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IL MUSEO, LO SPAZIO DELL’ABROSYNÉ…

Lezione N.: 
1

Prof. Giuseppe Nibbi     Tra ‘700 e ‘800: il sorriso de La Gioconda 2004     13-14-15 ottobre 2004

 IL MUSEO, LO SPAZIO DELL’ABROSYNÉ…

   Ben tornati a Scuola e ben venuti a Scuola! Ben tornati a tutti coloro che sono in viaggio, in questi itinerari culturali, da uno due cinque dieci, vent’anni. E ben venuti a coloro che muovono i primi passi sui sentieri di questa esperienza didattica!

   Il 1° ottobre 1984 – vent’anni fa – ha avuto inizio questa esperienza didattica, nell’ambito della Scuola pubblica degli adulti. Quando ha avuto inizio era un’offerta formativa fuori dalle norme, che non erano ancora state scritte per poterne giustificare la legalità: questo avverrà soltanto nel 1997 con l’O.M. 455 che è stata ispirata anche da questa esperienza. Ebbene, il 1° ottobre 1984, io e gli studenti che erano presenti, non pensavamo che questo percorso formativo avrebbe fatto tanta strada, sarebbe durato così a lungo e si sarebbe sviluppato come un modello didattico. Il prossimo numero 11, della rivista L’ANTIbagno, cercherà di illustrare i punti fondamentali di questo metodo che è stato chiamato: dell’affabulazione culturale e che abbiamo tutti partecipato – in questi anni – a costruire e a sperimentare.

   Ora però non abbiamo tempo per festeggiare: siamo sul punto di metterci in viaggio per un nuovo itinerario e dobbiamo celebrare – brevemente – non il ventennale, ma il tradizionale rituale della partenza. Il rituale della partenza consiste nel prendere atto ancora una volta – ma, lo sapete, i rituali sono ripetitivi – della natura e degli obiettivi di questo Percorso didattico.

   Che Percorso didattico è, questo, che, da vent’anni, funziona nella Scuola pubblica degli Adulti, e quali sono i suoi obiettivi formativi? La natura e gli obiettivi di questo Percorso scolastico non riguardano tanto i contenuti (anche se i contenuti hanno la loro importanza…), ma riguardano soprattutto la forma! E abbiamo sempre utilizzato una metafora poetica per spiegare questo concetto didattico: non sono le perle che fanno la collana, è il filo…

   Noi incontreremo – settimana dopo settimana – una serie di contenuti (di perle) legati alle discipline umanistiche, legati alla Stopenum, alla geografia, alla storia degli avvenimenti, all’antropologia culturale, alla storia dell’arte, della letteratura, della filosofia e collezioneremo senz’altro delle perle culturali, intellettuali! Ma soprattutto il compito istituzionale, che la Scuola si deve assumere, è quello di insegnarci a utilizzare il filo, la trafila dell’apprendimento. Che cosa significa? Significa che questo Percorso utilizza i contenuti della Stopenum per raggiungere un obiettivo formativo. Questo Percorso utilizza i contenuti della Stopenum in funzione della didattica della lettura, della riflessione personale e della scrittura. Questa è la natura e questi sono gli obiettivi dell’itinerario scolastico che ci stiamo preparando a percorrere! Questo Percorso didattico, quindi, si propone di insegnarci, prima di tutto, a mettere a profitto l’esercizio della lettura, della scrittura e della riflessione personale, che sono gli strumenti fondamentali, gli elementi necessari, per investire in intelligenza.

   Quando leggiamo, riflettiamo e scriviamo, noi potenziamo le nostre azioni cognitive. Vengono chiamate "azioni cognitive" quelle azioni (ad alto reddito) che fanno funzionare la nostra mente, e permettono che si possa attuare il processo di apprendimento e l’investimento in intelligenza. E che cosa vuol dire, nella pratica didattica: apprendere e investire in intelligenza? Noi apprendiamo e investiamo in intelligenza quando siamo capaci a impiegare le azioni cognitive, le azioni per mezzo delle quali s’impara. E quali sono queste azioni? Il nostro apprendimento (l’imparare) passa attraverso sei azioni privilegiate – così ci dicono gli esperti – e sono le azioni del conoscere, del capire, dell’applicarsi, dell’analizzare, del sintetizzare, del valutare. A queste sei azioni cognitive principali corrispondono altre quaranta azioni cognitive conseguenti, che contribuiscono a fare di ciascuno di noi, quel che si dice: un essere intelligente. E allora, in pratica, in che cosa consiste – per noi – l’esercizio dell’imparare? Vale a dire: che cosa veniamo a fare a Scuola? 

