Prof. Giuseppe Nibbi Tragòs oidos 2003 29-30-31 ottobre 2003
LA LUCE, IL BIANCORE, LO SPLENDORE …
Percorrendo in queste settimane, la strada dei significati, abbiamo capito che la tragedia è genesis e che sta alle origini. Prima di tutto, nella cultura greca la tragedia rappresenta il racconto delle origini, una situazione che è difficile scrollarsi di dosso. E le origini appunto (in tutte le culture, e per noi cittadini occidentali che dipendiamo dalla cultura giudaico-cristiana dell’Antico Testamento e della Letteratura dei Vangeli e dalla cultura della Letteratura e del Pensiero greco) stanno nel racconto mitico, sono il mytos mytos: in principio è il racconto (Genesi 2, versetto 3: Questo è il racconto-il midrasch della creazione). E per la cultura greca, in principio, il racconto si identifica con il rituale del canto del caprone, con il tragòs oidòs, con la tragedia.
La tragedia è il canto delle origini, è la rete dei racconti primordiali: questa rete ci appartiene e dobbiamo imparare ad utilizzarla, per pescare significati, chiavi di lettura. È nella tragedia, in questo canto primordiale, in questa rete di racconti che troviamo un catalogo di parole-chiave, di idee simboliche, di modelli culturali che si codificheranno nella storia della cultura, influenzando il pensiero umano, la storia dell’Arte, della Letteratura e della Filosofia. Noi andiamo alla ricerca di questi modelli proprio per acquisire "chiavi di lettura" utili per conoscere, per capire, per applicarci intellettualmente. Andiamo alla ricerca e alla comprensione di questi modelli simbolici per imparare meglio a leggere e a scrivere, per imparare meglio a investire in intelligenza.
La scorsa settimana abbiamo letto Le leggende troiane trascritte dallo storico Gaio Crispo Sallustio nella sua opera Degli dèi e degli uomini (47 circa a.C). La narrazione di Sallustio si arresta sotto le mura di Troia, poi, scrive Sallustio, c’è Omero che ci racconta la prosecuzione della narrazione mitica: perfetta, compiuta, iniziatica, originale. La tragedia è lì, sotto le mura di Troia… Ma Sallustio non sa, o finge di non sapere, che la rete dei racconti è assai più complessa, e l’Iliade non ne contiene che una minima parte, e Omero, o per meglio dire, tutti gli scrivani che hanno redatto il testo dell’Iliade, danno per scontato che noi sappiamo già molte cose, oppure non dicono volontariamente, glissano su certe questioni delicate da raccontare. Tocca a noi, insieme agli antichisti della fine del ‘700 (sappiamo che in questo periodo sulla scia dell’archeologia nascente si sviluppa un lavoro di ricerca sui modelli della cultura greca) evocare "il canto del caprone": e allora mettiamoci in cammino…
E chi incontriamo e quali parole-chiave e idee significative e modelli simbolici troviamo sotto le mura di Troia e oltre le mura di Troia? Abbiamo già anticipato, la scorsa settimana, che c’è un primo modello culturale che accomuna la tragedia, cioè la rete dei racconti primordiali della cultura greca, con il Libro della Genesi, con la cultura degli scrivani dell’Antico Testamento. Naturalmente anche la rete delle grandi Leggende cananee, nasce e si sviluppa con lo stesso procedimento antropologico, rituale e cultuale, della rete delle Leggende ioniche, e i temi prevalenti, fondanti, originali finiscono per identificarsi.
Il Libro della Genesi ha inizio con il tema della luce:
LEGERE MULTUM….
Dio disse: "Vi sia la luce!" E apparve la luce.
Dio vide che la luce era bella e separò la luce dalle tenebre.
Anche nel logos, nell’epos, nel mytos della tragedia, il tema della luce, del biancore, dello splendore, della separazione tra luce e tenebre risulta di primaria importanza. E c’è soprattutto un personaggio che incarna miticamente questa originale questione culturale della luce, del biancore, dello splendore; Elena di Sparta. C’è chi dice tra gli esperti che Elena di Sparta sia il più grande personaggio femminile della Storia della Letteratura. Nel canto delle origini, la figura simbolica di Elena di Sparta, ha un ruolo primario fondamentale: varchiamo allora il confine tra il reale e l’immaginario e andiamole incontro: queste cose non avvennero mai, ma sono sempre!
