Prof. Giuseppe Nibbi Tra ‘700 e ‘800: il sorriso della Gioconda 2004 9-10- 15 (Redi) dicembre 2004
Antonio Canova - Autoritratto
IL CATALOGO: LO STRUMENTO DEL MODERNO MUSEO…
Si racconta che una sera, all’inizio dell’estate dell’anno 1798, durante un ricevimento in casa di Talleyrand, Vivant Denon, abbia offerto il proprio bicchiere di limonata a un giovane generale che aveva sete ma non riusciva ad avvicinarsi al buffet. Questo generale non era abituato a vivere in società, ma piuttosto sui campi di battaglia: tornava vittorioso dalla Campagna d’Italia contro gli Austriaci. Vivant Denon e questo giovane generale avrebbero così, in questa circostanza, cominciato a parlare tra loro: non sappiamo che cosa si siano detti, Quel giovane generale si chiamava Bonaparte e, bona-parte (se vogliamo giocare con le parole) della vita di Vivant Denon, per più di quindici anni, sarà influenzata da questo incontro. Ma, le cose, andarono proprio così? Con quali modalità si sia svolto il primo incontro tra il signor Vivant Denon e il generale Bonaparte non lo sappiamo, non lo sa nessuno, un fatto è certo: questo giovane generale, Napoleone Bonaparte (1769-1821) – che, in questo momento è un astro in ascesa e comincia ad avere un ruolo-chiave nella storia di Francia – sta partendo per l’Egitto per attaccare i possedimenti dell’Inghilterra nel Mediterraneo e Vivant Denon partirà con lui.
Sembra che Napoleone, durante la conversazione al ricevimento in casa Talleyrand, gli avrebbe proposto di essere fra i membri della Commissione delle scienze e delle arti che lo avrebbe accompagnato in questa spedizione. Ma, le cose, andarono proprio così? Questa era davvero la prima volta che il signor Vivant Denon e il generale Bonaparte s’incontravano? I biografi ci dicono che Vivant Denon – per poter partecipare alla spedizione – fosse già raccomandato da qualcuno, o meglio, da qualcuna. Il fatto è che, all’annuncio della campagna d’Egitto, un po’ tutti, a Parigi, erano stati presi dalla "smania egiziana" (voi siete mai stati presi dalla "smania egiziana"?), e Vivant Denon aveva, con ogni probabilità, mosso le sue pedine per riuscire a partire: non era naturalmente la spedizione militare che attirava Vivant Denon in Egitto, ma era l’Arte, era la cultura che lo attraeva nella favolosa terra del Nilo, delle piramidi, dei geroglifici, dei faraoni. Ma in molti, a Parigi, avevano la sua stessa aspirazione…
Probabilmente, Vivant Denon, riesce a far parte della spedizione in Egitto per merito di una donna. Sappiamo che Vivant Denon piaceva alle donne e qualche maligno (forse per gelosia), a Parigi, diceva che Vivant Denon si rivelava talmente simpatico alle donne che riusciva ad ottenerne i favori anche quando queste – come nel caso di Madame de Pompadour – erano già morte. Dopo Madame de Pompadour, Vivant Denon, riceve aiuto da un’altra donna potente: questa volta viva e vegeta che si chiama: Joséphine de Beauharnais, la quale, nel 1796, ha sposato il generale Napoleone Bonaparte. Chi è Giuseppina de Beauharnais? Giuseppina de Beauharnais (1763-1814) è figlia del nobile Marie-Joséphe de La Pagerie, ed è nata nell’isola della Martinica, colonia francese delle Piccole Antille. Nel 1779 Joséphine de La Pagerie sposa il visconte Alexandre de Beauharnais, di cui prenderà e conserverà il cognome. Con Alexandre de Beauharnais ebbe due figli: Eugenio (poi viceré d’Italia durante l’impero napoleonico) e Ortensia (futura regina d’Olanda). Nel corso del Terrore, nel 1794, il visconte Alexandre de Beauharnais fu processato, condannato per alto tradimento, e fu ghigliottinato. Due anni dopo, nel 1796, consigliata da Jean de Barras, capofila del partito della borghesia affarista, e membro del Direttorio, Giuseppina sposa il generale Napoleone Bonaparte con il quale intratteneva una relazione sentimentale.
Giuseppina de Beauharnais era una donna ambiziosa e intelligente, sensibile all’arte e alla bellezza, e seppe accompagnare e consigliare Napoleone nei suoi passi più importanti. Nel 1798 consigliò anche a Napoleone di assumere il signor Vivant Denon fra i membri della Commissione delle scienze e delle arti che lo avrebbe accompagnato in Egitto. Sapeva che il signor Vivant Denon era in possesso d’indubbie competenze nel campo della cultura e dell’Arte, e non si sbagliava.
Per concludere la nostra incursione nella vita di Giuseppina de Beauharnais dobbiamo ancora dire che, nel 1804, fu incoronata imperatrice, ma, il fatto di non poter dare un erede all’imperatore, la obbligò, nel 1809, a divorziare e a uscire di scena. Giuseppina morì nel 1814, a Parigi, ormai dimenticata.
Ed è così che – su raccomandazione di Giuseppina de Beauharnais – Vivant Denon si ritrova con i suoi fogli e le sue matite, e con l’attenta curiosità di sempre, al seguito del generale Desaix, le cui truppe inseguono il sultano Mùrad Bey lungo la valle del Nilo. Vivant Denon non rimane deluso, scopre tutto quello che si era immaginato pensando all’Egitto: stupendi tramonti nel deserto, immensi resti di monumenti, scene di harem, entusiasmi per le piramidi, squarci lirici e illuminazioni folgoranti sulle rovine di Tebe. Tutto questo ed altro viene riferito al suo ritorno a Parigi, in un grande reportage che viene pubblicato con il titolo di Viaggio attraverso il Basso e l’Alto Egitto durante le campagne del generale Bonaparte. Quest’opera viene considerata la più famosa di Vivant Denon, e ha avuto un successo enorme e un influsso considerevole sulla creazione di quel culto, di quella vera e propria malattia, di quella devozione per l’Egitto che, a tutt’oggi, continua a esistere.
