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LA NOZIONE DI "CORRISPONDENZA" NEL PENSIERO MAGICO ROMANTICO…

Lezione N.: 
14

Prof. Giuseppe Nibbi        Tra ‘700 e ‘800: il sorriso de La Gioconda 2005        2-3-4 febbraio 2005

Re Magi - Mariotto di Nardo

LA NOZIONE DI "CORRISPONDENZA" NEL PENSIERO MAGICO ROMANTICO…

   Sappiamo che gli intellettuali "romantici" rivalutano gli aspetti e le caratteristiche del mondo medioevale e di quello rinascimentale: ebbene un aspetto significativo della cultura medioevale e soprattutto di quella rinascimentale – in cui troviamo le radici del "romanticismo" – è rappresentato dalla magia. Di che cosa parliamo quando – nel territorio del romanticismo – parliamo di "magia"? La magia è una dimensione dello spirito molto antica e già ben sviluppata nella civiltà babilonese e in quella egizia – ricordiamo che all’inizio dell’800, in Europa, scoppia il fenomeno della "egittomania" con il recupero di tutti gli apparati culturali dell’antico Egitto, compresa la magia – e poi, della "cultura magica", se ne trova una traccia profonda nella letteratura dell’Antico Testamento; una traccia importante che servirà, nel Rinascimento, a molti filosofi per costruire – all’interno della cristianità – un’esegesi favorevole, sebbene condannata dai tribunali ecclesiastici, nei confronti della disciplina "magica", e, di questo fenomeno, dobbiamo necessariamente rendercene conto.

   La magia è una disciplina che – nel contesto di un tormentato contrasto ideologico all’interno della cristianità – si è tramandata nel corso dei secoli e, in età moderna, nel Rinascimento, ha avuto una significativa riconsiderazione; molti intellettuali, scienziati, medici, filosofi, scrittori, artisti si sono occupati di questa disciplina: compreso Leonardo da Vinci in quanto pittore.

   Osservate che cosa scrive Leonardo da Vinci nel suo Trattato della pittura pubblicato postumo a Parigi nel 1651:   "Mentre lo scultore s’affanna a penetrare nella rozzezza de la materia bruta, il dipintore, come vero mago, cerca le corrispondenze tra l’Anima della Natura e lo spirito dell’opera sua". Il pittore come un "vero mago" cerca le "corrispondenze": che cosa sono queste "corrispondenze" che intercorrono tra l’Anima della Natura (o l’Anima del mondo) e lo spirito dell’opera creata dall’artista? Mettiamoci in cammino su questo itinerario.

   In Occidente la cultura magica comincia ad essere influente negli ultimi secoli dell’impero romano (nel IV - V secolo) sviluppandosi all’interno delle correnti dell’Ermetismo e poi dello Stoicismo e del Neoplatonismo (abbiamo attraversato questi territori culturali…). Con l’avvento del cristianesimo – che all’inizio si presenta come un movimento che privilegia gli aspetti sociologici e materialistici della realtà, e che rifiuta i culti e respinge l’eccessivo coinvolgimento spirituale – la magia comincia ad essere mal tollerata.

   La Chiesa delle origini, sotto la guida di Clemente Romano (papa nel I secolo, il quale – secondo gli esegeti – è da considerarsi il primo papa storico della Chiesa di Roma, in quanto le figure dei tre papi precedenti – Pietro, Lino e Anacleto – sono avvolte nella leggenda), codifica la dottrina originaria della Chiesa di Roma, e porta a termine questa straordinaria operazione culturale, raccogliendo, mettendo in ordine e completando le Lettere di Paolo, facendo scrivere i primi due capitoli del Vangelo secondo Luca e gli Atti degli Apostoli: queste opere – che tutti abbiamo sentito nominare – rappresentano la sintesi della dottrina della Chiesa di Roma. La Chiesa di Roma – attraverso queste opere – pronuncia nei confronti della magia, non tanto una condanna e neppure un netto rifiuto ma un forte ammonimento dottrinale, una decisa chiarificazione ideologica.

   Noi capiamo, studiando in particolare una di queste opere, gli Atti degli Apostoli, che, quello della "magia", è un tema che, in origine, si pone in modo problematico all’interno delle Chiese cristiane; difatti è documentata l’esistenza di una corrente esoterica, di una tendenza "magica" all’interno dell’eterogeneo movimento che predica la risurrezione di Gesù di Nazareth. Questa corrente cristiana "esoterica" la possiamo identificare – ci dicono gli esperti – nel testo di uno dei Vangeli apocrifi (35 testi) di cultura gnostica (quattro testi): il Vangelo di Filippo, databile intorno al II secolo. Il Vangelo di Filippo è un’opera complessa che mescola insieme la cultura greca con elementi esoterici. Mescola il Platonismo con la cultura magica dell’antico Egitto e dell’antica Babilonia per cui Gesù Cristo è la gnosis, è la conoscenza divina personificata, è l’idea della Sapienza di Dio discesa nel mondo, è la via intellettuale che porta a conoscere Dio attraverso un rituale di natura magica. Dio emana dentro la Natura dei segnali intellettuali, e il Vangelo di Filippo chiama questi segnali: sizigie, congiunzioni. Si entra in rapporto con Dio captando questi segnali, queste emanazioni e "congiungendosi" ad esse. Il Vangelo di Filippo, inoltre, tiene anche un legame molto stretto con l’ebraismo perché nella letteratura dell’Antico Testamento esiste un ricco substrato di cultura magica in cui Dio fa la sua parte: che cosa significa questo? Quando si parla di "cultura magica" è significativo leggere il capitolo 8 degli Atti degli Apostoli dal versetto 9 al versetto 25, qui viene presentato il personaggio del mago Simone o Simon mago: tutti lo abbiamo sentito nominare. Con questo brano la Chiesa di Roma del I secolo, coordinata da Clemente Romano, prende una posizione dottrinaria ufficiale nei confronti della "magia". Il libro Atti degli Apostoli – composto nella sua versione definitiva a Roma nel I secolo sotto la guida di Clemente Romano – non è un testo di storia, ma è un libro di dottrina: è il primo catechismo della Chiesa di Roma, che sta diventando la Chiesa più autorevole in Occidente. Se si leggono con attenzione i versetti 9-25 del capitolo 8 degli Atti degli Apostoli, ci si rende conto che la Chiesa di Roma deve fare i conti, al suo interno, con il tema della magia. La figura simbolica di Simon mago, che, ascoltando la predicazione di Filippo (la figura dell’apostolo Filippo dà il nome al Vangelo omonimo), "credette e fu battezzato", rappresenta un personaggio che fa parte della comunità cristiana in quanto "mago", e non gli si contesta di essere "mago" e di "aver sconvolto molta gente con le sue arti magiche" tanto da far pensare a tutti che "in lui, si manifestasse la grande potenza di Dio". Se leggiamo con attenzione questo interessante brano degli Atti degli Apostoli ci rendiamo conto che "il merito di aver compiuto delle straordinarie magie" viene riconosciuto al mago Simone: si tratta, probabilmente di interventi di tipo terapeutico.

