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PIETROBURGO, UNA "ROMANTICA" FINESTRA SULL’EUROPA…

Lezione N.: 
20

Prof. Giuseppe Nibbi        Tra ‘700 e ‘800: il sorriso de La Gioconda 2005       16-17-18 marzo 2005

PIETROBURGO, UNA "ROMANTICA" FINESTRA SULL’EUROPA…

   Un certo numero di intellettuali romantici – come Lord Byron, che abbiamo incontrato la scorsa settimana – pensano che bisognerebbe avvicinarsi alla "bellezza" con circospezione perché la "bellezza" attira inesorabilmente e spinge a compiere gesti dettati dal turbamento e dall’inquietudine. Sono ancora queste le parole-chiave che, questa sera – prima della pausa delle vacanze pasquali – incontriamo sul nostro itinerario: la bellezza, il turbamento, l’inquietudine, l’opposizione, e, secondo François-René de Chateaubriand, queste quattro parole "romantiche" appartengono al catalogo delle parole-chiave della Passione di Cristo. Queste parole-chiave ci conducono verso altre parole significative di cui faremo conoscenza nelle prossime settimane. La bellezza, secondo questi intellettuali romantici, come Lord Byron, fa nascere nell’animo umano sentimenti pericolosi come l’invidia e la gelosia che inducono e istigano a compiere gesti paradossali, irragionevoli, insensati, strani, stravaganti, bizzarri, inconsulti Per esempio – e lo abbiamo ripetuto già più di una volta – un gesto tipico è quello di cercare la bella morte in duello; questo è un classico tema della letteratura "romantica", ma è anche una situazione ben presente nella realtà di un’epoca: più di uno scrittore "romantico" di questa generazione, infatti, muore facendo a pistolettate o a sciabolate in duello.

   Tra gli scrittori e i poeti, che, nel territorio del romanticismo, tanto titanico quanto galante, hanno coltivato l’idea che la bellezza possegga uno "sguardo inquietante", siamo quasi obbligati a incontrarne tre.   Il primo, Lord Byron, lo abbiamo incontrato la settimana scorsa, il secondo lo andiamo ad incontrare questa sera e, questa sera, non potremo esaurire l’incontro con lui: troppi paesaggi intellettuali ci si presentano dinanzi e, alcuni di questi paesaggi, in funzione della didattica della lettura e della scrittura, dobbiamo osservarli da vicino…

   Intanto per incontrare questo personaggio ci siamo dati appuntamento a San Pietroburgo, per essere precisi ci siamo dati appuntamento a Pietroburgo perché così viene chiamata in questo momento storico, e il fatto di essere a Pietroburgo ci costringe – piacevolmente – a rallentare il ritmo di marcia. Da questa importante città, ci mettiamo in cammino leggendo, o meglio rileggendo – perché lo abbiamo già letto la volta precedente – un sonetto. Dal titolo di questo sonetto si capisce subito che questo importante poeta trova posto sul nostro Percorso che s’intitola il sorriso de La Gioconda.

 LEGERE MULTUM….

 Aleksàndr Sergeević Pùškin, Come tu fossi Monna Lisa (1829)

Nello straordinario istante: davanti a me apparisti tu, in visione fugace,

come il genio della pura bellezza inquietante e misteriosa.

Nei tormenti d’una tristezza disperata, nelle agitazioni d’una rumorosa vanità,

suonò per me a lungo l’indecifrabile tua voce, e mi apparvero in sogno

i segni del tuo viso arcani e perturbanti.

Sognare la tua bellezza è un incubo, satanica è la tua tenera voce,

il tuo sorriso enigmatico è spietato.

I miei giorni trascorrono in una remota e oscura reclusione

perché perdersi nella tua bellezza equivale a perdere la giusta via della ragione.

Invano cerco dell’anima il risveglio: tu appari, come una fugace visione,

come il genio della pura bellezza come tu fossi Monna Lisa.

E il cuore batte nell’inebriamento, e vanno dispersi ancora la divinità e l’ispirazione,

e la vita, e le lacrime e l’amore.

   Sappiamo che questo sonetto è destinato a una fanciulla di straordinaria bellezza, certamente di una bellezza inquietante, che turba come la bellezza di Monna Lisa: questa fanciulla, naturalmente, nel bene e nel male, ha a che fare con l’autore, la incontreremo prossimamente (dopo le vacanze pasquali) a Pietroburgo, e capiremo, in pratica, come la bellezza possa essere causa di una situazione devastante. Certo, questa affermazione ci invita a una riflessione: molto dipende da come la si usa, da come la si amministra, la propria bellezza! Esiste un codice, esiste un catalogo di regole, attraverso il quale si possa amministrare la propria bellezza?

   Ma torniamo al sonetto che abbiamo letto. Prima di tutto dobbiamo ricordare che anche questo sonetto è un vero e proprio manifesto del pensiero che attribuisce alla bellezza uno sguardo inquietante: dalla bellezza – scrive il poeta – si sprigionano mistero e turbamento, la bellezza non perdona, dalla bellezza scaturisce la perdizione, la bellezza procura la dannazione, dalla bellezza si può guadagnare solo l’inquietudine. E l’immagine – scrive il poeta – di questa bellezza che turba e che inquieta è quella di Monna Lisa altrimenti detta La Gioconda! Questa idea, quindi, la troviamo non solo a Parigi, non solo a Londra, ma anche a Pietroburgo, e se stiamo attraversando il territorio del "romanticismo" percorrendo un sentiero che s’intitola "il sorriso de La Gioconda", ebbene, questo fatto non è casuale .

   Chi è l’autore di questo sonetto che ci ha portato a Pietroburgo? L’autore di questo sonetto si chiama Aleksàndr Sergeević Pùškin. Pùškin è la figura che, in letteratura, ha incarnato meglio lo spirito romantico russo ed è indubbiamente uno scrittore molto popolare e molto conosciuto nel mondo. Chi non ha sentito nominare Pùškin! Anche lui, a quanto pare, è stato stregato dal sorriso – inquietante (?) misterioso (?) – de La Gioconda, ma per interposta persona. Pùškin è uno degli autori più versatili e multiformi della storia della Letteratura e ha scritto capolavori in prosa e in poesia, ha scritto importanti opere teatrali, storiche, critiche, e ha scritto geniali fiabe satiriche: sarebbe necessario un Percorso intero per comprendere tutta l’opera di Pùškin.

   Noi vogliamo – in funzione della didattica della lettura e della scrittura – mettere in evidenza alcuni aspetti, alcune caratteristiche di questo personaggio in modo da poterlo poi avvicinare per conto nostro. Con Pùškin la letteratura russa termina un lungo periodo di formazione e si allinea al fianco delle massime letterature mondiali. Pùškin rappresenta infatti il massimo letterato russo, l’interprete più autentico dello spirito nazionale, e il creatore della lingua letteraria russa, l’anticipatore di quella grande tradizione che darà frutti straordinari soprattutto con il genere letterario del romanzo…pensiamo a Tolstòj, a Dostoevskij, a Gògol’.