   Ogni itinerario settimanale che percorriamo corrisponde a un ragionamento progressivo e articolato, nel quale ci esercitiamo attraverso le sei fasi, che corrispondono alle azioni del nostro apprendimento: conoscere, capire, applicarsi, analizzare, sintetizzare, valutare attraverso queste azioni: s’impara a imparare!

   Per prima cosa, ci esercitiamo a conoscere: a conoscere che cosa? A conoscere le "parole-chiave" più importanti (una o due) del repertorio culturale che, nel suo itinerario settimanale, la Scuola ci propone.

   Per seconda cosa, ci esercitiamo a capire: a capire che cosa? A capire alcune "idee significative" della Stopenum presenti nel repertorio di ogni itinerario settimanale.

   Per terza cosa, ci esercitiamo ad applicarci: come e quanto? Ci applichiamo riflettendo almeno dieci minuti al giorno, sulle proposte operative del repertorio, in modo da costruire la trama: da tessere una rete di pensieri.

   Per quarta cosa, ci esercitiamo ad analizzare: cioè, a catalogare, a fare la lista dei pensieri che ci vengono in mente attraverso le parole e le idee contenute nel repertorio.

   Per quinta cosa, ci esercitiamo a sintetizzare, e sintetizzare significa "scrivere". Scrivere uno dei pensieri che abbiamo catalogato, quello che ci sembra più significativo: quattro righe scritte (per raccontare, per descrivere, per informare, per esprimere, per interpretare, per argomentare) sono la concretizzazione di una trama intellettuale, e sintetizzano il nostro pensiero ("Oggi comincia la scuola"…è un pensiero banale? Lo dite voi…).

   Per sesta cosa, ci esercitiamo a valutare: ad auto-valutare l’andamento di tutta la nostra attività cognitiva. Valutare significa "essere consapevoli" di governare la trafila del nostro apprendimento: quante parole-chiave ho conosciuto? Quante idee-significative ho capito? Quanti pensieri ho elaborato? Li ho catalogati? Quale testo ho scritto?

   Questi sei punti costituiscono le fasi fondamentali del metodo dell’affabulazione, un procedimento, un sistema che ha le sue radici molto lontano nel tempo. Il metodo didattico dell’affabulazione comincia a essere codificato, a partire dall’anno Mille, all’interno di quel grande movimento culturale che è stato chiamato: la Scolastica, un movimento che, in Europa, ha visto coinvolti sul medesimo progetto, intellettuali cristiani, mussulmani, ebrei e laici (La Scuola di Toledo, Gerberto d’Aurillac è papa Silvestro II, 999-1003, l’imperatore Ottone III, il progetto della "renovatio"); quindi, i princìpi di base della Scolastica – compresa l’affabulazione – sono un punto di riferimento fondamentale per favorire la costruzione dell’unità europea e dell’unità dei popoli del bacino del Mediterraneo.

   "Affabulare" significa far procedere ritmicamente l’itinerario della "lezione" attraverso la sequenza delle azioni cognitive: conoscere, capire, applicare, analizzare, sintetizzare, valutare. "Affabulare" significa sollecitare il metodo della domanda, far allungare la catena dei "perché?" in modo da condurre i cittadini, non direttamente alle risposte, ma a porsi gli interrogativi necessari per poter cogliere e rielaborare in proprio i contenuti (le perle) e le forme (il filo) della cultura.

