Prof. Giuseppe Nibbi Tra ‘700 e ‘800: il sorriso della Gioconda 2005 12-13-14 gennaio 2005
Madame de Staël
LO STATO D’ANIMO ROMANTICO COME SENTIMENTO DI OPPOSIZIONE…
Buon anno e ben tornati a Scuola.
Questa sera – sempre in compagnia di Vivant Denon, che continua a viaggiare insieme a noi su questo Percorso intitolato il sorriso de La Gioconda – c’incamminiamo sul primo itinerario di quest’anno 2005. Il sorriso de La Gioconda, nell’autunno 2004, ci ha portati a percorrere un sentiero dentro a uno spazio culturale, complesso e articolato, che viene definito: il territorio del romanticismo. Ma sappiamo che, quando parliamo di "romanticismo" – come quando parliamo di qualsiasi altro movimento culturale – abbiamo a che fare con una realtà non omogenea, ma bensì con un universo (dovremmo dire: un pluriverso) assai eterogeneo e assai complesso, spesso complicato, intricato, macchinoso: a che punto siamo del nostro cammino?
Nella primavera del 2004 (lo scorso anno scolastico) abbiamo viaggiato in lungo e in largo per la Germania percorrendo una via che ci ha fatto conoscere e capire alcuni aspetti salienti (un catalogo di parole-chiave e di idee-significative) del cosiddetto "romanticismo tedesco", che è stato denominato "romanticismo titanico".
Durante quest’autunno-inverno – ispirati da un pretesto: il sorriso de La Gioconda – stiamo viaggiando in Francia (prossimamente il nostro Percorso ci condurrà anche in Grecia, in Inghilterra, in Russia) e a questo punto abbiamo conosciuto e capito (altri ne conosceremo e ne capiremo) alcuni aspetti (un catalogo di parole-chiave e di idee-significative) del romanticismo francese che è stato definito "romanticismo galante".
Dobbiamo tenere conto del fatto che, il romanticismo tedesco o titanico e il romanticismo francese o galante, esprimono solo due elementi di un vasto movimento: infatti c’è anche un romanticismo russo, inglese, iberico, lusitano, polacco, boemo, ungherese, italiano… solo per citarne alcuni: quanta strada abbiamo, avremmo (usiamo il condizionale), da percorrere.
Che cosa c’insegnano gli itinerari percorsi nel territorio del romanticismo? A inizio d’anno bisogna fare un bilancio. Ci insegnano, prima di tutto, che i movimenti culturali vivono di aporie, vivono di contraddizioni, che ne determinano la vivacità, che danno loro energia: questa energia è una condizione che di lì a poco verrà denominata: la dialettica, e capiremo meglio questo termine quando, probabilmente nel prossimo autunno-inverno incontreremo un certo Georg Hegel.
Le contraddizioni, per quanto riguarda il movimento culturale del romanticismo, cominciamo dalla parola stessa, che all’inizio della sua storia si presenta come un termine piuttosto negativo. Il termine "romantico" deriva dalla parola inglese romantic che, in origine, definisce qualcosa di opposto a ciò che è classico, quindi indica qualcosa di imperfetto, d’incompiuto, di difettoso…e di conseguenza determina qualcosa di volgare, di plebeo, di grossolano, di rozzo, di ordinario, di scadente, di andante. Il termine inglese romantic entra nella Letteratura del Seicento, e indica il carattere avventuroso e fantastico dei racconti cavallereschi o pastorali considerati prodotti volgari, grossolani, scadenti, ordinari, quindi dei sottoprodotti culturali. Ora però, quando in Spagna, tra il 1605 e il 1615, viene pubblicato il Don Chisciotte di Cervantes – lo avete presente? Lo troviamo sulla copertina del n.11 dell’ANTIbagno: entra in scena un racconto cavalleresco dal carattere avventuroso e fantastico che appartiene alla categoria del "romantic". Don Chisciotte stesso è il prototipo del personaggio "romantico" per eccellenza, è il modello esemplare del romantic. Un uomo magro-magro, vestito in modo buffo, con una catinella in testa a mo’ di elmo, in groppa a un cavallo, che non è un cavallo da tanto è mal ridotto, è un ronzino spelacchiato: questo buffo cavaliere errante è "romantic". Ora, però, è difficile collegare il "romantic" Don Chisciotte con un sottoprodotto culturale nel momento in cui il romanzo di Cervantes si conquista, sul campo, la fama internazionale di capolavoro: avete letto per lo meno il primo capitolo del Don Chisciotte?
La parola inglese "romantic", originariamente negativa, assorbe le straordinarie caratteristiche letterarie di questo romanzo "romantico", cioè: cavalleresco, avventuroso, fantastico, comico, ma anche tragico e dolente e, la parola "romantic" comincia a cambiare tono semantico. Se il Don Chisciotte è "romantic", ed è un capolavoro, allora anche il temine "romantic", nel corso del 1700, comincia a perdere il suo significato negativo.
Il termine "romantic", nel Seicento, indica anche la stranezza e la bizzarria di una certa natura selvaggia: è romantic una foresta, con il suo fantastico rigoglio disordinato, è "romantic" una tempesta, anche quella di Shakespeare. La Tempesta di Shakespeare è il titolo di un dramma sotto forma di commedia, di cui potete leggere il testo, o meglio, vederlo rappresentato a teatro, anche registrato in videocassetta. Il testo de La tempesta è stato scritto nel 1600 e rappresenta un modello romantico per eccellenza (come tutte le opere di Shakespeare): abbiamo studiato questo concetto nel Percorso di primavera 2004.