I guerrieri greci, gli Achei, erano sotto le mura di Troia a combattere per difendere l’onore di Menelao, re di Sparta, marito di Elena; tradito da Elena, fuggita verso Troia con Paride, figlio del re Priamo. Sotto le mura di Troia i guerrieri greci più in vista litigano tra loro, litigano per il possesso di una bella fanciulla, Briseide. Achille ama Briseide, ma Agamennone, re di Argo, comandante in capo della spedizione dei Greci a Troia, la vuole per sé, per ripicca, e fa valere il suo grado e il suo potere: questo fatto scatena l’ira di Achille. In effetti l’Iliade non racconta la guerra di Troia, bensì gli ultimi cinquantuno giorni del decimo anno, e il tema dominante del poema è l’ira di Achille! L’ira, in greco menis menis, è la prima parola dell’Iliade: se vogliamo, è la prima parola della Letteratura occidentale.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
Racconta un episodio in cui la tua ira si è scatenata come quella di Achille: scrivi quattro righe in proposito…
Achille (lo incontreremo più da vicino a suo tempo) era spesso preda dell’ira, la menis: la sua collera era determinata anche dal fatto che i suoi rapporti con le donne erano pessimi, erano stati sempre accompagnati da un destino nefasto. L’unica persona con cui Achille aveva un legame solido e positivo era il suo compagno inseparabile, Patroclo: ma perderà anche lui. Sotto le mura di Troia, Achille amò Briseide, Pentesilea, Polissena: ogni volta, appunto, un destino nefasto. Ma sotto le mura di Troia un'altra donna, che non aveva mai visto, occupava con tenacia la mente di Achille: era Elena. In fondo era lei, quella donna bellissima, la vera protagonista di tutto quello che succedeva e il pensiero di Elena "faceva rabbrividire Achille".
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
Pensando a Elena – ci racconta l’Iliade di Omero - ad Achille "vengono i brividi"...
C’è qualcosa che ti ha fatto o che ti fa venire i brividi? Scrivi quattro righe in proposito…
Questo lo sappiamo dall’Iliade, andiamo a leggere due versi dal poema di Omero:
LEGERE MULTUM….
Omero, Iliade Canto XIX, 325-326
Quando stava nella sua capanna di tronchi d’abete, nella pianura di Ilio,
Elena era, per il Pelide Achille, la donna che fa rabbrividire. La sognava di notte,
e smaniava sul duro giaciglio quando gli appariva il volto immaginato di lei.
Ma Omero – chissà perché? – è piuttosto reticente su Elena: ci racconta pochino, avvalora fondamentalmente il suo tradimento la sua fuga a Troia e la sua responsabilità nell’aver causato una lunga e sanguinosa guerra. Ma le narrazioni su Elena di Sparta sono complesse: non tutto è così certo e lineare e questa contraddittorietà è riportata da molti autori nelle loro opere. Difatti qualcuno ci racconta di più di quanto ci abbia raccontato la tradizione omerica: qualcuno ci svela che il racconto primordiale, il canto delle origini, fa incontrare Elena ed Achille (due protagonisti: belli, forti, famosi, ma perdenti!). Chi è questo qualcuno? Questo qualcuno è uno scrittore che si chiama Licofrone di Calcide in Eubea, poeta epico vissuto in età ellenistica nel III secolo a.C, il quale ha scritto un’opera singolare dal titolo Alessandra. L’Alessandra di Licofrone è un monologo in versi, 1474 trimetri giambici. Il personaggio di Alessandra corrisponde alla Cassandra di Omero, la sfortunata figlia di Priamo che aveva il dono della profezia, ma che, per un sortilegio, non viene mai creduta da nessuno anche se dice il vero. Il monologo Alessandra di Licofrone è un’opera teatrale: è un testo scritto per la recitazione, interpretato da un solo attore, il quale sostiene la parte di un servo di Priamo, che ha potuto ascoltare le profezie della profetessa durante un lavoro che ha svolto nella torre dove la fanciulla viene tenuta prigioniera, e assai turbato, preoccupato e quasi incredulo, ce le riferisce. Questo monologo è scritto con uno stile drammatico che imita il tono sibillino degli oracoli: per questo ha un fascino particolare. Licofrone è un erudito, un intellettuale dalla vasta cultura che raccoglie preziosi racconti mitici, di grande interesse esegetico, li riduce in frammenti e li utilizza (come farà Ovidio con Le Metamorfosi) per sedurre, per fare teatro. Per il suo carattere sibillino, enigmatico, quest’opera è di difficilissima lettura e la sua interpretazione è assai complessa, ma proprio per questo ebbe successo nel Medioevo e nel Rinascimento e fu apprezzata dai filologi e dagli studiosi in cerca di testi particolari, stravaganti, sui quali misurarsi. E anche noi ci misuriamo su questo testo, e leggiamo alcuni versi, quelli che ci riguardano, versi significativi e sconvolgenti per il contenuto, perché rivelano un fatto straordinario…
LEGERE MULTUM….