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Che cosa ti ispira, che cosa ti suggerisce la parola Egitto?
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Vivant Denon è stupefatto di ammirazione davanti ai monumenti dell’arte egizia, e non dimentica le notazioni di costume, quelle psicologiche e sociali, e i bozzetti di vita di campeggio, sotto le tende dell’esercito, in quel paese esotico. Vivant Denon disegna in continuazione e dovunque si trovi, appoggiando il foglio su una pietra, su una colonna spezzata, o sulla schiena di un soldato. Rischia anche più volte la vita mentre disegna durante i combattimenti: si narra che al generale Desaix che gli faceva notare come la linea dell’orizzonte di un disegno, eseguito praticamente nel bel mezzo di una sparatoria, non fosse dritta, Denon avrebbe risposto: "È colpa di quell’arabo: ha sparato troppo presto". In realtà, Vivant Denon è un significativo rappresentante del "romanticismo galante": capace di dar prova, in qualunque occasione, di una leggerezza, di uno stile, di una vena auto-ironica che non si smentiscono mai.
Dopo la spedizione in Egitto – che rappresenta un titolo di merito per tutti coloro i quali vi hanno partecipato – troviamo Vivant Denon di nuovo a Parigi, all’alba del nuovo secolo, l’800, ancora una volta alle prese con una corte, quella di Napoleone, il quale comincia a comportarsi come un sovrano ancor prima di essere incoronato (nel 1804): una corte ben diversa da quella di Luigi XV – in cui bisognava comunque sapersi mettere in evidenza.
Vivant Denon continua a contare sulla protezione di Joséphine, e d’altra parte ha anche saputo guadagnarsi la stima e la simpatia di Napoleone con quel bellissimo resoconto: Viaggio attraverso il Basso e l’Alto Egitto durante le campagne del generale Bonaparte, corredato da disegni molto significativi. Così, il 28 brumaio dell’anno XI (come dire il 19 novembre 1802), il cittadino Vivant Denon viene nominato direttore generale del Museo centrale delle Arti che ha la sua sede nel palazzo del Louvre – l’antica dimora dei re, edificato agli inizi del XIII secolo per volontà di Filippo Augusto e rimaneggiato più volte – nel quale, nel corso della Rivoluzione, dal 1793, era già stato allestito un museo che raccoglieva le opere appartenute ai sovrani. Sappiamo già che, nel 1797, entra nel Museo anche La Gioconda di Leonardo. Vivant Denon rimarrà in carica – come custode, come "nume tutelare" del Museo – per dodici anni, fino al 10 ottobre 1815.
Nel 1812, Vivant Denon, riceverà dall’Imperatore il titolo di barone e avrà responsabilità vastissime: dipendono da lui il museo dei monumenti francesi, il museo speciale della Scuola francese a Versailles, le gallerie del palazzo del governo, il conio delle medaglie, i laboratori di calcografia, le incisioni, le manifatture di Sèvres e dei Gobelins, gli scavi archeologici di Roma e, per finire, l’acquisizione e il trasporto delle opere d’arte a Parigi. In via subordinata (ma neanche poi tanto) gli spetta il ruolo di consulente di Napoleone e di Joséphine per tutto quanto concerne l’arte. Ma soprattutto, quello che più gli sta a cuore, quel che veramente conta per lui, è la direzione, con pieni poteri, del museo del Louvre. E li farà valere questi poteri: Vivant Denon, appena nominato, pretenderà, con una semplice circolare, che, coloro i quali hanno prelevato opere d’arte (patrimonio della Nazione) dal museo, per abbellire le loro case, le restituiscano immediatamente. Napoleone dovrà restituire La Gioconda: ma questa è una storia che racconteremo dopo…
Per il suo museo, Vivant Denon si batterà per dodici anni, con una tenacia e una volontà insospettabili, consacrando tutte le sue energie per fare del Louvre il monumento dei monumenti, da collocarsi al di sopra del potere. Al Louvre è lui a occuparsi di tutto: dalle finestre alle latrine, dall’inventario delle collezioni, alla gestione finanziaria, e della "requisizione", negli Stati occupati da Napoleone, delle opere che potevano arricchire il grande museo parigino. A Denon resterà un ultimo cruccio: non riuscirà mai a vedere la sua collezione privata sistemata, come avrebbe voluto, in quello spazio perfetto che ha sognato per essa. Il palazzo del Louvre era stato abbandonato da più di un secolo – la corte si era trasferita a Versailles – e, quando nel 1793, viene riaperto, l’ex residenza reale è un luogo fatiscente, occupato da ogni sorta di abitatori più o meno abusivi: dagli invalidi di guerra agli artisti favoriti dal re, e necessita di enormi lavori di restauro.
Nel 1810, il museo del Louvre vive un suo giorno di gloria: quello delle seconde nozze di Napoleone (dopo il divorzio dalla sterile Giuseppina) con l’arciduchessa Maria Luisa d’Austria. Il grandioso corteo nuziale attraversa la Galleria Centrale del palazzo del Louvre e la cerimonia si svolge nel Salon d’Apollon. Vivant Denon – che non gioisce per il nuovo matrimonio dell’imperatore (lui stava dalla parte di Giuseppina) – teme soprattutto per la sorte dei suoi quadri, e si batte con grande decisione perché la grandiosa cerimonia avvenga in un altro luogo, ma la prepotenza di Bonaparte non vuole sentir ragioni. Napoleone controbatte a Vivant Denon il quale aveva avuto l’ardire di definire il comportamento del sovrano come un modo di fare non da imperatore ma da piccolo borghese. Napoleone, quando lo viene a sapere, lo blandisce (ha ancora bisogno di Vivant Denon), ma allo stesso tempo lo contraddice permettendosi di prenderlo anche in giro: "Diamine – risponde Napoleone – avete trasformato il Louvre nel salotto buono di casa e sapete bene, signore, che, quando i piccoli borghesi fanno un bel matrimonio, bisogna pur che aprano il salotto buono". Vivant Denon non risponde, sa quando è bene tacere, e Napoleone provocatoriamente si assume la responsabilità dell’incolumità delle opere esposte nel museo ed esige che il museo prenda ufficialmente il suo nome: Musée Napoléon. Il Musée Napoléon si riempie di opere provenienti dai paesi invasi dall’imperatore a maggior gloria della capitale dell’impero e a Napoleone verrà subito attribuito anche l’appellativo di saccheggiatore d’Europa, e questo titolo lo porterà con sé.