Jean-Jacques Rousseau, in Francia, negli anni ‘40 del ‘700, riprende il termine "romantico" nel significato di "pittoresco" e di "malinconico", per designare un sentimento e uno stato d’animo vago, indefinito, spesso nostalgico, che sorge dalla contemplazione del paesaggio.
È in Germania che, il termine romantik, assume un valore del tutto positivo, inizialmente come sinonimo di "gotico" e di "medievale", in genere come idea della riscoperta di un passato avventuroso e fantastic. Successivamente, il termine romantik diventa l’emblema, diventa il simbolo di un nuovo gusto, di una concezione nuova della letteratura in antitesi e per distinguerla, da quella classica e illuminista.
Per quanto riguarda i contenuti, poi, è impossibile ricondurre a una sintesi unitaria i vari aspetti disparati e contrastanti del romanticismo. Se da una parte, la letteratura romantica esalta l’Io, l’individuo, la sua autonomia e la sua libertà, dall’altra però, tende a valorizzare la sottomissione dell’individuo stesso tanto nei confronti della società, della volontà della Nazione, quanto nei confronti del trascendente, della volontà di Dio. Se da una parte la letteratura romantica esalta la fantasia, dall’altra valorizza il realismo. Se da una parte esalta la modernità, dall’altra valorizza l’evasione nel passato. Se da una parte esalta la contemplazione, dall’altra valorizza l’attivismo. Se da una parte esalta l’entusiasmo (titanico), dall’altra valorizza anche la depressione malinconica. Se da una parte esalta l’ottimismo, dall’altra valorizza il pessimismo. In queste aporie, in queste contraddizioni, in questa dialettica, sta probabilmente l’energia e la vivacità del "romanticismo" e la sua capacità di creare "fusioni", combinazioni, aggregazioni, associazioni. C’è un momento infatti in cui il romanticismo galante – di cui abbiamo studiato alcuni aspetti, accompagnati da Vivant Denon – incontra il romanticismo titanico.
E, in parte, strada facendo, abbiamo già visto i risultati di questa "combinazione", che dà i suoi frutti soprattutto nell’ambito del genere letterario del "romanzo", e, strada facendo, non a caso, abbiamo incontrato Stendhal e Honoré de Balzac. Questa "combinazione" tra il romanticismo galante di matrice francese e il romanticismo titanico di matrice tedesca – ci dicono gli studiosi – avviene in concomitanza con la cosiddetta opposizione culturale a Napoleone. Il sorriso de La Gioconda che, a tratti, filtra e lascia un segno nella storia, nell’Arte, nella Letteratura, nel mondo della Cultura, ci porta, questa sera, a incontrare alcuni scrittori che sono stati definiti oppositori di Napoleone, e ci porta in direzione della parola "opposizione".
La parola-chiave "opposizione" assume – in questo momento storico, ai primi dell’800 – un valore importante. Il concetto di "fare opposizione" cessa di essere legato solo alla protesta sporadica, estemporanea e disorganizzata contro il potere, ma diventa attività: si trasforma in un impegno culturale proteso a sviluppare l’elaborazione di un programma da proporre alla pubblica opinione, un programma alternativo a quello di chi sta occupando il potere. Napoleone esige dagli scrittori una sottomissione e una accondiscendenza assolute che gli vale la reputazione di tiranno, imbavagliatore della libertà di parola e oppressore della libertà di pensiero.
Ora, noi dobbiamo conoscere questa situazione e dobbiamo capire lo scandalo che crea questo comportamento in una generazione che aveva visto, in Napoleone, un liberatore. Napoleone si era presentato sulla scena politica di Francia e d’Europa come il grande difensore, divulgatore e propagandista dei diritti universali, il banditore della Carta dei diritti del 1789. Napoleone, come generale, aveva guidato l’esercito popolare francese combattendo contro i nemici della Repubblica, formalmente, sulla scia di grandi ideali. "Formalmente", perché sappiamo – ce lo spiega bene Tolstòj in Guerra e pace (io sono alle ultime pagine della mia terza lettura di questo romanzo: voi a che punto siete? Non lasciatevi scappare l’occasione, approfittate del fatto che questo Percorso è propedeutico alla lettura di Guerra e pace!) – che, in guerra, per chi la deve fare la guerra, gli ideali passano inevitabilmente in secondo piano, in primo piano si fa strada l’idea di "portare a casa la pelle" e, se è possibile, di "fare bottino".
Napoleone s’identifica e viene identificato con questi ideali, con la Carta dei diritti universali e ne diventa portatore, detentore, depositario. L’esercito repubblicano – in cui Napoleone emerge come comandante – combatte non solo contro un nemico che insidia l’esistenza della Repubblica, ma anche per divulgare delle idee nuove in Europa. Idee nuove che formano un vero e proprio programma di opposizione contro i poteri assoluti, dispotici, autoritari imperanti in tutti gli Stati europei. L’armata repubblicana combatte per affermare la tolleranza, la libertà di pensiero, la libertà di fede e la libertà di parola. Combatte per la liberazione dall’ignoranza e dai pregiudizi. Combatte per dichiarare la forza del "lume della ragione" che rende libero l’individuo. Combatte per ribadire che essere liberi significa "sapere, conoscere, capire". L’armata combatte per sostenere che: la persona è libera quando è colta, quando è capace di pensare e di giudicare con la propria testa. L’armata combatte per sostenere che: la persona è libera quando avverte la necessità di essere informata. L’armata combatte per sostenere la libertà di stampa e per l’abolizione della censura: perché aumenti il numero delle riviste culturali e dei quotidiani, perché i libri vengano tradotti in tutte le lingue principali e venduti a migliaia di copie a prezzi accessibili a tutti. Migliaia di giovani, in Europa (Stendhal, Chateaubriand…), si appassionano a questi ideali, aderiscono a questo programma e la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del cittadino del 1789, diventa il manifesto di una generazione. E Napoleone sembra diventare il custode delle affermazioni di principio contenute nella Dichiarazione: leggiamone un saggio.