Licofrone di Calcide, Alessandra 171-184 (230 circa a.C.)
Come due abili ruffiane, Teti e Afrodite combineranno un incontro
fra Achille e Elena durante una tregua: perché disertò, la regina?
Io so che si sono visti per la prima volta solo dopo la morte di Achille.
Elena era un simulacro, come sempre era stata e Achille diventò, nella tragedia,
il suo quinto sposo, nell’Ade, perché Elena a Troia non è mai arrivata.
Lo sapevano anche gli Achei, e Priamo e i Troiani sapevano di non avere Elena
tra le loro mura, ma soltanto il suo simulacro: perché mai, tutti, hanno mentito?
Per dieci anni la guerra aveva infuriato attorno a una donna assente,
che i Troiani sarebbero stati felici di riconsegnare se in mano l’avessero avuta.
Perché si è taciuto lo scandalo supremo della guerra di Troia?
Tutto quel sangue è stato versato per un corpo di donna che non c’era,
per un fantasma impalpabile, per un simulacro è finita l’èra di tutti gli Eroi…
Licofrone nel suo enigmatico monologo ci informa che un racconto della rete della tragedia, un canto delle origini narra che Elena, a Troia, non è mai arrivata. Questo fatto cambia completamente la natura di Elena, la sua fisionomia mitica. Possibile che Omero (i cantori, gli scrivani dell’Iliade) non lo conoscessero? Questo è molto improbabile! Allora perché Omero (gli scrivani…) ha taciuto?
Il racconto riportato da Licofrone (sotto forma di profezia di Alessandra) dice pure che, Achille, sebbene nell’Ade, da morto è stato il quinto sposo di Elena! C’è una drammatica ironia strisciante, che anche Licofrone coltiva: Achille è il quinto sposo di Elena, è quello che le ha creato meno problemi, perché ormai è nell’Ade, è già morto, è inoffensivo. E gli altri quattro chi sono? La storia di Elena è una tragedia semplicemente perché è la storia esemplare di una donna considerata oggetto di conquista. I racconti della tragedia di Elena li troviamo in abbondanza nelle opere di molti autori, e noi ci avvarremo di alcuni di essi. Dell’infanzia di Elena abbiamo un accenno molto significativo in una tragedia di Euripide (480-406 a.C.), dal titolo Andromaca:
LEGERE MULTUM….
Euripide, Andromaca, 593-599 (440 circa a.C.)
Elena come tutte le giovani Spartiate, giocava fuori di casa con i maschi,
con le cosce nude e i pepli al vento, fra stadi e palestre.
Un giorno, uno straniero di Atene, accompagnato da un amico, si fermò a guardarla.
Si accese dunque giustamente Teseo, che tutto conosceva,
e tu, Elena, sembrasti una degna rapina (asia arpagè) a un così grande uomo,
mentre giocavi luccicante d'olio nella palestra, secondo i costumi della tua gente,
eri una bianca, splendente femmina nuda mescolata a maschi nudi.
Fu così che, Elena, "bianca e splendente femmina nuda", nella tragedia, incontrò il primo uomo della sua vita: lei aveva dodici anni e Teseo cinquanta, ma era un Eroe! Teseo la chiuse nella rocca di Afidna, dove abitava la madre di Teseo, Etra, e a lei Elena fu affidata, perché crescesse un po’; intanto Teseo era impegnato in altre imprese con il suo compagno Piritoo: questa volta sarebbero scesi nell'Ade, ma questa è un’altra storia… Dobbiamo sapere che Elena ha due fratelli gemelli, Castore e Polluce nati contemporaneamente a lei: che cosa significa questo, nel mytos? Attenzione perché seguendo la tragedia di Elena ci siamo inseriti nel tema dell’itinerario di questa sera. Il mytos di Elena inizia nel biancore, Elena è splendente, è immagine, simbolo di luce.