Ora, la mente e il braccio di questa operazione di saccheggio è Vivant Denon. E allora: Vivant Denon è un personaggio spregevole, è il saccheggiatore d’Europa? Perché nessun addetto ai lavori, nessun esperto, nessun critico, in nessun momento, ha mai considerato Vivant Denon come il saccheggiatore d’Europa? Perché gli studiosi sono tutti d’accordo nel distinguere la mentalità di Napoleone imperatore, da quella di Vivant Denon esperto d’Arte. La mentalità di Vivant Denon – scrivono gli studiosi – è assolutamente diversa da quella dell’imperatore: Napoleone vede l’Arte in funzione della gloria, Vivant Denon considera la gloria in funzione dell’Arte. E la storia ricorda Napoleone come il saccheggiatore d’Europa, e Vivant Denon come un autentico conservatore dell’Arte…
L’operazione di Vivant Denon di raccogliere al Louvre, al Musée Napoléon, tutto quello che di bello si trovava nelle città più importanti occupate dall’armata francese, è dettata – dicono gli esperti – esclusivamente da motivi legati alla salvaguardia e alla conservazione di opere che lui considerava importantissime per la storia dell’Arte e della Cultura e che vedeva in pericolo dove si trovavano, raccolte spesso nella massima incuria, in uno stato di degrado, maltrattate, accatastate in luoghi non adatti, esposti alle intemperie, ai pericoli e alla vanità dei governanti. Queste sono le preoccupazioni di Vivant Denon nel suo ruolo di esperto d’Arte. Possiamo dire che, Vivant Denon, approfitta di Napoleone per svolgere quella che lui considera una vera e propria missione. E, a Vivant Denon, tutti i critici riconoscono il merito di aver valorizzato molte opere d’Arte che erano sconosciute o poco considerate, e di averle rivalutate, e messe al centro dell’attenzione degli studiosi, degli artisti e dei cittadini. Per Vivant Denon queste opere, da raccogliere al museo del Louvre, non rappresentano il "bottino di guerra" dell’armata dell’impero, ma costituiscono un patrimonio per l’Umanità, un bene da proteggere e da salvaguardare in nome della Cultura, all’interno di uno spazio sicuro, funzionale, adatto, efficiente e fruibile per tutti i cittadini del mondo: il suo museo.
Vivant Denon pensa che il "suo moderno museo" sia l’unica struttura in grado di proteggere, di salvaguardare e di valorizzare le opere d’Arte, patrimonio dell’Umanità. E, in che cosa consiste la differenza tra il concetto antico di museo e quello moderno? Vivant Denon, nelle sue Relazioni, puntualizza, definisce, precisa questa differenza dimostrando anche di essere un attento lettore dei Saggi di Montaigne. L’antico museo – spiega Vivant Denon – si basa sull’idea del deposito: è un deposito ben pieno, ed è questa quantità, pur disordinata, che ne determina la grandezza. Il moderno museo – chiarisce Vivant Denon – si basa sull’idea della raccolta: è una raccolta ben fatta, e la sua grandezza sta nella sintesi qualitativa.
Lo strumento che cambia, muta, trasforma, rende nuovo il museo, è il catalogo. Vivant Denon viene ricordato – dagli addetti ai lavori – soprattutto come l’inventore, come il creatore del moderno "catalogo", del moderno "catalogo d’Arte". Noi siamo abituati all’uso della parola "catalogo" e siamo anche subissati dai cataloghi, e ci troviamo nella situazione di dover distinguere tra "catalogo didattico", che c’insegna qualcosa, e "catalogo persuasivo" che ci vuole indurre ad acquistare qualcosa. Nel pensiero di Vivant Denon, questa parola, in relazione alla storia dell’Arte e alla storia della Cultura, si arricchisce di significato: la parola "catalogo" e il concetto che contiene, diventa in questo momento, nei primissimi anni dell’800, una parola-chiave, un’idea-significativa: il catalogo non è solo più un registro, uno schedario, una rubrica, una lista, una nota, un inventario, un listino, un elenco di opere e di oggetti con accanto quasi esclusivamente il nome del loro padrone. Nel catalogare i quadri, a differenza dei vecchi elenchi, Vivant Denon non si limita a registrare la semplice indicazione dell’autore e del soggetto, e a fornire eventuali cenni sulla località di provenienza, e sul committente, ma aggiunge brevi biografie degli artisti, accompagnate dall’indicazione del loro luogo d’origine e sulla loro formazione, e poi riporta le fonti più antiche, che parlano di quel quadro, raccolte dai commenti di illustri conoscitori d’arte come il Borghini, il Lanzi, il Milizia e soprattutto Giorgio Vasari.
Il modello culturale di Vivant Denon, il suo maestro ideale, è Giorgio Vasari (1511-1574), non tanto come pittore e come architetto ma come scrittore d’arte. Vivant Denon apprezza soprattutto l’opera storiografica e critica del Vasari: lui vorrebbe essere un "Vasari dell’800". Sapete che l’opera più importante e significativa del Vasari s’intitola Vite de’ più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani (1550-1568). Per Vivant Denon quest’opera è la madre di tutti i moderni cataloghi: la traduce in francese e la divulga, e la considererà sempre una fonte inesauribile di notizie, la fonte primaria per costruire qualsiasi moderno catalogo d’Arte.
