Prof. Giuseppe Nibbi Tra ‘700 e ‘800: il sorriso della Gioconda 2004 27-28-29 ottobre 2004
IL GENERE LETTERARIO PRIAPÈO…
Se andiamo a leggere i risultati delle ricerche che la direzione del museo del Louvre commissiona per conoscere e per capire le opinioni, gli umori, le lacune, i desideri, i bisogni dei visitatori del famoso museo, scopriamo che alla domanda: "Quali parole le fa venire in mente il ritratto de La Gioconda?" Ebbene, il 68% degli intervistati risponde: la parola "fascino".
La scorsa settimana abbiamo percorso un itinerario che ci ha fatto riflettere su questa parola significativa della nostra cultura: la parola "fascino": che cosa abbiamo scoperto? Abbiamo scoperto che, in origine, la parola greca "fascinos" definisce il fallo di Priàpo. Il fallo del dio Priàpo – secondo i culti priapèi – è considerato un amuleto per scacciare il malocchio, e soprattutto per allontanare le avversità. Con il teatro primordiale, il fallo di Priàpo, portato in scena, diventa il contenitore di un’idea: se si vogliono allontanare le avversità è necessario usare, non il fallo, non gli amuleti, ma il cervello, la ragione, l’intelletto. La parola "fascinos", per mezzo della mediazione culturale del teatro, comincia a significare anche questo concetto: il vero amuleto (fascinos) è il lògos, è la ragione, è il pensiero.
Ma è la poetessa Saffo – come abbiamo già chiarito la scorsa settimana – che compie una rivoluzione culturale che determina, nel tempo, un cambiamento di mentalità, e un ulteriore e determinante cambiamento di significato del termine "fascino". Saffo, in modo provocatorio, cambia la sostanza dell’amuleto e chiama "fascinos", non il fallo di Priàpo, che ingravida con prepotenza senza neanche lasciare il tempo di predisporsi all’accoglienza, ma, chiama "fascinos" la corona dell’amore, la ghirlanda di fiori che gli amanti si donano, e che è anche il simbolo del cerchio che delimita lo spazio all’interno del quale si esprime il corteggiamento: uno spazio, e un tempo, in cui si manifesta la predisposizione al consenso e all’accoglienza. Il corteggiamento non consiste nell’esibizione del fallo – scrive Saffo – ma è la cerimonia della manifestazione dell’abrosyné. Questa parola greca la conosciamo già, e sappiamo che contiene, per essere tradotta, ben quattro parole italiane: la delicatezza, lo splendore, la grazia, e il gusto. L’abrosyné è una situazione nella quale possiamo cogliere contemporaneamente la delicatezza, lo splendore, la grazia, e il gusto.
Il "fascino", con la Scuola di Saffo – e la Scuola di Saffo si chiama museo – cessa di dare un significato esclusivamente a un oggetto materiale, cessa di rappresentare unicamente il fallo di Priàpo come amuleto. Il "fascino", con la Scuola di Saffo – con il museo, la casa delle Muse, il laboratorio delle Arti – comincia a designare soprattutto un "oggetto sentimentale".
Il "fascino", con la Scuola di Saffo – con il museo – comincia a dare significato a un concetto nuovo: il "fascino", diventa l’espressione dell’abrosyné, vale a dire la manifestazione della delicatezza, dello splendore, della grazia, del gusto. Avere fascino – secondo il programma del museo, la Scuola di Saffo – significa manifestare la delicatezza, lo splendore, la grazia, il gusto. E, dobbiamo prendere atto, del ragionamento che ne consegue: se il "museo" – abbiamo detto nelle scorse settimane – è lo spazio dell’abrosyné, ecco che il "fascino", come parte integrante dell’abrosyné, è parte integrante del "museo". La parola "museo" e la parola "fascino" sono contigue, il concetto del "museo" e il concetto di "fascino" si compenetrano reciprocamente.
E, allora – ci fanno notare gli esperti – qui si pone un interrogativo molto interessante che ha dato adito a lunghe discussioni, che continuano: è il "fascino" del "museo" che rende significativa l’opera d’Arte, oppure è il "fascino" dell’opera d’Arte che rende significativo il "museo"? Intorno alle risposte da dare a questo interrogativo, si sono confrontate diverse correnti di pensiero, che continuano a confrontarsi (ed è probabile che, strada facendo, le incontreremo). Veramente, noi abbiamo fatto un’incursione nella parola "fascino", non attratti dalla risposta dei visitatori del Louvre, ma abbiamo seguito il signor Vivant Denon che è stato sovrintendente del Louvre a suo tempo e credo non abbia mai commissionato indagini di mercato. Però è stato quello che ha descritto ufficialmente per la prima volta, nel 1802, il dipinto de La Gioconda. La descrizione di Vivant Denon ci ha portato a fare un’incursione nella filologia, nella storia delle parole, nella storia delle idee, a riflettere in funzione della didattica della lettura e della scrittura.