   Chi è Aleksàndr Sergeević Pùškin? Pùškin è nato a Mosca nel 1799 e la sua prima formazione culturale e la motivazione allo studio la trova nell’ambito della famiglia. La madre, Nadezda Osipovna, è nipote del celebre Ibrahim Hannibal. Chi è Ibrahim Hannibal? Questi è un personaggio di nazionalità abissina che è entrato a far parte della storia russa. Ibrahim Hannibal, ancora bambino, è stato donato come schiavo dal sultano di quel paese del corno d’Africa allo zar Pietro il Grande (1672-1725). Pietro il Grande ha accettato questo dono – la schiavitù era un dato di fatto in tutti i continenti – e si è preoccupato della formazione culturale di questa persona e ha fatto istruire Ibrahim a Parigi. Ibrahim Hannibal è cresciuto e ha studiato tanto da meritare la carica di Ingegnere generale dell’impero di tutte le Russie ed è diventato il beniamino dello zar che lo ha insignito del titolo di principe.

   La madre di Pùškin è nipote di questo personaggio e Pùškin è stato sempre orgoglioso del suo "caldo sangue africano" e di questa singolare ascendenza che non appare particolarmente evidente nel suo aspetto fisico. Però se abbiamo l’occasione di vedere un’immagine di Pùškin ci rendiamo conto che i suoi lineamenti non sono propriamente russi. A questo suo bisnonno Pùškin ha dedicato una biografia rimasta incompiuta dal titolo: Il negro di Pietro il Grande

 REPERTORIO E TRAMA ...per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Ci sono due oggetti significativi per conoscere l’immagine di Pùškin: il ritratto di Kiprenskij, e il busto dello scultore russo di origine italiana Ivan Petrović Vitali (1794-1855). Forse vale la pena – con l’enciclopedia o sulla rete - raccogliere qualche notizia su Ivan Petrović Vitali che ha lavorato anche per abbellire la cattedrale di Sant’Isacco a San Pietroburgo: sai che cosa ha scolpito? Consulta una guida della città...

Intanto siamo sbarcati a San Pietroburgo ed è bene che ci scegliamo un punto di ritrovo: questo punto può essere proprio la Cattedrale di Sant’Isacco Dalmata, il quale è un santo del IV secolo che, nel calendario ortodosso, si festeggia il 30 maggio, il giorno in cui è nato Pietro il Grande e questa è la prima chiesa in legno che lo zar ha fatto costruire sulle rive della Neva, per festeggiare il suo compleanno. Oggi la Cattedrale di Sant’Isacco è la più sontuosa e la più grandiosa delle chiese di San Pietroburgo, è stata progettata e costruita come sintesi di tre storici edifici: sai quali? Consulta una guida della città...

In mostra al centro della chiesa c’è uno strumento scientifico: sai di che strumento si tratta e a che cosa serve? Consulta una guida della città

Sulla scia di Pùškin e di Vitali, con l’ausilio di una guida di San Pietroburgo, vai a visitare la Cattedrale di Sant’Isacco e prendi qualche appunto: viaggiare sulla carta con il metodo della lettura è già una bella esperienza culturale utile per investire in intelligenza…

   Il padre di Pùškin, Sergej L’vovic, è un uomo di antica nobiltà e di abitudini mondane, e si distingue dal tipo medio dell’aristocratico russo del suo tempo perché coltiva un vivo interesse per la letteratura, per la cultura e per l’arte. Il padre di Pùškin si è sempre dilettato a scrivere, specialmente versi in francese, e soprattutto possiede una ricca biblioteca dove il piccolo Aleksandr, ha potuto divorare – scriverà lui stesso – di nascosto dai suoi istitutori che erano conservatori e pedanti, oltre ai classici francesi e agli illuministi, anche le opere di Shakespeare, di Goethe, di Tasso, di Ariosto, di Camóes, accumulando una cultura vastissima.

   Inoltre ha avuto modo di conoscere, fin da piccolo, nel salotto del padre, i protagonisti della cultura russa di quegli anni: il poeta Zukovskij, il filosofo Ćaadaev e poi un personaggio che è già ben noto a molti di noi perché lo abbiamo incontrato a casa di Kant: lo scrittore Nikolaj Karamzin il quale frequenta assiduamente il salotto di casa Pùškin. Nikolaj Karamzin – già molti di noi lo conoscono – è un personaggio di grande rilievo che affascina Pùškin bambino. Nikolaj Karamzin – dieci anni prima che nascesse Pùškin – il 26 maggio 1789 parte da Pietroburgo alla volta di Riga in Lettonia, e poi da Riga sbarca in Prussia, a Königsberg, con l’intenzione di incontrare Kant, che rappresenta per lui un grande modello culturale. Nikolaj Karamzin – quando va a trovare Kant, il 19 giugno del 1789 – è un giovane intellettuale: uno studioso, un letterato, un poeta di 23 anni che ha letto quasi tutte le opere che – fino a quel momento – Kant ha scritto ed è rimasto fortemente colpito dal pensiero di Kant, soprattutto dall’esposizione sui limiti della Metafisica e sui limiti della ragione e dalla riflessione sul valore della legge morale. Karamzin sa che Kant ha da poco (1788) pubblicato la continuazione della Critica della Ragion pura col titolo di Critica della Ragion pratica ed è curioso di poter conoscere quest’opera. Inoltre è a conoscenza del fatto che Kant sta lavorando ad un altro testo sul tema della capacità di dare dei giudizi: sarà la Critica del Giudizio (1790) . È chiaro che – per lui – Kant è un grande personaggio!

   Ma chi è Nikolaj Karamzin che affascina Pùškin bambino? Nikolaj Karamzin è nato nel 1766 a Simbirsk, una città nella valle del Volga, con un importante porto commerciale. A 14 anni fu mandato a Mosca a studiare, e lì ha frequentato l’Università occupandosi di Storia, Letteratura, Filologia, e dedicandosi soprattutto allo studio delle tradizioni popolari russe che si rivelano a lui come un’enorme miniera di stimoli culturali. Diventa un grande raccoglitore e trascrittore di fiabe, e diventa un grande lettore di romanzi, di poesie, e poi di trattati filosofici che arrivano dall’estero, dalla Francia, dalla Germania, dall’Italia. Nel 1783 Karamzin si trasferisce a Pietroburgo dove entra in contatto con i giovani letterati appartenenti ai gruppi del movimento sentimentale russo.