LEGERE MULTUM….
Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del cittadino (1789)
Art. 1: Gli uomini nascono e vivono liberi e uguali nei diritti…
Art. 2: Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo…
Art. 3: Il principio di sovranità risiede essenzialmente nella Nazione; nessun organismo, nessun individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente dalla Nazione.
Art. 4: La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce agli altri; così l’esercizio dei diritti naturali di ciascun individuo non ha per limiti che quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati soltanto dalla legge.
Art. 5: … Tutto ciò che non è proibito dalla legge non può essere impedito, e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina.
Art. 6: La legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto a
concorrere personalmente o per mezzo dei loro rappresentanti alla sua funzione. Essa deve essere uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Poiché tutti i cittadini sono uguali davanti ad essa, sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti e impieghi pubblici, a seconda delle loro capacità e senz’altra distinzione che quella delle loro virtù e del loro ingegno.
Art. 7: Nessun uomo può essere accusato, arrestato o detenuto se non nei casi contemplati dalla legge e secondo le forme che essa prescrive…
Art. 8: La legge deve stabilire pene strettamente ed evidentemente necessarie, e nessuno potrà essere punito se non in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto commesso, e legalmente applicata.
La deriva autoritaria, dispotica, assolutista che si manifesta con il regime imperiale di Napoleone suscita delusione, indignazione, repulsione in tutti coloro i quali avevano creduto in lui come difensore dei diritti proclamati dalla Repubblica, e si sviluppa una concreta attività di opposizione culturale. Gli scrittori che coltivano le idee liberali – nate dalla Carta del 1789 – considerano un autentico tradimento il comportamento di Napoleone e si oppongono alle tendenze autoritarie del regime, e, di conseguenza, vengono sistematicamente mandati in esilio.
Lo scontro più duro Napoleone lo deve sostenere con una donna, che è stata capace di metterlo in difficoltà: questa donna si chiama Madame de Staël. Che Napoleone sia stato messo in difficoltà da Madame de Staël lo dimostra il consiglio scomposto, poco elegante, maschilista e isterico, indegno di un imperatore, che decide di dare a questa signora: "Tenez-vous au tricot, madame! Si dedichi al lavoro a maglia, signora, invece di scrivere". A questa frase, poco felice, seguono i fatti, e Napoleone ordina di sequestrare e distruggere tutte le opere di Madame de Staël in circolazione in Francia.
Il merito di Madame de Staël è stato quello di diffondere in Francia e in tutta Europa i concetti essenziali del romanticismo tedesco: in pratica, con Madame de Staël, il romanticismo galante incontra il romanticismo titanico e, il movimento romantico si internazionalizza. E il romanticismo – come movimento culturale – si afferma in tutti i settori, supera l’ambito strettamente letterario, per abbracciare l’arte, la cultura, la filosofia, la musica, il costume e la visione della vita. Si afferma, ai primi dell’800, in tutta Europa, quello che è stato chiamato lo stato d’animo romantico.
Questo stato d’animo si caratterizza anche come un sentimento che esprime opposizione al potere autoritario, dispotico, assolutista. Questo sentimento di opposizione si manifesta sul piano culturale – prima che sul piano politico – non solo nei confronti dei governi, ma anche nei confronti di tutti gli atteggiamenti che, in generale, si chiudono nell’immobilismo. Uno dei bersagli dell’opposizione culturale romantica è Napoleone, sono i suoi atteggiamenti imperiali che contraddicono gli ideali di libertà, di uguaglianza e di fraternità a cui la Francia dice di ispirarsi.
Lo stato d’animo romantico si presenta come un sentimento di opposizione: che cosa significa questa affermazione? Lo stato d’animo romantico ha origine da una complessa crisi delle certezze. Napoleone si presenta – in tutta la sua carriera militare, politica e imperiale – come l’uomo delle certezze. Lo stato d’animo romantico si oppone, prima di tutto, all’orgogliosa pretesa di poter risolvere ogni problema con la forza della ragione. Dopo aver demolito – senz’altro a proposito – dogmi, pregiudizi, superstizioni del passato antico e recente, la ragione viene a trovarsi anche di fronte ai suoi limiti (ricordate Kant?) che devono essere riconosciuti in quanto tali.
Inoltre la ragione, in questa giusta e opportuna opera di demolizione finisce spesso per passare in secondo piano, e in primo piano rimane la forza, e una cosa è demolire con la forza della ragione, altra cosa è demolire in ragione della forza.
Questo passaggio – dall’esercitare la forza della ragione al praticare l’uso spregiudicato delle ragioni della forza – conduce al fallimento degli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità che si risolve prima in un mare di sangue e poi nel regime autoritario di Napoleone. Questa situazione incrementa, negli spiriti più sensibili, un sentimento di stanchezza e di delusione largamente diffuso proprio nella generazione che aveva creduto e seguito Napoleone quando si presentava come liberatore.