L’itinerario scorso ci ha fatto viaggiare, per un tratto, sul sentiero dei culti priapèi e a questo proposito – come abbiamo annunciato la scorsa settimana – ci dobbiamo rendere conto che esiste anche una letteratura priapèa, e naturalmente, in un Percorso, come il nostro, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, questo fatto non ci può sfuggire. Allora, esiste anche una cosiddetta letteratura priapèa: perché c’interessa questa letteratura? C’interessa perché si tratta di letteratura latina – in cui emerge la parola "fascinum", sulla quale abbiamo acquisito già qualche nozione.
Dobbiamo sapere che esiste, con il titolo di Priapèe, una collezione di 80 poesie latine raccolte nel I secolo a.C, dedicate al dio Priàpo, d’argomento erotico, scherzoso, osceno dove, la parola "fascinum", corrisponde al fallo di Priàpo con tutto quello che comporta: l’esibizione di questo oggetto, la tensione verso la penetrazione. Questa raccolta non è considerata dagli esperti un’opera d’arte, però rappresenta la testimonianza, vivace, del linguaggio e della letteratura popolare di un’epoca. Ma il genere letterario priapèo diventa "classico" attraverso l’opera di uno scrittore che – come abbiamo preannunciato la scorsa settimana – questa sera, incontriamo sul nostro itinerario.
Ci dicono gli studiosi di letteratura, che l’opera più importante, contenente il genere letterario priapèo, è da considerarsi gli Epigrammi dello scrittore latino, di origine spagnola, Marco Valerio Marziale. Marziale è vissuto nel I secolo: non possediamo la data precisa né della sua nascita né della sua morte, è nato tra il 38 e il 51, ed è morto tra il 102 e il 104. Gli Epigrammi di Marziale sono un’opera complessa in 1561 versi (soprattutto distici elegiaci) divisi in 15 libri: non è un’opera di facile lettura! Per leggerla è necessario possedere le parole-chiave e le idee significative che questo testo contiene. È tuttavia un’opera molto importante e molto significativa che è servita, soprattutto agli storici, per completare il quadro di un’epoca, quella degli imperatori Flavi (Tito e Domiziano) e l’inizio di un’altra, l’epoca degli imperatori d’adozione (Nerva). Quindi negli Epigrammi di Marziale emerge soprattutto il quadro di un’epoca, un’epoca in cui la decadenza della romanità è già ad uno stadio avanzato: è l’epoca degli imperatori Tito (79), Domiziano (81), Nerva (96) che tentano invano di opporsi a una crisi ormai irreversibile. Marziale, negli Epigrammi, parla di sé e dei suoi ideali, dei suoi gusti letterari, delle sue aspirazioni, il primo protagonista è lui stesso, sottoposto ad un’auto-analisi molto interessante. Negli Epigrammi, Marziale satireggia, senza fare del moralismo, sul mondo in cui vive, in cui sbarca il lunario. Marziale critica – nei suoi versi – con una feroce ironia e con una sottile comicità il mondo in cui vive, nelle cui contraddizioni, però, lui, riconosce di essere completamente coinvolto, e, da questo mondo e da questo stile di vita, non sa proprio come venirne fuori: è lucidamente assuefatto, consapevolmente perso in questa realtà alienante, che è diventata una caratteristica sostanziale della città imperiale del I secolo, con i suoi vizi, le sue incoerenze, i suoi contrasti, la sua violenza .
Marziale si pone il problema di come evadere da quella situazione, ma le vie d’uscita presuppongono coraggio e scelte troppo drastiche: il sistema d’evasione che Marziale sceglie – anche come mezzo dei sussistenza – è la poesia, sono gli Epigrammi e, ancora una volta, la scrittura si dimostra strumento di un’efficacia culturale e intellettuale straordinaria. In questo "stato d’animo di lucida assuefazione" sta la grande modernità di Marziale: il cittadino contemporaneo "riflessivo", si trova spesso a condividere la condizione psicologica di Marziale: è fortemente critico perché riconosce che questa società, in molti dei suoi aspetti, fa schifo, è oscena ma, contemporaneamente, si rende anche conto di esserne parte integrante, di parteciparne tragicamente all’oscenità senza poter trovare un ambito dignitoso, decoroso, meritevole per potersi "esiliare" (scrive Marziale).
REPERTORIO E TRAMA ...per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
Esiste - secondo te - un ambito dignitoso, decoroso, meritevole per potersi "esiliare" ? Pensi che lo si potrebbe inventare e creare?
Scrivi quattro righe in proposito…
Ma qual è il "mondo" in cui vive Marziale, a Roma? L’ambiente in cui, a Roma, vive Marziale – e che ha reso questa persona un personaggio molto particolare – è quello dei clientes, dei parassiti, dei ladri, degli avari, dei bevitori, delle cortigiane senza scrupoli, dei disabili costretti a mendicare, dei finti filosofi, dei piccoli truffatori. Nel descrivere magistralmente questi personaggi, Marziale ricerca l’effetto comico, scherzoso e, naturalmente, anche l’effetto osceno in chiave priapèa!