   Karamzin (1766-1826) è una figura molto interessante della letteratura russa, perché egli è stato un intellettuale riformatore e la sua attività letteraria rappresenta al meglio il movimento del sentimentalismo russo. Che cos’è il movimento del sentimentalismo russo? Il sentimentalismo russo è un movimento letterario molto interessante che contribuisce ad anticipare i motivi propri del Romanticismo. Il sentimentalismo russo è un movimento letterario a cui aderiscono molti giovani intellettuali che si dedicano soprattutto alla poesia. I poeti del sentimentalismo russo di fine settecento possiedono una loro particolare sensibilità, complessa e raffinata, tutta volta ad esaltare il primato dell’interiorità, e la personalità dell’individuo dotato di sentimento e di capacità d’introspezione.

   I sentimentalisti – come Nikolaj Karamzin – celebrano il culto dei sentimenti basato su un preciso sistema di valori, e su una concezione intimistica della Natura. Il rapporto uomo-natura – per loro – si basa sull’idea che la natura è lo specchio dell’anima, e il contatto con la natura è un fenomeno interiore che aiuta a rapportarsi con i propri sentimenti in modo da poterli esprimere meglio, soprattutto attraverso la poesia. Per gli intellettuali del sentimentalismo russo – come già per Rousseau – l’uguaglianza tra le persone non è più basata sulla ragione, ma sul sentimento: sul fatto che ogni essere umano è dotato di un cuore sensibile. Il sentimento è il tramite della comunicazione tra gli esseri umani, e quindi, anche tra il poeta e il lettore. Ecco che per i sentimentalisti russi il genere letterario della poesia diventa il principale strumento della conoscenza, superiore anche al linguaggio scientifico. Il movimento del sentimentalismo russo, poi, esalta la concezione dell’amicizia, considerata come il sentimento più alto.

   Attenzione, questi giovani intellettuali romantici sono portatori di idee tipiche di una rivoluzione sociale che sta prendendo forma in Europa: lo stato d’animo romantico genera un sentimento di opposizione. È una generazione – sono tutti giovani appartenenti alle famiglie della nobiltà terriera (gli sfruttatori) – che sente il peso, il disagio di questa appartenenza. I giovani intellettuali del movimento del sentimentalismo russo cominciano a pensare che va (che andrebbe) smantellata la divisione in classi di appartenenza: non si è nobili per ragioni ereditarie, di ceto, di classe, ma è nobile chi sa esaltare i valori del sentimento dell’amicizia, e – questi giovani sentimentali – guardano con interesse alle classi popolari e alla cultura popolare che viene vista e interpretata come un’autentica cultura sentimentale. E, questi intellettuali, vogliono dare un fondamento forte a questa idea utopica di una società fondata sui valori dell’amicizia, in cui c’è un superamento delle classi sociali (non più servi, non più padroni), ma individui affratellati. E allora, per dare forza a questa idea – vivendo in una società cristianizzata –costruiscono una vera e propria teologia dell’amicizia. Poiché Gesù Cristo è l’amico dell’anima per eccellenza – di tutte le anime – ed è, quindi, presente in ogni rapporto di amicizia: ecco che l’amico è sempre un amico-fratello, in quanto tutti siamo figli di Dio. Questo semplice ragionamento fa sì che gli ideali di uguaglianza e di fraternità trovano un fondamento metafisico: Dio è presente nel momento in cui ci sentiamo e ci riconosciamo come uguali, e nel sentimento dell’amicizia si manifesta la presenza di Dio. Queste idee, appena vengono percepite dal potere feudale zarista, saranno considerate assai pericolose per il sistema: altro che teologia dell’amicizia, senza servi né padroni! I giovani sentimentali verranno etichettati e schedati dalla polizia come corrotti e disfattisti e pericolosi per lo Stato, per la patria, per la famiglia: saranno costretti alla segretezza e alla clandestinità. Molti di loro finiranno in galera, e anche Nikolaj Karamzin nel 1792 rischierà di essere condannato a causa della rivista letteraria che dirigeva: il governo zarista (anche Caterina II che si vanta di coltivare idee illuministe…) manifesta grande diffidenza e sospetto verso qualunque forma di indipendenza di pensiero, soprattutto dopo l’estate francese, parigina, del 1789. Ma Nikolaj Karamzin continuò per tutta la vita a occuparsi di letteratura, a fondare riviste, a scrivere e a far scrivere, lottando con intelligenza costantemente con la censura. Nikolaj Karamzin si occupa soprattutto di traduzioni – pubblicate sulle riviste letterarie che fonda – facendo conoscere ai lettori russi i più importanti autori europei, antichi e moderni – anche per questo motivo è ricevuto assiduamente nel salotto di casa Pùškin – e questa sua opera di traduttore non risultò un’impresa facile, a causa della censura – pensate – non si potevano neppure tradurre liberamente le opere di Demostene dal greco, e di Cicerone dal latino perché questi antichi personaggi si dichiaravano repubblicani!I temi del movimento sentimentale pietroburghese, attraverso la figura di Nikolaj Karamzin, hanno fortemente influenzato le scelte culturali e politiche del giovane Pùškin. Dobbiamo ribadire ancora che i temi del movimento sentimentale russo hanno continuato a riprodursi nella letteratura europea dell’800 e del ‘900.

   Io non so se voi avete accettato la sfida di leggere o di rileggere Guerra e pace di Leone Tolstoj, ebbene, circa 80 anni dopo l’esperienza letteraria di questo movimento culturale in quasi tutte le pagine del romanzo di Tolstoj (1864) si sente l’influsso poetico che è stato lasciato in eredità dai sentimentalisti. Non lasciatevi scappare l’occasione di dedicarvi – dieci minuti al giorno – alla lettura di questo romanzo, approfittate del fatto che questo Percorso è propedeutico alla lettura di Guerra e pace e di tutti i romanzi dell’800.

   Nel 1792 Nikolaj Karamzin pubblica La povera Lisa, un racconto sentimentale dal preciso taglio romantico. Poi – in un momento di maggior apertura ideologica – durante il regno dello zar Alessandro I Romanov (lo zar che incontriamo in Guerra e pace di Tolstoj), Karamzin nel 1816, viene incaricato di scrivere una monumentale Storia dello Stato russo. Lavora a quest’opera con grande impegno – e non senza difficoltà con la censura – fino all’anno della sua morte, il 1826.

