Prof. Giuseppe Nibbi La sapienza poetica e filosofica dell’età alto-medioevale 13-14-15 novembre 2013
Cassiodoro
SUL TERRITORIO DELLA SAPIENZA POETICA E FILOSOFICA DELL’ETÀ ALTO-MEDIOEVALE
IL VIVARIUM DI CASSIODORO SI PRESENTA COME LA PRIMA SCUOLA PER AMANUENSI ...
Il quinto itinerario del nostro viaggio sul “territorio della sapienza poetica e filosofica dell’Età alto-medioevale” ci vede ancora in compagnia di Gerolamo, il Padre della Chiesa più colto e l’intellettuale “ciceroniano” più consapevole [alla fine del IV secolo] del fatto che sta per sorgere una nuova epoca e, oggi, questa trasformazione la identifichiamo con il momento di passaggio tra l’Età tardo-antica e quella alto-medioevale.
Sappiamo che Gerolamo, dall’anno 382 su richiesta di papa Damaso, comincia a tradurre in latino [dal greco e dall’ebraico] tutti i Libri della Bibbia [del Nuovo e dell’Antico Testamento]: un’opera colossale che ha preso il nome di Vulgata editio, e nel comporla [come abbiamo studiato la scorsa settimana] Gerolamo costruisce un metodo filologico, pone le basi di un laboratorio di ricerca etimologica basato sull’idea che l’esercizio della traduzione deve essere un “atto di salvaguardia e di tutela delle forme e dei contenuti della cultura classica” in un momento storico in cui – con il fenomeno dell’implosione dell’Impero romano d’Occidente in corso – i testi delle Opere antiche e tardo-antiche [con la loro forma e il loro contenuto], prodotti sul territorio dell’Ecumene nei secoli precedenti, sono soggetti a perdersi. Un’accreditata corrente di pensiero [e lo abbiamo già ripetuto molte volte] sostiene che il Medioevo ha inizio proprio con l’opera di Gerolamo improntata alla salvaguardia e alla tutela delle Opere dei Classici [ebraici, greci e latini]. Gerolamo muore a Betlemme nel 419 [in uno dei monasteri femminili fondati con i soldi del patrimonio di Paola, la ricca vedova che, con la figlia Eustochio, ha seguito Gerolamo in Oriente] e quindi [a parte il sacco di Roma, del 410, da parte dei Visigoti] non partecipa ai drammatici avvenimenti che, nel V secolo, caratterizzano l’ultima fase dell’implosione dell’Impero romano d’Occidente.
Ora noi dobbiamo raccontare i principali fatti che contrassegnano l’ultimo atto, quello che porta [dopo circa cinque secoli] al definitivo svuotamento delle Istituzioni imperiali: le Istituzioni dello Stato romano – a cominciare dal Senato e dalla irremovibile organizzazione burocratica – non deflagrano ma ne rimane la forma, vuota come una crisalide e, tuttavia, questo involucro, per quanto fragile, seguita ad essere uno stampo che continua ad essere utilizzato dalle precarie dominazioni che, una dopo l’altra, si susseguono sul territorio della penisola italica dal V fino al IX secolo [tanto dura lo strascico dell’implosione dell’Impero romano d’Occidente e le diverse dominazioni si susseguono ma la burocrazia, che costituisce la materia della fragile crisalide a cui si è ridotta l’Istituzione imperiale, rimane sempre la stessa]. E, per la salvaguardia e la tutela del patrimonio scritto – che è formato dai testi [scritti su papiri] del corpus giuridico [che sono depositati negli uffici pubblici dove i burocrati, per quanto possono, gestiscono il fenomeno dell’implosione], e poi dai testi della letteratura classica e della filosofia antica e tardo-antica [conservati nelle biblioteche private e domestiche delle comunità cristiane e delle Scuole ellenistiche] – si muove una minoranza [per fortuna] molto attiva di intellettuali, cristiani e laici, tutti di formazione neoplatonica-
Con la definitiva “caduta” dell’Impero occidentale è necessario incrementare l’azione di conservazione della cultura antica: Gerolamo, in proposito, ha fatto Scuola e i discepoli di questa Scuola, nei decenni successivi alla sua morte, hanno affinato tecniche e costruito strutture che hanno permesso alla Storia del Pensiero Umano di non perdere gran parte del materiale prodotto nell’Età dei Classici [antichi e tardo-antichi, ebraici, greci e latini]. Questi intellettuali ci stanno aspettando nel paesaggio che abbiamo cominciato ad osservare [il primo grande scenario della sapienza poetica e filosofica dell’Età alto-medioevale] che prende il nome di “paesaggio intellettuale della salvaguardia delle Opere dei Classici”: chi sono questi personaggi che si dedicano alla conservazione e alla tutela del patrimonio culturale antico e tardo-antico?
Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo occuparci di definire – a grandi linee – il quadro storico: gli avvenimenti che riguardano l’ultimo atto dell’implosione dell’Impero romano d’Occidente [un fenomeno che avrà un lungo strascico]; ma prima ancora dobbiamo aprire una parentesi in funzione della didattica della lettura e della scrittura, perché Gerolamo – più vivo che mai – ci continua ad accompagnare anche per il fatto che abbiamo cominciato leggere il testo di un romanzo il cui titolo, Il calore del sangue, si addice alla sua personalità inquieta e si rifà ad un argomento che Gerolamo [specialmente nelle sue Lettere] tratta spesso: nessuna persona – lui compreso – può sentirsi mai al riparo dalla passione [la passione amorosa] quando questa è infiammata dal calore del sangue.
Irène Némirovsky ha scritto testo di questo romanzo tra il 1937 e il 1938, e il racconto è ambientato nel paese di Issy-l’Évêque, nel Morvan, dove si è rifugiata e dove, in quanto ebrea, viene arrestata nel luglio del 1942 e deportata ad Auschwitz. In questo breve romanzo Irène Némirovsky punta il suo sguardo tagliente sull’ambiente della provincia francese [la Francia profonda del mondo agricolo] dove tutto sembra scorrere lentamente alla luce di una quieta e rassicurante agiatezza campagnola: siamo in Borgogna nel 1930 e il tempo è scandito dal susseguirsi delle stagioni e questa ciclica lentezza stagionale sembra assai consolante.
L’autrice, mediante un narratore [l’alter-ego della scrittrice] – il vecchio e solitario cugino Sylvestre, il quale racconta e commenta i fatti facendo delle allusioni sul passato dei vari personaggi [compreso lui medesimo] che, via via, diventano inaspettate rivelazioni [Gerolamo è curioso di scoprire quali ambiguità si nascondano dietro alle allusioni del narratore], – ha fatto entrare in scena una famiglia di due ricchi proprietari terrieri, François e Hélène Érard, una coppia molto affiatata [Hélène è già stata sposata con un vecchio e ricco agricoltore dal quale ha ereditato, François ha atteso pazientemente la sua vedovanza]. La loro giovane figlia maggiore, Colette, si è appena sposata [il 30 novembre] con un bravo ragazzo, Jean Dorin, innamorato e devoto [si conoscono fin da bambini] e, soprattutto, gestore del ben avviato Mulino di famiglia: sappiamo che lei [il 20 settembre] ha partorito un bambino e, Colette e Jean, formano, apparentemente, una coppia felice. Alla festa di nozze di Colette e Jean [alla quale abbiamo partecipato anche noi la scorsa settimana] il cugino Sylvestre ci ha fatto conoscere una bella e provocante giovane signora, Brigitte – moglie di un ricco contadino, il vecchio, e molto ammalato, Declos –, con un passato da trovatella [adottata dalla sorellastra della signora Hélène, Cécile, morta da tempo] e con un futuro da vedova assai benestante, la quale si è presentata da sola alla festa e ha ballato quasi sempre con un giovane alto e bruno: sembra che – da come racconta i fatti – ci sia qualcosa di strano [di ambiguo] nei rapporti tra il cugino Sylvestre, la signora Hélène, sua figlia Colette e la bella Brigitte.
E ora andiamo avanti a leggere altre tre pagine di questo romanzo. Nuovi personaggi entrano in scena e, soprattutto, nella dinamica del racconto [sono già passati tre anni dal matrimonio di Colette e di Jean], si respira [e le ragioni non mancano] un clima implosivo, e la parola “implosione”, in questo viaggio, non ci lascia indifferenti soprattutto quando è in relazione con la parola “amore”. È sempre il cugino Sylvestre che racconta.
LEGERE MULTUM….