Una delle parole-chiave – forse la più importante – che caratterizza gli Epigrammi di Marziale è la parola "fascinum". E il termine "fascinum" viene utilizzato da Marziale nella maggior parte degli Epigrammi, nel suo significato originario: "fascinum" designa l’oggetto fallico, non tanto il fallo di Priàpo nella sua funzione di amuleto, ma il fallo in generale, accompagnato da tutte le parti del corpo che possono essere usate nell’abito della sessualità, come strumenti provocatori per esaltare l’ironia, la comicità e l’oscenità.
In un certo numero di Epigrammi, invece, Marziale esalta le virtù alle quali vorrebbe aspirare: la delicatezza, lo splendore, la grazia, il gusto, la cortesia, l’eleganza, la finezza, la distinzione e qui, quando usa il termine "fascinum", fa riferimento invece alla corona di Saffo, e quindi, invita il lettore alla riflessione su un concetto estetico. Gli Umani – scrive Marziale, in un pensiero che è stato definito, dagli esegeti, come "pessimismo riflessivo" – aspirano senz’altro al "fascinum" delle virtù estetiche che rendono più bella e qualitativamente migliore la vita, ma poi – soprattutto per responsabilità personale (lui la attribuisce a se stesso, questa responsabilità), il loro destino è quello di dover subire il "fascinum priapèo", di essere soggetti alla sorte del "fascinum" (a una vita del fascinum), una vita con un tasso qualitativo molto basso: quante volte ci viene da dire: che vita del "fascinum" che mi tocca fare! Traducete pure in lingua corrente, ma l’espressione priapèa risulta molto più fine! Cambia la forma, purtroppo non cambia la sostanza. Per lo meno – scrive Marziale – visto che, agli Umani tocca fare una "vita del fallo", prendiamo dal "fallo di Priàpo" (con annessi e connessi) quello che ci può essere di giocoso, di festoso, di vivace, di brioso, di spiritoso, di spassoso, di gradevole, di buffo, di burlesco, di farsesco, di umoristico e ridiamo, seppure amaramente, alla faccia della nostra sorte, che, per Marziale, è in buona parte voluta, per viltà, per ignavia, per paura, per disattenzione, per pigrizia, per indolenza, per poltroneria, per noncuranza, per negligenza, per ignoranza.
Marziale è sempre stato considerato un poeta scandaloso e, per questo motivo – sebbene etichettato come un classico – è stato sempre sistematicamente, o quasi, tenuto fuori dalla Scuola. E, questa sera, portandolo a Scuola non vogliamo certamente dare scandalo! Anche perché non è facile dare scandalo: bisogna essere veramente dei professionisti, e lo scandalismo è talmente diventato sistema, che è quasi conformismo! Credo che lo scandalo stia, prima di tutto, nell’aver tenuto fuori dalla Scuola Marziale che occupa, questa sera, il nostro LEGERE MULTUM…
Poverini i nostri "giovani studenti": che cosa succederebbe mai se sentissero il linguaggio licenzioso, scurrile di questo poeta, malizioso e libertino, abituati come sono a sentire solo i "cori angelici" che volano per l’etere! Ma noi siamo adulti e ci possiamo prendere questa licenza, sottovoce.
Qui dobbiamo anche fare un inciso scandaloso: dobbiamo anche rendere giustizia a un poeta – che abbiamo già incontrato – il quale, nel la prima metà del 1700 ha dato lustro alla letteratura priapea. Questo poeta si chiama Giorgio Baffo, un nome facile da ricordare, al quale sulla rete sono dedicati molti siti che riportano la sua opera, che s’intitola Raccolta universale delle opere di Giorgio Baffo veneto, e fu pubblicata postuma, nel 1789. Andate alla ricerca, ma attenzione perché una parte di questi siti hanno il vezzo di giocare con la pornografia: evitateli (non per ragioni di moralismo) perché sono stupidi e probabilmente avrebbero infastidito Giorgio Baffo, considerato uno dei maggiori lirici del ‘700 . E, quindi, lo scandalo, anche in questo caso, se mai, sta nell’aver sempre tenuto fuori dalla Scuola anche questo scrittore. Giorgio Baffo è un "moderno Marziale", nato a Venezia nel 1694 e morto lì nel 1768.
Di lui abbiamo pochissime notizie biografiche: di famiglia patrizia, fu senatore della Serenissima repubblica, e fece parte della suprema corte di giustizia veneziana. Le cronache lo ricordano come una persona dal carattere gentile, riservato, pudico, compare nelle Memorie di Giacomo Casanova, che lo nomina come illustre, compìto, saggio, dotto protettore della sua famiglia, quando Casanova era un bambino. Licenzioso quanto si voglia, Giorgio Baffo, è dei maggiori poeti del ‘700, prima di tutto per la musicalità della sua lingua, la lingua veneta, la lingua di Carlo Goldoni. Non c’è, nei versi di Baffo, solo malizia e libertinaggio, c’è soprattutto una riflessione ironica, amara, esistenziale: secondo la tradizione della letteratura priapea.