   Abbiamo detto che sono famose le riviste che Karamzin ha fondato e diretto: La rivista Moscovita (1791) e Vestnik Evropy (Novità dall’Europa). Queste riviste hanno avuto un grande successo ed hanno avuto il merito di aprire gli ambienti culturali russi alla cultura europea: tedesca, francese, inglese e italiana, provocando la sprovincializzazione dei lettori e degli intellettuali moscoviti e pietroburghesi. L’attività culturale di Nikolaj Karamzin condiziona significativamente la formazione intellettuale del giovane Pùškin. Pùškin nel 1811 entra al Liceo di Carkoje Selo, che significa il villaggio degli zar. Il Liceo di Carkoje Selo è stato inaugurato proprio quell’anno dallo zar Alessandro I.

   Qui bisogna ancora aprire una parentesi in funzione del viaggio sulla carta e, di conseguenza, in funzione della didattica della lettura. Il villaggio di Carkoje Selo è una bellissima località che si trova a 27 km a sud di San Pietroburgo, in mezzo ai boschi, e rappresenta una meraviglia architettonica. Nel 1837 sul percorso che va da Pietroburgo a Carkoje Selo viene costruita ed entra in funzione la prima ferrovia russa. Questa cittadina dal 1918 al 1937 è stata chiamata Detskoje Selo, il villaggio dei bambini, poi ha assunto il nome dell’importante poeta di cui stiamo parlando e che qui ha studiato e soggiornato dal 1811 al 1817: Pùškin. Quindi dal 1937 questa località si chiama Pùškin e con questo nome la troviamo sulla carta.

 REPERTORIO E TRAMA ...per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

 Con una giuda di San Pietroburgo, oppure attraverso la rete, va a scoprire i meravigliosi monumenti che ci sono a Pùškin: il Liceo che oggi è un museo, il Gran Palazzo Caterina (la seconda moglie di Pietro il Grande) contenente il prezioso gabinetto d’ambra, il fantastico parco nel quale si trovano un bellissimo palazzetto in stile rococò chiamato "la grotta" e progettato dall’architetto Bartolomeo Francesco Rastrelli, e il Palazzo Alessandro progettato dall’architetto Giacomo Quarenghi.

 La lista delle meraviglie di questa località è lunga perché il villaggio di Pùškin è un affascinante museo a cielo aperto che merita di essere visitato, con il metodo della lettura, affidando alla scrittura ciò che ti ha maggiormente colpito, buon viaggio…

   Pùškin, fin da giovanissimo, già da quando frequenta il Liceo nella cittadina che oggi porta il suo nome, incomincia a scrivere versi e, questo fatto gli procura una vasta notorietà, tanto da essere ritenuto – ancor prima di lasciare il Liceo, prima di avere compiuto diciotto anni – un illustre scrittore al pari dei più famosi poeti del tempo, come Batjuskov e Zukovskij. Al Liceo, il professor Kunìcyn, attraverso lo studio dei Classici greci e latini, insegna ai suoi studenti ad odiare la tirannide e ad amare la democrazia e il giovane Pùškin, affascinato da queste lezioni, scrive e divulga un’imprudente ode contro il potere assoluto e inneggiante alla libertà, un’ode intitolata appunto La libertà. Leggiamone una strofa, quella che piace di meno allo zar Alessandro I che stava per cominciare ad assumere atteggiamenti reazionari. Pùškin viene rimproverato dalle autorità e si difende dichiarando che si riferiva allo zar predecessore di Alessandro, morto nel 1801, Paolo I Petrovic.

LEGERE MULTUM….

Aleksàndr Sergeević Pùškin, La libertà (1817)

 Quando sulla Neva cupa

scintilla la stella boreale

ed il tranquillo sonno

soverchia anche lo spensierato

solo il poeta pensieroso l’occhio

volge al Palazzo preda dell’oblio,

deserto monumento del tiranno

che nella nebbia dorme minaccioso.

   Non era prudente scrivere queste parole ed era inopportuno riflettere su questi argomenti: questa volta il giovane Pùškin se la cava con un rimprovero e, nonostante tutto, nel 1817, terminati gli studi, viene assunto – a diciott’anni appena – in servizio al ministero degli Esteri. Si dedica anche con giovanile esuberanza alla vita mondana nei salotti, nei palazzi, nei teatri della capitale Pietroburgo. In questo periodo termina di scrivere Ruslan e Ljudmila, un poema epico romantico che è stato dato alle stampe nel 1820 e suscita le lodi della giovane generazione sentimentale e provoca lo sdegno della vecchia generazione conservatrice. Leggendone anche soltanto un frammento ci si rende conto che il linguaggio poetico di Pùškin, tanto dal punto di vista della forma quanto dei contenuti, è stato letto e apprezzato dai poeti del secolo successivo, nel leggere questo frammento, per esempio, viene in mente Jacques Prévert, tanto per dirne uno.

LEGERE MULTUM….

 Aleksàndr Sergeević Pùškin, Ruslan e Ljudmila (1820)

Il nostro amore, Ljudmila, è troppo fragile, è troppo tenero

perché è un amore violento e disperato, il nostro amore è bello

come l’alba delle notti bianche cattivo come il tempo umido di certe mattinate stanche,

per questo il nostro amore è così vero, e il cuore non è sempre appagato

e non è così gioioso questo amore, spirito maligno,

che di noi a giorni alterni, ironicamente se ne ride con un benevolo ghigno

e ci fa tremare di terrore e ci fa impallidire mentre passano le ore,

come passano, volando, le cicogne, nel migrare lente e solenni verso sud

quando l’inverno, bianco sordo e crudele, sta per arrivare.

Questo amore, oggi, lo vorremmo cancellare perché ieri lo abbiamo riempito di parole,

e domani, al risveglio, testardo come un mulo del Caucaso,

vitale come il desiderio di bere, spietato come la memoria, balordo come il rimpianto,

commovente come il ricordo, freddo come il marmo di un sepolcro,

fragile come un neonato, sconosciuto come il porto dove mai un battello è approdato

ci si manifesterà arrogante, questo amore, come chi ti sfida a duello e sa di avere mira

come chi ti esorta al combattimento avendo in mente la fatale stoccata

perché domani sarai ancora nuda tra le mie mani sotto la sottana alzata

e il tuo corpo sarà tutto in festa dalla punta dei piedi fino alla punta dei capelli in testa,

e io avrò tra i pensieri un pensiero: penserò che noi stiamo facendo il male

convinti da questo amore bugiardo falso mentitore che questo male è plasmato bene