   Secondo gli Atti, viene contestato al mago Simone il fatto che faccia confusione e consideri i doni gratuiti dello Spirito Santo come se fossero dei prodigi magici da elargire a pagamento, e di conseguenza viene duramente rimproverato da Pietro: "Va in malora tu e il tuo denaro – dice Pietro al mago Simone – perché hai pensato che il dono di Dio si possa acquistare con i soldi", questo è il peccato di Simon Mago. "Tu non hai la coscienza a posto davanti a Dio – aggiunge Pietro – smettila di pensare ai soldi e prega il Signore perché ti perdoni l’intenzione malvagia che hai avuto di arricchirti, tu sei pieno di male e prigioniero della cattiveria…". Il testo degli Atti degli Apostoli non fa dire a Pietro: "Va in malora tu e la tua magia, vai al diavolo perché sei un mago!". Ma il testo degli Atti condanna il fatto che Simone voglia far soldi con i doni dello Spirito: in questo consiste la cattiveria di Simone, il quale come mago ha tutto il diritto do farsi pagare; il suo peccato non è la magia ma è il lucro, e, la vendita dei doni dello Spirito verrà chiamata – dal momento della stesura degli Atti degli Apostoli – peccato di "simonia".

   In conclusione questo brano degli Atti – capitolo 8, vv. 9-25 – ci fa capire che, di fronte a questo autorevole rimprovero, il mago Simone sembra ravvedersi e di sicuro gli viene concesso di rimanere nella Chiesa in quanto "mago". Simon mago – secondo lo stile degli Atti degli Apostoli, che non è un libro di storia ma è un catechismo – rappresenta un personaggio metaforico con il quale la Chiesa di Roma affronta anche il delicato problema della magia. La Chiesa di Roma rifiuta l’idea che l’opera dello Spirito Santo possa essere considerata "magica" e possa essere esposta sul mercato della magia: le opere dello Spirito sono doni gratuiti e sono frutti dell’Agape, dell’Amore solidale. Ma, contemporaneamente, nei confronti della disciplina magica e di chi la pratica, gli Atti non esprimono una condanna: il mago Simone, in quanto tale, rimane nella Chiesa.

 REPERTORIO E TRAMA ...per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Leggi con attenzione i versetti 9-25 del capitolo 8 degli Atti degli Apostoli: buona lettura…

   Nel corso dei secoli il dibattito sul tema della magia continua. La teologia cristiana – utilizzando la cultura greca – sviluppa il suo pensiero definendo anche le qualità specifiche di Dio in modo che il credente possa incarnare in se stesso le caratteristiche della divinità, e le due principali caratteristiche del Dio cristiano sono "bontà e misericordia". (Secondo Luca, capitolo I v. 78). Incarnando queste caratteristiche – "bontà e misericordia" – il credente deve rendere palese, con il proprio comportamento, la presenza di Dio nella storia. Per la teologia cristiana, Dio è però presente nella storia quando tutta la comunità dei credenti, la Ekklesìa, agisce materialmente all’interno di una società, incarnando sociologicamente i due attributi fondamentali della divinità: "bontà e misericordia".

   Ebbene, la teologia cristiana, evolvendosi in modo aperto nei confronti della società, si trova ad essere in rotta di collisione con la magia perché la magia elabora pratiche di culto e propone rituali esoterici, segreti, ai margini della società, attraverso i quali pretende di evocare la divinità in modo che il "singolo" possa entrare "direttamente" in contatto con essa, senza l’apporto della comunità, senza il tramite della Ekklesìa.

   Le Chiese cristiane, a mano a mano che conquistano fette sempre più grandi di potere e nel momento in cui istituiscono il loro culto, cioè la Cena del Signore, un culto pubblico e non distinto dai gesti materiali della quotidianità, tendono a emarginare e a confinare la "cultura magica", con le sue pratiche esoteriche e segrete, in spazi sempre più ristretti e nascosti. Questa situazione, però, contribuisce a dare alla magia un alone di proibito, un senso di mistero che continuerà – all’interno della cristianità – ad attirare molti intellettuali nel corso dei secoli.

   Abbiamo imparato che i confini del territorio del "romanticismo" si dilatano fino al Rinascimento, e, nel movimento culturale, letterario, artistico, filosofico del Rinascimento troviamo molti germogli romantici… (Shakespeare, Cervantes, Ariosto, Tasso sono considerati "romantici"). Nel Rinascimento, con l’emergere di una visione laica della vita e con l’affermarsi di un forte interesse verso la Natura, interesse non ancora disciplinato dalle regole della scienza, la magia diventa una parte costitutiva del pensiero filosofico. Spesso diventa difficile, in questo periodo, nel ‘400, nel ‘500, distinguere il filosofo dal mago e differenziare lo scienziato dal mago.

   La parola "mago" o "maga", nel Rinascimento, non corrisponde a una persona con il cappello a cono, con la bacchetta in mano, davanti a un pentolone nel quale bolle la pozione magica: questa è una variante che appartiene al "genere letterario" della fiaba, ma non corrisponde alla tipologia del mago e della maga rinascimentale.

   Per inciso – a questo proposito – dobbiamo ricordare che gli studiosi contemporanei del Rinascimento si sono sempre chiesti come e quanto Leonardo da Vinci si sia occupato di magia: Leonardo è figlio del suo tempo, e si è occupato di magia. Molti esperti – non a caso – si sono occupati del rapporto tra Leonardo e la magia proprio per metterlo in relazione con La Gioconda, con il sorriso de La Gioconda: c’è qualcosa di "magico" dentro a quel quadro, c’è qualcosa di "magico", addirittura di "diabolico" in quel sorriso?

   Qualche settimana fa – a proposito del rapporto tra la "magia" e La Gioconda – abbiamo visto come Giacomo Casanova (state leggendo la Fuga dai Piombi?) abbia approfittato della superficialità della marchesa d’Urfé per circuirla.