Irène Némirovsky, Il calore del sangue
Ieri, 1° marzo, giorno di sole e di vento forte, sono uscito di casa di buon’ora per andare a riscuotere una somma di denaro a Coudray. Il vecchio Declos mi deve ottomila franchi per l’acquisto di un prato. Mi sono trattenuto al paese, dove mi hanno offerto da bere. Sono arrivato a Coudray all’ora del crepuscolo. Ho attraversato un boschetto. Dalla strada se ne vedevano gli alberi, giovani e ancora teneri, che tracciano il confine tra Coudray e Moulin-Neuf. Il sole stava tramontando. Quando mi sono addentrato nel sottobosco, l’ombra dei rami ammantava già il terreno di un’oscurità notturna. Mi piacciono i nostri boschi silenziosi. Di solito non vi s’incontra anima viva. Mi ha sorpreso udire d’un tratto vicino a me una voce femminile che chiamava. Il richiamo era modulato su due note molto acute. Qualcuno ha lanciato un fischio in risposta. La voce si è azzittita. In quel momento mi trovavo nei pressi dello stagno. I boschi del mio paese contengono specchi d’acqua inaccessibili agli sguardi, racchiusi tra gli alberi e protetti da perimetri di giunchi. Io li conosco tutti. Quando si apre la stagione della caccia trascorro il mio tempo lungo le loro rive. Avanzai senza far rumore. L’acqua scintillava ed era circonfusa di una luce indistinta, come quella emanata da uno specchio in una stanza buia. Vidi un uomo e una donna camminare l’uno verso l’altro, lungo il sentiero fra i giunchi. Non riuscivo a distinguere i loro lineamenti, ma scorgevo le due sagome (erano entrambi alti e ben fatti) e la giacca rossa indossata dalla donna. Proseguii per la mia strada; i due non si erano accorti di me: si stavano baciando.
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Gerolamo annuisce, sa [come sappiamo noi] che la parola “amore” e il termine “implosione” sono in relazione tra loro. Insieme a Gerolamo prendiamo il passo per continuare ad osservare il paesaggio intellettuale che abbiamo di fronte nel quale abitano significativi personaggi che, all’inizio dell’Età alto-medioevale, si dedicano alla conservazione e alla tutela del patrimonio culturale antico e tardo-antico, e noi li dobbiamo incontrare.
Prima però – anche per mettere a loro agio queste persone [per rispettare il loro habitat storico-culturale] – dobbiamo occuparci di descrivere, a grandi linee, il quadro degli avvenimenti [un quadro assai complesso]. L’implosione dell’Impero romano d’Occidente non si esaurisce con la sua “caduta” [anche perché il termine “caduta” è piuttosto improprio] ma è un fenomeno che si prolunga per più di tre secoli, fino a che non verrà fondato, in Occidente, su nuove basi, un altro Impero che riprenderà il nome di “romano” accompagnato, addirittura, dall’aggettivo “sacro”, ma questa è una storia che studieremo a suo tempo, quindi, ora procediamo con ordine.
Alla metà del V secolo lo spazio governato dall’Impero romano d’Occidente è ridotto a poco più della penisola italiana e sappiamo che sul territorio delle province occidentali si sono formati due grandi Stati – due Regni, cosiddetti, romano-barbarici – quello dei Visigoti [che comprende tutta la Gallia e gran parte dell’Iberia] e quello dei Vandali [che comprende l’Iberia del Sud - alla quale resterà il nome di Vandalusia - e l’Africa del Nord fino alla Cirenaica]. Gli imperatori di ciò che rimane dello Stato romano d’Occidente si susseguono, per vent’anni, quasi in modo anonimo [i Vescovi di Roma, come abbiamo studiato in queste settimane, politicamente contano più di loro] e vivono a Ravenna – una città ben protetta [circondata da paludi e con il mare come via di fuga] – come se fossero dei prigionieri. I veri protagonisti dell’ultimo atto dell’esistenza dell’Impero romano d’Occidente sono i generali germanici che comandano l’unica struttura che non si è ancora decomposta: l’esercito. Nel 475, uno di questi generali, di nome Oreste, fa acclamare imperatore dai soldati dell’esercito suo figlio, che è un adolescente e [ironia della sorte] si chiama Romolo al quale viene subito affibbiato [per scherno] il nomignolo di Augustolo [l’imperatore in miniatura, l’imperatorino]. Questa operazione dura poco e termina in modo tragico perché, l’anno successivo, un altro generale germanico, Odoacre [Flavius Odovacer] – che il 23 agosto del 476 viene acclamato re dal suo popolo, gli Eruli –, invade l’Italia: la maggior parte dei soldati di Oreste si ammutinano e passano dalla parte degli invasori, Oreste viene sconfitto ed ucciso nella battaglia di Piacenza e il ragazzo Romolo Augustolo, per fortuna, esce di scena incolume [va a vivere a Napoli sotto tutela]. È l’anno 476 [l’anno 1229 dalla fondazione di Roma, ab Urbe condita, perché era ancora in vigore il calendario romano] e, da questo momento, nessun imperatore viene più eletto o acclamato in Occidente: la tradizione storica riconosce in questa data l’inizio del Medioevo [ma sappiamo che ci sono più di cinquecento ipotesi sulla data d’inizio dell’Età medioevale e una di queste riguarda proprio il calendario, il computo del tempo, ma ne parleremo strada facendo].