   Il metodo didattico dell’affabulazione è stato codificato negli Statuti delle grandi Università medioevali. Si legge nello Statuto della Facoltà delle Arti di Parigi, elaborato nella stesura finale da Tommaso d’Aquino (1247):

LEGERE MULTUM…

"Chi vuole apprendere deve verba perspicere (conoscere le parole-chiave), notiones intellegere (capire le idee-significative), ad studium se conferre (applicarsi nello studio), cogitationes explicare (analizzare i pensieri pensati), in epitomen perscribere (sintetizzare i pensieri scritti), mentis itinera probare (valutare l’itinerario d’apprendimento)"…

   Questa interessante citazione la troveremo sul prossimo n.11 de L’ANTIbagno.

   La Scuola, con i suoi mezzi elementari – proprio perché non possono mancare gli "elementi" fondamentali – propone parole-chiave e idee-significative. Parole-chiave e idee-significative costituiscono la materia prima, utile, per leggere, per scrivere, per studiare, per suscitare in noi dei pensieri e, poi, per creare una rete di rapporti umani basati sulla riflessione culturale! Le parole-chiave, le idee-significative che ci portano ad elaborare pensieri e a scriverli, uno per volta: dove le andiamo a cercare? Le andiamo a cercare nei paesaggi intellettuali della Stopenum che andremo a scoprire, di settimana in settimana, attraverso i nostri itinerari!

   E ora, dopo aver celebrato – brevemente – questo tradizionale rituale della partenza che è necessario per chiarire la natura e gli obiettivi del nostro Percorso, mettiamoci in cammino.

   Dove siamo, questa sera? Qual è il nostro punto di partenza? Da dove prendiamo le mosse per il nostro primo viaggio culturale, e verso dove ci dirigiamo? Vi ricordate dove ci siamo fermati a fine maggio, prima delle vacanze estive?

   Siamo ancora dentro a quel vasto territorio, nel quale abbiamo già viaggiato nello scorso anno scolastico, e che viene chiamato convenzionalmente il territorio del "romanticismo". Per quanto riguarda lo spazio intellettuale, quindi: siamo qui, ancora nel "territorio del romanticismo". Per quanto riguarda il tempo, ci troviamo negli ultimi decenni del 1700. L’ultimo decennio del 1700 – in particolare – è stato considerato un periodo molto importante, molto significativo, nella storia della cultura. Perché? Per molti motivi. Uno dei motivi – che a noi interessa particolarmente, come lettori, come scrivani e come persone che vogliono coltivare i propri pensieri – riguarda la creazione di un catalogo di parole-chiave e di idee-significative che, proprio in questo decennio, prende forma.

   Tra tutte queste parole-chiave e queste idee-significative che, nell’ultimo decennio del 1700, assumono una dimensione importante, noi abbiamo puntato l’attenzione – già dalla primavera scorsa – su un piccolo gruppo di parole-chiave e di idee-significative proprio in funzione della didattica della lettura e della scrittura. Quasi tutti conoscete già, queste parole e queste idee! Difatti, alla fine di maggio – prima delle vacanze – abbiamo scelto, attraverso una consultazione, quale importanza dare a queste parole e a queste idee: vi ricordate? Allora. iniziamo a orientarci sulla nostra posizione di partenza in modo da poterci mettere in cammino.

   Nell’ultimo decennio del 1700, in Europa, nell’ambito di un movimento culturale che è stato chiamato "romanticismo" assumono una dimensione importante una serie di parole-chiave legate ad altrettante idee-significative. Quali sono queste parole e queste idee che appartengono alla cultura del romanticismo e che costituiscono per noi un punto di partenza?.

   La prima idea "romantica" è che il teatro debba avere una funzione morale nella società, e che debba educare le coscienze dei cittadini in modo da favorire un cambiamento qualitativo della società stessa (l’1% ha scelto questa idea).

   La seconda idea "romantica" è che la poesia sia un vero e proprio strumento di conoscenza della realtà: se vogliamo davvero conoscere come è fatto il mondo dobbiamo ascoltare la voce dei poeti, anzi, dobbiamo farci noi stessi poeti per dare al mondo una forma (il 4% ha scelto questa idea).

   La terza idea "romantica" è che sia necessario sperimentare nuove forme letterarie, in particolare: il romanzo di formazione, il romanzo sentimentale, il poema fantastico. Questi tre "generi letterari", che si sono formati nel periodo del "romanticismo", sono tuttora i "generi letterari" più utilizzati per costruire letteratura (l’8% ha scelto questa idea).