   Noi ci siamo occupati di studiare il fenomeno culturale della magia nel corso degli itinerari rinascimentali di qualche anno fa, e abbiamo incontrato dei personaggi molto interessanti che sono contemporaneamente maghi e filosofi, maghi e scienziati. Questi personaggi non hanno niente in comune con molti individui che, oggi, si definiscono "maghi", televisivi e non, i quali – lo dicono i tribunali – spesso appartengono alla categoria degli estorsori o degli acchiappa-creduloni; diciamo questo perché dobbiamo difendere la reputazione di quegli intellettuali che, nella storia della cultura, sono stati definiti "maghi". Noi abbiamo incontrato lo svizzero Paracelo (1493-1541) che ha trasformato l’alchimia in una specie di farmacologia, poi abbiamo incontrato gli italiani Fracastoro (1487-1533), Cardano (1501-1576), il tedesco Agrippa (1486-1533) la cui opera dal titolo Filosofia occulta ha influenzato il pensiero di una nostra vecchia conoscenza, il filosofo Giordano Bruno (arso vivo a Roma in Campo dei fiori il 17 febbraio 1600). Il libro Filosofia occulta di Agrippa ha influenzato anche le dottrine neoplatoniche di Marsilio Ficino (1433-1499) e dell’Accademia fiorentina.

   Nel Rinascimento tutte le scuole di pensiero si interessano alle arti occulte. Ebbene – tra il 1700 e il 1800 – il tema della "magia rinascimentale" interessa moltissimo agli intellettuali romantici, i quali – noi abbiamo tirato in ballo Goethe e, la prossima settimana, lo inviteremo – si occupano, studiano, riflettono e producono opere, affascinati e ispirati da questo argomento. E allora, seppur brevemente, dobbiamo occuparci di questo argomento.

   Nel Rinascimento tutte le scuole di pensiero si interessano alle arti occulte sollecitate da un interrogativo, che si porranno anche gli intellettuali romantici. Un interrogativo di carattere filosofico - teologico: l’essere umano, che è un individuo accidentale, limitato e finito, come può conoscere, mettersi in relazione e amare l’Uno, il Tutto infinito che è Dio? I cultori delle "arti occulte" pensano che esista un tramite segreto, che esista un punto di "congiunzione" – dice il Vangelo di Filippo – un punto di raccordo misterioso nella Natura stessa, in cui possano incontrarsi l’accidentale con l’essenziale, il finito con l’infinito, l’umano con il divino. Una cosa è certa: per gli intellettuali rinascimentali, questo punto d’incontro segreto e misterioso tra il divino e l’umano, si trova, e va cercato – attraverso lo studio e l’applicazione delle arti magiche – dentro la Natura. Ebbene, questo ragionamento che significato ha, quale pensiero produce sul piano teologico?

   La filosofia rinascimentale produce un pensiero in cui il rapporto tra Dio e la Natura è considerato molto stretto, tanto stretto che, molti filosofi del rinascimento, arrivano a negare la distinzione e la differenza tra Dio e il Mondo. Questo pensiero viene chiamato: immanentismo (Dio si estende in tutto) o panteismo (Dio è in tutte le cose). La filosofia rinascimentale, nelle persone di Meister Eckart, Nicola Cusano, Marsilio Ficino, Bernardino Telesio, Giordano Bruno, Tommaso Campanella, elabora un pensiero secondo cui Dio viene considerato "super omnia", "al di sopra di tutte le cose", ma, siccome in Dio, gli opposti si conciliano, ecco che Dio è anche una realtà "insita omnibus", "presente in tutte le cose". Dio – pensano molti filosofi rinascimentali – è un principio logico-formale che permea e anima tutta la Natura, Dio è l’Anima del mondo. Dio – pensano molti filosofi rinascimentali – è una mente universale diffusa ovunque e presente nell’intelligenza dell’essere umano e in ogni singola cosa, quindi la materia contiene un vitalismo divino, una propria intelligenza e una propria spiritualità, e, questo fatto giustifica, teologicamente, la pratica della magia, la disciplina: con essa, attraverso la Natura, si può entrare in contatto con lo Spirito, con l’Anima del mondo, con Dio; tutto e vivo, tutto è divino, la vita che regola la Natura è la stessa vita di Dio. Come sarebbe stata possibile l’incarnazione – pensano molti filosofi rinascimentali – senza un rapporto intimo tra Dio e la Natura? Gli intellettuali rinascimentali che coltivano la "magia" agiscono, quindi, all’interno della cristianità e si sentono parte integrante della comunità cristiana.

   E voi capite che, a questo punto si determina uno scontro epocale tra l’ortodossia rappresentata dal Santo Uffizio – che aveva già condannato la "magia" e le "arti magiche" nel corso del 1400 – e i pensatori i quali ritengono la magia una dimensione dello spirito utile per entrare in contatto con la divinità attraverso la natura, creata da Dio e animata dalla stessa intelligenza divina. La Chiesa ufficiale però – sulla linea degli Atti degli Apostoli – condanna la magia non in quanto tale, ma sulla scia della condanna dell’immanentismo e del panteismo: la teologia ufficiale della Chiesa ribadisce la natura trascendente di Dio, il quale è considerato assolutamente "super omnia", "al di sopra di tutte le cose", dotato di esistenza propria e nettamente distinto dal mondo e dalla natura. Il Sant’uffizio condanna il pensiero immanente e panteista dei filosofi rinascimentali: Dio non è una realtà "insita omnibus", "presente in tutte le cose" e, di conseguenza, la "magia" non ha nessuna possibilità di far avvicinare l’essere umano a Dio.

   I cultori rinascimentali delle "arti magiche" difendono con forza la loro posizione immanentistica e panteista e ne nasce uno scontro epocale. I filosofi "panteisti" rinascimentali utilizzano una metafora evangelica per cercare una giustificazione teologica al loro pensiero e al loro operato. Nella Natura – sostengono – esiste un segno determinato che legittima l’incontro tra l’accidentale e l’essenziale, tra il finito e l’infinito, tra l’umano e il divino. Questa indicazione – sostengono – la si può trovare nella Letteratura dei Vangeli nell’immagine della "stella cometa". Tutti abbiamo in testa e abbiamo negli occhi (grazie alle opere della storia dell’Arte) il secondo capitolo del testo del Vangelo secondo Matteo. "Dopo la nascita di Gesù arrivarono a Gerusalemme alcuni Magi che venivano dall’oriente e domandarono: Dove si trova quel bambino, nato da poco, il re dei Giudei? In oriente abbiamo visto apparire la sua stella e siamo venuti qui per onorarlo".

   Sappiamo che, nel Medioevo e nel Rinascimento, l’adorazione dei Magi è un tema che viene sviluppato, soprattutto dai pittori, con grande impegno: seguendo questo "itinerario" si può anche capire meglio il perché di questa scelta.