Venezia ai primi del ‘700 è una città scandalosa e Giorgio Baffo ce ne fornisce un ampio e accurato spaccato, come Marco Valerio Marziale ci fornisce un ampio e accurato spaccato della Roma del primo secolo!
REPERTORIO E TRAMA ...per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
Con l’atlante, con lo stradario, con la guida della Spagna o sulla rete, è utile compiere un viaggio virtuale nella cittadina di Calatayud che conserva una traccia dei resti romani dell’antica Bìlbilis, e poi conserva i monumenti della cultura araba dell’ VIII secolo (il castello, la torre), e poi conserva le chiese del medioevo cristiano: la chiesa più importante, Santa Maria la Mayor, che è l’antica moschea e che possiede un pregevole portale di scuola francese, qui le culture – araba, ispanica, francese - s’intrecciano dando significativi risultati artistici: buon viaggio …
Potete approfittare della guida della Spagna per visitare anche la città di Tarragona, il capitale ("tarraco" significa capitale) della regione del nord-est iberico ai tempi di Marziale, di cui parla nei suoi Epigrammi: la rocca Tarragona, le colline tarragone, i fiumi tarragoni, la notte tarragona…
Tarragona è una bellissima città sulla costa mediterranea che presenta tre livelli architettonici esemplari ben visibili: la città romana (il grande anfiteatro in faccia al mare), la città visigota (la basilica romanica visigota costruita nel V secolo dentro l’anfiteatro romano) e la città medioevale (la cattedrale iniziata nel 1171, con uno stupendo chiostro)…
Andate a leggere questo significativo impianto architettonico e culturale: buon viaggio…
Ma torniamo a Marziale. Gli Epigrammi più belli di Marziale – veri e propri pezzi di bravura descrittiva, permeati di malinconia e di nostalgia – sono certamente quelli in cui Marziale descrive il paesaggio, soprattutto rievocando la sua terra d’origine, la Spagna Tarragonense. Marziale è nato a Bìlbilis, che corrisponde all’odierna cittadina di Calatayud, nella regione dell’Aragona. Il poeta Marziale può farci da guida con la descrizione che fa del territorio tarragonese, che circonda la sua città: così si chiamava questo pezzo di penisola iberica quando (più di 2000 anni fa, dal 197 a.c.) era una provincia romana, oggi, questo territorio, fa parte della regione dell’Aragona. Cogliamo anche l’occasione per fare un breve viaggio virtuale.
LEGERE MULTUM…
Giorgio Baffo, Dedica (1789)
Mi dedico ste mie composizion
Ai omeni, e alle donne morbinose (in vena di follie),
a quelli veramente, che le cosse
le varda per el verso, che xe bon.
Sotto le metto alla so protezion,
come persone tutte spiritose,
perché da certe teste scrupolose,
i le difenda co la so rason.
Che i diga che qua drento no ghe xe
Né critiche, né offese alle persone,
che mal de Dio no se parla, né dei Re,
ma sol de cosse allegre, belle, e bone,
cosse deliciosissime, cioè
de bocche, tette, culi, cazzi, e mone.
Ma sospendiamo, per il momento, questo discorso di "poetica geografica", perché lo riprenderemo dopo. Ora ci dobbiamo domandare: come siamo arrivati a incontrare Marco Valerio Marziale? Ci siamo arrivati attraverso i suggerimenti del nostro accompagnatore: Vivant Denon ci sta accompagnando anche in questo itinerario, ancora caratterizzato dalla parola "fascino", e dalle idee che questa significativa parola contiene.
Vivant Denon ha scoperto gli Epigrammi di Marziale, viaggiando in Italia, per la precisione viaggiando in Sicilia: li ha trovati nella biblioteca di un convento a Carlentini, vicino a Lentini, a metà strada tra Catania e Siracusa. Lì se li è fatti tradurre dal latino, dal padre guardiano, ed è rimasto affascinato da questo personaggio, da Marziale, e dalla sua opera, gli Epigrammi. È rimasto colpito soprattutto perché, lo stile degli Epigrammi, sembrava calzare perfettamente con il dibattito in corso, dalla seconda metà del ‘700, sul tema del "fascino", e, in particolare sul problema del rapporto tra la vita e l’arte.