Il catalogo è lo strumento che definisce il concetto del moderno museo: il museo non è il deposito della ricchezza di pochi, ma è una raccolta selezionata che sintetizza la qualità della Cultura umana e la mette a disposizione di tutti. Ebbene, quello che si chiama Il catalogo di Vivant Denon del 1812 si presenta come il prototipo di tutti i successivi moderni cataloghi di museo. In questo bellissimo catalogo, preparato per l’esposizione del 1812, vengono presentati al pubblico i nuovi tesori provenienti dall’Italia. Il catalogo viene per la prima volta distribuito ai visitatori del museo che lo possono leggere e se lo possono studiare.
Questo catalogo del 1812 è importantissimo perché, in esso, Vivant Denon, decanta apertamente le meraviglie dei "primitivi". Chi sono questi "primitivi"? Vengono chiamati "primitivi" tutti gli artisti operanti prima del Rinascimento, i quali erano considerati sorprendentemente inferiori, e le loro opere erano giudicate come imperfette, frutto dei secoli bui del Medioevo: Cimabue, Giotto, Duccio di Boninsegna, Simone Martini, Beato Angelico, anche Filippo Lippi e tutti i cosiddetti "primitivi minori" venivano considerati artisti secondari.
Vivant Denon invece esalta con entusiasmo questi artisti di cui cura brevi e interessanti biografie, e cataloga le loro opere ricostruendone la storia, riportando le fonti più antiche, ribadendo orgogliosamente di aver contribuito a salvare dall’abbandono e dal degrado questo patrimonio: e dobbiamo riconoscere a Vivant Denon questo merito. Ecco che il catalogo di Vivant Denon del 1812 contiene la prima grande promozione culturale degli artisti "primitivi" italiani e delle loro opere che cominceranno ad acquistare tutta la considerazione che meritavano.
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Conservi il catalogo di una mostra, di un museo e dei musei e dei monumenti di una città ?
Scrivi quattro righe in proposito…
C’è un momento – un brevissimo momento – in cui Vivant Denon può ritenersi una persona appagata: nei brevi anni, o piuttosto mesi, del suo apogèo, il Musée Napoléon riunisce capolavori come il Laocoonte, l’Apollo del Belvedere, la Venere Medici. Tanto per dare qualche cifra, si pensi che, solo fra gli italiani, ci sono sette quadri di Leonardo da Vinci, ventitré di Guido Reni, quindici del Guercino, quindici del Veronese, dieci del Tintoretto, venticinque di Raffaello e ventiquattro di Tiziano. Senza contare i Rembrandt, i Rubens, i Van Dyck, i Poussin.
Ancora alla vigilia della caduta di Napoleone, Vivant Denon continua a fare progetti per l’arricchimento e l’ampliamento del suo museo, chiudendo gli occhi di fronte all’approssimarsi della catastrofe dell’impero: di questo impero gli importava poco. E quando arriva la sconfitta e la fine, rimane al suo posto, come se le vicende della Storia non potessero in alcun modo distoglierlo dal suo compito, dalla sua missione. Ancora una volta Vivant Denon rischia come quando era tornato a Parigi nel 1793, come quando aveva operato per liberare David.
Con il ritorno dei Borboni – dopo la caduta di Napoleone – Vivant Denon continua imperterrito nel suo servizio, da buon amministratore qual è. Il re della Restaurazione post-napoleonica si chiama Luigi XVIII, e non è particolarmente interessato all’Arte: è un gottoso, soffre di mal di piedi e si fa portare (proprio perché deve) in carrozzella a visitare il museo: Vivant Denon non si meraviglia più di nulla, ne ha viste tante in vita sua. Quello che conta per lui è che – dopo la prima sconfitta di Napoleone (1814) – i trattati di Parigi lasciano il museo praticamente intatto: verrà richiesta solo la restituzione di alcune opere non ancora esposte: poca cosa, e sopportabile.
L’intollerabile comincerà dopo, dopo Waterloo, dopo il 18 giugno 1815: il trattato di Vienna decide di dare una "grande lezione morale al popolo francese, per punirlo di aver accolto troppo volentieri il fuggiasco imperatore dall’isola d’Elba". Il 7 luglio 1815 comincia l’agonia del museo, e la resistenza di Vivant Denon. L’agonia e la resistenza dureranno tre mesi e Vivant Denon ci ha lasciato una testimonianza documentata e particolareggiata, come un referto medico, o un atto d’accusa. Nel suo diario segue lo svolgersi degli avvenimenti giorno per giorno, ora per ora: leggiamo l’esordio fiero e dolente del suo resoconto che è ricco di significato ancora oggi.
LEGERE MULTUM…
Vivant Denon, Diario (luglio 1815)
Circostanze inaudite avevano innalzato un monumento immenso, circostanze non meno straordinarie vengono ora ad abbatterlo. Era stato necessario vincere l’Europa per formare questo trofeo, ed è stato necessario che l’Europa si coalizzasse per distruggerlo? Ma non si tratta di un trofeo, non si tratta di un deposito: le opere, provenienti dalle più importanti città europee, sono state qui raccolte non in funzione di un’effimera gloria imperiale ma raccolte a gloria dell’Arte stessa ed esclusivamente per motivi legati alla salvaguardia e alla conservazione di queste opere spesso in pericolo a causa dell’incuria, maltrattate, accatastate in luoghi non adatti, esposte alle intemperie e ai pericoli, affidate spesso a governi inetti e a funzionari corrotti …
Le opere d’Arte sono un patrimonio per l’Umanità intera che va valorizzato e messo al centro dell’attenzione degli studiosi, degli artisti e dei cittadini: è per raccogliere questo patrimonio che nasce il moderno museo …
Ed ecco Vivant Denon tenere testa, cortese, tenace, ma deciso di fronte alla "prepotenza dei prussiani che vogliono – scrive Vivant Denon – rientrare in possesso dei loro quadri di cui precedentemente si erano sempre disinteressati"…
Lui si batte per il suo Louvre, e per settimane cerca di guadagnare tempo, di tergiversare e di negoziare: sa che, queste opere, devono essere restituite ma pretende che i quadri vengano collocati nelle stesse buone condizioni in cui sono state esposti al Louvre, e questo fa innervosire i nuovi vincitori. Oppone alla loro arroganza le armi che conosce, quelle del "romanticismo galante", quelle dello spirito, delle buone maniere, del senso dell’umorismo: quello stile che il giovanotto di Borgogna aveva appreso, quasi quarant’anni prima, a Versailles. Solo una volta Vivant Denon, si lascia andare, e dà un calcio alla scala su cui uno dei commissari belgi si è arrampicato per staccare personalmente dalla parete un quadro di Rubens: lo sventurato, per non sfracellarsi al suolo, deve aggrapparsi al cornicione e, mentre rimane appeso come un salame, è Vivant Denon, a staccare il quadro.