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Nel Medioevo e nel Rinascimento "L’adorazione dei Magi" è un tema che viene sviluppato dai pittori con grande impegno… C’è una raffigurazione de "L’adorazione dei Magi" che ti ha colpito particolarmente?

Scrivi quattro righe in proposito…

   La stella è un segno, è una metafora, è una figura simbolica ma è anche un oggetto naturale che, con le sue caratteristiche, indica la via, rivela la strada che conduce alla divinità. Una divinità che – nel caso del cristianesimo – si è degnata di "sporcarsi di materia", di incarnarsi, di "farsi natura". Il fatto che, nella Letteratura dei Vangeli, a individuare la stella, che indica il punto d’incontro tra il finito e l’infinito, tra l’umano e il divino, siano stati chiamati i Magi, ha una notevole importanza sul piano dell’esegesi rinascimentale, dell’interpretazione teologica rinascimentale. I Re Magi dell’epifania (L’adorazione dei Magi) sono coloro i quali autentificano la presenza della divinità in quel bambino: esule, povero, indifeso. I Magi si muovono decisamente dopo aver capito, leggendo i Libri Sacri, che era necessario studiare le forze misteriose della natura, del cosmo, per scoprire la stella, per identificare il segno naturale fondamentale che indica la strada della salvezza.

   Il progetto della salvezza – pensano molti filosofi rinascimentali – è scritto nella Natura e si nasconde misteriosamente nelle pieghe dei fenomeni naturali di cui i Magi – i maghi – sono osservatori, studiosi, interpreti, commentatori, in modo da acquisire un potere sui fenomeni stessi: questo è uno dei presupposti fondamentali del pensiero teologico rinascimentale, un pensiero che afferma l’esistenza di una "corrispondenza" tra i segni, i fenomeni, le qualità e i princìpi della Natura e il progetto misterioso di un Dio che s’incarna – che si fa natura – per salvare l’essere umano.

   Nel Rinascimento il pensiero teologico e il pensiero "magico" – vale a dire ispirato alle figure dei Magi, relativo al ruolo dei "maghi" – produce un’esegesi molto significativa a partire dai testi dell’Antico Testamento in cui, il tema della "magia", è più che mai presente come fenomeno culturale e lo ricordavamo prima citando il Vangelo di Filippo. Molti importanti filosofi vissuti nel 1500 e nel 1600 si sentono "Magi" e tendono a costruire un pensiero teologico mettendo in rilievo quello che la Letteratura dell’Antico Testamento riporta sul tema della "magia". La Letteratura dell’Antico Testamento, avendo le sue radici nelle letterature sumero-assiro-babilonesi e nella letteratura egizia – come abbiamo studiato a suo tempo, ora non ci possiamo, purtroppo, soffermare che brevemente su questo argomento – contiene un grande apparato culturale sul tema della "magia".

   I testi biblici – secondo la tradizione delle letterature che abbiamo citato (babilonese ed egizia) – presentano la "magia" come un’arte che può avere due obiettivi diversi. La "magia" può essere l’arte di realizzare, in modo naturale, cose meravigliose "a fin di bene", oppure può essere l’arte di realizzare cose diaboliche, con l’aiuto demoniaco. Nel primo caso – in molte parti della Letteratura dell’Antico Testamento – la "magia" viene presentata come una delle componenti della potenza divina. Ci sono molti esempi, ma l’esempio classico è quello che troviamo nella prima parte del testo del Libro dell’Esodo (i primi 18 capitoli su 40).

REPERTORIO E TRAMA ...per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

A questo proposito è necessario leggere i capitoli (sono brevi capitoletti) 7 8 9 10 11 del Libro dell’Esodo, certamente ne conosci il contenuto, ma li hai mai letti? Se li hai letti, da quanto tempo non li rileggi?…

   Ora non abbiamo la possibilità di mettere in evidenza tutta la problematica presente in quest’opera straordinaria della Storia del Pensiero che è il Libro dell’Esodo: questa operazione l’abbiamo fatta nella seconda metà degli anni ’80, e forse andrebbe ripetuta. Tuttavia, tutti noi non ignoriamo la tematica del Libro dell’Esodo e alcuni elementi significativi costituiscono degli stampi straordinari che sono presenti nella testa di ciascuno di noi (anche attraverso la mediazione del cinema): lo scontro tra Mosè e il Faraone, l’uscita dall’Egitto, il rituale della Pasqua, il passaggio del mar Rosso, i quarant’anni nel deserto, la manna caduta dal cielo, il monte Sinai, le tavole della Legge, i dieci Comandamenti, il vitello d’oro…

   Il Dio dell’Esodo è il Dio della liberazione ed è un personaggio che possiede alcune caratteristiche letterarie e culturali molto interessanti. La caratteristica più significativa che possiede è quella di essere, e di proclamarsi, il Dio dei prodigi e di conseguenza il Dio dei maghi. Il Dio dell’Esodo è un Dio che si considera il Mago per eccellenza, e si ritiene il padrone della Magia. Tutta la prima parte del Libro dell’Esodo (i primi 18 capitoli su 40) è costruita, dal punto di vista letterario, sulla cultura "magica", che è la cultura attraverso la quale, in quel contesto storico, 2500 anni fa, avviene la gestione del potere.

   È necessario ricordare che la prima stesura del Pentateuco, dei primi cinque libri dell’Antico Testamento (Genesi - Esodo - Levitico - Numeri - Deuteronomio) avviene a Babilonia, nel contesto della cultura mesopotamica: che cosa ci facevano gli scrivani ebrei a Babilonia, in Mesopotamia? Nel 587 a.C il re babilonese Nabuccodonosor – noi lo conosciamo confidenzialmente con l’accorciativo di Nabucco attraverso la musica di Giuseppe Verdi – conquista Gerusalemme la capitale del regno di Giuda. In questa occasione – come sempre succedeva allora in questi casi – la classe dirigente e la manodopera specializzata del paese sconfitto viene "deportata" in Mesopotamia per fare la corvèe: vengono deportati quelli che sanno lavorare e che stanno meglio dal punto di vista economico in modo da poter essere utili allo sviluppo dello Stato babilonese. I poveri, gli ebionim: contadini, pastori, pescatori vengono lasciati in Canaan, su una terra senza risorse che i Babilonesi abbandonano a se stessa. Questa tragedia, dovuta alla guerra e alla deportazione, si configura come un momento molto importante per la storia della cultura universale, perché? Perché tra i deportati, naturalmente, ci sono anche gli "scribi", gli scrivani. E gli "scrivani" ebrei, deportati a Babilonia, prendono contatto con la cultura akkadica, con la letteratura mesopotamica che aveva dato vita ad un genere letterario straordinario: il "racconto cerimoniale", il midrash.

