamo ricevuto in eredità: oggi infatti continuiamo a pensare anche in modo orfico!
Ovidio ne Le Metamorfosi, permeate di cultura greca, viene coinvolto nel pensiero orfico e lo recupera a Roma, dove, duemila anni fa, si coltivavano i culti più disparati: c’era un forte bisogno di trovare un messaggio di salvezza. L’Orfismo è quindi un modo di pensare che rappresenta una delle più antiche correnti della Stopenum, ma dietro all’Orfismo c’è qualcosa di più antico.
Ma in che cosa consiste il pensiero orfico? Quali sono gli elementi fondamentali che lo caratterizzano? Riflettiamo perché è di qui che dobbiamo passare per capire il senso del significato del termine tragedia, e quindi del significato delle parole: il canto del caprone.
Sappiamo che il pensiero orfico si è sviluppato, nell'area Ellenica, già dal X secolo a.C. e lo troviamo espresso in modo esemplare nei poemi di Omero: Iliade e Odissea, che tutti avete sentito nominare, e nei quali ci imbatteremo a suo tempo. Possiamo già propriamente definire "orfico" il modo in cui viene concepito l’essere umano nel pensiero omerico, nell’Iliade e nell’Odissea. Nel modo di pensare omerico, l’essere umano possiede le sue membra e la sua anima: l’idea che la persona sia fatta di corpo e di anima è orfica! E noi, da quel momento, abbiamo continuato a coltivare questa idea! E per noi considerare come elementi umani il corpo e l’anima è diventata un’idea comune. L’anima, in particolare, nel pensiero omerico s’identifica con l’inconscio dell’essere umano, con il suo dentro; l’anima è una specie di fantasma, di larva, di crisalide: l’anima è l’essere umano senza la sua consistenza materiale. Così anche noi l’abbiamo sempre concepita l’anima: in modo orfico! Quindi capite che il concetto dell’anima precede di circa mille anni il Cristianesimo! L’idea orfica dell’anima si è propagata, poi, attraverso il Cristianesimo che l’ha mutuata, l’ha coltivata e l’ha divulgata. Basterebbe questo concetto per fare dell'Orfismo una dottrina fondamentale che sta alla base della nostra cultura!
Ma perché la cultura orfica si chiama Orfismo? E che cosa c’entra con il canto del caprone? Dal canto del caprone siamo ancora lontani, ma questa è la strada. Il nome Orfismo deriva da Orfeo, che abbiamo tutti sentito nominare: è un modello letterario potentissimo, Orfeo all’Inferno… Il nome Orfeo, la parola Orfeo, letteralmente significa espulso, escluso, colui che è solo: solo e abbandonato da tutti. Orfeo è un personaggio che come persona reale non esiste, non è mai esistita: è un personaggio mitico e letterario, Orfeo è poesia, è frammenti di poesia! Orfeo è un genere letterario, è un racconto.E che cosa racconta il mito di Orfeo? Orfeo è il nome di un poeta che canta i suoi versi, è figlio del dio Apollo e della musa Calliope, kallos-kallos bella e opέ-opè voce, quindi Calliope significa dalla bella voce. Il mito di Orfeo corrisponde a una religione: l'Orfismo, diffusosi in Tracia, nel cuore della Grecia (regione centrale pianeggiante, agricola) tra il VI e il V sec. a.C. L’Orfismo è una religione che vuole riformarne un’altra da cui deriva, una religione più antica, arcaica, materiale e dal culto piuttosto violento. La cultura orfica vuole riformare questa religione, più antica, in senso spirituale: vuole dare un’anima, un’etica, a questa religione antica. Al centro della riforma religiosa orfica c'è un mistero, un culto, legato all'enigma della morte e della resurrezione: l’homo sapiens non si rassegna all’idea della morte! L’Orfismo predica che qualcosa di noi non muore ma si ricicla, si trasforma (qualcosa risorge di noi!) come la Natura che è in continua trasformazione e continua a morire e a risorgere nel ciclo delle stagioni.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
Anche se "le stagioni non sono più quelle di una volta", pur tuttavia autunno e inverno, primavera ed estate condizionano fondamentalmente la nostra vita…
Quale momento stagionale, quale ciclo stagionale preferisci?
Gli avvenimenti della nostra vita e i nostri ricordi sono profondamente legati alle stagioni…
Scrivi quattro righe in proposito…
Conoscete senz'altro il famosissimo mito di Orfeo, un racconto simbolico usato da moltissimi intellettuali in tutti i tempi per costruire oggetti culturali significativi: poemi, romanzi, opere liriche, sinfonie, film, drammi, commedie, pittura, scultura…
Ebbene è Ovidio nel famoso libro X de Le Metamorfosi a raccontarci per primo, in perfetta forma letteraria, la favola di Orfeo ed Euridice, il mito di Orfeo. La traduzione non rende il verso latino, ma il latino è la nonna dell’italiano, e tradurre dal latino è come ascoltare la nonna che racconta…
LEGERE MULTUM….