Intanto ci domandiamo: che cosa ci fa Vivant Denon in Sicilia? Nel 1778, Vivant Denon – che si trova a Napoli come consigliere dell’ambasciatore di Francia, il conte Clermont d’Amboise – viene inviato in Sicilia con il compito di stendere un resoconto sulle straordinarie antichità presenti sull’isola. Vivant Denon, che è un appassionato esperto d’Arte ed è un discreto disegnatore, non vedeva l’ora di ricevere questo incarico. Naturalmente rimane affascinato dal sud dell’Italia, da quello che vede e dalle persone che incontra: esegue molti disegni e soprattutto tiene un diario. Questo diario viene pubblicato nel 1788, a Parigi, con il titolo: Viaggio in Sicilia. Vivant Denon, in Italia, in Sicilia, non scopre solo i resti delle antichità ma scopre anche la letteratura latina e racconta, nel suo diario, le sue scoperte.
Leggiamo una pagina di questo diario, perché c’interessa da vicino. È straordinaria la figura di questo padre guardiano dei Bernardini – un anonimo vero e proprio magister scolastico – che propone, inaspettatamente, a Vivant Denon, in quanto "francese, uomo di mondo e studioso" – per passare la serata, prima di andare a dormire dopo una cena frugale – la lettura e il commento di un’opera che, nei secoli è stata considerata oscena, messa all’Indice, sostenendo che "anche mostrando l’oscenità, uno scrittore, se è vero poeta, può additare la via della morale". Ma leggiamo direttamente dal diario (non si loderanno mai abbastanza gli scrivani di diari, e ne parleremo), dal diario di Vivant Denon.
LEGERE MULTUM…
Dominique Vivant Denon, Viaggio in Sicilia (1788)
Seguimmo uno splendido vallone nel quale un fiume, cadendo di pianoro in pianoro, forma ad ogni momento delle cascate fruscianti o dei piccoli laghi tranquilli, oppure, dividendosi, si nasconde, formando dei graziosi ruscelli che producono, oltre la fertilità, un’eterna primavera. Arrivammo a "Villa ascondi" (Villasmundo) una borgata nuova, graziosamente costruita su di una montagnetta, formata da un’antica eruzione vulcanica la cui lava è rossastra, spugnosa e meno dura di quella dell’Etna che ne dista sessanta miglia. Lì ci colse la notte e, quasi a tentoni, arrivammo, per una strada molto difficile, a Carlentini, città costruita da Carlo V che volle farne un quartiere generale delle truppe di Sicilia. Questo progetto, però, è rimasto fermo alle mura. Le case sono talmente basse che le strade somigliano tuttora a un accampamento; tremila abitanti vi vivono in notevole miseria. Avevamo con noi una lettera di raccomandazione dell’arcivescovo di Siracusa per il suo gran vicario che ci fece alloggiare al convento dei Bernardini. In questo convento, dove passai la notte, incredibile a dirsi, c’è una ricca biblioteca di classici greci e latini, è lì che ho incontrato Marco Valerio Marziale. Dopo una frugale cena il padre guardiano, uomo colto e affabile oltre che monaco austero, considerandomi francese, uomo di mondo e studioso, mi ha proposto la lettura di un’opera che non conoscevo sostenendo che "anche mostrando l’oscenità, uno scrittore, se davvero è poeta, può additare la via della morale". Il padre ha letto, tradotto e interpretato con voce calma da maestro dell’anima un buon numero degli Epigrammi di Marziale e ho passato con lui una piacevole serata di studio e di riflessione, voglio ben sperare di avere imparato qualcosa da una lezione così ricca perché così insperata.
In questa maniera ho avuto l’occasione di far conoscenza con gli Epigrammi dello scrittore iberico romano Marco Valerio Marziale, poeta mendicante, accattone e fannullone, osservatore della vita. Con questi suoi Epigrammi chiedeva ai grandi signori alcune sovvenzioni per non morire di fame. Egli amò le dimore signorili, ma le frequentò professandosi ignaro delle norme del ben vivere, fingendo di dimenticare le regole della buona creanza, proclamandosi sgarbato e poco civile. Non conobbe il fascino del sesso gentile, né amò altre donne che le cortigiane, ma non se ne vantava, anzi se ne doleva, perché sminuiva la sua arte. Fu ammiratore di Virgilio, e sentiva che lo spirito epico non doveva esser confuso con le ridicole imitazioni, che considerava vane e inutili esercitazioni letterarie. Non amò gli antichi poeti, preferì i poeti come Ovidio, perché più vivi e umani. L’umorismo triste, la malinconia romantica, il motteggio, la caricatura, sono le sue note personali, che fanno di lui un grande poeta. La sua vita è stata come una rinnovata ricerca di Diogene, avido di scoprire vere creature umane, non ha trovato che miserabili e vili: il vanesio, il ladro, l’imbroglione, il dissoluto. Lo si è accusato d’essere stato un poeta cortigiano, un adulatore via via di Tito, Domiziano e Nerva. Ma d’altro canto egli non ha mai voluto elevarsi a giudice del prossimo né ha ritenuto se stesso scevro