   Nella città di Babilonia e di Ur si erano sviluppate delle stupende epopee, e dei formidabili racconti scritti, mitici e leggendari, di cui ci rimane il famoso testo dell’Epopea di Gilgamesh, l’eroe più antico della letteratura universale, e il famoso testo del più antico poema sulla creazione intitolato Enuma elish (Lassù, nell’alto dei cieli). Per "ripassare" queste due epopee c’è L’ANTIbagno n.0 e n.1 …

   Ora, il popolo ebreo deportato a Babilonia – sono poche centinaia di persone – rimane "prigioniero" in Mesopotamia per cinquant’anni (fino al 538 a C.), e, il gruppo intellettuale, gli scrivani di questo popolo, assimilano bene la tecnica con cui si costruisce il testo scritto, il "racconto cerimoniale", il midrash. E gli scrivani ebrei – dopo aver imparato la tecnica della costruzione del testo cerimoniale decidono – con l’obiettivo di conservare l’identità del loro popolo – di cominciare a scrivere, con il genere letterario del racconto cerimoniale, sotto forma di midrash, la storia delle loro tradizioni, fatte di miti, di leggende tramandate, da secoli, oralmente. Queste epopee, tramandate oralmente, vengono scritte su tavolette d’argilla, e su rotoli (teucoi) di pelle di pecora, e costituiscono i primi due codici, Yavistico e Eloistico, ancora separati, della letteratura dell’Antico Testamento.

   Tra il 587 e il 536 a.C. prendono forma gli straordinari racconti che collegano la storia del popolo ebreo con la creazione del mondo, con l’idea di liberazione, di conquista di una terra e di fondazione di uno Stato indipendente: noi li conosciamo a memoria questi mitici "racconti".

   Quindi, il midrash ebraico, cioè la letteratura dei primi cinque libri della Bibbia, nasce nel crogiuolo della letteratura akkadica (sumera), mesopotamica e il racconto di quello che diventerà il libro della Genesi e il libro dell’Esodo nasce in un contesto dove una componente significativa è rappresentata dalla cultura magica. In particolare tutta la prima parte del Libro dell’Esodo è costruita, dal punto di vista letterario, sulla cultura "magica", che è la cultura attraverso la quale, in quel contesto storico, 2500 anni fa, avviene la gestione del potere: i maghi occupano i gradini più alti nella scala gerarchica tanto in Babilonia quanto in Egitto. Tutti i maggiori avvenimenti raccontati dagli scrivani nella prima parte dell’Esodo sono caratterizzati dalla manifestazione di "prodigi straordinari", di eventi eccezionali legati alla "magia". E la caratteristica più significativa che possiede il Dio dell’Esodo è quella di essere, e di proclamarsi, il Dio dei prodigi e di considerarsi il Mago per eccellenza, e di ritenersi il padrone della Magia.

   Una "magia" intesa come l’arte di realizzare, in modo naturale, cose meravigliose "a fin di bene": la liberazione del popolo ebreo dalla schiavitù d’Egitto avviene mediante prodigi straordinari, così l’attraversamento del Mar Rosso comporta lo straordinario prodigio dell’apertura delle acque, e la resistenza nel deserto è caratterizzata da straordinari prodigi che favoriscono la sopravvivenza in quell’ambiente ostile.

  Dei capitoli 7 8 9 10 11 si consiglia la lettura ma, se non lo avete ancora fatto, potete anche provare a leggerlo tutto, il Libro dell’Esodo, è un libro di ben 20 pagine, e, con il metodo del LEGERE MULTUM, in dieci minuti al giorno, a quattro pagine al giorno in cinque giorni è letto…Comunque i capitoli 7 8 9 10 11 (quattro pagine) di cui si consiglia la lettura riguardano lo scontro, la sfida di prestigio tra faraone, che si presenta come una divinità, attorniato dai suoi maghi e il Dio d’Israele (El-Adonai) che ha trasferito i suoi poteri magici a Mosè assistito da suo fratello Aronne. Leggiamo, facendo attenzione alle parole tra parentesi…

LEGERE MULTUM….

Esodo, Cap. 4 vv. 18-26

Mosè partì di là e tornò da suo suocero Ietro. Mentre Mosè era ancora in Madian il Signore (El-Adonai) gli disse: «Torna in Egitto. Ora sono morti quelli che cercavano di ucciderti».

Mosè disse al suocero: «Lasciami partire, ti prego; voglio tornare dai miei fratelli in Egitto per vedere se essi sono ancora vivi». Ietro ebbe per lui parole affettuose di saluto e di augurio. Allora Mosè fece salire sull’asino sua moglie Zippora e suo figlio per far ritorno in Egitto. Prese con sé anche il bastone che Dio (Yhwh) gli aveva affidato. Il Signore (El-Adonai) disse ancora a Mosè: «Ora stai tornando in Egitto. Tieni presenti tutti i prodigi (de-enot) che ti ho concesso di fare: dovrai compierli davanti al faraone. Ma lo renderò ostinato, e non lascerà partire il popolo. Allora tu dirai al faraone: Così dice il Signore: Israele è il mio figlio primogenito. Io ti ho comandato di lasciarlo partire perché venisse ad adorarmi, ma tu hai rifiutato di lasciarlo andare. E io ucciderò il tuo figlio primogenito!». (Ma come è vendicativo questo Dio! Sta di fatto che, effettivamente, non ha ancora dettato i dieci comandamenti, questo avverrà nel capitolo 20, siamo ancora al capitolo 4… Gli ultimi tre versetti di questo brano sono, per tutti gli esegeti, una sfida interpretativa che ha lasciato aperti molti misteri…Gli studiosi c’informano che, in questo racconto, ci sono residui di tradizioni cultuali magiche anteriori al rito della circoncisione…).

Lungo il viaggio, durante una sosta notturna, il Signore (El-Adonai) affrontò Mosè e voleva farlo morire. Allora Zippora tagliò con una pietra affilata il prepuzio del figlio, e con quello toccò il sesso di Mosè dicendo: «Tu per me sei uno sposo di sangue!». Aveva detto «sposo di sangue» perché aveva circonciso il figlio. Allora il Signore risparmiò la vita di Mosè. (Se leggiamo questi versetti senza "chiave di lettura" noi rimaniamo sconcertati… se – attraverso la didattica della lettura – impariamo che si tratta di un frammento di rituale magico, con tanto di gesti – il taglio, l’effrazione – e di elementi – il sangue – per augurarsi di riuscire nell’impresa difficile che stiamo per affrontare e per esorcizzare la morte, allora forse possiamo conoscere e capire, e provare soddisfazione nel leggere…).