perché fiorisce dalla mente di un dèmone inquietante che turba, il piacere

   La produzione poetica giovanile di Pùškin è particolarmente licenziosa, erotica e satirica, un po’ blasfema, e provoca molte discussioni tra i critici. Ma l’erotismo può essere ancora tollerato nella società russa, conservatrice e ipocrita, quello che non viene tollerato in Pùškin è il definirsi un libero pensatore: in questo momento, in modo imprudente non nasconde le sue idee libertarie. Questo comportamento spregiudicato gli causa una condanna all’esilio: viene mandato al confino nella Russia meridionale, questa volta lo zar non lo perdona e dispone il suo trasferimento a Ekaterinoslav. Da qui tuttavia Pùškin riesce, dopo breve tempo, ad allontanarsi, spostandosi nella regione del Caucaso, tra il Mar Nero e il Mar Caspio, al seguito del generale Raevskij: i due mesi di soggiorno nel Caucaso sono allietati dall’amicizia con le quattro figlie del generale e – sembra – dall’amore di una di esse. Tutto ciò: l’amore, l’amicizia, le visioni di quella natura selvaggia – qui c’è una grande e affascinante catena montuosa – e la conoscenza delle esotiche popolazioni caucasiche e delle loro tradizioni contribuisce a far affiorare in Pùškin la vena byroniana. Lo stile di Byron – che abbiamo incontrato la scorsa settimana – e che deriva da uno stato d’animo di insofferenza, di ribellione, d’inquietudine, di malinconia, di turbamento – contrassegna quasi tutta la produzione giovanile di Pùškin.

   Il poema intitolato Il prigioniero del Caucaso, che Pùškin porta a termine poco dopo nella città di Kišinev, dove nel 1820, era stato trasferito alle dipendenze del generale Inzov, è scritto con uno stile byroniano: il poeta manifesta tutta la sua insofferenza, la sua ribellione, la sua inquietudine, il suo turbamento, ma anche la grande curiosità per l’incontro con le interessanti e significative tradizioni caucasiche, con la cultura orale di quelle popolazioni, una cultura ricca di personaggi fieri e avventurosi. Kišinev è una sperduta città di provincia, prossima al confine con l’impero ottomano, e brulica, in questo momento, di una pittoresca folla etnicamente molto eterogenea: ci vivono ebrei della diaspora, armeni, fuorusciti greci. Qui Pùškin fa conoscenza con Alexander Ipsilanti uno dei più importanti capi della resistenza greca contro l’impero ottomano – di cui ci siamo occupati la scorsa settimana – e di questo incontro resta una traccia nel racconto Un colpo di pistola. Ma la sperduta città di Kišinev non offre certo gli svaghi della società pietroburghese, però, questa situazione assai poco mondana, favorisce indubbiamente l’attività creativa del giovane poeta, che, in questo periodo, compone molte delle sue migliori liriche giovanili e qui comincia a scrivere le parti iniziali di quello che poi risulterà uno dei suo capolavori in versi, l’Evgenij Onègin. Nel 1823 Pùškin viene di nuovo trasferito: questa volta a Odessa sul mar Nero, alle dipendenze del governatore Voroncov. L’ambiente di Odessa – grande, bella e vivace città portuale – è molto più evoluto di quello di Kišinev e permette a Pùškin di gustare nuovamente i piaceri della vita: i balli, gli spettacoli, gli amori, e non rimane neppure insensibile al fascino della bella e giovane moglie del governatore Voroncov, la quale trova molto simpatico questo giovane poeta "romantico". Il governatore Voroncov, che ha mangiato la foglia ma non vuole suscitare scandali, è pertanto ben lieto di poterlo espellere dal servizio, quando la polizia intercetta una lettera di Pùškin diretta al colonnello Pavel Ivanovic Pestel’ coordinatore dei circoli politici liberali di Pietroburgo.

   I poemi e le poesie composti da Pùškin negli anni del confino risentono dell’influsso dei poeti del movimento del sentimentalismo russo e dei poeti del romanticismo estremo come Byron. Le idee di Pùškin incontrano il favore dei circoli politici liberali, che guideranno l’insurrezione decabrista del 1825. Chi sono i decabristi o decembristi o dicembrini, e in che cosa consiste questa insurrezione che costituisce senza dubbio un sito romantico nella memoria storica? Come potete constatare il sorriso de La Gioconda ci fa incontrare molti avvenimenti e noi siamo costretti a dare risposte sintetiche, tuttavia indicative per proporre a ciascuno iniziative di ricerca in funzione della lettura e della scrittura. Intanto dobbiamo sapere che il termine "decabrista" deriva dalla parola russa "dekabr" che significa "dicembre" e i "decabristi" sono "quelli di dicembre". Decabristi o decembristi vengono chiamati i partecipanti alla tentata insurrezione contro lo zar Nicola I nel dicembre del 1825. Come in tutta Europa, anche in Russia, nei primi anni dell’800, nasce un movimento rivoluzionario che chiede la Costituzione. Questo movimento è guidato da giovani aristocratici – ufficiali dell’esercito e della guardia imperiale – aderenti ai circoli di idee liberali, è un movimento con pochissimo seguito popolare. Questo movimento di opposizione è organizzato in due società segrete: l’Unione del nord, più moderata, orientata verso una monarchia costituzionale di tipo federale, e l’Unione del sud, più radicale, guidata dal colonnello Pavel Ivanovic Pestel’ (1793-1826), amico e corrispondente di Pùškin. Il programma dell’Unione del sud rivendica una Costituzione di orientamento repubblicano e propone una riforma agraria che assegni la terra in proprietà collettiva ai contadini ponendo fine al latifondismo e alla servitù della gleba. Le idee di entrambe le Unioni rivoluzionarie hanno le loro radici culturali nel pensiero del movimento del sentimentalismo russo che abbiamo precedentemente analizzato. Nel 1825 dopo la morte dello zar Alessandro I il trono dovrebbe toccare a suo fratello Costantino il quale però rifiuta la corona perché ha dei dubbi sul potere assoluto. In questa situazione di incertezza, a corte, prende il sopravvento, sostenuto da tutto l’apparato conservatore imperiale, il fratello minore Nicola che viene designato come successore. A questo punto le Unioni rivoluzionarie decidono di agire e il colonnello Pavel Ivanovic Pestel’ raduna i suoi uomini reclutati nell’esercito. Nel dicembre 1825, durante la cerimonia di giuramento di fedeltà al nuovo zar Nicola I, circa tremila soldati schierati sulla piazza del Senato, attendono l’ordine dei capi della congiura per sferrare il colpo di mano che deve abbattere il potere assoluto dello zar. Per una serie di contrattempi e di indecisioni l’ordine tarda ad arrivare e l’insurrezione, prima ancora che scoppi, viene soffocata nel sangue dai cannoni e dalla cavalleria zarista. Quasi tutti i decabristi rimangono uccisi, i cinque dirigenti principali tra cui Pavel Ivanovic Pestel’ vengono catturati e condannati a morte, altri vengono deportati in Siberia. Tra i morti e i deportati vi sono molti intellettuali amici di Pùškin, al quale avevano raccomandato di non muoversi da Odessa perché, essendo controllato dalla polizia, avrebbe dato nell’occhio.