da colpa. Non chiese alla società se non ch’essa gli fornisse argomenti inesauribili di risa e di motteggio, ma senza voler fare il correttore di costumi, svolse una missione satirica con fondamento morale. Come parassita della mensa signorile ha anticipato la figura del giullare. Dai suoi versi Marziale sembra essere un uomo ingegnoso, acuto e pungente, che ha nello scrivere moltissimo di sale, di fiele e non meno di sincerità. Il suo merito mi sembra risiedere non solo nello spirito, ma anche nella successione rapida delle immagini viventi. È certamente uno scrittore abile e seducente. Qualche volta sfiora Aristofane. Gli Epigrammi di Marziale sono come dei diamanti ben sfaccettati, sono come una collezione di statuette priapèe, non tutte da esporsi – così mi disse il padre – agli occhi di tutti, che rappresentano il mondo romano, con una grazia e una vivacità straordinarie: cominciano con una presentazione oscena e finiscono con una stoccata che stimola la mente a ravvedersi. Negli Epigrammi, si esalta il "fascino" nel suo duplice esplicitarsi: il fascino priapèo dei personaggi più osceni, e il fascino abrosyneo dei paesaggi, della natura e dell’anima, descritti con la maestria del pittore…
Ed ecco che Vivant Denon – in questa interessantissima pagina, servendosi anche degli Epigrammi di Marziale – tira le fila del nostro itinerario. Ancora una volta Vivant Denon ci fa capire quanto sia interessato al dibattito in corso sul tema del "fascino". Questo – e lo abbiamo capito – è uno dei temi principali di un’epoca, l’epoca in cui vengono aperti i musei, l’epoca in cui viene aperto il Louvre, l’epoca in cui, al Louvre, entra quel dipinto intitolato La Gioconda. La parola "museo" e la parola "fascino" sono contigue, il concetto del "museo" e il concetto di "fascino" si compenetrano reciprocamente.
Questa sera, attraverso uno dei diari di Vivant Denon – abbiamo anche avuto modo di conoscere un frammento della sua vita di diplomatico e di viaggiatore, ma via via lo conosceremo meglio – abbiamo capito che il significato della parola "fascino" e il concetto racchiuso nell’idea del "fascino", è ambivalente. C’è il fascino priapèo, legato alla ritualità del dio Priàpo, con caratteristiche dionisiache, che spinge a comportamenti materiali e animaleschi. C’è il fascino abrosyneo, legato alla cultura di Saffo e al concetto dell’abrosyné con caratteristiche intellettuali, che stimola comportamenti artistici.
Il fascino priapèo contiene un potente influsso di carattere dionisiaco che porta a manifestare tutta l’animalità che cova nell’individuo: tutto ciò che è vita.
Il fascino abrosyneo contiene una potenza di attrazione e di seduzione la quale stimola attitudini artistiche: tutto ciò che è rappresentazione della vita.
Ora, questi due elementi contraddittori – priapèo e abrosyneo, la vita e la rappresentazione della vita – possono essere disgiunti l’uno dall’altro? Sembra proprio che il "fascino", per essere tale, abbia bisogno di tutti e due questi elementi contraddittori e conflittuali: priapèo e abrosyneo.
Ma quali conseguenze ha questa affermazione? La conseguenza più significativa – dopo aver conosciuto anche un artista come Marziale – sta nel fatto che si è creato e si crea un conflitto inconciliabile tra l’arte e la vita, con il conseguente isolamento dell’artista che non può vivere "come gli altri", pena la degradazione e la morte.
Sicuramente la biografia di Marziale colpisce Vivant Denon: Marziale aveva 24 anni quando, lasciata Bìlbilis, nella Spagna Tarragonese, dove era nato verso il 40 d.C., arriva a Roma per cercare fortuna. Presto entra in contatto con molte famiglie potenti dell’epoca, tra cui la famiglia dei Pisoni: in casa dei Pisoni si raccoglie l’opposizione a Nerone, guidata, tra gli altri, dal giovane poeta Marco Anneo Lucano, di famiglia iberica, nipote di Seneca. I Pisoni organizzano la famosa congiura nel 65 contro Nerone, che non avrà successo si scatenerà una feroce repressione. Marziale entra anche in contatto con Seneca, suo connazionale, da cui riceve appoggio e aiuti economici, ma anche Seneca è coinvolto nella congiura dei Pisoni e si toglie la vita, per "non respirare la stessa aria del tiranno". A questo punto Marziale rimane senza sostegno e deve vivere con fatica e umiliazione la condizione di poeta-cliens, del cliente, accettando suo malgrado gli obblighi di questa condizione di servilismo. Nonostante la sua vita sia stata modesta e precaria, Marziale cercò sempre di ritagliarsi addosso la figura del poeta orgoglioso della propria dignità, moralmente irreprensibile, e fiero del proprio successo. Un successo che, però, non comportò mai grandi riconoscimenti sul piano economico: non esistendo, a quel tempo, il diritto d’autore, il poeta non aveva alcun guadagno dalla vendita delle proprie opere.