Lo stato d’animo romantico, di conseguenza, nasce dal rifiuto della mentalità razionalistica in nome del sentimento, della fede, dell’individualità, dell’originalità, della malinconia. Lo stato d’animo romantico mette in discussione ogni punto fermo, anche gli stessi concetti che elabora: come quello della speranza e dell’illusione, e tende a coltivare e ad alimentare un’aspirazione verso l’infinito e verso l’eterno che si concretizza nella tendenza a ritornare verso il grembo della Natura.
REPERTORIO E TRAMA ...per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
Lo stato d’animo romantico – con queste caratteristiche – è il substrato di tutti i romanzi della prima metà dell’800 e di gran parte dei romanzi della seconda metà dell’800: nel momento in cui, come lettori, ci si accosta a questi romanzi non possiamo ignorare questa chiave di lettura…
Lo stato d’animo romantico – con queste caratteristiche – costituisce il substrato di tutti i romanzi della prima metà dell’800 e di gran parte dei romanzi della seconda metà dell’800: nel momento in cui, come lettori, ci si accosta a questi romanzi non possiamo ignorare questa chiave di lettura.
Nel 1805, un certo François-René de Chateaubriand, pubblica il romanzo René (Renato): uno dei romanzi più significativi del romanticismo perché contiene tutte le idee e le componenti che questo movimento culturale ha espresso. Ne leggiamo subito due pagine per capire in quali termini si esprime la fusione, l’unione, l’intesa tra il romanticismo galante e il romanticismo titanico.
LEGERE MULTUM….
François-René de Chateaubriand, René (1805)
Venuta la sera, riprendendo la strada del mio rifugio, mi fermavo sui ponti per vedere come si coricava il sole. L’astro, incendiando i vapori della città, pareva oscillare lento in un oro fluido, pendolo dell’orologio dei secoli. Poi mi ritiravo con la notte, in un labirinto di straducce solitarie. Guardando i lumi accesi nella casa degli uomini, mi trasportavo col pensiero tra le scene di dolore e di gioia che illuminavano, e pensavo che sotto tanti tetti non c’era un amico per me. L’ora batteva, nel mezzo delle mie riflessioni, alla torre della cattedrale gotica; andava ripetendosi su tutti i toni, più lun-gi, più lungi, da chiesa a chiesa. Ahi, le ore che aprono ognuna fra gli uomini una tomba, e fanno cadere una lacrima! Quella vita che dapprima mi era piaciuta mi diventò ben presto insopportabile. Mi stancai della monotonia delle stesse scene e delle stesse idee. Mi misi a sondare il mio cuore, e a chiedermi quello che volevo. Non lo sapevo; ma mi saltò in mente che mi sarei trovato bene nei boschi. Ed eccomi deciso improvvisamente a terminare in un asilo campestre una strada cominciata appena, e sulla quale avevo divorato già secoli e secoli. Abbracciai questo progetto con tutto l’ardore che sono solito mettere nei miei disegni; partii subito per seppellirmi in una capanna, come altre volte ero partito per fare il giro del mondo. Mi accusano di essere incostante nei miei gusti, di non riuscire a gustare troppo tempo di un sogno, d’essere alla mercé d’una fantasia che precorre la fine dei piaceri, come se non potesse resistere alla loro durata; mi accusano di sorpassare sempre il fine cui posso arrivare: e io non cerco, ahimè! che un bene sconosciuto, avvertito per istinto. Non è colpa mia se trovo limiti dappertutto, e se quello che è raggiunto non ha per me più valore. Eppure sento che la monotonia dei sentimenti quotidiani mi piace; e se fossi ancora tanto pazzo da credere alla felicità la cercherei nell’abitudine.
La solitudine assoluta, lo spettacolo della natura, mi cacciarono in uno stato indescrivibile. Senza amici, solo, dico, sulla terra, senza aver ancora amato, ero sopraffatto da un eccesso di vitalità. Alle volte arrossivo senza ragione, e sentivo colarmi dentro come fiotti di lava ardente; talvolta cacciavo involontariamente un grido, e le mie notti erano agitate sempre, sognassi o vegliassi. Mi mancava qualche cosa per colmare l’abisso della mia esistenza: scendevo nella valle, mi levavo sulla montagna, sollecitando con tutti i miei desideri l’oggetto ideale d’una futura fiamma; l’abbracciavo nel vento, credevo udirla nel gemito del fiume; era tutto, questo fantasma immaginario: gli astri nel cielo, e lo stesso principio della vita universale. Ma intanto questo stato di calma e di turbamento, di ricchezza e d’indigenza, era pur bello: un giorno mi ero svagato a sfogliare un ramo di salcio in un ruscello, e a puntare un pensiero su ogni foglia trascinata dalla corrente. Un re che tema di perdere la corona per una rivoluzione improvvisa, non prova angosce più vive di quelle mie per ogni incidente che minacciava quelle foglie di salcio. Debolezza dei mortali, infanzia del cuore umano che non invecchia mai! Ecco a che grado di puerilità può scendere la superba ragione umana! Eppure, molti uomini legano il loro destino a cose tanto futili quanto le mie foglie di salcio. Non saprei ridire tutte le impressioni fuggitive che provavo nelle mie passeggiate. Gli echi destati dalle passioni nel vuoto dei cuori solitari somigliano al mormorio dei venti e delle acque nel silenzio del deserto, che si sente ma non si può riprodurre. L’autunno mi colse fra queste inquietudini: l’arrivo del mese delle burrasche fu per me una gioia. Avrei voluto essere uno di quei cavalieri erranti coi venti, le nuvole, i fantasmi; o invidiavo la sorte del pastore che vedevo scaldarsi le mani al fuocherello di sterpi acceso in un recesso del bosco. Ascoltavo il suo malinconico cantare, che mi diceva come il canto naturale dell’uomo è triste, anche quando vuol significare felicità. Il nostro cuore è uno strumento incompleto, una lira dove manca qualche corda, e sullo stesso tono consacrato ai sospiri, dobbiamo riprodurre gli accenti della gioia. Mi smarrivo per le grandi lande al limite delle foreste, bastava poco per farmi fantasticare, una foglia secca che il vento trascinava davanti a me, il fumo d’una capanna che si levava sulle cime spoglie degli alberi, il muschio tremolante al soffio del settentrione sul tronco d’una vecchia quercia, una roccia appartata, uno stagno deserto su cui mormorava un giunco appassito. I miei occhi si posavano spesso sul campanile solitario che si levava lontano nella valle. Mi smarrivo col volo radente degli uccelli di passaggio, e fantasticavo delle rive sconosciute, dei lontani climi cui drizzano il volo, e avrei voluto essere sulle loro ali. Un segreto richiamo mi pungeva, sentivo d’essere anch’io un viaggiatore; ma una voce pareva dirmi: "Uomo, la stagione della tua migrazione non è ancor venuta; aspetta che si levi il vento della morte: allora spiegherai il volo verso quelle regioni sconosciute che brama il tuo cuore". "Levatevi, presto, attese tempeste che dovete portare René negli spazi d’un’altra vita!".