Odoacre – che, come tutti i generali germanici, è piuttosto superstizioso anche se dimostra di saper riflettere con criterio – non osa né farsi acclamare imperatore [che senso avrebbe avuto visto che l’Impero era diventato una parvenza!] e non si azzarda neppure a toccare il diadema imperiale [che, essendo d’oro, non aveva lo stesso effetto scaramantico che avrebbe avuto il ferro] ma pensa di fare una scelta coerente inviando un’ambasciata a Costantinopoli per far consegnare le insegne dell’Impero d’Occidente all’imperatore d’Oriente, Zenone, il quale ringrazia ma non intende prendere alcun provvedimento, almeno per ora: Odoacre per legittimare il suo ruolo politico-amministrativo chiede il titolo di “patrizio romano” in modo da poter governare come funzionario dell’Imperatore d’Oriente, ma non riceverà mai una risposta a questa sua richiesta, Zenone non si fida di Odoacre [lo teme perché fa delle mosse giuste e sensate?]. Tuttavia, per diciassette anni, Odoacre – come luogotenente volontario dell’Impero bizantino [si auto-nomina] – governa sul territorio italiano con avvedutezza rispettando l’ordinamento amministrativo romano: Odoacre conta sull’esperienza dei burocrati imperiali e la burocrazia [da che mondo è mondo] costituisce un apparato che sa riciclarsi e sa comunque mandare avanti l’amministrazione, sa tenere aperti gli uffici, inventando strumenti adatti per cavalcare i fenomeni implosivi, anche i più dirompenti come questo.
Odoacre – dopo aver esteso il territorio del Regno romano-erulo [così bisogna chiamarlo] anche alla Sicilia e all’Illiria – si stabilisce a Ravenna e ritiene anche sia necessario andare a Roma ad incontrare il papa: Odoacre è ariano, e ariano è il suo popolo [gli Eruli], ma lui si presenta a papa Simplicio [pontefice dal 468 al 483, detto Simplicio di Tivoli] con grande rispetto affermando che era necessario – per affrontare la crisi in atto – mettere da parte le dispute dottrinali per favorire una reciproca benevolenza, e Odoacre ottiene la benedizione del vescovo di Roma. Il generale erulo Odoacre determina la “caduta” di un Impero che era ormai ridotto ad un simulacro ma evita, con saggezza, il collasso dell’amministrazione di uno Stato che, però, non aveva più senso chiamare “impero romano”.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quale di queste parole – rovina, crollo, fine, resa, capitolazione, o quale altra – mettereste per prima accanto alla parola “caduta”?…
Scrivetela [scegliere su un catalogo di parole quella che più attira la nostra attenzione è un utile esercizio di investimento in intelligenza] …
Il termine “caduta” richiama anche le parole “ruzzolone e capitombolo”: che cosa vi ricordano queste parole?…
Scrivete quattro righe in proposito …
Odoacre ottiene la benedizione del vescovo di Roma anche perché – l’ipotesi è leggendaria [ma avvalorata da un interessante testo scritto] – racconta a papa Simplicio di essere stato benedetto, quando era un povero ragazzo, da un Santo eremita, che stava diffondendo il Vangelo nel Norico [in Austria], di nome Severino [San Severino].