Ma il momento più duro è proprio quello della restituzione dei quadri italiani che sono, in massima parte, di proprietà della Santa Sede, e la Santa Sede vuole ribadire questa proprietà. Il papa è Pio VII, Gregorio Luigi Bàrnaba Chiaramonti di Cesena il quale, con l’aiuto del cardinale Consalvi, sta restaurando lo Stato pontificio che aveva temporaneamente cessato di esistere dal 1809 al 1814. Pio VII, dopo aver stipulato nel 1801 un concordato con la Francia, assiste, piuttosto passivo, all’incoronazione di Napoleone. Nel 1809, Napoleone, forte dei suoi successi, viola il trattato e annette alla Francia lo Stato pontificio e chiede al papa di rinunciare al potere temporale. Pio VII lo scomunica e risponde con la famosa affermazione: "Non possiamo, non dobbiamo, non vogliamo". Napoleone lo fa arrestare, e Pio VII viene trasferito, prigioniero, a Savona. Dopo la sconfitta napoleonica, Pio VII torna a Roma trionfalmente con le credenziali del resistente e naturalmente rivuole tutta la roba, tutta la roba della Chiesa.
Il commissario del Papa a Parigi è Antonio Canova, ed è uno dei più accaniti nel recuperare, nell’imballare e nel rispedire a Roma le opere che erano state trasportate al Louvre. Una sera Vivant Denon partecipa a un ricevimento sempre a casa di Talleyrand (da qualunque parte tirasse il vento Talleyrand era sempre lì con qualche incarico governativo) e, a un tratto, la voce di un maggiordomo, annuncia l’arrivo del Canova: l’ambasciatore pontificio Antonio Canova. Vivant Denon conosce Canova da tempo: lo aveva incontrato a Venezia nel salotto di Isabella Teotòchi Albrìzzi: ve la ricordate? A questo annuncio, Vivant Denon, fingendo stupore, proclama ad alta voce: "Arriva l’ambasciatore pontificio Antonio Canova? Strano, avranno certamente voluto dire che arriva l’imballatore pontificio Antonio Canova…". Ma Vivant Denon stima Canova e naturalmente Canova stima Vivant Denon, tanto che Canova, intervistato il giorno dopo sull’accaduto, dichiara: "Ma era la voce di Vivant Denon? Mi è parsa la voce di Talleyrand".
L’ignoranza dei funzionari del tempo in fatto di Arte procura a Vivant Denon un’ultima ma non piccola soddisfazione. Vivant Denon contratta e, in cambio di quattro tavole intarsiate, molto appariscenti ma di scarso valore artistico, propone al commissario della corte del Granducato di Toscana, la rinuncia a recuperare i maestri del Trecento e del Quattrocento. Infatti Cimabue, Giotto, Beato Angelico, Filippo Lippi, Fra Diamante, Ghirlandaio resteranno al Louvre. Così Vivant Denon – in cambio di quattro tavole – riesce a conservare al suo museo quei primitivi italiani che aveva tanto esaltato e desiderato ci fossero, e sono lì.
Egli veglia fino alla fine il suo museo agonizzante. Il 3 ottobre 1815, quando tutto è davvero finito, Vivant Denon si dimette e, mentre partono gli ultimi quadri, si lascia andare ad uno scatto dai toni nazionalistici – ma è comprensibile – e commenta amaro e sprezzante nel suo diario: "Se li portino pure via tutti, questi quadri, ma non hanno occhi per vederli, e la Francia proverà sempre, con la sua superiorità nelle arti, che questi capolavori stavano meglio qui che altrove". Il 10 ottobre 1815 si ritira a vita privata.
Lo ritroviamo, negli ultimi anni della sua vita, in un bell’appartamento del Quai Voltaire, ove trascorre un’esistenza sobria e, tutto sommato, abbastanza felice. Ha ripreso a lavorare come incisore – in realtà non ha mai smesso – e si appassiona alle nuove tecniche della litografia e prepara una grande Storia generale dell’Arte. A chi va a fargli visita, in questi ultimi anni, Vivant Denon mostra volentieri le sue mirabili collezioni (oggi sono al Louvre): i quadri di Giotto, del Beato Angelico, della scuola fiamminga e olandese, i disegni del Guercino, di Dürer, di Rembrandt, i sorprendenti pezzi di arte esotica, le lacche cinesi, le porcellane del Giappone, gli utensili africani, i sarcofagi e le sculture egizie, le pietre mesopotamiche intagliate, i papiri dipinti. L’aprile del 1825 è stato un mese particolarmente inclemente per il brutto tempo, la pioggia, il vento, le basse temperature: il 26 aprile 1825 Vivant Denon assiste, come spesso gli capita, a una vendita d’arte: uscendo da quel salone, prende freddo, si ammala, e due giorni dopo, il 28 aprile 1825, muore.