Così dicevo, e camminavo a grandi passi, il volto in fiamme, il vento che mi fischiava tra i capelli, insensibile alla pioggia e al gelo, estasiato e tormentato, e come se un demone mi tenesse il cuore. La notte, quando il tramontano scuoteva la mia capanna, e le piogge calavano a torrenti sul mio tetto o se, attraverso la finestra, vedevo la luna solcare i cumuli delle nubi, come una pallida nave che vada arando le onde, mi pareva che la vita mi si moltiplicasse nel cuore, che avrei avuto la forza di creare un mondo. Ah, se avessi potuto far partecipe un altro delle estasi che io provavo, o Dio! se mi avessi dato una donna secondo i miei desideri; se, come al nostro primo padre, mi avessi condotta per mano un’Eva tratta da me stesso… Bellezza suprema, mi sarei prosternato davanti a te; poi, stringendoti fra le braccia, avrei pregato l’Eterno di darti la vita che mi restava. Ma ahimè! ero solo sulla terra! Un languore segreto m’invadeva le membra, il disgusto della vita che avevo provato fin dall’infanzia rinforzava l’assalto. Non passò molto che il mio cuore non poté più alimentare i miei pensieri, e l’esistenza non fu altro che il senso d’una profonda noia. Lottai qualche tempo contro il mio male, ma pigramente, e senza la ferma risoluzione di vincerlo; alla fine, non trovando rimedio alla strana ferita del mio cuore, che non era in nessun luogo e intanto era dovunque, deliberai di lasciare questa vita.
Di questo romanzo e di François-René de Chateaubriand ci occuperemo ancora la prossima settimana, per ora rimaniamo in compagnia di Madame de Staël.
E chi è Madame de Staël, alla quale Napoleone consiglia "di dedicarsi a fare la maglia" piuttosto che impegnarsi nella lettura, nella scrittura e nel produzione culturale? Madame de Staël è figlia del banchiere ginevrino Jacques Necker, che è stato anche ministro delle finanze di Luigi XVI: durante il suo mandato, propone quotidianamente al re una serie di riforme per evitare la bancarotta, ma il re si spazientisce e preferisce sostituirlo. Anne-Louise-Germaine Necker nasce a Parigi nel 1766 e, fin da piccola, si dedica soprattutto con grande interesse allo studio della cultura umanistica. Sposa, giovanissima, l’anziano barone svedese Erik de Staël, e diventa Madame de Staël e dà vita a un famoso salotto letterario nel quale si riuniscono le migliori intelligenze del tempo. Durante la Rivoluzione e il periodo napoleonico vive in esilio nel castello paterno di Coppet, presso Ginevra, e lì riceve e ospita numerosi amici e conoscenti: tra questi ospiti c’è anche Madame Julie Récamier di cui presto (la prossima settimana?) sentiremo parlare. Ospita anche una nostra vecchia conoscenza: Elisabeth Vigée-Lebrun che, in quell’occasione, dipinge (bisognerebbe andare a cercarlo…) un famoso ritratto di Madame de Staël. Caduto Napoleone, nel 1815, riapre a Parigi il suo prestigioso salotto; muore nel 1817.
Madame de Staël ha ricevuto un formazione culturale illuminista, e vive intensamente l’inquieto passaggio dal razionalismo settecentesco alla nuova cultura romantica. Il suo impegno culturale e letterario è testimoniato soprattutto dalla scrittura di due romanzi che ottengono molto successo, soprattutto nel mondo femminile perché presentano due significativi personaggi femminili che danno il nome ai due romanzi: Delfina (1802) e Corinna o l’Italia (1807). Il romanzo Corinna o l’Italia è il più famoso dei due e trae ispirazione da un viaggio in Italia (1804-1805) durante il quale Madame de Staël subisce – come tutti gli altri viaggiatori del tempo – il fascino del "bel Paese" e, questo fascino, Madame de Staël, è capace di trasmetterlo sistematicamente al lettore. In Italia, Madame de Staël, conosce Verri, Monti, Canova e altri artisti e intellettuali.