Ovidio, Le Metamorfosi Libro X (3 d.C.)
C’era una volta Orfeo, il mitico insuperabile cantore, il soave poeta,
figlio del divino Apollo e di Calliope, la musa dalla bella voce.
Orfeo, col canto della sua poesia, fa innamorare la bellissima Euridice,
che troppo presto muore, e lui, disperato, non riesce a darsi pace.
Decide di tentare l’impossibile impresa per ogni essere mortale:
scendere agli Inferi per riportare ancora in vita, accanto a lui, la dolce sposa.
Accarezzando le corde della lira, i guardiani infernali, Orfeo, riesce a placare
Caronte e Cerbero, ammansiti dal suono e dalla voce, lo lasciano passare
e Persefone, regina d'Oltretomba, affascinata anch’essa dal melodioso canto,
concede ad Euridice il ritorno alla luce, seguendo Orfeo, standogli accanto.
C'è solo un divieto che impone la regina: lungo il tragitto di ritorno,
Orfeo, non si dovrà voltare a guardare se Euridice lo segue lieta e fiduciosa.
Perché Orfeo non resiste alla tentazione di lanciare uno sguardo alla sposa?
Per un attimo incontra i suoi occhi, e per un attimo perde la cosa più preziosa.
Viene trascinata indietro nell'Ade, Euridice, e così muore una seconda volta.
Ritorna Orfeo, da solo, dal suo viaggio, sfigurato da un tragico destino,
in cui ha vinto la partita più difficile e in quella più facile ha smarrito il cammino.
Tutte le donne gli offrono l'amore, ma Orfeo rifiuta: solo nel canto sfoga il suo dolore
e solo il canto lo può consolare, e la sua musica è sempre più suadente,
e distrae, dal dovere coniugale, tutti gli uomini che lo stanno affascinati ad ascoltare.
Si sentono assai trascurate, le donne di Tracia, e si vendicano: catturano Orfeo,
lo sbranano, fanno a pezzi le sue tenere membra e, squartato, lo gettano in mare.
Ma non è un’orribile fine la sua, perché Orfeo non muore, non può morire del tutto,
è il suo corpo che muore: la sua anima armoniosa vive, l’armonia non può morire,
perché l’anima poetica è immortale, e questa voce, la voce suadente di Orfeo,
l’amore, l’amore per Euridice, continua, e continuerà, per sempre, a cantare …
Questo mito contiene in embrione un messaggio di salvezza eterna, un messaggio basato sulla speranza che non tutto di noi muore con la morte del corpo; questa è un’idea che spicca, per esempio, di fronte al pessimismo mesopotamico di Gilgamesh , dove la morte è definitiva: "cercare la vita eterna è come cercare di catturare il vento…", leggiamo nell’ultima tavoletta dell’Epopea di Gilgamesch. Il mito di Orfeo contiene un’idea, che è alla base della speranza cristiana e poi islamica, nella risurrezione. L'Orfismo si basa su tre elementi fondamentali che tuttora fanno parte della nostra cultura:
1. Il primo elemento della dottrina orfica dice che in ogni individuo è presente un'anima, un principio eterno, esistente prima della nascita e che sopravvive alla morte (anche il cristianesimo si presenta come un culto orfico e La Scuola di Atene di Raffaello rappresenta bene, per ordine di Giulio II, questo concetto). Da dove arriva, nella cultura orfica greca, questo concetto dell’anima? Arriva dall’Oriente, dalla cultura della valle dell’Indo. Arriva attraverso le migrazioni: migrano i popoli, migrano le idee e si sovrappongono ad altre idee. Il popolo ellenico nasce da una fusione pluriculturale: su quel territorio abitavano popolazioni chiamate dagli antropologi Pelasgi, gente del mare. Duemila anni a.C. c’è stata una prima migrazione dal nord, quella degli Achei, che si sono sovrapposti e integrati con i Pelasgi e con la civiltà Cretese. Milleduecento anni a.C. c’è stata una seconda massiccia migrazione, quella dei Dori, che ha creato uno spostamento di popolazioni e un’ulteriore sovrapposizione e integrazione: la grandezza della cultura greca è dovuta a questo rimescolamento! L'Orfismo fa propria la teoria indiana dei libri dei Veda - La Sapienza (generatori culturali dell'Induismo e del Buddismo) dove l’anima, in sanscrito "atman", è come una scintilla, come una goccia dell’Essere supremo, il Brahman. Quindi una goccia, una scintilla del Brahman, dell’Essere supremo, è presente in ogni persona sotto forma di anima. Ma, secondo il pensiero indiano, questa frantumazione dell’Essere è un male, è stato un incidente provocato dall’egoismo umano, è stato un "peccato originale": l’Uomo ha detto ‘Questo è mio, voglio possedere il mondo!’ E l’Essere si è frantumato; e per questo motivo l’essere umano è inquieto, perché l’anima sente il desiderio di ritornare a casa, di ritornare ad essere tutt’uno con l’Essere, di rituffarsi nella quiete dell’Essere. La persona, secondo i libri dei Veda indiani, deve prendere coscienza e deve operare per favorire il ritorno dell'atman, dell’anima, nella sua sede, nella sua casa naturale, nel Brahman, nell’Essere. Questo ritorno avviene attraverso la teoria della reincarnazione o della metempsicosi (la Trasmigrazione delle anime, secondo la definizione di Pitagora), secondo cui l'anima, alla morte dell'individuo, lascia il corpo ed entra, dopo breve tempo, in un altro corpo, cercando di migliorare via via la sua posizione in funzione dell'ascesa, del suo ritorno all’Essere, al Brahman. L'Orfismo mutua questa mentalità indiana, che arriva attraverso le migrazioni, e la elabora, possiamo dire, in termini occidentali.