San Severino [nato da nobile famiglia italiana intorno al 410 e morto a Mautern sul Danubio l’8 gennaio 482] è stato l’evangelizzatore della regione del Norico e oggi viene venerato come santo patrono dell’Austria, della Baviera, della città di San Severo [in provincia di Foggia] e di Striano [in provincia di Napoli]. Attorno al 511 l’abate Eugippio ha scritto la Vita sancti Severini [Vita di San Severino] un documento alto-medioevale molto importante nella Storia della cultura non solo per le informazioni sulla vita di questo santo ma soprattutto per le informazioni sulla geografia e le etnie presenti lungo il confine orientale dell’Impero romano d’Occidente nel periodo immediatamente precedente la sua fine. La Vita sancti Severini consta di quarantasei capitoli che ripercorrono le tappe dell’evangelizzazione dei popoli del Norico, narrando la vicenda spirituale del santo fino alla sua morte e descrivendo la traslazione del suo corpo in Italia al seguito di Odoacre: nel VII capitolo di questa biografia si narra l’incontro tra San Severino e il giovane Odoacre. L’abate Eugippio è stato, probabilmente, il discepolo più vicino a Severino e ha, sicuramente, partecipato alla traslazione dei suoi resti dal Norico in Italia, dapprima nel Montefeltro e poi, sotto il pontificato di papa Gelasio I [pontefice dal 492 al 496], nel Castrum Lucullanum [la fortezza di Pizzofalcone a Napoli, oggi lì c’è Castel dell’Ovo] dove Eugippio dapprima fa costruire un mausoleo e poi un monastero di cui è stato abate fino alla sua morte. Nel 909, quando i Saraceni assalivano le coste dell’Italia meridionale, il corpo di Severino fu trasferito a Napoli nell’abbazia benedettina alla quale fu dato il nome di San Severino [oggi è la Chiesa dei Santi Severino e Sossio, con l’annesso monastero].
Eugippio ha scritto anche una Antologia delle opere di Sant’Agostino composta per una matrona romana di nome Proba, forse una figlia di Simmaco [personaggio di cui sentiremo presto parlare]. Gli sono attribuite anche una Regola, scritta per i suoi monaci, e alcune Lettere indirizzate a eminenti contemporanei [Cassiodoro e Dionigi il Piccolo, che incontreremo entrambi perché vivono nel paesaggio intellettuale che stiamo osservando nel quale, naturalmente, abita anche Eugippio].
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Con l’ausilio dell’enciclopedia, della rete e delle guide dell’Austria, della Puglia e della Campania fate una visita a Mautern sul Danubio [in Austria], a San Severo [in provincia di Foggia], a Striano [in provincia di Napoli], a Castel dell’Ovo e alla Chiesa dei santi Severino e Sossio a Napoli… Questi posti – dove è presente la figura di San Severino – meritano di essere visitati e conosciuti …
E ora leggiamo il capitolo VII della Vita sancti Severini [Vita di San Severino] dell’abate Eugippio in cui si narra l’incontro tra San Severino e il giovane Odoacre, futuro re degli Eruli e artefice della dismissione dell’Impero romano d’Occidente. Se fossimo abbastanza competenti nella conoscenza della Storia [dell’evoluzione] della lingua latina ci renderemmo conto che la forma linguistica usata da Eugippio è simile a quella sperimentata da Gerolamo, più di un secolo prima, nella Vulgata editio [la traduzione in latino della Bibbia], e questo fatto ci fa capire [e questo concetto lo comprendiamo anche senza essere esperte ed esperti latinisti] come la lingua latina di Gerolamo [che integra la forma sintattica antica con il lessico popolare contemporaneo] sia diventata, in Età alto-medioevale, uno strumento di salvaguardia della cultura classica [siamo, non a caso, di fronte al paesaggio intellettuale che porta questo nome].
E ora leggiamo questo brano in cui l’abate Eugippio fa di Odoacre [nonostante sia ariano] un predestinato, come se la scelta di favorire la dismissione dell’Impero romano d’Occidente equivalesse ad un mandato divino che il giovane erulo – su indicazione di San Severino – deve portare a compimento con il beneplacito della Chiesa di Roma.
LEGERE MULTUM….
Eugippio, Vita sancti Severini [Vita di San Severino]
Si presentarono un giorno a San Severino, nel Norico, alcuni germani in cammino per l’Italia, che desideravano ricevere la sua benedizione. Tra essi un giovane, che l’alta statura obbligava a star chino, per non urtare col capo nel soffitto dell’umile cella, attrasse l’attenzione del Santo. Era coperto di povere pelli, ma lo sguardo dell’uomo di Dio, avvezzo a leggere nel futuro ciò che la Provvidenza riserba alle sue creature, aveva ugualmente colto in lui i segni sicuri di ben diverse sorti, e al momento del commiato, lo salutò con profetiche parole: «Va’ in Italia» gli disse «va’, tu che sei coperto di vivissime pelli, ma che presto sarai largo a molti di molti doni». Quel giovane era Odoacre che, dopo breve tempo, le milizie erule al servizio dell’Impero d’Occidente avrebbero acclamato loro re; che cinque giorni dopo avrebbe sconfitto e ucciso a Piacenza Oreste, patrizio dell’Impero e padre dell’imperatore Romolo Augustolo; che avrebbe infine fatto prigioniero in Ravenna lo stesso imberbe imperatore al quale, impietosito dalla sua delicata bellezza di giovinetto, avrebbe risparmiato la vita per destinarlo a vivere in una villa presso Napoli.