Molti scrittori hanno ricordato Vivant Denon nelle loro opere. Anatole France – uno scrittore che, di sicuro, avete sentito nominare – dedica, con ammirazione, a Vivant Denon, nel 1893, un suo romanzo appena pubblicato, e scrive: "La vita di Vivant Denon è stata una specie di capolavoro e, lui stesso, una specie di personaggio da romanzo, Vivant Denon aveva, in vita sua, amato la bellezza delle donne, compatito le pene d’amore, apprezzato la poesia, stimato il coraggio, onorato la filosofia, rispettato le istituzioni".
Chi è Anatole France, e qual è il romanzo che Anatole France dedica a Vivant Denon? Anatole France è lo pseudonimo di François-Anatole Thibault, ed è nato a Parigi nel 1844; è il figlio di un libraio e, fin dall’infanzia, coltiva la passione per i libri, e da grande di professione farà il bibliotecario del Senato. Esordisce in letteratura come poeta con la raccolta di versi Poemi dorati, del 1873, ma abbandona la poesia per dedicarsi alla narrativa e scrive due romanzi, Il delitto dell’accademico Sylvestre Bonnard (1881) dove crea un personaggio originale, Sylvestre Bonnard appunto, e Taide (1890) ambientato nel mondo alessandrino torbido e decadente: questi due romanzi vengono accolti con grande interesse dai lettori e, anche oggi, meritano di essere letti. Incoraggiato da questo successo Anatole France continua a scrivere e, la sua, sarà una vasta produzione e di buon livello qualitativo; l’elenco delle sue opere è lungo – almeno trenta opere di Anatole France sono significative – e, volendo, ci si può informare e completare il catalogo per conto proprio. Noi abbiamo già incontrato Anatole France, qualche Percorso fa, presentando il suo racconto, scritto per salutare la nascita del nuovo secolo, il ‘900, dal titolo Il procuratore della Giudea (1900), ve lo ricordate, lo avete letto?
Anatole France partecipa con impegno alla vita politica della nazione, si occupa di problemi sociali e, a questo proposito si può leggere l’interessante romanzo Il caso Crainquebille (1901) e si occupa anche, con un certo pessimismo, di problemi storici e a questo proposito si può leggere il famoso romanzo sulla Rivoluzione del 1789, che ha fatto discutere, dal titolo Gli dei hanno sete (1912). Insieme ad altri scrittori Anatole France sostiene l’innocenza di Dreyfus, durante quell’inquietante caso che scuote la Francia, e lotta perché si faccia giustizia e si riabiliti quest’uomo accusato ingiustamente. Nel 1921 Anatole France riceve il premio Nobel per la letteratura. Muore a Saint-Cyr-sur-Loire nel 1924.
Ma abbiamo detto che Anatole France dedica un romanzo a Vivant Denon: un romanzo che contiene molti temi del "romanticismo galante". Anatole France ammira Vivant Denon e lo considera come fosse un personaggio da romanzo. Nel 1893 Anatole France scrive La rosticceria della regina Pédauque, un romanzo ambientato nella Parigi del Settecento, in cui si narrano le avventure del giovane figlio di un rosticciere, di nome Jacques, il quale diventa scolaro di un abate filologo e filosofo, padre Gerolamo Coignard. L’abate Coignard è un personaggio notevole nella storia della letteratura (lo conoscete? Non lo avete mai sentito nominare?) e rappresenta, anche, l’amore che dobbiamo avere per i libri.
Ma quel che più vale, come in tutti i romanzi di Anatole France, è la facilità con cui conduce la narrazione, è l’ironia scettica e dissacrante che la pervade è l’amabilità del suo stile di conversatore: tratta il lettore come se fosse lì presente. Queste caratteristiche mettono in sintonia Anatole France con Vivant Denon, cioè, molto dello stile del "romanticismo galante" – facilità nella conversazione, uso dell’ironia, predisposizione all’amabilità – è penetrato nel romanzo dell’800 e del ‘900. La scrittura di Anatole France è caratterizzata da una amabilità accattivante, indulgente, ironica, scettica, ispirata a quel filone in cui si distingue Voltaire, e noi sappiamo che anche Vivant Denon ama le opere di Voltaire: le aveva scoperte nella biblioteca di Madame de Pompadour, lette e interiorizzate. Sotto una forma amabile, nei romanzi di Anatole France, troviamo però un saldo elemento morale, indirizzato verso i temi della libertà e della dignità della persona (non resta che leggere: dieci minuti al giorno...).