2. Il secondo elemento della cultura orfica è che l'essere umano è definito dal dualismo tra anima e corpo: due principi (diversi) in contrasto tra loro, in cui il corpo viene considerato la prigione dell'anima, e l'anima deve tendere a liberarsi dal corpo, a liberarsi dalla materia.
3. Il terzo elemento della cultura orfica prevede che, dopo la morte del corpo, l'anima sia sottoposta a un giudizio. E ci può essere un castigo con una nuova vita, una nuova reincarnazione materiale, oppure ci può essere un premio, cioè la liberazione dal ciclo delle incarnazioni, la liberazione dalla carne, il ritorno definitivo dell’anima a essere spirito, unita per sempre all’Essere, come era in origine. Per arrivare al premio è necessaria una forte tensione etica: la volontà di fare il bene. Su questo punto l’Orfismo diventa un movimento riformatore. La riforma religiosa orfica prescrive di coltivare ideali di vita basati sull’euritmia cioè sull'armonia, sulla concordia, sulla proporzione, sull’equilibrio, che sono le componenti, le qualità del dio Apollo (ecco da dove e come nasce il dio Apollo…), il padre di Orfeo, il quale canta con la sua "bella voce" (da parte della mamma) queste virtù apollinee.
Ma l'Orfismo è qualcosa di più complesso: perché è legato ad una religione più antica, materiale, più legata alla Natura, all’animalità. L’Orfismo rinnova questa religione ma se ne porta dietro l’eredità! L’Orfismo non è soltanto basato sulle virtù di Apollo: l'armonia, la concordia, la proporzione, l’equilibrio, l’euritmia. l’Orfismo è un movimento religioso che si sovrappone a un culto (a un mistero) precedente, arcaico e ben radicato sul territorio, con il quale s’intreccia e con il quale dobbiamo entrare anche noi in contatto: il culto di Dioniso. Chi è Dioniso?
L'Orfismo, dicono gli antropologi, nasce tra il VI e V secolo a.C. da una riforma interna ai riti dionisiaci: quindi prima dell'Orfismo ci sono i culti di Dioniso. E questa è sempre la strada che ci deve condurre al significato del canto del caprone: non ci siamo persi, ma è la strada che è lunga…
Nei confronti dei culti di Dioniso, l'Orfismo è una riforma in senso spirituale, ascetico che impone una forte tensione etica, prescrive di fare il bene per dare più leggerezza e più valore all’anima. Impone uno stile di vita ordinato in cui si deve coltivare la temperanza, la continenza, la sobrietà, l'igiene personale, una dieta strettamente vegetariana. L’Orfismo rinnova il culto di Dioniso perché vieta l'omofagia, cioè il cibarsi di carne cruda, pratica diffusa nel culto di Dioniso.
Il nostro itinerario, per andare avanti nello spazio, va indietro nel tempo, e il sentiero di Orfeo si immette ora nel sentiero di Dioniso sul quale stiamo continuando a rincorrere, sostenuti ancora da Ovidio, il significato del canto del caprone.