Il romanzo Corinna o l’Italia è un vero manuale dell’amore romantico che esalta la superiorità della donna innamorata rispetto all’uomo, che è sempre, più della donna, legato ai pregiudizi e alle convenzioni sociali. Il personaggio di Corinna è molto significativo perché rappresenta una nuova generazione (che è la generazione di Madame de Staël) di donne impegnate nel rivendicare la loro presenza fattiva nella società e nel mondo della cultura. Corinna è un personaggio di sintesi e Madame de Staël pretende che abbia due padri culturali importanti: Corinna è figlia di Voltaire per la fiducia che ha nelle idee e nel progresso e per l’istinto di curiosità universale che possiede, ma è anche figlia di Rousseau per la passione che coltiva nei confronti dei sentimenti, e per l’aspirazione che nutre nella possibilità di costruire un’umanità migliore.
REPERTORIO E TRAMA ...per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
Forse, questo romanzo, è ancora attuale e può essere letto con interesse anche oggi…
Ma l’opera più importante di Madame de Staël è un trattato. Il titolo di questo famoso trattato è De l’Allemagne ovvero La Germania (1810). La Germania è un vero vademecum, un’autentica guida delle idee romantiche. Quest’opera, quando viene pubblicata, suscita accesi dibattiti e violente polemiche.
Il fatto è che Madame de Staël, con il suo trattato, è stata la grande ambasciatrice del romanticismo in Europa, e questo dimostra, ancora una volta, come la letteratura, come la scrittura possa avere la funzione fondamentale di far circolare parole-chiave e idee-significative. La pubblicazione de La Germania viene ostacolata con la forza: l’edizione francese del 1810 viene fatta sequestrare e distruggere da Napoleone, e Madame de Staël lascia Parigi e va in esilio in Svizzera. Napoleone non tollera che si parli bene di una Nazione, che si esalti la cultura di una Nazione, che si metta in rilievo la forza delle idee di una Nazione che non sia la Francia guidata e comandata da lui. Per questo motivo, quest’opera, viene ripubblicata a Londra nel 1813 ma già circolava in tutta Europa e anche, clandestinamente, in Francia.
Il trattato La Germania rappresenta la prima fondamentale sintesi divulgativa del movimento romantico tedesco. Madame de Staël espone sinteticamente il pensiero dei "romantici tedeschi": presenta le teorie estetiche di Lessing, di Goethe, di Schiller e di Novalis, il pensiero filosofico di Kant e il pensiero filosofico dell’idealismo. Madame de Staël divulga le parole-chiave e le idee-significative presenti nelle opere più importanti dei pensatori tedeschi.
Il trattato, poi, riassume con chiarezza ed efficacia i termini essenziali della polemica che il romanticismo apre in Europa: in che cosa consiste questa polemica? Secondo gli "scrittori romantici" è necessario rifiutarsi di applicare le regole classicistiche che si basano ancora sulla Poetica di Aristotele (del 340 a.C.), come se, quelle regole, Aristotele avesse voluto codificarle per sempre, tradendo il suo spirito dialettico. La principale regola classica consiste nell’applicare l’unità di luogo, di tempo e di azione (l’azione della tragedia deve avvenire nello stesso luogo e nello stesso tempo) – che gli scrittori classici, tra l’altro, nelle loro opere, non sempre hanno rispettato e che i classicisti vorrebbero imporre ai contemporanei. La regola classica dell’unità di luogo, di tempo e di azione – secondo i romantici tedeschi – va superata in nome della dilatazione, della sovrapposizione, dell’estensione, dell’espansione e dello sviluppo del concetto di luogo, di tempo, di azione: in un processo che va dal "finito" verso il "sentimento dell’infinito".
Nel trattato La Germania troviamo l’esaltazione del sentimento, della spontaneità e della fantasia come doti "naturali" del poeta, e la predilezione per l’arte popolare e per il mito del Medioevo. L’arte romantica – afferma Madame de Staël – è, in primo luogo, un’arte aderente alle tradizioni storiche, culturali e religiose di un paese: un’arte, dunque, attuale, rivolta non a un’élite di privilegiati ma a un vasto pubblico, e, quindi, si propone come un’arte popolare, libera dalle costrizioni formali degli antichi modelli classicistici.
In un’opera precedente: La letteratura considerata nei suoi rapporti con le istituzioni sociali (1800), Madame de Staël contrappone la solarità delle letterature meridionali, di cui Omero sarebbe la massima espressione, alla condizione inquieta, introversa e malinconica delle nebbiose letterature del Nord, dalla quale emergerebbe il "sentimento doloroso dell’incompiutezza del destino". Omero rappresenta – secondo Madame de Staël – l’antichità classica, mentre le letterature del Nord rappresentano un concetto nuovo, moderno di letteratura.
Il trattato La Germania diventa il punto d’incontro tra il romanticismo galante francese e il romanticismo titanico tedesco. In quest’opera Madame de Staël vuole appunto porre a confronto il "genio", cioè lo spirito delle due nazioni – Francia e Germania – così vicine e pur così sconosciute l’una all’altra, e vuole aprire alla poesia francese, che considera ancora asservita alla retorica e alla precettistica, gli orizzonti della poesia tedesca, che – libera dai vincoli del classicismo – le appariva come la vera "poesia dell’anima".