   La quarta idea "romantica" porta il popolo sulla scena della storia e della cultura come nuovo soggetto con le sue qualità: la spontaneità, la gaiezza, la passione, il delirio, l’esaltazione, l’immediatezza nei rapporti, la spregiudicatezza dionisiaca (il 14% ha scelto questa idea).

   La quinta idea "romantica" afferma che l’essere umano deve sviluppare una sua "vita interiore" capace di riflessione, di ragionamento intimo, di riconoscimento dei propri sentimenti, contrariamente non potrà coltivare idee, pensieri, e soprattutto non potrà manifestare all’esterno azioni sociali e politiche efficaci (il 73% ha scelto questa idea).

   Che cosa ci ha lasciato in eredità il "romanticismo" sotto forma di parole–chiave e di idee-significative (in funzione della didattica della lettura e della scrittura) ? Queste parole e queste idee (nel modo in cui le abbiamo scelte) sono anche il nostro punto di partenza.

 

 teatro  poesia  romanzo  popolo  interiorità

   Nel nostro paesaggio intellettuale di partenza c’è la parola teatro, legata all’idea che il teatro possa servire a formare una coscienza civile e politica.

   C’è la parola poesia, legata all’idea che la poesia possa essere uno strumento utile per conoscere il mondo, per conoscere la realtà.

   C’è la parola romanzo, legata all’idea che, questo nuovo genere letterario, che è stato chiamato "romanzo di formazione", possa essere uno strumento utile per l’educazione della persona.

   C’è la parola popolo, legata all’idea che il popolo sia il nuovo soggetto sociale dotato di qualità significative.

   C’è la parola interiorità, legata all’idea del primato della vita interiore: se l’individuo non sviluppa una vita interiore, tende a privilegiare l’avere piuttosto che l’essere.

   Ebbene queste parole e queste idee – che troviamo al punto di partenza del nostro Percorso – insieme a molte altre parole e idee, hanno favorito la nascita di un particolare clima culturale in cui ci si è interrogati anche sul valore della bellezza, e dell’arte. Nell’ultimo decennio del 1700 si sviluppa – tra gli intellettuali, e molti di loro li abbiamo incontrati nella primavera scorsa – un vivace dibattito sul tema della bellezza e sul tema dell’arte. Questo clima culturale, quindi, ha determinato una serie di fatti importanti. Uno di questi fatti importanti è la progettazione e la costruzione di un nuovo spazio pubblico nel quale raccogliere oggetti: nel quale custodire l’arte e la bellezza. Ma soprattutto, all’interno del quale, poter riflettere collettivamente sul significato e sul valore della bellezza e dell’arte. Siamo nell’ultimo decennio del 1700 e, vediamo aprirsi, nelle più importanti città europee, nuovi spazi pubblici che sono stati chiamati: musei. Tutti sappiamo che cosa sia un museo! Ebbene – ci dicono gli esperti – il concetto moderno del "museo" prende forma nell’ultimo decennio del 1700.

   E allora, la prima parola-chiave che incontriamo sul nostro itinerario è la parola: museo, e da dove arriva questa parola? Noi dobbiamo la parola "museo" alla poetessa Saffo di Mitilene (è il capoluogo dell’isola di Lesbo, una delle isole Sporadi settentrionali, nel Mar Egeo). Saffo – vissuta circa 2500 anni fa – è considerata la più importante poetessa dell’antichità ed è stata soprannominata "la Decima Musa" (Il n.10 de L’ANTIbagno a pag. 10-11). La poetessa Saffo ha aperto una Scuola, chiamata la Casa delle Muse o Museo, in cui vengono educate al canto, alla musica e a tutte le arti, le fanciulle. Siamo in una società in cui l’educazione intellettuale non viene impartita alle donne. Saffo ritiene che la sensibilità femminile abbia un suo specifico che si traduce anche sul piano intellettuale: secondo Saffo c’è un modo di sentire e di pensare al femminile. La donna – secondo Saffo – non è un sottoprodotto dell’uomo, ma un soggetto con caratteristiche diverse ma di uguale valore. Per emanciparsi – pensa Saffo – le donne non devono aspirare a diventare come gli uomini, ma devono coltivare il loro modo di sentire e di pensare. Se mai – pensa Saffo – sono gli uomini che devono avvicinarsi al sentimento e al pensiero femminile, e questo avvicinamento determinerà un miglioramento nei rapporti umani e sociali. E che cos’è questo specifico femminile? Saffo sintetizza (in un famoso verso poetico) lo specifico femminile attraverso un’idea rappresentata dalla parola greca: abrosyné. La parola greca abrosyné l’abbiamo incontrato più di una volta: sul n.10 de L’ANTIbagno pag. 10 e 11 "C’era una volta l’abrosyné". La parola greca abrosyne abrosyné che cosa significa? Ebbene, per tradurre questa parola greca, ci vogliono quattro parole italiane, l’abrosyné è una qualità che mescola insieme: la delicatezza, lo splendore, la grazia, il gusto.