In un certo senso con Marziale si inaugura il topos del poeta squattrinato, del perdente di successo, magari famoso ma povero, indigente, emarginato. Certamente la biografia di Marziale serve a Vivant Denon per riflettere sul tema del rapporto tra l’arte e la vita, sul tema dell’isolamento dell’artista che non può vivere, in modo normale, deve essere "diverso", non "come tutti gli altri". Possiamo dire che Vivant Denon è uno degli intellettuali che, in quest’epoca, tra il ‘700 e l’800, partecipa intensamente – a suo modo, e in modo originale – a questo dibattito: tanto al dibattito sul tema del "fascino", un tema nel quale, come vedremo strada facendo, è coinvolto personalmente, quanto sul tema, più complesso, del rapporto tra l’arte e la vita. Questo tema, del rapporto tra l’arte e la vita – che riprenderemo a suo tempo – porterà il romanticismo fuori dal territorio del romanticismo!
Prima di ridare appuntamento a Vivant Denon per la prossima settimana, non possiamo non fare un assaggio dagli Epigrammi di Marziale. Cominciamo con un frammento del Marziale priapèo, e gli Epigrammi in cui si manifesta il "fascino priapèo" – di tono scandaloso – sono la stragrande maggioranza, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
LEGERE MULTUM…
Marco Valerio Marziale, Epigrammi (Libro XI)
Amo, mia cara, le liete notti che si prolungano continuando a bere vino:
tu bevi solo acqua e poi ti alzi in fretta, malinconica,
vuoi far l’amore al buio: a me piace giocare sotto la lucerna,
mi piace che la luce ti possa penetrare dappertutto.
Tu ti vuoi per forza nascondere in fasce, in tuniche, in scure camicie,
per me, a letto, nessuna donna è mai nuda abbastanza.
Adoro i baci che imitano i baci delle tenere colombe:
i tuoi baci, mia cara, sono come quelli che si danno
alla nonna sdentata, la mattina.
Non giochi all’amore con i gesti, con le dita e neppur con le parole,
ti avvicini come un vecchio sacerdote che prepara un mesto sacrificio.
Tutte le volte che, a Troia, Andromaca sedeva a cavallo di Ettore,
tutti gli abitanti del palazzo, servitù compresa, partecipavano
a questo bel torneo di pace e di delizia.
A Itaca, in quel letto d’ulivo, anche se Ulisse russava, la perseverante Penelope
teneva la mano, sempre pronta e delicata, sul fascino rilassato di Priàpo.
Se ti piace essere sempre così seria, mia cara, fai pure Lucrezia, ma di giorno,
di notte almeno, ti prego, vorrei che tu ti tramutassi in Laide
e tu scoprissi in te il riso, i gesti e il gusto di una avvenente cortigiana.
Terminiamo con un frammento del Marziale abrosyneo. E gli Epigrammi in cui si manifesta il "fascino abrosyneo" – di carattere descrittivo – sono meno frequenti, ma non meno accattivanti.
LEGERE MULTUM…
Marco Valerio Marziale, Epigrammi (Libro X)
O mio libretto, mentre ti sto scrivendo, vola sulle ali di questi miei pensieri,
vola fino al vasto mare, e poi naviga con il favore benigno delle onde.
Va’ verso la rocca spagnola Tarragona, correndo agile, spinto da propizio vento:
là verrà a prenderti un carro e, dopo aver cambiato carrozza cinque volte,
vedrai le forti mura di Bìlbili, la mia città, con le sue torri slanciate verso il cielo,
che sono belle come le gambe nude di Lacinia, quando balla,
con eleganza, sul rialzo del tempio di Afrodite.
Tu vuoi sapere perché ti mando sulle ali di questi pensieri,
mentre ti sto scrivendo, o mio libretto?
Ti mando a salutare i miei amici, pochi, ma di vecchia data, visti l’ultima volta,
più di trent’anni fa, per ricordare che sono figli di Spagna, come me.
Ti mando a contemplare le colline tarragone, dipinte con tutte le tonalità del giallo,
sono belle, turgide e rotonde, come i seni ondeggianti di Lecinia,
quando balla, con gusto, sul rialzo del tempio di Afrodite.
Ti mando a contemplare i fiumi tarragoni, con tutte le tonalità del blu,
scorrono rapidi, limpidi e invitanti, come gli sguardi degli occhi di Licinia,
quando balla, nello splendore, sul rialzo del tempio di Afrodite.
Ti mando a contemplare le notti tarragone che non hanno la tonalità del buio
perché la via lattea tutto illumina: imbocca, o mio libretto, questa strada
con passo gradevole e privo di preoccupazioni.
Addio, compagno dei pensieri, un favorevole vento ha aperto il porto, come Lucinia
si apre con piacere, quando balla, sul rialzo del tempio di Afrodite.