Odoacre in Italia aveva trovato l’Impero d’Occidente nel momento più grave della crisi che lo dilaniava da decenni. Di fronte a questa situazione ormai matura, Odoacre compì il gesto, che nessuno degli altri generali germanici prima di lui aveva osato compiere: pose termine alla finzione di un Impero in Occidente. …
Le scelte fatte da Odoacre [considerate “oculate” da parte di tutte le studiose e gli studiosi di Storia a cominciare da Eugippio] che consistono nel rilancio della burocrazia imperiale [che ha evitato il definitivo collasso dello Stato], nell’espansione del territorio verso il Mediterraneo [con l’occupazione della Sicilia] e verso Oriente [con l’occupazione dell’Illiria], nel richiedere, nonostante sia ariano, la benedizione del papa in un clima di reciproco rispetto, ebbene, questi fatti preoccupano l’imperatore d’Oriente [un’eventuale alleanza ariana - con la benedizione del papa di Roma - tra Eruli, Visigoti e Vandali risultava assai pericolosa per l’Impero d’Oriente] e anche il patriarca di Costantinopoli è preoccupato [un’eventuale accordo tra il papato e gli Ariani avrebbe creato problemi alla Chiesa di Costantinopoli che, dopo la caduta dell’Impero romano d’Occidente, veniva spronata dall’Imperatore d’Oriente ad entrare in concorrenza con la Chiesa di Roma]. Questa situazione di diffidenza nei confronti di Odoacre porta l’Imperatore bizantino Zenone a fare delle scelte che giovano solo a incrementare una dinamica che porta a potenziare lo strascico dell’implosione.
Ne viene fuori una questione, piuttosto complessa, che ha preso il nome di “Ambigua dichiarazione di unità” e noi dobbiamo capire di che cosa si tratta: la reazione dell’Impero d’Oriente di fronte alla dismissione dell’Impero d’Occidente – una reazione lenta, determinata dal crescere della preoccupazione – è un fatto che rompe gli equilibri politico-religiosi sul territorio dell’Ecumene [i governanti bizantini preferivano continuasse ad esistere il simulacro dell’Impero d’Occidente incapace di governare piuttosto che un funzionante Stato romano-germanico, di fede ariana ma benedetto dal papa].
La diffidenza nei confronti di Odoacre [che sta governando saggiamente l’Italia e che periodicamente continua a richiedere un riconoscimento ufficiale della sua azione di governo all’Imperatore d’Oriente] spinge l’imperatore bizantino Zenone a prendere [sei anni dopo che Odoacre ha ratificato la fine dell’Impero occidentale] un provvedimento gravido d’imprevisti: il 28 luglio del 482, dietro suggerimento del patriarca di Costantinopoli Acacio, l’imperatore Zenone promulga un documento [una risoluzione politico-dottrinale] che prende il nome di Henotikon [strumento di unione]. Il testo di questo documento vuole ribadire [in chiave anti-ariana, ma non lo si afferma esplicitamente] l’unità tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli e vuol porre fine alle controversie dottrinali [mai sopite, anzi continuamente rinfocolate] sulla natura di Gesù Cristo.
Il Concilio di Calcedonia nel 451 – voluto da papa Leone I [che abbiamo già incontrato alle prese con Attila e con i Vandali di Genserico] – aveva ribadito la risoluzione del Concilio di Nicea [Gesù Cristo è vero Dio e vero Uomo, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre], ma le Chiese di Antiochia e di Alessandria d’Egitto non avevano sottoscritto il documento del Concilio di Calcedonia ma avevano proposto, con decisione, la tesi detta “monofisita”. Il “monofisismo [dal greco mone monè-unico, e physis physis-natura]” è il nome della forma cristologica che nel 440 ha elaborato Eutiche [378 circa-454], l’archimandrita [il superiore] di un convento con più di trecento monaci a Costantinopoli e poi patriarca della città, destituito nel 448 con una Lettera dogmatica [il Tomus] di Leone I perché la Chiesa di Roma considera non veritiera la dottrina “monofisita”. Secondo il “monofisismo” la natura umana di Gesù è stata assorbita da quella divina e, dunque, in Cristo è presente solo la natura divina: il “monofisismo” – nonostante la condanna romana [con il Concilio di Efeso, dove i messi papali vengono sbeffeggiati e i monofisiti hanno la meglio, e di Calcedonia dove invece il monofisismo viene condannato] – si è rapidamente espanso nella maggioranza delle Chiese orientali.