Qui, per capire, ci avvaliamo ancora dell’aiuto di Ovidio, che ci accompagna. Questa volta di Ovidio utilizziamo un’opera giovanile, Le Eroidi (le eroine). Le Eroidi è un’opera poetica, in versi, formata da una serie di lettere, quindici. Sono lettere fantastiche, scritte da donne famose, eroine, ai loro amanti per comunicare quanto hanno sofferto, quanto hanno pagato per amore. Poi ci sono altre sei lettere di risposta e di consolazione degli amanti alle eroine. Ovidio utilizza, come suo solito, il mito per dare corpo e sangue a questi personaggi immaginari, e fa diventare le sue eroine, figure vere, ricche di sentimenti umani. Ovidio inframezza nel testo delle lettere i suoi commenti, le sue riflessioni di carattere culturale che rappresentano la parte più significativa di quest’opera: riflessioni intellettuali sulla natura del mito, utili per capire i modelli mitici e i simboli epici. In questo epistolario abbiamo naturalmente una lettera di Elena a Paride e la risposta di Paride a Elena con le significative riflessioni dell’autore. Sono queste che a noi interessano perché Ovidio codifica la natura simbolica di Elena nella tragedia. Leggiamo:
LEGERE MULTUM….
Ovidio, Le Eroidi (14 circa a.C.)
Nel biancore Elena finisce, e nel biancore ha inizio.
La schiuma delle onde da cui nacque Afrodite si rapprese nel guscio bianco
di un uovo di cigno, gettato in un luogo paludoso.
La mobile immensità marina si era ristretta in uno specchio d'acqua ferma,
incorniciato di canne. Allo schiudersi di quell'uovo nella palude si mostra Elena.
E, acquattati nello stesso guscio erano i Dioscuri, Castore e Polluce.
Così Elena, sebbene unica, è sin dall'inizio legata alla gemellità e alla scissione.
L'unica è la figura stessa del Doppio. Quando si parlerà di Elena, non si saprà mai
se si tratta del suo corpo o del suo simulacro.
Secondo una tradizione mitica, Elena nasce da un uovo: è figlia di Leda e di Zeus trasformato in cigno, ma nello stesso uovo ci sono anche i due gemelli Castore e Polluce. Non è difficile fare l’esegesi dei simboli che contornano Elena. Elena nasce dall’uovo: quale simbolo è più appropriato di un uovo per definire le origini! Se l’uovo porta in sé le origini, l’origine porta in sé il bianco, il biancore, lo splendore, la luce. Ma l’origine porta con sé anche il doppio, la gemellità, il dualismo: perché una cosa abbia origine è necessario anche il suo doppio, lo sdoppiamento. Se l’uovo rappresenta le origini, rappresenta anche le caratteristiche delle origini: al di fuori l’uovo è il biancore ma, per essere tale, l’uovo deve avere un dentro, e dentro l’uovo ci sono anche le tenebre: l’uovo, simbolo delle origini, contiene in sé la luce e le tenebre, che caratterizzano tutti i racconti delle origini. Quando l’uovo rivela il suo dentro, viene illuminato, si dissipano le tenebre, ma si manifesta ancora un dualismo: un albume (il bianco) e un tuorlo (lo scuro).
Qui, tanto nei racconti primordiali vetro-testamentari quanto nel canto delle origini ionico, troviamo anche l’apporto determinante della cultura Vedica, dei libri indiani dei Veda. La cultura indiana che nei grandi racconti delle origini canta la rottura dell’uovo come la drammatica frantumazione dell’Essere nel molteplice. È la perdita dell’unità del proprio Essere che ripropone un continuo dualismo, interpretato come motivo di profonda inquietudine per la persona: un dualismo da ricomporre, quindi, con la consapevolezza, con la presa di coscienza che nella propria esistenza quotidiana è necessario dedicarsi a ricomporre la propria essenza.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
Quando ci mangiamo un uovo ci mangiamo anche il "dualismo delle origini" e anche "la luce e le tenebre in contrasto da principio", ed è Elena (il suo simulacro) a mangiare con noi…
Tu come preferisci mangiartelo l’uovo? Scrivi quattro righe in proposito…
Scrive Ovidio: Allo schiudersi di quell'uovo nella palude si mostra Elena. E acquattati nello stesso guscio erano i Dioscuri, Castore e Polluce. Così Elena, sebbene unica, è sin dall'inizio legata alla gemellità e alla scissione. L'unica è la figura stessa del Doppio. Quando si parlerà di Elena, non si saprà mai se si tratta del suo corpo o del suo simulacro.