La tesi enunciata da Madame de Staël – che si afferma in tutta Europa – è chela poesia classica è quella degli antichi, e la poesia romantica è quella che si ispira alle tradizioni medievali e cavalleresche. La poesia classica è legata alla imitazione, la poesia romantica è soggetta all’ispirazione dell’artista, ed è perciò libera e ingenua, naturale, schietta, spontanea. Scrive Madame de Staël: "La letteratura degli antichi è nei moderni una letteratura trapiantata: la letteratura romantica o cavalleresca è fra noi originaria. Sono la nostra religione e le nostre istituzioni che l’hanno fatta sbocciare".
Il libro La Germania rende popolare la parola "romanticismo" in Europa e fa crescere in tutto il continente, l’interesse per la letteratura e per la lettura tanto della poesia quanto dei romanzi. E anche il termine "romanzo" – che non era molto apprezzato – assume ora un valore assolutamente positivo e assumono un valore positivo anche i termini: storia, racconto, narrazione, avventura, vicenda.
REPERTORIO E TRAMA ...per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
Quale di queste parole (storia, racconto, narrazione, avventura, vicenda) preferisci accostare alla parola "romanzo"? Scegline una…
Leggiamo un frammento da La Germania di Madame de Staël per conoscerne e per capirne il tono.
LEGERE MULTUM….
Madame de Staël, La Germania (1810)
Il termine romantico è stato introdotto recentemente in Germania per indicare la poesia alla cui origine stanno i canti dei trovatori, quella poesia che è nata dalla cavalleria e dal cristianesimo. Se non si ammette che il paganesimo e il cristianesimo, il settentrione e il mezzogiorno, l’antichità e il medioevo, la cavalleria e le istituzioni greche e romane si sono divise l’impero della letteratura, non si arriverà mai a giudicare sotto un punto di vista filosofico il gusto antico e il gusto moderno.
Talvolta si prende il termine classico come sinonimo di perfezione. Io me ne servo qui in un’altra accezione, considerando la poesia classica come quella degli antichi, la poesia romantica come quella che deriva in qualche modo dalle tradizioni cavalleresche. Questa suddivisione si riferisce egualmente alle due ere del mondo: quella che ha preceduto lo stabilirsi del cristianesimo e quella che lo ha seguito. La nazione francese, la più colta tra le nazioni latine, inclìna verso la poesia classica imitata dai Greci e dai Romani. La nazione inglese, la più illustre tra le nazioni germaniche, ama la poesia romantica e cavalleresca, e si gloria dei capolavori che possiede in questo genere. La poesia classica deve essere semplice e risaltare come gli oggetti esteriori, la poesia romantica ha bisogno dei mille colori dell’arcobaleno per non perdersi tra le nubi. La poesia degli antichi è più pura come arte, quella dei moderni fa versare più lacrime: ma la vera questione per noi non è tra la poesia classica e la poesia romantica, ma tra l’imitazione dell’una e l’ispirazione dell’altra. La letteratura degli antichi è nei moderni una letteratura trapiantata: la letteratura romantica o cavalleresca è fra noi originaria. Sono la nostra religione e le nostre istituzioni che l’hanno fatta sbocciare.
Gli scrittori imitatori degli antichi si sono sottoposti alle più severe regole del gusto; poiché, non potendo consultare né la loro propria natura, né i loro propri ricordi, è stato necessario che essi si conformassero alle leggi secondo le quali i capolavori degli antichi possono essere adattati al nostro gusto, benché tutte le circostanze politiche e religiose, che hanno dato vita a questi capolavori, siano mutate. Ma queste poesie secondo il modo antico, per quanto perfette siano, sono raramente popolari, poiché esse non hanno, nel tempo attuale, niente di nazionale. La poesia francese, essendo la più classica fra tutte le poesie moderne, è la sola che non sia diffusa tra il popolo. Le stanze del Tasso sono cantate dai gondolieri di Venezia, gli Spagnoli e i Portoghesi di ogni classe sociale sanno a memoria i versi di Calderón e di Camoes. In Inghilterra Shakespeare è altrettanto ammirato dal popolo che dalle classi superiori. Alcuni poemi di Goethe e di Bürger sono messi in musica e voi li udite ripetere dalle rive del Reno fino al Baltico. I nostri poeti francesi sono ammirati da tutti gli spiriti colti presso di noi e nel resto dell’Europa, ma sono completamente sconosciuti tra il popolo e perfino tra la borghesia delle città, poiché le arti in Francia non sono, come altrove, native del paese stesso ove si sviluppano le loro bellezze. La letteratura romantica è la sola che sia suscettibile ancora di essere perfezionata, poiché avendo radici nel nostro proprio suolo è la sola che possa crescere e dare ancora nuova vita; essa esprime i nostri sentimenti; ricorda la nostra storia: le sue origini affondano nel tempo ma non sono antiche. La poesia classica deve passare attraverso i ricordi del paganesimo per arrivare fino a noi: la poesia dei Germani è l’era cristiana delle belle arti, essa si serve delle nostre impressioni personali per commuoverci, il genio che la ispira si indirizza immediatamente al nostro cuore, e sembra evocare la nostra stessa vita come un fantasma più potente e più terribile di tutti.