 Esodo, Cap. 6 vv. 28-30. Cap. 7 vv. 1-13

Quando il Signore parlò a Mosè in Egitto gli disse: – Io sono il Signore (El-Adonai), riferisci al faraone, re d’Egitto, tutto quel che ti dirò! –

E Mosè rispose al Signore – Io non so parlar bene, come potrà ascoltarmi il faraone? –

Ma il Signore (El-Adonai) disse a Mosè: – Vedi, io faccio in modo che di fronte al faraone tu abbia la stessa potenza del Signore (El-Adonai), e Aronne, tuo fratello, parlerà come un profeta. Tu dirai ad Aronne tutto quel che io ti comanderò, e sarà tuo fratello a parlare al faraone: gli dirà di lasciar partire gli Israeliti dal suo paese, io farò in modo che il faraone non ceda. Moltiplicherò i miei prodigi (de-enot) in Egitto, ma il faraone non vi ascolterà. Allora io punirò severamente gli Egiziani. Farò uscire dall’Egitto gli Israeliti, il mio popolo, come un grande esercito. Quando io interverrò contro l’Egitto per liberare gli Israeliti, tutto l’Egitto riconoscerà che io sono il Signore (El-Adonai) – Mosè e Aronne eseguirono esattamente gli ordini del Signore. Quando essi si presentarono al faraone per parlargli, Mosè aveva ottant’anni e Aronne ottantatré. Il Signore (El-Adonai) disse a Mosè e ad Aronne: «Se il faraone vi chiederà di fare un prodigio (de-en) a sostegno delle vostre parole, tu dirai ad Aronne: Prendi il tuo bastone e gettalo davanti al faraone! Il bastone si trasformerà in serpente!». Mosè e Aronne andarono dal faraone e agirono come il Signore (El-Adonai) aveva comandato. Aronne gettò il suo bastone davanti al faraone e ai suoi ministri, e il bastone si trasformò in serpente. Allora il faraone convocò i sapienti, gli incantatori, gli indovini e, i maghi dell’Egitto, con le loro magie, fecero la stessa cosa. Ciascuno gettò il suo bastone e i bastoni divennero serpenti. Ma il bastone di Aronne inghiottì i loro bastoni. Però il cuore del faraone si ostinò e non diede loro ascolto, secondo quanto aveva predetto il Signore (El-Adonai).

   E questa ostinazione di faraone – voluta dal Signore (El-Adonai) – permette agli scrivani di descrivere – in questo capitolo e nei capitoli successivi 8 9 10 11 – la "potenza magica" del Signore (El-Adonai).

   Questi capitoli del libro dell’Esodo narrano lo straordinario episodio denominato: le dieci piaghe d’Egitto, chi non conosce questo termine? Le piaghe d’Egitto vengono presentate, dal punto di vista culturale e letterario, come straordinari "prodigi magici (de-enot)" in linea con la mentalità e la cultura del tempo – 2500 anni fa – e del luogo: siamo in quella fascia che va dal Tigri e l’Eufrate fino alla valle del Nilo. Questi prodigi magici (de-enot) sono destinati a incidere sull’equilibrio della natura: la "magia", dalle origini, è una disciplina che vuole indagare nei meccanismi del funzionamento dei fenomeni naturali per poterli governare, e tenere in ordine. La disciplina magica si confonde con la scienza, con l’astronomia, con la medicina, con l’idraulica, con l’ingegneria e il mago s’identifica con lo scienziato.

   In questo formidabile testo, formato dai capitoli 7 8 9 10 11 del libro dell’Esodo, di cui si consiglia la lettura, ci troviamo di fronte a un catalogo di situazioni "naturali" che debordano verso la calamità, e il ruolo preminente dei maghi, dei Magi, è sempre stato soprattutto quello di studiare la natura per contenere le calamità naturali, o anche per riprodurle. Le piaghe d’Egitto sono un classico repertorio di calamità naturali soggette al controllo della "magia": l’inquinamento dell’acqua trasformata in sangue, l’invasione delle rane, delle zanzare, dei mosconi, l’epidemia del bestiame, l’epidemia di ulcere e ascessi sul corpo di tutti gli esseri viventi (per ironia, compresi i maghi egizi), la calamità della grandine, l’invasione delle cavallette, la discesa delle tenebre, e l’epidemia che uccide i giovani, i primogeniti.

   In questo racconto (midrash) vengono riuniti insieme dagli scrivani ebrei, con grande abilità, elementi di tradizioni diverse: sumere, assire, babilonesi, egizie. L’intento è quello di dichiarare che questo Dio (El-Adonai) è capace di una potenza magica superiore a quella di tutti di maghi. La potenza magica – secondo la prima parte del testo del libro dell’Esodo – è una caratteristica divina e consiste nell’operare modifiche nell’assetto naturale, consiste in uno stravolgimento temporaneo dell’ordine naturale, sempre però all’interno delle logiche della natura. La figura del mago – in queste società, sumera, babilonese, egizia – è una figura positiva, una figura molto importante dal punto di vista religioso e sociale: il mago tiene sotto controllo l’ordine della natura.

   Nel pensiero degli Egizi – molti di voi lo sanno – l’ordine della natura è garantito da una forza armonica, interna alla natura stessa, che in lingua egizia si chiama Maat. (C’è un servizio su questa parola-chiave nell’ormai remoto n. 1, autunno-inverno 1999 de L’ANTIbagno…). È per merito di questa forza, è per merito della Maat che il Nilo esonda regolarmente due volte all’anno, ritornando poi regolarmente nel suo letto, rendendo molto feconda quella valle. La parola egizia Maat noi la traduciamo con le parole "ordine", "equilibrio", "giustizia". Nella cultura egizia: qual è la parola che traduce il termine: "mago"? Nella cultura egizia la parola che traduce il termine "mago" è Adon-Maat, che letteralmente significa: il custode dell’energia che tiene in ordine la natura. Adon-Maat, il mago è il "custode della Maat", il custode dell’ordine naturale. Avete notato come la parola Adon-Maat assomiglia alla parola El-Adonai?