Elena rappresenta le origini e contiene in sé lo splendore della luce del suo corpo e insieme l’oscurità, l’ombra del suo simulacro e del suo destino di donna da conquistare, da possedere come trofeo, da rapire (per gli Achei fare l’amore e fare la guerra è la stessa cosa: raccontare la guerra e raccontare l’amore è narrare la stessa tragedia). E la prima esperienza di Elena, la luminosa, la splendente, è quella di essere rapita, recintata, reclusa, e contesa, per essere posseduta piuttosto che amata.
Dopo il rapimento da parte di Teseo, la tragedia di Elena continua. Seguiamo il racconto di Ovidio ne Le Eroidi, un capolavoro di poesia:
LEGERE MULTUM….
Ovidio, Le Eroidi (14 circa a.C.)
Furiosi, i fratelli di Elena, i due gemelli Castore e Polluce si misero sulle sue tracce.
Giunsero ad Afidna quando Teseo era già partito per la sua ennesima avventura,
assediarono la rocca e riconquistarono Elena: si portarono via anche Etra,
che nel frattempo si era affezionata ad Elena, ed Elena a lei.
A Sparta, Etra, la madre di Teseo, divenne l'ancella di Elena.
Vide trentotto pretendenti arrivare al palazzo per chiedere la mano della principessa.
Vide Elena svogliatamente scegliere Menelao, suo secondo amante,
vide le nozze e la nascita della loro figlia Ermione.
Un giorno, a Sparta, giunse in visita ufficiale, un principe asiatico, più bello
di ogni altro uomo e carico di preziosità che a Sparta non si erano mai viste.
Nell'incontrarlo, Elena sussurrò se era Dioniso o Eros, e subito si confuse.
Il principe galoppava per la Laconia con Menelao, che teneva a essere un buon ospite
e a mostrare tutto ciò che di cospicuo vi era nel suo regno.
Elena lo vedeva soltanto davanti alle tavole apparecchiate: il principe raccontava
avventure, e anche storie amorose, la guardava con insistenza fingendo di bere
e talvolta non riusciva a trattenere un sospiro, Elena gli rideva in faccia.
Una sera, il peplo di Elena si dischiuse un attimo, lasciando adito agli occhi
verso i seni bianchi: due uova perfette, e il principe stava portando una coppa
alle labbra, e, la coppa, gli sfuggì fra le dita e si infranse a terra.
Menelao continuava a parlare di cose da uomini, Elena taceva
e si occupava della piccola Ermione.
Fra tutti i momenti, Menelao aveva scelto proprio quei giorni per partire.
Andava a Creta, per i funerali di suo nonno Catrèo.
Partendo, Menelao, con la sua aria grave, raccomandò ad Elena
di prendersi cura dell'ospite, ora, intorno a lei, non vi erano più ombre di uomini.
Ora Elena e il principe dormivano entrambi soli, nello stesso palazzo.
Nel vuoto delle sale, Afrodite chiamò a raccolta gli arconti del desiderio,
Imeros e Pothos e le Carìti: ma ad agire da tramite fu Etra.
Paride strinse il polso di Elena, la scorta troiana caricò le ricchezze di Elena
e i doni del principe, Paride stava dritto su un carro con quattro cavalli.
Accanto a lui Elena, con la veste gettata dietro le spalle, offriva il corpo seminudo
alla notte dove barbagliava soltanto la fiaccola di Eros, volteggiante davanti al carro.
Dietro la coppia fuggitiva, un altro Eros agitava una fiaccola.
I due amanti si precipitarono con il loro seguito lungo la distesa di terra rossa
cosparsa di ulivi che scendeva da Sparta alla costa.
Confusa fra i Troiani, li seguiva anche Etra, giunti all'acqua, osservarono
una minuscola isola, a pochi metri dalla riva.
In quell'isola, come in un vasto letto coperto da un baldacchino verde di pini
e circondato da acque fonde, Elena passò la prima notte con il suo terzo amante.