In queste due pagine, che ora leggiamo, si narra il momento in cui l’abate Jérome Coignard entra nella rosticceria della regina Pédauque, comincia a raccontare – con leggerezza – la storia avventurosa della sua vita e fa conoscenza con il giovane Jacques (e con suo padre, che ogni tanto interviene). Attenzione: l’abate Jérome Coignard ha vissuto una storia complicata e comica ma è diventato e resterà sempre un magister e rappresenta il modello dell’intellettuale nella società, il cui ruolo deve essere didattico. Le avventure della vita dell’abate Jérome Coignard sono accompagnate dalla presentazione costante del catalogo della Storia del Pensiero, dalla filosofia greca alla Scolastica, esibito in contrapposizione con la mentalità esoterica, oscurantista, superstiziosa. Questo catalogo viene proposto al giovane rosticciere Jacques che rappresenta tutti i lettori. L’abate Jérome Coignard – col sorriso sulle labbra – mentre racconta cose buffe ci presenta un itinerario di studio, ci presenta personaggi, correnti di pensiero, aneddoti culturali, paesaggi intellettuali che ci mettono di fronte alla nostra ignoranza: è il metodo di tutti i "romanzieri dell’800", è il metodo di Socrate, è il prendere coscienza del proprio "sapere di non sapere". Il giovane rosticciere Jacques rimane contagiato e comincerà a studiare: questa presa di coscienza gli salverà la vita. Volete sapere come avviene tutto ciò? Allora leggetelo tutto, questo romanzo, ora ne leggiamo una pagina…
LEGERE MULTUM…
Anatole France, La rosticceria della regina Pédauque (1893)
– Come mi vedete, – disse egli,– o per dir meglio, ben diverso da come mi vedete, giovane, snello, con gli occhi vivaci e i capelli neri, ho insegnato le arti liberali al collegio di Beauvais, sotto i signori Dugué, Guérin, Coffin e Baffier. Avevo ricevuto gli ordini e contavo conquistarmi una grande rinomanza nelle lettere. Ma una donna distrusse le mie speranze. Si chiamava Nicole Pigoreau e aveva un negozio di libri alla Bible d’or, sulla piazza, davanti al collegio. Ci andavo spesso; sfogliavo assiduamente i libri ch’essa riceveva dall’Olanda, e anche quelle magnifiche edizioni, illustrate di note, chiose e commenti sapientissimi. Ero amabile; madame Pigoreau se ne accorse, per mia sventura. Ella era stata graziosa, e sapeva piacere ancora. I suoi occhi parlavano. Un giorno, i Cicerone e i Tito Livio, i Platone e gli Aristotele, Tucidide, Polibio e Varrone, Epitteto, Seneca, Boezio e Cassiodoro, Omero, Eschilo, Sofocle, Euripide, Plauto e Terenzio, Diodoro Siculo e Dionigi d’Alicarnasso, San Giovanni Crisostomo e San Basilio, San Gerolamo e Sant’Agostino, Erasmo, Somasio, Turnobio e Scaligero, San Tommaso d’Aquino, San Bonaventura, Bossuet che si tirava dietro Ferri, Fabricio, padre Lelong e padre Pitou, tutti i poeti, tutti gli oratori, tutti gli storici, tutti i padri, tutti i dottori, tutti i teologi, tutti gli umanisti, tutti i compilatori, raccolti dall’alto in basso sulle pareti, furono testimoni dei nostri baci. "Non ho potuto resistervi, – ella mi disse, – non fatevi un cattivo concetto di me". Manifestava il proprio amore con slanci inimmaginabili. Una volta mi fece provare un collare e dei polsini di pizzo, e parendole che mi stessero a pennello, insistette perché li tenessi. Non volevo assolutamente. Ma siccome s’irritava per il mio rifiuto, in cui credeva di scorgere un’offesa all’amore, acconsentii a prendere quanto m’offriva, per timore d’offenderla. Il mio favore durò fino al giorno in cui fui sostituito da un ufficiale. Ne concepii uno sdegno violento, e nell’ardore della vendetta feci sapere ai rettori del collegio che non andavo più alla Bible d’or, per paura d’assistere a spettacoli tali da offendere la modestia d’un giovane ecclesiastico. Per dir la verità, non ebbi a rallegrarmi di quest’artificio. Infatti madame Pigoreau, venendo a sapere come agivo nei suoi riguardi, sparse le voce che le avevo rubato dei polsini e un collare di pizzo. Queste lagnanze menzognere giunsero alle orecchie dei rettori; fecero frugare il mio cofano e vi trovarono i pizzi, ch’erano d’un certo pregio. Mi scacciarono, e così sperimentai, a somiglianza d’Ippolito e di Bellerofonte, l’astuzia e la malvagità delle donne. Trovandomi in mezzo alla strada con i miei cenci e i miei quaderni di retorica, avevo grandi probabilità di morirci di fame, quando, deposto l’abito, mi raccomandai a un signore ugonotto che mi assunse come segretario e mi dettò libelli sulla religione. – Ah! quanto a questo, – gridò mio padre,– non era degno di voi, signor abate. Un galantuomo non deve mai prestar mano a simili abomini. E, per parte mia, quantunque ignorante e di condizione meccanica, non posso vedere gli eretici. – Avete ragione, ospite mio, – rispose l’abate. – Questo passo è il peggiore della mia vita, quello che mi causa maggiori rimorsi. Ma il mio uomo era calvinista. M’adoprava solo a scrivere contro i luterani e i sociniani (seguaci di Lelio Socini), che non poteva soffrire, e vi garantisco che mi costrinse a trattare quegli eretici più duramente di quanto sia mai stato fatto alla Sorbona. – Amen, – disse mio padre. – Gli agnelli pascolano in pace, mentre i lupi si divorano tra loro. L’abate proseguì il suo racconto: – Del resto, – disse, – non rimasi molto tempo presso quel signore, che faceva più conto delle lettere di Ulrich von Hutten che delle arringhe di Demostene, e in casa del quale si beveva acqua soltanto. Dopo, feci diversi mestieri, nessuno dei quali mi riuscì. Fui successivamente venditore ambulante, attor comico, monaco, lacchè. Poi, ripreso l’abito, divenni segretario del vescovo di Séez e redassi il catalogo dei manoscritti preziosi racchiusi nella sua biblioteca. Questo catalogo occupa due volumi in folio ch’egli collocò nella sua galleria, rilegati in marocchino rosso, con il suo stemma, e dorati sul taglio. Oso dire che è un buon lavoro. Sarebbe dipeso unicamente da me invecchiare nello studio e nella pace accanto a monsignore. Ma amavo la cameriera della baliva (funzionario di nomina regia che governa una circoscrizione). Non siate troppo severi nel biasimarmi. Bruna, grassottella, vivace, fresca, sarebbe piaciuta allo stesso San Pacomio. Un giorno ella prese la diligenza per andare a cercar fortuna a Parigi. Io la seguii colà. Ma non seppi farvi i miei affari bene quanto lei. Entrai, con una sua raccomandazione, al servizio di madame de Saint-Ernest, ballerina dell’Opera, che, al corrente delle mie capacità, m’incaricò di scrivere, sotto la sua dettatura, un libello contro mademoiselle Davilliers, di cui aveva a dolersi. Fui un discreto segretario, e seppi meritarmi i cinquanta scudi che m’erano stati promessi. Il libro fu stampato ad Amsterdam, da Marc Michel Rey, con un frontespizio allegorico, e mademoiselle Davilliers ricevette il primo esemplare al momento d’entrare in scena per cantare la grande aria di Armida. La collera rese la sua voce roca e tremante. Stonò e fu fischiata. Finita la sua parte, ella corse in parrucca incipriata e guardinfante (impalcatura di cerchi che si portava sotto la gonna) dal sovrintendente alla mensa che non le rifiutava nulla. Si gettò ai suoi piedi tutta in lacrime e gridò vendetta. Presto si seppe che il colpo partiva da madame de Saint-Ernest. Interrogata, incalzata, minacciata, ella mi denunciò e fui messo alla Bastiglia, dove rimasi quattro anni. Vi trovai qualche consolazione leggendo Boezio e Cassiodoro. Dopo d’allora ho tenuto una baracca di scrivano pubblico al cimitero dei Santi Innocenti e prestato alle serve amorose una penna che avrebbe dovuto piuttosto dipingere gli uomini illustri di Roma e commentare gli scritti dei Padri. Ricevo due soldi per ogni lettera d’amore, e di questo mestiere muoio, non vivo. Ma non scordo che Epitteto fu schiavo e Pirrone giardiniere. Poco fa, per un caso straordinario, m’han dato uno scudo in compenso d’una lettera anonima. Non mangiavo da due giorni. Così mi sono messo subito in cerca d’una trattoria. Dalla strada ho visto la vostra insegna illuminata e il fuoco del vostro camino, che faceva fiammeggiare allegramente i vetri. Ho sentito sulla vostra soglia un odore delizioso. Sono entrato. Mio caro ospite, ora conoscete la mia vita. – Vedo che è quella d’un brav’uomo, – disse mio padre, – e, tranne la faccenda di quell’eretico, non c’è molto da ridire. Qua la mano! Siamo amici? Come vi chiamate? – Jérome Coignard, dottore in teologia, laureato in lettere.