   Pùškin non perdonerà mai al nuovo zar questo spargimento di sangue anche se è costretto a fare i conti con questa drammatica esperienza: forse i decabristi hanno sbagliato qualcosa nel "fare opposizione" contro l’assolutismo zarista, e Pùškin capisce che senza una solida piattaforma culturale, senza un programma propositivo e soprattutto senza l’appoggio popolare non si può "fare opposizione".

REPERTORIO E TRAMA ...per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Il termine "opposizione" è una delle parole-chiave del romanticismo ed è legato ad altre parole significative: opinione, protesta, reazione, resistenza, rifiuto, contestazione, dissenso, contrarietà…

C’è un avvenimento (o più di uno) in cui – in famiglia, a scuola, nella società, nelle Istituzioni - hai assunto un atteggiamento di opposizione?

Scrivi quattro righe in proposito…

   Il nuovo zar Nicola I Romanov (1796-1855) durante gli anni della giovinezza ha viaggiato molto in Russia e in Europa. Nel 1817 ha sposato Carlotta di Prussia, rinsaldando l’alleanza con quel paese. Durante gli anni del suo regno Nicola I difende strenuamente l’assolutismo monarchico, attuato attraverso un complesso sistema burocratico, e combattendo ogni movimento liberale che tende verso una riforma dello Stato in senso democratico. Nasce, sotto il suo regno, un complesso sistema burocratico organizzato con caratteristiche simili a quelle dell’esercito: quindi un sistema fondato su una gerarchia molto rigida, con i suoi direttori generali, con i suoi sprezzanti capi-ufficio impegnati in una lotta senza quartiere per salire i gradini della scala gerarchica, e con i suoi modesti piccoli impiegati soggetti, come soldatini, ad una rigida disciplina, soggetti a subire pesanti frustrazioni. Questo apparato burocratico, con i suoi aspetti un po’ allucinanti e con i suoi personaggi a volte rigidi e a volte corrotti, a volte cinici e mediocri, a volte modesti e onesti e buoni, con i suoi personaggi irromperà nella letteratura, entrerà soprattutto nei racconti, nei romanzi, nei testi teatrali della letteratura russa: qualcuno di questi personaggi significativi capiterà, probabilmente, sul nostro sentiero. Nicola I dà vita ad una politica doganale protezionistica che chiude ancora di più la Russia al resto d’Europa e si occupa a lungo del problema della liberazione dei servi della gleba senza tuttavia giungere mai all’abolizione della schiavitù: risulta solo un interesse di facciata. La politica di Nicola I sarà sempre influenzata dagli esiti della tragica rivolta decabrista, a seguito della quale la Russia si trasforma in uno stato poliziesco e burocratico, accentuando i caratteri già presenti negli ultimi anni del governo di Alessandro I (lo zar di Guerra e pace di Tolstòj) che era partito illuminista con l’idea di attuare grandi riforme e arriverà alla fine del suo mandato comportandosi da reazionario. Nicola I reprimerà nel sangue i moti indipendentisti in Polonia nel 1830-1831 e si attribuirà anche il titolo di re di Polonia, inoltre manderà sempre rinforzi agli eserciti europei impegnati in azioni di repressione. Dopo le rivoluzioni del 1848, scoppiate in tutto il continente e represse con la violenza dagli eserciti dei governi conservatori, in Russia ogni tentativo di riforma decàde: lo Stato di Nicola I diventa ultraconservatore, vietando ogni forma di partecipazione popolare, soffocando ogni sviluppo dell’arte e dell’istruzione. Pùškin, dopo il fallimento dell’insurrezione decabrista, è costretto a sparire per un po’ dalla circolazione, e noi non lo perdiamo di vista.

   Ora però lasciamo che si nasconda e, prima di continuare a percorrere, a grandi linee, l’itinerario dentro alla biografia di Pùškin – la vita del quale, come quella di Chateaubriand e come quella di Byron, appare quasi come un simbolo del romanticismo – dedichiamoci ancora al viaggio sulla carta: un esercizio che risulta utile in funzione della didattica della lettura e della scrittura. Dedichiamoci al viaggio utilizzando proprio l’argomento della fallita insurrezione decabrista che abbiamo delineato nei suoi elementi principali e che costituisce per noi un tassello conosciuto. Che cosa rimane dei Decabristi nel tessuto urbano di San Pietroburgo, della città che li ha visti per un momento in primo piano? Prima di rispondere a questa domanda – sempre in relazione alla didattica della lettura e della scrittura – dobbiamo fare una riflessione introduttiva.