Con il documento detto Henotikon l’imperatore Zenone vuole porre fine alle controversie cristologiche che avevano diviso la cristianità in “calcedoniani” [i vescovi delle Chiese che, con quello di Roma, avevano sottoscritto i decreti del Concilio di Calcedonia] e “monofisiti” [i patriarchi di Antiochia e di Alessandria] che non avevano accettato le conclusioni del Concilio. Questo documento, l’Henotikon [lo strumento di unione], vorrebbe stabilire un principio di unità [henosis hénosis] nell’intera Ecumene, e – secondo Zenone – dell’unità religiosa era depositario il papa di Roma e dell’unità politica l’imperatore d’Oriente.
Il testo dell’Henotikon è un capolavoro di diplomazia [e anche di “ipocrisia” perché si fonda su affermazioni ambigue che verranno chiamate: “bizantinismi”] nel quale si afferma che: le decisioni dei primi tre Concili ecumenici [Nicea, Costantinopoli ed Efeso, non si cita quello di Calcedonia] sono valide [e qui si gratifica il papa di Roma perché implicitamente si afferma che gli insegnamenti del monofisita Eutiche sono falsi e anche la dottrina degli Ariani è falsa] e, quindi, Gesù Cristo è “vero Dio e vero Uomo in una persona”, omettendo, però, qualsiasi riferimento al numero delle “nature” [in modo da non scontentare né il papa né i monofisiti] e, infine [ci si affida alla Madonna], perché si decreta che la figura di Maria va definita con il termine “Theotokos Theotókos [Madre di Dio]”, una definizione che mette [o dovrebbe mettere] tutti d’accordo. L’Henotikon è, quindi, il tentativo di riunificare la Chiesa riportandola alla situazione pre-calcedonita, senza tuttavia ripudiare esplicitamente il Concilio di Calcedonia, ma semplicemente ignorandolo.
Il fatto è che questo documento è un “decreto” e, di conseguenza, non è solo una dichiarazione d’intenti ma è Legge dello Stato, e qui sta tutta la sua debolezza politica perché questo testo diventa vincolante per tutti i vescovi dell’impero, pena la deposizione e l’esilio, e la prima conseguenza del decreto è la deposizione dei patriarchi di Alessandria d’Egitto e di Antiochia di Siria i quali si rifiutarono di sottoscrivere un documento così ambiguo. L’imperatore entra in conflitto con loro [meno male che si doveva favorire l’unione…] e li sostituisce d’autorità, ma con un’autorità che [perché smentita dal decreto stesso] non gli compete e, difatti, il papa di Roma, Felice III, dopo aver indetto un sinodo [che ribadisce il primato del Vescovo di Roma], scomunica i patriarchi nominati dall’imperatore, e nel 484, papa Felice scomunica anche Acacio, il patriarca di Costantinopoli, come promotore del decreto Henotikon. Acacio, a sua volta, ripudia il papa, e questi gesti originano uno scisma, detto “scisma acaciano” che si protrae per trentacinque anni [dal 484 al 519] e va considerato il primo evento scismatico della Storia della Chiesa universale. L’Henotikon viene poi abrogato dall’imperatore Giustino I [518-527] che vuole ristabilire il rapporto di comunione tra la Chiesa di Costantinopoli e la Chiesa di Roma.
Questa complessa questione politico-religiosa mette al centro – in una girandola di ambiguità – la parola “unione”, una parola sul cui significato dobbiamo riflettere.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Quale di queste parole – congiungimento, intreccio, fusione, insieme, o quale altra – preferite mettere per prima accanto alla parola “unione”?…
Scrivetela …
Quando, come e perché avete agito per costruire una situazione in cui si potesse creare un’unione d’intenti?…
Scrivete quattro righe in proposito…
Quando l’imperatore Zenone, nel 484, si rende conto che il decreto Henotikon [lo Strumento d’unione] ha prodotto l’effetto contrario a quello previsto – che l’accordo tra Odoacre e il papato non è stato minimamente scalfito e tra la Chiesa di Roma e quella di Costantinopoli è nato un disaccordo – decide di giocare una nuova carta e, diciamo subito che anche questa mossa, soprattutto nel lungo periodo, giova solo a incrementare una dinamica che porta a potenziare lo strascico dell’implosione. L’imperatore Zenone, consigliato anche dai suoi funzionari [l’ambigua diplomazia bizantina sempre pronta a tessere congiure, complotti e macchinazioni], e contando sul fatto che è la “disunione”, più che l’unione, lo strumento più efficace nella gestione del potere confida – per mettere in difficoltà Odoacre – sulla discordia che, da sempre, oppone le popolazioni germaniche le une alle altre e, quindi, stipula un accordo con il nuovo re degli Ostrogoti che si chiama Teodorico perché gli Ostrogoti sono i tradizionali nemici degli Eruli e, da sempre, ambiscono a sottometterli. Teodorico è un grande personaggio [ben noto a tutte e tutti noi] che stiamo per incontrare, ma lo faremo con circospezione, tenendo le distanze perché – in ragione della natura del nostro percorso – siamo molto più interessate e interessati a comunicare con le sue vittime.