Ed è così che l’abate Jérome Coignard entra nella rosticceria della regina Pédauque e fa conoscenza con il giovane Jacques e propone anche a noi, lettori – col sorriso sulle labbra – un itinerario di studio: dalla filosofia greca alla Scolastica. Attenzione: questo messaggio didattico di Anatole France, è un messaggio presente in tutti i suoi romanzi, ed è lo stesso messaggio che caratterizza la riflessione culturale di Vivant Denon: senza conoscere la Storia del Pensiero non si entra in possesso delle chiavi di lettura necessarie per conoscere e per capire il testo.
La realtà che ci circonda, quello che chiamiamo il mondo – con i suoi fenomeni naturali e culturali, materiali e intellettuali, sentimentali e spirituali – è come un grande testo che necessita, esige di essere letto, di essere interpretato e – dopo un’adeguata riflessione – richiede di essere riscritto. Così il mondo va avanti: con questo ragionamento culturale si identifica lo sviluppo dell’Umanità, è attraverso questo processo intellettuale che si può aspirare e sperare di trasformare la realtà in modo virtuoso. Anatole France, sulla scia di Vivant Denon, invita a riflettere, con il sorriso sulle labbra, su questi temi fondamentali.
E a proposito di sorrisi, per concludere, dobbiamo raccontare una storia (si tratta di una tragedia o si tratta di una commedia?), è una storia in tre atti.
Primo atto. Quando Napoleone, dopo il colpo di Stato del 18 brumaio (il 9 novembre) del 1799, viene a trovarsi al vertice del potere, fa una bella passeggiata al museo del Louvre…
Mentre attraversa la Galleria il suo sguardo è attratto da un quadro, si ferma, stacca quel quadro dalla parete, se lo mette sotto il braccio e afferma: "Birichino il sorriso di questa Madonna, me lo metto in camera da letto, a Giuseppina piacerà senz’altro…". Quella Madonna dal sorriso birichino – a detta di Napoleone – era La Gioconda! E, il quadro de La Gioconda, nel 1799, finisce nella camera da letto di Napoleone triunviro, e di sua moglie Giuseppina.
Secondo atto. Quando il 28 brumaio (il 19 novembre) del 1802 – tre anni dopo – il cittadino Vivant Denon viene nominato, da Napoleone, direttore generale del Museo del Louvre, sa che molte opere importanti che erano conservate nel museo, vengono ora esibite nelle case degli uomini di potere del Direttorio, e quindi, due ore dopo la sua nomina, emette e fa pubblicare un breve, lapidario e sarcastico comunicato. In questo telegrafico comunicato pubblico, tutti coloro i quali, hanno "preso in prestito" (così scrive ironicamente Vivant Denon) opere dal museo – opere di proprietà della Nazione – per abbellire le proprie case, sono perentoriamente invitati a riconsegnarle nel giro di tre giorni. Vivant Denon dovrebbe essere riconoscente a Napoleone per l’incarico ricevuto ma di fronte al patrimonio comune che l’Arte rappresenta non ci sono né compromessi da fare né raccomandazioni da omaggiare: Vivant Denon, ancora una volta, in nome dell’Arte, coraggiosamente, rischia e affronta il potere. Napoleone, che ora è primo console a vita, per difendere la sua reputazione, non può far altro che dare l’esempio, ed è anche il primo a riconsegnare La Gioconda, che ritorna a sorridere al suo posto, al Louvre. E tutti quelli che avevano "preso in prestito", seguiranno a ruota l’esempio del capo, del primo console.
Il terzo atto è lungo e, questa sera, non abbiamo il tempo per raccontarlo, dobbiamo rimandare la narrazione. Questa narrazione, la prossima settimana, ci porterà a incontrare ancora l’inesauribile Vivant Denon sul sentiero del "romanticismo galante". E, ormai, noi sappiamo che il "romanticismo galante" e "il sorriso de La Gioconda" sono pertinenti, stanno sullo stesso itinerario. Inoltre, questa narrazione (propiziata dal sorriso de La Gioconda) ci porterà a incontrare alcuni importanti scrittori che hanno lasciato il segno nella storia del Pensiero: li volete incontrare, sull’ultimo itinerario di quest’anno 2004?
Accorrete, la Scuola è qui…