Senza dubbio, dicono gli esperti, questo racconto della fuga di Elena tratto da Le Eroidi di Ovidio, è più poetico che mai sia stato scritto (è significativa anche la traduzione che ne ha fatto Roberto Calasso per il suo libro Le nozze di Cadmo e Armonia). I racconti delle origini danno vita a simboli culturali che sono profondamente legati agli oggetti. Tante "cose", chiamiamole così, che ci circondano, non sono cose qualunque, ma sono ricchissimi oggetti culturali proprio perché: contengono l’essenza dei racconti. Saper leggere, nelle cose che ci circondano, la loro valenza narrativa è utile perché ci arricchisce culturalmente. Recepire il significato dei simboli culturali ci mette in condizione, nella nostra esistenza quotidiana, di avvicinarci all’essenza delle cose. Questo procura un sottile piacere: il piacere della conoscenza, della comprensione, dell’applicazione intellettuale. Se Elena è legata all’uovo, il gusto del racconto si mescola ai sapori, agli odori, agli umori delle cose, e anche il gusto della lettura si mescola agli umori, agli odori, ai sapori.
Elena è legata anche ad un altro oggetto, un oggetto della Natura! Ci sono degli oggetti naturali, per esempio gli alberi (lo sapete!) che sono dei veri e propri santuari primordiali. Ma andiamo con ordine, nella nostra riflessione. Intanto dobbiamo ancora affidarci ad un autore di Letteratura, per continuare il racconto della tragedia di Elena di Sparta. Questo autore è famoso si chiama Teocrito di Siracusa, perché in questa grande polis della Mega Ellas è nato nel 310 a.C.. Teocrito di Siracusa è considerato il più grande poeta greco dell’età alessandrina. Nella Storia della Letteratura è famoso soprattutto per aver creato un nuovo genere letterario: la poesia bucolica o idillica, formata da piccoli componimenti poetici, in greco idilli idilli, scritti in esametri e in dialetto dorico. L’opera più importante di Teocrito sono appunto i suoi trenta Idilli. Lo stile di Teocrito non è artificiale, non cerca solo di comporre belle forme poetiche ma si esprime con semplicità e spontaneità: vuole che quello che scrive sia comprensibile a tutti. Teocrito è soprattutto il poeta degli aspetti più umili e della vita dei campi e della vita delle polis, vorrebbe esaltare uno stile di vita sobrio, sentimentale, quieto, idillico, e per fare questo racconta i miti, in modo quasi pedagogico, per ammonire.
Teocrito è vissuto per qualche tempo anche nell’isola di Kos, davanti alle coste della Ionia, dove ha esportato la sua poesia che canta gli amori e le leggende sentimentali. Poi visse anche per un certo periodo ad Alessandria, città assai vivace, ma si tenne appartato; negli ultimi anni tornò a Siracusa, ma nulla sappiamo di quest’ultimo periodo della sua vita; morì intorno al 250 a.C..
Perché ci interessa Teocrito? Ci interessa perché il XVIII Idillio si intitola l’Idillio di Elena, che ci rivela alcune cose molto significative sul racconto della tragedia di Elena. Teocrito ci rivela che a Sparta c’era – ancora nel III secolo a.C. – l’albero di Elena! E l’albero di Elena è un platano: conoscete i platani?
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:
Il platano è l’albero di Elena: c’è per te un ricordo, un luogo, un’idea, una parola, legata all’albero del platano?
Scrivi quattro righe in proposito…
Ebbene i platani contengono il racconto della tragedia di Elena: il platano è il santuario, il grande santuario vivente di Elena, quindi anche il platano è un oggetto vicino alle origini, con il suo biancore, il suo splendore, la sua luce e con le sue ombre tenebrose…
Teocrito ci parla di Elena per presentarci un rito che nel III secolo a.C. faceva parte delle cerimonie matrimoniali nelle campagne e nelle polis della Mega Ellas e ne descrive l’origine mitica legata alla figura epica di Elena. Facendo questo Teocrito, ci mette al corrente dei racconti sulla fine di Elena di Sparta, una fine che, non potrebbe essere che: tragica. Teocrito, nel suo Idillio, ci presenta Elena che ripensa alla sua prima notte di nozze passata con Menelao, ci presenta il rito dell’addio al celibato, che per una donna era un rito funebre e il rito dell’albero di Elena, del platano di Elena, era una tradizione legata al racconto, alla tragedia di Elena, al canto delle origini. Teocrito ce la racconta:
LEGERE MULTUM….