"La poesia dei Germani è l’era cristiana delle belle arti…": questa affermazione di Madame de Staël ci conduce ad incontrare appunto un altro grande scrittore che rappresenta l’opposizione a Napoleone imperatore: François-René de Chateaubriand (1768-1848), che incontreremo ancora la prossima settimana. La vita di François-René de Chateaubriand è quasi un simbolo del romanticismo. Chateaubriand – come abbiamo letto nelle due pagine tratte da René – è una persona capace di esaltare la propria individualità attraverso un continuo colloquio interiore con se stesso, ed è sempre scontento per ogni forma di azione umana che risulta sempre imperfetta. Chateaubriand esalta il gusto della malinconia e mette in risalto la sofferenza interiore, che si placa solo nella descrizione di certi paesaggi naturali.
Il suo influsso sulla letteratura dell’800 è stato notevole, soprattutto nei confronti dei poeti, i quali, dalle opere di Chateaubriand hanno imparato a descrivere le malinconie difficili da definire, hanno imparato a esprimere l’entusiasmo appassionato, e hanno imparato a cantare la simpatia per la natura, e l’aspirazione a un ritorno consolante nel grembo della Natura.
Anche Chateaubriand si è formato alla scuola degli illuministi, ed era giunto alla convinzione che il cristianesimo si sarebbe estinto, e non avrebbe resistito ai colpi della "ragione", ma, con la morte della madre e di una sorella, Lucilla, alla quale era profondamente legato, Chateaubriand subisce una crisi che lo porta a un mutamento profondo. Scrive Chateaubriand: "Le voci di mia madre e di mia sorella, uscite dalla tomba, mi hanno colpito e sono diventato cristiano; non mi sono lasciato attrarre, lo confesso, da grandi luci soprannaturali, perché non le ho viste; la mia convinzione è uscita dal cuore; ho pianto e ho creduto". Chateaubriand esalta un cristianesimo non fondato sulla fede soprannaturale ma basato sulla capacità umana che la religione possiede di procurare la consolazione. E Chateaubriand scrive una grande opera di apologia, di elogio, di esaltazione del cristianesimo, quest’opera – l’abbiamo già citata prima delle vacanze – s’intitola: Il genio del Cristianesimo ovvero la bellezza del cristianesimo. In quest’opera, Chateaubriand si esprime con l’intento di dimostrare non tanto la verità: per Chateaubriand la fede non diventa mai una certezza da manifestare esternamente, ma per lui, la fede è una bellezza, è qualcosa di bello da gustare nel proprio intimo…come tutti gli ideali per cui valga la pena vivere. "Di tutte le religioni che siano mai esistite – scrive Chateaubriand – la religione cristiana è la più poetica, la più umana, la più favorevole alle arti e alle lettere". Il suo è, quindi, un atteggiamento estetico, piuttosto che una professione di fede. Il cristianesimo – nella convinzione di Chateaubriand – ringiovanisce la letteratura, offrendole nuove fonti di ispirazione. Quindi Il genio del Cristianesimo – nell’intenzione dell’autore – è un’opera che non esalta la "dottrina" ma decanta la capacità che il cristianesimo ha avuto ed ha nell’ispirare la produzione artistica, la produzione "culturale". In effetti "il natale di Gesù di Nazareth" ha ispirato – scrive Chateaubriand – quella formidabile cultura popolare che è la letteratura dei Vangeli (canonici e apocrifi) che, poi, ha ispirato, soprattutto dopo l’anno Mille, una straordinaria stagione artistica, in particolare pittorica.
Quando Vivant Denon – che continua ad accompagnarci – esalta i pittori primitivi italiani, tra i quali Cimabue, Duccio, Giotto, Beato Angelico, che mettono in immagini la letteratura dei Vangeli, producendo degli autentici capolavori, e si batte per conservarli al Louvre, non agisce a caso, ma secondo un preciso atteggiamento "romantico". Ma, a Chateaubriand, diamo appuntamento alla prossima settimana, perché dobbiamo conoscere meglio questo complesso personaggio, e dobbiamo riflettere ancora sulle sue opere a cominciare da René attraverso Il genio del Cristianesimo fino alle famose Memorie d’oltretomba. Un certo Teophile Gautier, uno scrittore che incontreremo strada facendo, ha scritto: "È forse un caso che il sorriso de La Gioconda diventi enigmatico e misterioso nel momento in cui Madame de Staël, Stendhal e Chateaubriand creano i loro personaggi enigmatici e velati di mistero?". In effetti, Madame de Staël, Stendhal, Chateaubriand, li incontriamo sul Percorso in cui, a tratti, filtra il sorriso de La Gioconda, e, forse sono loro a farlo filtrare. Che cosa significa questo? Che significato hanno queste affermazioni di Teophile Gautier? Capite che non si può certamente rispondere con una battuta. Volendo si potrebbe dire, con una battuta, che, queste affermazioni, sono: Memorie d’oltretomba.
Ma, allora, siamo da capo: che cosa significa che queste affermazioni sono Memorie d’oltretomba? Memorie d’oltretomba è il titolo dell’opera più importante di Chateaubriand; Memorie d’oltretomba viene considerata dagli studiosi una delle più importanti opere della Storia del Pensiero Umano. Sapete che cosa c’entra con il sorriso de La Gioconda quest’opera di Chateaubriand? In quest’opera c’è un Carteggio "collegato": questo Carteggio "collegato" è una lettera allegata alla prefazione della prima edizione di Memorie d’oltretomba. Ebbene: questo Carteggio "collegato" c’interessa. Il nostro itinerario deve passare di qui: deve passare da Via del Carteggio collegato, 1847. Sapete quali parole, quali idee e quali personaggi ci aspettano in questa via? Accorrete.
La Scuola (la prossima settimana a questo indirizzo) è qui!...