   Il sorriso de La Gioconda, sulla scia di Pùškin, ci ha portato a San Pietroburgo, e allora dobbiamo cogliere l’occasione per fare alcune incursioni sul territorio di questa affascinante città; e, questa sera, abbiamo già proposto – non a caso – la visita alla Cattedrale di Sant’Isacco perché questo sito può essere considerato come un punto di ritrovo e quindi come un tassello di partenza. Questa città è vasta da visitare e, quindi, come tutte le grandi città deve essere avvicinata sulla carta con il metodo dello studio del frammento che, combaciando con altri frammenti, diventa via via parte sempre più grande dell’oggetto. Questa città è complessa da visitare e, quindi, deve essere avvicinata sulla carta con il sistema del tassello culturale che, legandosi ad altri tasselli, diventa un insieme. È buona regola didattica, quando si osserva il mondo o quando si osserva una città, collegare la nostra visita a situazioni culturali – a parole-chiave e idee significative –che possano animare intellettualmente gli oggetti che sottoponiamo alla nostra osservazione, alla nostra lettura e alla nostra capacità d’interpretazione: i Decabristi, in questo caso, possono costituire un frammento storico e culturale di partenza. Se osserviamo l’atlante possiamo constatare che San Pietroburgo è situata sul Mar Baltico all’estremità più orientale del Golfo di Finlandia – dista dalla Finlandia solo 150 km – e si stende sulla riva sinistra di un fiume maestoso, la Neva, e su un centinaio di isole e isolette che costituiscono il delta di questo fiume, tre sono le isole maggiori: Vasiljev, Volnj, Kirovo. San Pietroburgo è una città giovane: è stata fondata tre secoli fa, nel 1703, per volontà dello zar Pietro il Grande (1672-1725). Pietro il Grande è uno dei personaggi più significativi della storia della Russia moderna ed è stato educato nell’Europa occidentale e, quando sale al trono, è deciso a far uscire la Russia dal feudalesimo medioevale e orientaleggiante. Pietro il Grande decide di fondare e di far costruire una città sul Mar Baltico per due motivi, il primo di carattere militare e difensivo: vuole prevenire il ricorrente pericolo di un’invasione svedese, infatti, nel 1600, l’estuario della Neva è stato occupato per molto tempo dagli Svedesi anche con il consenso dei Russi. Il secondo motivo per cui Pietro il Grande decide di fondare una città sul Baltico è quello di "aprire, per la Russia, una grande finestra sull’Europa". La prima struttura che, tra il 1702 e il 1703, viene costruita per ordine di Pietro il Grande è una fortezza: la fortezza di San Pietro e Paolo. Lo stesso zar si fa costruire sul posto una casetta per seguire i lavori: sono lavori complessi perché questo territorio è tutto da bonificare e canalizzare, ma, in breve tempo, alla fortezza si aggiungono gli edifici della Borsa, della Dogana, il palazzo dell’Ammiragliato, i giardini d’estate, la chiesa di Sant’Isacco Dalmata. Nel 1710 la città è cresciuta e Pietro il Grande ordina il trasferimento da Mosca degli uffici di governo e nel 1712, in questa nuova città si trasferisce anche la corte. Anche il nome della città si modifica: perde il San, e diventa semplicemente Pietroburgo, la città di Pietro il Grande. Dopo la Rivoluzione, nel 1917, la città verrà chiamata Pietrogrado, e poi il 26 gennaio 1924, cinque giorni dopo la morte di Lenin, la città viene ribattezzata Leningrado, oggi dal 1989 è tornata a chiamarsi San Pietroburgo. Dal 1712, da quando Pietro il Grande vi trasferisce la corte, la storia di San Pietroburgo sarà la storia dei suoi edifici e della sua espansione, da questo momento gran parte della storia russa è destinata a passare da qui. Le riforme imposte da Pietro il Grande hanno forzato la pigra e sonnolenta Russia, l’hanno obbligata a mettersi al passo con le nazioni occidentali. Nel giro di pochi decenni San Pietroburgo entra nella Letteratura e nell’Arte, diventa il punto d’incontro tra due civiltà, tra l’occidente e l’oriente, diventa un porto commerciale di grande importanza, e raggiunge ben presto l’imponenza delle maggiori capitali europee da cui prende a prestito non solo i criteri urbanistici e architettonici, ma anche istituzioni, usanze, costumi. Vengono invitati a San Pietroburgo scienziati, matematici, esperti di costruzioni nautiche, architetti, pittori, scultori, attori, musicisti: tutti trovano lavoro, e molti di loro sono italiani. San Pietroburgo diventa per imposizione di Pietro il Grande la capitale della Russia e la residenza dello zar, e questo passaggio non è stato indolore. Non c’è poeta, narratore, saggista che non prenda posizione pro o contro la nuova capitale: nasce la famosa rivalità tra San Pietroburgo che rappresenta la grande finestra aperta sull’Europa, e Mosca che rappresenta la terza Roma, il simbolo della guerra contro i Tartari, il simbolo dell’unificazione della nazione, il simbolo della diffusione della fede ortodossa. Gli intellettuali partecipano attivamente a questo scontro, spesso violento, causato dalla rivalità tra Mosca e San Pietroburgo, individuando dietro le due città due concezioni fondamentalmente diverse della nazione russa. Nella Letteratura, nell’Arte, nella cultura, da questo momento, dal 1712, troviamo due Russie: quella moscovita della tradizione e della conservazione feudale e quella pietroburghese aperta all’Europa, con lo sguardo rivolto verso occidente e, di questa situazione storica e culturale se ne deve tenere conto, soprattutto in funzione della didattica della lettura e della scrittura.

   Pùškin, come poeta, influenzato anche fin da bambino da Nikolaj Karamzin, è tra i più attivi a celebrare – a cento anni di distanza – la contraddittoria figura di Pietro il Grande e a celebrare la fondazione di San Pietroburgo. Perché è contraddittoria la figura di Pietro il Grande? Nikolaj Karamzin nel 1811, su richiesta dello zar Alessandro I, alla vigilia della guerra contro Napoleone, scrive una Memoria sull’antica e sulla nuova Russia. Questa Memoria, essendo di carattere riservato, non è stata mai pubblicata. Karamzin scrive che Pietro il Grande aveva una personalità geniale però non ha mai agito secondo lo "spirito popolare" e la sua passione per gli usi e i costumi nuovi era andata oltre i limiti. Pietro – scrive Karamzin – non ha voluto ammettere che la potenza morale degli Stati è prodotta dallo spirito popolare e perciò si è comportato con disprezzo nei riguardi delle tradizioni che avevano nutrito questo spirito e si è comportato con irrisione verso gli antichi usi e le caratteristiche peculiari del suo popolo. I costumi del popolo – scrive Karamzin – possono trasformarsi solo gradualmente, quindi il sovrano deve agire con l’esempio e non con il comando, con la persuasione e non con l’imposizione. Ma Pietro – scrive Karamzin – ha sconvolto in modo grossolano le consuetudini popolari, ha attuato certamente una "gloriosa trasformazione dello Stato" ma spesso facendo ricorso allo strumento della tortura e alle esecuzioni, compresa quella di suo figlio Alessio che non condivideva i suoi progetti e tentò di ordire una congiura contro di lui sostenuto dall’aristocrazia feudale e dalla parte più conservatrice della Chiesa ortodossa. Nikolaj Karamzin, nello scrivere questa Memoria, è influenzato dagli illuministi francesi, in particolar modo da Montesquieu il quale si era espresso contro la tirannia e la violenza di Pietro il Grande. Tuttavia Karamzin conclude la sua Memoria scrivendo che Pietro, in definitiva, nonostante queste contraddizioni, è stato un grande uomo perché ha ideato un progetto riformista e lo ha realizzato, e le sue opere sono state "un’attività mirabile" e quindi è anche giusto che si levino a lui "fervide lodi" per le sue qualità personali e per le sue gloriose gesta.

   Noi non sappiamo se Pùškin conosce la Memoria di Karamzin, però possiamo dire che ne condivide le idee e approva il giudizio contraddittorio su Pietro contenuto nella Memoria. Pùškin ritiene – a distanza di un secolo – che le riforme di Pietro il Grande siano state un gran bene per la Russia e che questo bene, in quel momento, non poteva essere realizzato che da uno zar autocrate, in possesso del potere assoluto. Con le riforme imposte da Pietro il Grande l’influenza europea è sbarcata sulle rive della Neva e si è sparsa per l’intera Russia e la Russia è entrata in Europa. Pùškin e i Decabristi guardano favorevolmente – a un secolo di distanza – alla figura di Pietro il Grande. Secondo loro, sebbene imposte con il potere assoluto, le riforme di Pietro il Grande e la sua apertura verso l’Europa ha creato una nuova mentalità. Questa mentalità liberale ha fatto maturare, nelle nuove generazioni aristocratiche, la convinzione di poter agire per il superamento del potere assoluto e per la nascita di uno Stato costituzionale, ma il tentativo dei Decabristi di imporre un modello liberale viene represso, e anche Pùškin – sebbene riesca a farla franca – patisce la sconfitta…

   E allora torniamo alla domanda che ci siamo posti: che cosa rimane dei Decabristi che volevano la fine del potere assoluto e la Costituzione? Quale memoria resta dei Decabristi nel tessuto urbano di San Pietroburgo, della città che li ha visti, per un momento, in primo piano? I Decabristi sono stati sconfitti e non hanno potuto attuare il loro progetto politico, però – probabilmente in modo inconsapevole – hanno certamente contribuito a fare di San Pietroburgo un sito romantico, titanico e galante.