Credo sia doveroso rendere giustizia a Marziale che è stato spesso, nel corso dei secoli, accusato di oscenità. Che cosa dovremmo dire di tante manifestazioni che vediamo intorno a noi! Ma cerchiamo sempre di andare oltre, di utilizzare un "pensiero lungo".
Avete notato come Marziale gioca, di volta in volta, con il nome di questa fanciulla: Lacinia, Lecinia, Licinia e Lucinia, presentandola con diverse sfaccettature, a seconda delle circostanze culturali, facendone un modello intellettuale. Attenzione perché – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – Marziale sottopone alla nostra riflessione un’interessante esercitazione filologica che dobbiamo capire: il nome della fanciulla cambia in funzione della situazione mitica che rappresenta. Lacinia è la figura mitica di una fanciulla che ha partecipato alla difesa delle antiche mura di Roma al tempo leggendario dei re e qui Marziale ne parla per rafforzare l’immagine delle mura della città di Bìlbilis. Lecinia è la figura mitica di una fanciulla che – secondo una tradizione tragica – ha allattato Dioniso neonato e qui Marziale ne parla per rafforzare l’immagine delle colline simili a seni rotondi, turgidi, fecondi. Licinia è la figura mitica di una fanciulla che ha risalito un fiume impetuoso, a nuoto, dalla foce alla sorgente e qui Marziale la cita per rafforzare l’immagine dei fiumi. Lucinia è la figura mitica di una fanciulla che rappresenta la personificazione della via lattea, un agglomerato di stelle che illumina il cammino notturno, che dona luce all’ispirazione di cui il poeta ha bisogno per esprimere i suoi pensieri.
Non è facile leggere, senza possedere alcune chiavi di lettura, gli Epigrammi di Marziale, nei quali più che l’aspetto osceno – che è certamente quello più immediato – prevale l’aspetto filologico dato dai riferimenti culturali che – se riusciamo ad afferrarli – sono i più godibili, quelli che procurano il sottile piacere del testo.
Volete vederlo rappresentato in un’immagine, questo concetto delle variazioni su un nome, che rappresentano le sue sfaccettature mitiche? Ebbene, Walter Benjamin, un importante intellettuale contemporaneo, ci dà un suggerimento, nelle sue riflessioni sulla pittura. Benjamin ci invita a osservate quando Picasso, (il grande pittore che tutti conosciamo) dipinge più volti di donna sullo stesso volto di donna: non è difficile rintracciare un’immagine di una (sono tante!) di queste opere. "Picasso raffigura – scrive Benjamin – la ricerca mitologica sui nomi, più volte attuata da Marziale nei suoi Epigrammi". E aggiunge Benjamin: "Tutti gli artisti delle avanguardie del primo novecento hanno amato gli Epigrammi di Marziale e la figura del poeta mendicante".
Di questo argomento ne parleremo ancora, a suo tempo, quando i nostri sentieri ci porteranno nei territori delle "avanguardie del primo novecento".
Ora – attraverso Marziale, su suggerimento di Benjamin – osserviamo questa fanciulla in tutte le sue sfaccettature: senza linguaggio mitico non avrebbe corpo, e, senza linguaggio mitico non avrebbe corpo neppure l’affascinante terra tarragona. Lacinia, Lecinia, Licinia, Lucinia che balla sul "rialzo del tempio di Afrodite": che cos’è questo "rialzo del tempio di Afrodite". È un modo molto elegante, abrosyneo, per rappresentare il "fallo di Priàpo", per rappresentare il fascinum, è una metafora fallica molto poetica. Il rialzo del tempio di Afrodite è una significativa definizione del "fascino", un’idea in cui Marziale integra, intreccia un contenuto priapèo con una forma abrosynea. Volete mettere la differenza, quando si intercala con quel banale: eh che ca…! Rialzo del tempio di Afrodite: fa la differenza!
E, ora per concludere, diamo ancora una volta appuntamento a Vivant Denon. Questa sera abbiamo imparato che, il concetto di fascino, contiene una componente priapèa, l’esuberanza fallica (tipicamente maschile? Forse), e una componente (tipicamente femminile? Forse) legata alle caratteristiche dell’abrosyné: la delicatezza, lo splendore, la grazia, e il gusto. Quando parliamo di "fascino", parliamo di questa combinazione: ebbene, questa combinazione, ha attinenza anche con La Gioconda e con il suo autore? Chissà? Come si fa a saperlo? Bisogna continuare il viaggio su questo territorio.
Ebbene, il sorriso de La Gioconda, ci permette, la prossima settimana, di incontrare ancora Vivant Denon. E, sapete dove ci porta? Vivant Denon ci porta ad un appuntamento, con una signora. Vivant Denon, ci dà appuntamento, la prossima settimana, per presentarci una persona: questa persona si chiama Madame Elisabeth Vigée-Lebrun. Sapete chi è questa persona? E sapete perché dobbiamo incontrarla?
Accorrete, la Scuola è qui…