Teocrito di Siracusa, Idilli XVIII, Idillio (Epitalamio) di Elena (280 circa a.C.)
La notte delle nozze, quando gli sposi si ritirarono nella camera da letto
ancora umida di pittura, Menelao aveva le ginocchia pesanti e la mente intorpidita.
Il lungo, incerto corteggiamento, il giuramento sul cavallo squartato, gli onori,
le feste, i banchetti, tutto si fondeva in una possente spinta
ad accasciarsi su quel letto, a dormire.
Elena vegliava e pensava alle sue compagne che fino a poco prima
avevano cantato e danzato per lei nel palazzo, erano un giovane popolo di femmine
duecentoquaranta fanciulle unte d'olio, come i maschi, che si esercitavano nella corsa
lungo l'Eurota, e ora pensavano a lei, mentre Elena divideva per la prima volta
con Menelao la stessa coperta.
La mattina dopo, alla prima luce, quelle ragazze avrebbero raccolto ninfee
vicino alle praterie dove usavano correre e le avrebbero intrecciate in una corona.
Poi sarebbero andate a sospendere la corona ai rami di un grande platano,
innalzando verso il ciclo e abbandonando al vento quei fiori nati dal limo.
Una di loro avrebbe estratto un’ampolla d'argento e ne avrebbe versato sul platano,
goccia a goccia, un olio che si usava nei sacrifici funebri.
Altre avrebbero inciso sulla corteccia della pianta una scritta: "Adorami:
sono l'albero di Elena", nella notte, Elena vegliava, fantasticando.
Dopo la fuga da Sparta, dopo gli anni della guerra a Troia,
dopo il fortunoso ritorno a Sparta, dopo la morte di Menelao, Elena si trovò stretta
fra due figliastri che la esecravano: Nicostrato e Megapente.
Pensò allora di fuggire di nuovo, questa volta da sola, verso un'amica dell'infanzia.
Navigò sino a Rodi, dove regnava Polisso, ora una vedova,
una delle tante vedove della guerra di Troia sparse nelle isole.
Elena cercava finalmente rifugio in una donna, nel ricordo di una bambina.
Polisso voleva vendicare il marito Tlepolemo, come tante, addossava a Elena
la colpa della sua morte, ma accolse Elena con gentilezza.
Per la prima volta, Elena non era frastornata da uomini.
Stava distesa nel bagno, un giorno, e fantasticava, quando irruppero alcune ancelle
di Polisso, camuffate da Erinni, la afferrarono, nuda, la trassero gocciolante dall'acqua
artigliandola con molte mani, e la trascinarono.
Fuori, venne impiccata a un albero, il grande platano vicino a Sparta mostrava ancora
la scritta: "Adorami: sono l'albero di Elena", quando i Rodi fondarono un santuario
di Elena Dendritis, Elena dell'Albero,
accanto al platano dove l'avevano trovata impiccata.
Teocrito racconta la fine mitica di Elena, ma il racconto di Elena non è finito ed Elena non muore mai: nel biancore Elena finisce e nel biancore continua a rinascere…
Il racconto di Elena non è finito: abbiamo lasciato più di un interrogativo in sospeso, ma un interrogativo è soprattutto causa di molti problemi. Licofrone di Calcide ci ha informato: Elena a Troia non è mai arrivata! Paride è tornato a Troia da solo, portando con sé solo il suo simulacro, il suo ritratto, la sua fotografia… Secondo Erodoto, Omero conosceva benissimo questa parte della tragedia di Elena: perché ha taciuto lo scandalo supremo della guerra di Troia? E come si sono svolti gli avvenimenti mitici? Sapete perché Elena di Sparta, dopo essere fuggita con Paride non arriverà mai a Troia, insieme a lui? Sapete dove, come, quando e perché si è divisa, si è separata la coppia più famosa che mai il canto del caprone abbia cantato? C’è un viaggio in programma: da Sparta, passando per Sidone (dove il toro-Zeus rapì Europa), per l’Egitto, fino alla foce del Danubio.
Non rinunciate a questo viaggio (sarebbe una tragedia!) accorrete: la Scuola è qui…
Accorrete proprio perché: queste cose non avvennero mai, ma sono sempre…