   Attenzione, questo ragionamento, ci permette di farci una domanda significativa: che cos’è il museo? Il museo è, in origine, una scuola: è uno spazio dove avviene un processo educativo. Per noi un museo è – dal punto di vista strutturale – un posto dove ci sono dei quadri, delle statue, degli oggetti. Ma che cos’è un museo, dal punto di vista intellettuale?

   Qual è la definizione che la Stopenum dà del museo? Il museo – dal punto di vista intellettuale – è lo spazio dell’abrosyné: è il luogo dove si raccoglie la delicatezza, lo splendore, la grazia, il gusto.

REPERTORIO E TRAMA ...per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Nel mondo ci sono grandi e piccoli musei: qual è il museo più bello che hai visitato? Scrivi quattro righe in proposito…

   E adesso, attenzione: ricuciamo insieme il ragionamento che abbiamo fatto sull’idea del museo, con un secondo ragionamento e riflettiamo. Il museo – abbiamo detto – è lo spazio dell’abrosyné, ed è anche il luogo in cui vengono raccolte le opere del "genio artistico". Le opere del genio artistico – quelle che vengono depositate nei musei – sono permeate dall’abrosyné: dalla delicatezza, dallo splendore, dalla grazia, dal gusto.

   Ora – a proposito di musei – dobbiamo ricordare che il 10 agosto 1793 – l’ultimo decennio del 1700, è un momento molto significativo nella storia della cultura europea – è stato inaugurato, a Parigi, il museo del Louvre, e il 13 luglio 1797 entra al Louvre un quadro intitolato La Gioconda, dipinto all’inizio del 1500 da Leonardo da Vinci. Quest’opera, insieme al suo autore, alla fine del ‘700, è rimasta (diciamo così) coinvolta in una significativa operazione culturale che ha inciso fondamentalmente sul suo destino e anche sul destino delle creazioni del genio artistico. Sta di fatto che, questo "oggetto", questo dipinto, si trova a essere in relazione – così ci dicono gli esperti – con tre interrogativi:

- questo oggetto contiene un tasso di abrosyné (delicatezza, splendore, grazia, gusto) superiore a quello di tutte le altre opere artistiche?

- questo oggetto è il prodotto del "genio artistico" per eccellenza?

- questo oggetto contiene un messaggio misterioso che attrae inesorabilmente chi lo guarda?

   Ebbene, voi sapete che, ogni giorno – anche in virtù di questi tre interrogativi – migliaia di visitatori – i quali non si curano di cercare una risposta – si accalcano nei corridoi del Louvre per ammirare il "misterioso sorriso" di questa giovane signora. La domanda posta più di frequente al banco delle informazioni di questo celebre museo parigino è: "Dov’è la Gioconda?". Eppure ci sono, al Louvre, altre centinaia di capolavori ad alto tasso di abrosyné, prodotti dal "genio artistico" e tutti portatori di "messaggi significativi"!