Che cosa sono questi riti dionisiaci? E chi è Dioniso? Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo subito affermare che la riscoperta di Dioniso e dei riti dionisiaci è una scoperta culturale recente e gran parte del merito è di Friedrich Nietzsche (1844-1900), il cui saggio La nascita della tragedia del 1872 ha inaugurato un modo nuovo di considerare la Grecità, facendo tesoro di tutte le scoperte archeologiche e letterarie fatte alla fine del ‘700. Secondo il pensatore tedesco, la grandezza della cultura greca è il risultato della sintesi delle contrastanti caratteristiche di Apollo e di Dioniso (avevamo detto la scorsa settimana, leggendo Achille Campanile, che avremmo incontrato Apollo e Dioniso, questa sera!). La cultura greca e quindi quella che chiamiamo la cultura occidentale è una sintesi tra la spiritualità di Apollo, fatta di equilibrio, armonia, di euritmia e la spiritualità dionisiaca, simmetrica e contraria, fatta di irrazionalità, "derivante dallo stato di vigore animale che ciascuno possiede perché la vita ha un suo lato oscuro e istintuale, che è necessario – scrive Nietzsche – alla sopportazione dell'esistenza e allo sviluppo della creatività". Per essere umani, equilibrati, armonici dobbiamo confrontarci con la nostra animalità istintuale: siamo insieme umanità e bestialità, siamo contemporaneamente armonia e schizofrenia, angelici e diabolici, siamo contemporaneamente Apollo e Dioniso, siamo insieme ragione e istinto!
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
A volte diciamo: "quella volta ho agito d’istinto, ed è andato tutto bene". Oppure diciamo: "quella volta ho agito d’istinto, ed ho sbagliato".
Scrivi quattro righe in proposito…
L’occidente si è riconosciuto in questa cultura: in ciascuno di noi s’intrecciano Apollo e Dioniso. Apollo e Dioniso s’intrecciano nelle cose di questo mondo: l’euritmia orfica e l’irrazionalità dionisiaca s’intersecano creando situazioni drammatiche che, spesso, hanno un risvolto comico, ed è importante saper cogliere questo risvolto comico! Questo intreccio, tra Apollo e Dioniso, esiste e lo riscontriamo nella banalità della vita quotidiana, tanto che gli scrittori del ‘900, cosiddetti surrealisti, umoristi paradossali del ‘900 (la settimana scorsa abbiamo incontrato Achille Campanile, attentissimo osservatore del lato orfico della nostra società) hanno sempre utilizzato la cultura orfica e il dualismo Apollo - Dioniso per annotare come le più banali situazioni, essendo in bilico tra razionalità e irrazionalità, possano diventare paradossalmente comiche.
Leggiamo mezza pagina dal romanzo Il signor Veneranda di Carlo Manzoni, dove un banale, involontario, privo di senso, irrazionale "fischio", intrecciandosi con la razionalità, con la volontà e con il significato che un simbolo assume, possa diventare motivo di infinite, teatrali, rituali discussioni: un fischio fine a se stesso tende a diventare un canto incontrollabile.
LEGERE MULTUM….
Carlo Manzoni, Il signor Veneranda
Il signor Veneranda si fermò davanti al portone di una casa, guardò le finestre buie e spente e fischiò più volte, così, per caso, come se volesse chiamare qualcuno. Ad una finestra del terzo piano si affacciò un signore. «È senza chiave?» chiese il signore gridando per farsi sentire. «Sì, sono senza chiave» gridò il signor Veneranda. «E il portone è chiuso?» gridò di nuovo il signore affacciato. «Sì, è chiuso» rispose il signor Veneranda. «Allora butto la chiave». «Per fare che cosa?» chiese il signor Veneranda. «Per aprire il portone» rispose il signore affacciato. «Va bene» gridò il signor Veneranda «se vuole che apra il portone, butti pure la chiave». «Ma lei – gridò il signor affacciato – non deve entrare?» «Io no» gridò il signor Veneranda.
... continua la lettura ...
Andate avanti a leggere! Fatto sta che il "fischio del signor Veneranda", nella sua banalità mette in campo Apollo e Dioniso: razionalità e irrazionalità s’intrecciano, e il casuale "fischio del signor Veneranda" via via prende i connotati del canto del caprone; il "fischio del signor Veneranda" si trasforma in tragedia! Guai se non se ne sa cogliere il lato comico, umoristico, ironico! Qui Carletto Manzoni mette bene in evidenza l’importanza di saper afferrare quello che di comico si nasconde sempre nell’intreccio tra Apollo e Dioniso. Se sappiamo comprendere il senso dell’umorismo, l’ironia delle cose, ecco che la tragedia si trasforma in qualcosa di astratto, contrariamente sono guai!
Ma perché la parola "tragedia, tragos oidos" significa il canto del caprone? Per capirlo non basta incontrare Orfeo, figlio di Apollo, non basta incontrare Apollo; dobbiamo incontrare anche Dioniso: e siamo sulla strada, sempre in compagnia di Ovidio. Sapete che cosa sono i riti dionisiaci? E sapete chi è Dioniso? E sapete che cosa c’entra, con Dioniso, il canto del caprone?
Allora accorrete, la Scuola è qui, e per giunta Ovidio, la prossima settimana, ci deve raccontare da Le Metamorfosi una lunga storia. Sapete quale? Quella che ci conduce in un posto misterioso dove, in lontananza, si comincia a sentire…il canto del caprone…