   Ma, attenzione, questa è solo una parte del ragionamento filologico che stiamo facendo. Per questo motivo i maghi (i Magi) si trovano nelle alte sfere della società, sono sovrintendenti, sono ministri, vivono a stretto contatto con l’autorità superiore, autentificano le qualità dell’autorità superiore e, non a caso, per l’Epifania, per la manifestazione divina di Gesù, il testo del Vangelo secondo Matteo sceglie i Magi, e spesso i maghi comandano di più dell’autorità superiore stessa.

   È evidente che gli scrivani ebrei del Pentateuco – in particolare gli scrivani del testo che racconta le leggende epiche dell’Esodo – prigionieri a Babilonia, dove, quella dei maghi, dei Magi, è la classe sociale più elevata, abbiano voluto attribuire al loro Dio –al Dio raccontato dai loro antenati – i poteri e i titoli più alti che, in quella società, potevano essere riconosciuti. E, allora, poniamoci l’interrogativo conclusivo: che nome attribuiscono, gli scrivani, al Dio dell’Esodo? Lo abbiamo nominato in continuazione questo nome: El-Adonai. Questo nome non è un nome proprio, ma è un attributo. Voi sapete che il nome proprio di Dio – che è stato rivelato a Mosè proprio nel terzo capitolo del libro dell’Esodo, andate a leggerlo – non può essere pronunciato,

   Gli scrivani del libro dell’Esodo creano – per "nominare" Dio – un nome, una parola che è una vera e propria "chiave di lettura": El-Adonai, che, letteralmente, viene tradotta con "il Signore". Ma, questo termine, è un po’ vago. Se usiamo la filologia, cioè la disciplina che studia la storia e il significato delle parole: che cosa scopriamo dentro a questa parola, che ha la funzione di "nominare" Dio? Noi abbiamo già trovato un’interessante affinità tra la parola El-Adonai e la parola egizia Adon-Maat, che significa il mago, significa il "custode della Maat", il custode dell’ordine naturale: questo è già un dato molto significativo.

   Per conoscere e per capire la "chiave di lettura" che troviamo dentro alla parola El-Adonai dobbiamo riflettere sul fatto che, gli scrivani ebrei prigionieri a Babilonia, nel lungo arco di tempo in cui hanno scritto i primi cinque libri della letteratura dell’Antico Testamento, hanno compiuto una straordinaria operazione intellettuale. Hanno intrecciato insieme – anche inconsciamente – il pensiero della cultura egizia con il pensiero della cultura sumero-babilonese ottenendo una sintesi letteraria – la letteratura del Pentateuco – che tutti gli studiosi definiscono un formidabile capolavoro, un apparato letterario che non possiamo fare a meno di studiare. In particolare la lingua che fa da substrato alla letteratura biblica è la più antica lingua mesopotamica, la lingua dei Sumeri, l’akkadico, la lingua in cui è scritta l’Epopea di Gilgamesh e il poema Enuma elish. (C’è un servizio su questo poema nell’ormai remoto n. 1, autunno-inverno 1999 de L’ANTIbagno…),

   In lingua akkadica c’è una parola che si pronuncia: Al Deen-Mu, ed è una parola affine al temine egizio Adon-Maat: l’avete notata questa affinità? Che cosa significa la parola akkadica (sumera): Al Deen-Mu? Il significato di Al corrisponde a l’essere umano, a l’individuo, a la persona. Il significato di Deen corrisponde a prodigio, e il significato di Mu corrisponde al potere della magia. Allora, Al Deen-Mu è una "persona (Al) che compie un prodigio (Deen) con il potere della magia (Mu)". E chi è la persona che compie un prodigio con la magia se non il mago? In lingua akkadica Al Deen-Mu significa "mago", ed è la parola corrispondente al termine Adon-Maat in lingua egizia.

   Queste due parole, Adon-Maat (egizia) e Al Deen-Mu (akkadica-sumera), costituiscono la radice e la sintesi del termine biblico El Adonai. La parola El equivale a Elohim – il primo dei nomi di Dio che incontriamo nel libro della Genesi (Ruha Elohim) – e lo traduciamo con l’Onnipotente altissimo, ed è quindi il termine che introduce la divinità: El significa genericamente Dio. (C’è un servizio sui primi due versetti del libro della Genesi nell’ormai remoto n. 1, autunno-inverno 1999 de L’ANTIbagno…),

   Concludiamo la nostra riflessione: ora possiamo tradurre il termine El-Adonai. El-Adonai significa il "Dio che compie un prodigio con il potere della magia".

 REPERTORIO E TRAMA ...per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

     Leggi o rileggi il n. 1, autunno-inverno 1999 della rivista L’ANTIbagno

   Perché ci siamo dedicati all’esegesi di questa parola-chiave presente nel testo del Libro dell’Esodo, libro fondamentale della Storia del Pensiero Umano che merita di essere letto? Perché, nel corso dei secoli, soprattutto in età moderna, nel Rinascimento, questa esegesi del libro dell’Esodo (anche se non così filologicamente evoluta) interessa moltissimo quegli intellettuali che considerano la magia una disciplina utile per studiare la natura e i suoi fenomeni. I pensatori rinascimentali, che si qualificano come maghi, sono convinti che se El-Adonai, il "Dio che compie prodigi con il potere della magia", ha deciso di trasmettere questo suo potere "magico" a uomini, non particolarmente dotati, come Mosè e Aronne, perché possano combattere per una giusta causa, e possano sostenere una lotta di liberazione in favore di un popolo oppresso, ebbene, questo significa che la magia costituisce un aspetto importante della divinità stessa, e va coltivata a fin di bene in armonia con la Natura.

   In questo senso si sentono maghi, oltre a Giordano Bruno (1548-1600), il quale manifesta queste idee in tutti i suoi Dialoghi, anche i filosofi di tendenza naturalistica come Bernardino Telesio (1509-1588) autore de La natura secondo i suoi propri principi, e Tommaso Campanella (1568-1639) autore – tra l’altro – di Filosofia dimostrata in base ai sensi. Noi abbiamo studiato il pensiero di questi intellettuali qualche Percorso fa, nel 2001.

   Coloro i quali si definiscono "maghi" hanno come obiettivo quello di indagare e di scoprire le forze misteriose della natura, l’energia armonica (gli Egizi la chiamavano Maat) che tiene in ordine la natura. Per questo motivo coloro i quali si definiscono "maghi" studiano apposite "arti occulte" che costituiscono la materia su cui si basa il pensiero magico.

   Il pensiero magico e, in particolare, il pensiero magico rinascimentale, si basa su due concetti, su due idee-significative, su due nozioni fondamentali. Queste nozioni fondamentali – due secoli dopo – monopolizzeranno anche l’interesse di molti intellettuali romantici. Di che cosa si tratta, quali sono queste due nozioni fondamentali?