   Quali sono le ragioni di un fascino che non sembra conoscere né interruzioni né confini? Che cosa ha reso questo quadro di Leonardo l’opera d’arte più famosa, più visitata, più discussa e citata del mondo? Una delle ragioni è che, quest’opera, tra il ‘700 e l’800, e poi per tutto l’800, è stata esaltata dal mondo della cultura come un’opera di carattere misterioso, enigmatico, fatale: perché è successo questo? Quali ragioni (diciamo così) "romantiche", hanno determinato questa situazione?

   Ora, avendo quasi tutti noi, nel Percorso della primavera scorsa, incontrato il pensiero di Schiller, di Novalis e di Schelling, ebbene, alcune di queste "ragioni romantiche", che hanno determinato questa situazione, le conosciamo già, e le ritroveremo strada facendo.Quali ragioni hanno reso, questo quadro di Leonardo, l’opera d’arte più famosa, più visitata, più discussa e citata del mondo? Sapete che non è possibile rispondere con una battuta a questa domanda: è necessario percorrere un itinerario. Ma, per noi – che vogliamo dedicarci alla didattica della lettura e della scrittura – la ricerca di una risposta a questa domanda è solo un pretesto. Un pretesto per viaggiare ancora nel vasto territorio del "romanticismo", i cui confini – come abbiamo capito già nel Percorso precedente – sono molto flessibili, e i sentieri che lo attraversano sono centinaia.

   Il sentiero che questa sera abbiamo imboccato e che percorreremo per qualche settimana ci fa incontrare, il 13 luglio 1797, un paesaggio intellettuale consueto al nostro occhio.

 REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Quindi, dobbiamo dire, che Denon è all’origine del grande Museo parigino, ma soprattutto è all’origine della concezione moderna del Museo. 

Leggi sulla guida di Parigi le pagine che si riferiscono al Museo del Louvre: fai quattro passi nell’ala Denon.

   Attenzione, questa immagine è tecnicamente un’immagine scadente! Tuttavia è un’immagine che serve (come si suol dire) "per rendere l’idea".

   Chi non ha visto, chi non riconosce, a chi non è "consueta", a chi non è "familiare", l’immagine de La Gioconda di Leonardo? E soprattutto è facile trovare un’immagine migliore di questa: più grande, a colori, direttamente fotografata e non fotocopiata. Ma, nonostante quest’immagine sia scadente, fa comunque da supporto a una breve descrizione che adesso andiamo a leggere. Questa descrizione è tratta da un "documento ufficiale" del Museo del Louvre: Notizie sui quadri esposti nelle gallerie del Museo Nazionale del Louvre. Questo documento, datato 1802, è il verbale di un inventario, ed è stato redatto da un certo Dominique Vivant Denon. Chi è costui? È un personaggio che ci accompagnerà per gran parte del nostro Percorso.

   Se andate a visitare il Louvre vi accorgete che l’ala del grande palazzo che ospita il Museo, l’ala che dà sulla Senna, è intitolata a Vivant Denon. Allora, facciamo il punto della situazione e citiamo alcuni dati sulla vita di questo personaggio. 

   Dominique Vivant Denon (1747-1825) fu amico di Luigi XV, ma fu amico anche di Voltaire del quale disegnò una famosa serie di ritratti. Ebbe molto successo con le dame dei salotti parigini, e attraverso la mediazione di Giuseppina Beauharnais, entrò in contatto con Napoleone. Dominique Vivant Denon è stato un disegnatore, un valente incisore e uno straordinario conoscitore d’arte. Ha partecipato con Napoleone alla spedizione in Egitto e ha raccontato questa sua avventura in un prezioso diario, poi pubblicato con il titolo: Viaggio nel Basso e nell’Alto Egitto, questo diario è accompagnato da una serie di preziose incisioni dei monumenti egizi. A Vivant Denon il 19 novembre (il 28 brumaio) 1802, Napoleone affidò la direzione generale dei Musei di Francia e in particolare la direzione del Louvre. Quindi, dobbiamo dire, che Denon è all’origine del grande Museo parigino, ma soprattutto è all’origine della concezione moderna del Museo. Abbiamo appena dato un’occhiata alla Gioconda e, questo oggetto, ci fa subito incontrare un personaggio molto interessante. Voi capite che Vivant Denon è passato indenne, e sempre a contatto con il potere: dall’Ancien Régime (era amico dei re), attraverso tutte le fasi della Rivoluzione (l’Assemblea nazionale, la Convenzione, il Terrore, il Direttorio, la Dittatura del primo Console) fino all’Impero di Napoleone e, oltre la caduta di Napoleone, nella Restaurazione borbonica. Nessuno ha mai considerato Vivant Denon un voltagabbana: perché? Che cosa lo ha salvato? Come ha fatto a salvare la testa in alcuni momenti? C’è una formula che gli studiosi hanno utilizzato per definire la vita e le avventure di Vivant Denon: l’arte del servir messa (di servire il potere) al servizio dell’Arte.