   A San Pietroburgo, proprio davanti alla piazza della Cattedrale di Sant’Isacco, delimitata da uno dei rami della Neva e dal grandioso Palazzo dell’Ammiragliato troviamo la piazza dei Decabristi. Sulla piazza dei Decabristi, in faccia alla Neva, vi è una famosa e bellissima statua: la statua del Cavaliere di bronzo fatta erigere da Caterina II.

REPERTORIO E TRAMA ...per dieci minuti al giorno di lettura e scrittura:

Il 15 maggio 1768 la Grande Caterina dà ordine che sia commissionato allo scultore parigino Etienne Falconet un monumento che onori la memoria di Pietro il Grande, il fondatore della città…

Etienne Falconet lavora a questo monumento dal 1766 al 1778 insieme alla sua allieva e futura nuora Anne-Marie Collot: hai mai visto questa famosa statua?

   Questa statua equestre raffigura Pietro il Grande, con il braccio teso in direzione del fiume, in sella ad uno stupendo cavallo. Questo cavallo è posto su di un blocco di roccia granitica che pesa 1600 tonnellate, questo blocco di granito ha una storia particolare e significativa. Il cavallo della statua è appoggiato solo sulle zampe posteriori e s’impenna di fronte al baratro. Una delle zampe del cavallo sta schiacciando un serpente che si snoda sulla roccia. La statua del cavaliere di bronzo è un oggetto che, per le sue caratteristiche, si colloca nel contesto del romanticismo, tanto titanico quanto galante. Il cavallo di questo famoso monumento è stato ideato e costruito su modelli rinascimentali e assomiglia ai cavalli che ha disegnato Leonardo. Leonardo ha prodotto decine di disegni che hanno per tema l’anatomia e la dinamica del cavallo – non è cosa difficile poterli osservare – cercando di creare un modello di "cavallo ideale". Perché Leonardo si è dedicato a questi studi? Perché avrebbe dovuto realizzare – per Ludovico il Moro, per gli Sforza – una statua equestre e avrebbe voluto costruire in bronzo un cavallo che si reggesse solo sulle zampe posteriori.

   Perché siamo venuti sulla piazza dei Decabristi di fronte a questa famosa statua? Siamo venuti qui anche perché, per questo capolavoro, Pùškin ha scritto un altrettanto celebre poema intitolato: Il cavaliere di bronzo (1831). Sappiamo che Pùškin, nonostante tutte le riserve, ha guardato con simpatia – come del resto i Decabristi – alla figura di Pietro il Grande. A lui soprattutto attribuisce il merito di aver fondato dal nulla San Pietroburgo e Pùškin ama San Pietroburgo. Leggiamo, per concludere, il famoso incipit, l’inizio dell’introduzione di questo poema.

LEGERE MULTUM….

Aleksàndr Sergeević Pùškin, Il cavaliere di bronzo (1831)

T’amo, o città di Pietro, o creatura armoniosa,

amo le tue severe forme ed il corso della Neva maestosa,

amo il granito delle tue riviere, dei tuoi cancelli bronzei la fattura elegante,

e il crepuscolo pensoso delle tue notti illuni trasparenti,

quando nella mia stanza leggo e scrivo senza lume

e sono chiare le dormienti strade deserte

e luccica d’un vivo chiaror la guglia dell’Ammiragliato,

ed impedendo che per l’orizzonte dorato si spanda la notturna tenebra,

già s’affretta a dare il cambio su nel cielo l’una all’altra aurora,

concedendo alla notte sol mezz’ora.

   Naturalmente ci colpisce il particolare della "notte bianca" pietroburghese. Per la sua collocazione geografica San Pietroburgo è la metropoli più a nord d’Europa, e si trova nella zona in cui, nel periodo estivo, non calano del tutto le tenebre, non scende del tutto la notte, per cui il poeta si può permettere di leggere e scrivere senza lampada: è un particolare poetico sublime, molto significativo. Le "notti bianche" sono sempre state una delle caratteristiche più originali di San Pietroburgo, e hanno sempre fatto da sfondo, hanno sempre creato una "romantica" scenografia, ai racconti, ai poemi, ai romanzi. La "notte bianca" pietroburghese c’interessa molto in funzione della didattica della lettura e della scrittura. E le "notti bianche", come elemento distintivo, compaiono subito anche in questo poema di Pùškin che esalta la sublimità di San Pietroburgo e la potenza del suo fondatore.

   Fra quindici giorni – andando ancora a spasso per San Pietroburgo – cercheremo di conoscere meglio questo poema: Il cavaliere di bronzo. Questa composizione in versi è un’opera complessa e di non semplice interpretazione che ci permette di fare un’interessante riflessione. Sappiamo già che Pùškin nel 1825, dopo il fallimento dell’insurrezione decabrista, è costretto a sparire per un po’ di tempo dalla circolazione: dove si nasconde? Ebbene, per motivi di sicurezza fino al prossimo itinerario, non possiamo sapere dove si nasconde, tra l’altro, per ora, lo zar non lo ha ancora perdonato.Lo sapremo però dopo le vacanze di Pasqua.

   Noi ci diamo ancora appuntamento sulla piazza dei Decabristi in faccia alla statua del Cavaliere di bronzo…mercoledì 30, giovedì 31 marzo e venerdì 1 aprile.

   L’augurio che formuliamo utilizza le parole "romantiche" – bellezza, turbamento, inquietudine, opposizione – che François-René de Chateaubriand attribuisce alla Pasqua; la Pasqua è la bellezza della "vittima immolata", il turbamento e l’inquietudine della "passione", l’opposizione alla morte che si traduce nella speranza della "resurrezione"! Metafora della "resurrezione" (per i Padri della Chiesa) è lo studio: Gregorio, papa dall’anno 590, scrive nei suoi Dialoghi che: "studiare è cominciare a risorgere".

   Buona Pasqua di studio a tutti…

   Accorrete, la Scuola è qui…

 

 

 

 

Lezione del: 
Venerdì, Marzo 18, 2005