   La prima di queste nozioni, su cui si basa il pensiero magico, è stata chiamata: simpatia cosmica. La nozione della "simpatia cosmica" afferma che in ogni parte della Natura, anche nel mondo minerale, esistono attrazioni e repulsioni, esistono affinità – "affinità elettive", forse questa espressione vi ricorda qualcosa – ed esistono antipatie fra i vari elementi naturali che si cercano ma anche si oppongono, si respingono.

   La seconda nozione è direttamente collegata alla prima e riguarda le "qualità occulte" presenti nella materia, presenti in natura. La materia possiede delle proprietà nascoste che è necessario conoscere e catalogare. Se l’Universo è un grande essere vivente – sostiene il pensiero magico rinascimentale e poi romantico – possiede anche la sua anima, l’Anima del Mondo. L’Anima del Mondo è uno spirito (Pneuma) che pervade tutti gli oggetti che compongono la realtà. Questo significa che, fra tutti gli oggetti presenti nell’Universo, anche lontani tra loro, esiste la stessa interdipendenza che c’è tra i vari organi del corpo umano e tra i vari fenomeni della natura: tutto è collegato con tutto.

   Quindi, attraverso il principio della simpatia cosmica, esiste la possibilità di un "intervento a distanza": tutte le cose, anche quelle separate nello spazio, hanno tra loro rapporti continui e costanti. I maghi, con quest’ottica – e qui siamo sulla soglia della scienza sperimentale – studiano i fenomeni magnetici (la calamita), elettrici, chimici e trovano delle spiegazioni nell’ipotesi che ci siano delle forze attrattive e repulsive insite nella materia. Tra l’acqua e lo zucchero, per esempio, esistono rapporti di simpatia, mentre tra l’acqua e l’olio di antipatia.

   Questo modo di pensare determina il principio della "corrispondenza". E questa parola – nel territorio del romanticismo, titanico e galante – diventa una chiave di lettura. La parola "corrispondenza", con l’idea che contiene, è la "chiave" di cui, questa sera, ci appropriamo. Ogni oggetto, in un determinato ordine della realtà, si avvale di una relazione particolare (di "affinità elettive") con altri oggetti in altri ordini. Per esempio: alla rosa nel mondo vegetale corrisponde il leone in quello animale, e una particolare pietra (il rubino) in quello minerale, un profumo particolare, una determinata costellazione celeste, un certo pianeta, un certo tipo di persona e così via.

   A questo proposito vengono redatte mappe e tavole che sono dei veri e propri capolavori artistici e letterari, le cosiddette: mappe e tavole delle corrispondenze. Vengono prodotte le mappe cosmiche di medicina astrale in cui la testa corrisponde all’Ariete, la gola al Toro, il cuore al Leone, i polmoni ai Gemelli, il bacino al Sagittario, lo stomaco al Cancro, il sesso allo Scorpione, i reni e il fegato alla Bilancia, le articolazioni al Capricorno, la milza alla Vergine, il sistema linfatico ai Pesci, le caviglie all’Acquario. Vengono prodotte le mappe chiromantiche per la lettura della mano, le mappe delle corrispondenze tra mondo animale e vegetale. Il più famoso compositore di mappe e di tavole di corrispondenze è Giambattista Della Porta (1535-1615).

 REPERTORIO E TRAMA ...per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Giambattista Della Porta, scienziato, drammaturgo e mago è un personaggio che merita di essere conosciuto meglio: con l’enciclopedia o sulla rete fai una ricerca…

Tu pensi ci siano degli "elementi particolari" – un fiore, un minerale, un profumo, un astro, un animale, un segno … - che ti "corrispondono" positivamente e che favoriscono il tuo umore, il tuo comportamento, i tuoi rapporti col mondo ?

Scrivi quattro righe in proposito, componi una mappa o una tavoletta delle tue "corrispondenze"…

   Le "arti occulte", le "arti magiche" consistono, prima di tutto, nel saper costruire le mappe e le tavole delle corrispondenze per promuovere azioni – anche a distanza – di simpatia o di antipatia cosmica. L’arte "magica" consiste nell’individuare i punti d’ingresso che conducono all’interno di questa rete di corrispondenze cosmiche. L’arte "magica", per noi, è utile in funzione della didattica della lettura e della scrittura. Difatti, abbiamo citato l’espressione "affinità elettive", e questa espressione è il titolo di un famoso romanzo di Goethe, in cui, la parola e l’idea di "corrispondenza" risulta fondamentale per condurre – come fa Goethe – un gioco tra la scienza e la magia.

   A proposito di maghi: sapete come si chiama il più celebre dei maghi? Il più celebre dei maghi è un medico tedesco, che si chiama: Georg o Johannes Faust (1480 ca.-1536 o 1540). Subito dopo la sua morte cominciò a circolare la storia che il dottor Faust – secondo un’antica leggenda che, da secoli, circolava in Europa, avrebbe venduto l’anima al diavolo in cambio della giovinezza, in cambio della bellezza insita nella giovinezza. Il dottor Faust porta la magia a contatto con il diabolico: e un’altra delle opere più famose di Goethe s’intitola: Faust. Noi abbiamo incontrato Goethe nel Percorso di primavera 2004, ma sapete già che, queste "corrispondenze", dobbiamo incontrarle sul sentiero di quest’anno.

   Questa sera siamo partiti leggendo un frammento dal Trattato della pittura di Leonardo da Vinci (1452-1519), pubblicato postumo a Parigi nel 1651. Leonardo – in questo trattato – vuole sostenere il primato della pittura tra le arti e il suo carattere scientifico, e scrive: "Mentre lo scultore s’affanna a penetrare nella rozzezza de la materia bruta, il dipintore, come vero mago, cerca le corrispondenze tra l’Anima della Natura e lo spirito dell’opera sua"…

   Per Leonardo, il mago equivale allo "scienziato" e le "corrispondenze magiche" hanno una valenza scientifica: Leonardo è figlio del suo tempo. Ma nell’epoca del romanticismo, qualcuno ha insinuato che le "corrispondenze" tra l’Anima della Natura e il sorriso de La Gioconda sono "corrispondenze diaboliche": ma è vero questo? O si tratta di una leggenda (oggi si direbbe) metropolitana? Un fatto è certo: nell’epoca del romanticismo,la letteratura rincorre anche "corrispondenze diaboliche". Ebbene, la prossima settimana, sulla scia del sorriso de La Gioconda ci occuperemo di "corrispondenze diaboliche", in letteratura …

   Non c’è pericolo: accorrete, la Scuola è qui…

 

 

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Febbraio 4, 2005