   Ma, a questo punto, credo non si possa fare a meno di andare a ficcare il naso nella vita, nelle avventure e nelle opere di Dominique Vivant Denon. È la natura del nostro percorso che ce lo impone: la didattica della lettura e della scrittura.

   E, a proposito di lettura: la prima descrizione ufficiale de La Gioconda di Leonardo la dobbiamo proprio a Dominique Vivant Denon.

LEGERE MULTUM…

Dominique Vivant Denon, Notizie sui quadri esposti nelle gallerie  del Museo Nazionale del Louvre (1802)

Una giovane posa seduta, la mano destra poggiata sul polso sinistro, la sinistra stretta al bracciolo in legno della sedia che corre parallelo al piano dell’immagine, così come la parte inferiore non visibile del corpo. Se si fosse seduta dritta ne avremmo scorto solamente il profilo, ma è rivolta verso di noi e ci mostra tre quarti del busto. Il volto pallido ci appare quasi frontale; gli occhi marroni guardano verso destra, mentre l’assenza delle sopracciglia accresce l’ampiezza della fronte. Le guance sono piene e i capelli, che le arrivano alle spalle, sono avvolti da un velo trasparente. Indossa un vestito scuro, piuttosto sobrio e la spalla sinistra è adornata da un mantello dal ricco panneggio. La linea del collo rivela l’inizio del seno. Non indossa alcun gioiello. Sorride. La loggia o il balcone su cui si trova sembra come sospeso sull’orlo di un abisso. Immediatamente alle sue spalle, al di là del parapetto, si erge uno strano paesaggio distante e complesso fatto di formazioni rocciose, picchi montuosi, vallate e colline. Sulla sinistra appare un lago da cui parte un sentiero serpeggiante, a destra si scorge un fiume attraversato da un ponte, misero segno dell’esistenza umana in un paesaggio desolato. Questo è quanto viene rappresentato con della pittura ad olio su un pezzo di legno di pioppo. È un quadro piccolo, con i suoi settantasette centimetri d’altezza per cinquantatre di larghezza. Eppure vi è qualcosa "dentro" a quest’opera che si rivolge a chi la guarda, liberando sentimenti, emozioni e consapevolezza. Che cos’è che nella Gioconda "ci tiene in schiavitù": forse la tecnica del pittore? Certamente Leonardo è capace di creare insieme un senso di struttura e di profondità. Il pittore è stato capace di rendere l’interiorità della modella, il senso del suo intelletto e della sua essenza, il suo "animus" che si esprimeva, nel momento della posa, attraverso la forza del sorriso e dello sguardo. Quel suo sorriso sereno la pone su un piano di superiorità rispetto all’osservatore: alziamo lo sguardo verso di Lei, e quel paesaggio sullo sfondo ce la fa apparire ancora più elevata. Sebbene i colli e le montagne siano di gran lunga più imponenti di Lei, è Lei a dominare la scena. Nonostante le piccole dimensioni ci troviamo di fronte a un’opera grandiosa e il suo sguardo è intenso come quello di una figura divina: potrebbe essere una Madonna profana. Esiste dunque una spiegazione semplice che dà conto del grande potere di questo straordinario dipinto? Questa Signora domina la nostra cultura perché domina l’osservatore? Il suo sguardo è più intenso del nostro e noi subiamo la sua attenzione più di quanto lei non subisca la nostra? Un fatto sembra certo: nello sguardo vigile de La Gioconda, la naturalezza e l’artificio sembrano convivere in modo armonico…

   Tre cose ci colpiscono in questa lettura.

   La prima riguarda l’uso della parola-chiave "interiorità"! Il pittore è stato capace di rendere l’interiorità della modella – scrive Vivant Denon – e qui Vivant Denon si dimostra figlio del suo tempo.

   La seconda cosa che ci colpisce sono "gli interrogativi" che Denon si pone! A quest’opera – che già si trova al Louvre da quasi cinque anni – comincia a essere attribuito un carattere misterioso, enigmatico, fatale: perché succede questo?

   La terza cosa riguarda l’affermazione finale, una affermazione non certo perentoria con quell’uso del verbo "sembrare" che appare, in tono garbato, come un modo per smorzare l’affermazione stessa. Un fatto sembra certo: nello sguardo vigile de La Gioconda, la naturalezza e l’artificio sembrano convivere in modo armonico.

   Che significato ha questa affermazione, e come mai il signor Vivant Denon sembra come voler smorzare i toni? Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare un po’ di strada, dobbiamo camminare per altre quattro settimane almeno; dobbiamo procurarci la chiave di lettura e il nostro Percorso di didattica della lettura e della scrittura ha la presunzione di insegnare l’esegesi: la ricerca delle chiavi di lettura.

   E allora, per capire meglio la materia sulla quale stiamo riflettendo, è utile incontrare più da vicino "Monsieur Denon, uomo di qualità, uomo galante, uomo onesto", così lo definisce Madame Elisabeth Vigée-Lebrun (una signora che incontreremo a Venezia) nel suo diario, rievocando una deliziosa serata, al caffè Florian di Venezia, passata in compagnia del barone Vivant Denon, il quale ha, senza dubbio, incarnato tutto quello che ha espresso un’epoca, l’epoca a cavallo tra il 1700 e il 1800.

   Vivant Denon – la prossima settimana – ci aspetta in Grecia, nell’Ellade antica. Sapete perché è importante andare a questo incontro? Non tanto per parlare di lui, di Vivant Denon: di lui parleremo in seguito. Incontreremo Vivant Denon perché ci deve far assaporare il gusto di un’epoca, in cui, emerge, nel bene e nel male, una delle parole-chiave della cultura del nostro tempo: la parola "museo", e questa – che ha la sua origine nell’antica Grecia – è strettamente legata a un’altra parola, che contiene un’idea complessa e significativa, la parola "fascino".

   Anche per Vivant Denon, il museo, è lo spazio dell’abrosyné. Ma, sapete, che senso ha, per Vivant Denon, questa definizione? Anche per Vivant Denon, la parola museo è strettamente collegata alla parola fascino.

   Tra l’altro, sapete che, la parola "fascino", è la parola che viene maggiormente accostata a quell’oggetto culturale che si chiama La Gioconda? Perché? Voi direte che c’era da immaginarselo, e che è persino banale questa constatazione! Attenzione però: non è un fatto casuale.

   E ci dobbiamo domandare: sapete che cosa s’intende quando, tra il 1700 e il 1800, si parla di fascino? La parola "fascino" è una parola molto significativa: è un paesaggio culturale assai complesso. E anche la parola, "fascinos", arriva dal mondo greco, arriva dal mondo della tragedia. E, all’inizio della sua storia, nel mondo greco, il temine fascinos, è un termine un po’ imbarazzante da presentare, e sembra non avere proprio nulla di "romantico". Che cosa significa questo discorso?    Sapete in quale territorio ci dobbiamo inoltrare per poter definire la parola fascino? Ci dobbiamo inoltrare nel territorio dei culti priapèi. Che cosa sono i "culti priapèi"?

   Ebbene non si può rispondere, a questa domanda con una battuta: per conoscere, per capire, per riflettere sul sorriso de La Gioconda, in compagnia di Vivant Denon, dobbiamo percorrere questo sentiero.

   La parola "museo" c’indirizza verso la parola "fascino", la parola "fascino" ci orienta verso il sentiero dei "culti priapèi". Avete mai percorso, in Grecia, l’itinerario dei "culti priapèi"?

   Accorrete, la Scuola è qui!...

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Ottobre 15, 2004