Teodorico [Diudareiks], il re degli Ostrogoti è un giovane valoroso e intelligente, ed è ben preparato intellettualmente perché [in quanto figlio del re ostrogoto Teodemiro e di Erelieva, una delle sue concubine] è stato fin da bambino alla corte di Costantinopoli come ostaggio [uno dei metodi utilizzati dall’imperialismo romano per ricattare le popolazioni sottomesse] e ha, di conseguenza, ricevuto una formazione classica: apprezza molto la cultura greca e latina, ed è perfettamente inserito nella civiltà romana di cui è un cultore.
Gli Ostrogoti [dal tempo dell’imperatore Marco Aurelio] occupano il territorio della Pannonia [l’odierna Ungheria] che è una vasta pianura poco fertile e molto faticosa da lavorare per cui sono disposti ad emigrare e a mettersi in movimento verso Occidente e l’imperatore Zenone conferisce a Teodorico [ciò che non ha fatto con Odoacre] il titolo di “patrizio romano” e lo sprona a invadere l’Italia. Teodorico accetta la proposta di Zenone e nel 489 supera le Alpi Orientali con un esercito di centomila uomini e, al seguito di questo esercito, marcia un popolo intero [gli Ostrogoti]: più di trecentomila persone [donne, vecchi, bambini] si spostano dalla Pannonia verso l’Italia. Questo spostamento mette in movimento, da est verso ovest, altri popoli di stirpe germanica: i Longobardi [e ne sentiremo parlare] si avvicinano al corso del Danubio, i Burgundi s’insinuano in Gallia nel territorio dei Visigoti e, nel nord della Gallia, nello spazio attraversato dalla Senna, s’insediano i Franchi [un popolo con mire espansionistiche, con il quale avremo a che fare].
Odoacre affronta il potente esercito ostrogoto ma viene sconfitto in due battaglie [sull’Isonzo e a Verona] e deve chiudersi in Ravenna, che è una città non facilmente espugnabile. Dopo due anni di assedio, nel 493, Teodorico decide di agire con l’inganno: fa finta di voler intavolare delle trattative di pace ed invita ad un banchetto Odoacre con tutta la sua famiglia e i suoi luogotenenti, in realtà gli ha teso una trappola perché, a tradimento [prima che si arrivasse alla frutta e dopo aver affermato che a tavola non s’invecchia], li fa tutti trucidare e così, con questo sanguinoso raggiro, termina la guerra erulo-gota. In questo modo drammatico, in questo clima da tragedia, al governo degli Eruli subentra quello degli Ostrogoti e Teodorico – col titolo di re degli Ostrogoti e Patrizio d’Italia – si propone di ben amministrare questo Stato.
Il termine “tragedia” ci fa ricordare che stiamo leggendo un romanzo, Il calore del sangue, dove aleggia un clima di carattere tragico perché il cugino Sylvestre si è reso conto di aver scoperto un pericoloso triangolo amoroso in cui sono coinvolte le due giovani spose, Colette e Brigitte, e il baldo giovane Marc. Il cugino Sylvestre nutre delle preoccupazioni sulle conseguenze che può avere questa situazione passionale ma non immagina ciò che sta per succedere: leggiamo ancora tre pagine di questo romanzo.
LEGERE MULTUM….
Irène Némirovsky, Il calore del sangue
A Coudray bussai alla finestra della sala da pranzo e dissi di essermi smarrito. Il vecchio Declos, non ignaro del fatto che girovago per i suoi boschi da quando ero bambino, non poté non offrirmi una stanza. Quanto alla cena, non feci cerimonie. Andai in cucina e chiesi alla domestica un piatto di minestra. Me lo diede, aggiungendo un bel pezzo di formaggio e una fetta di pane. Mi misi a mangiare accanto al fuoco. L’unica luce della stanza era quella delle fiamme: si risparmiava sull’elettricità.
Chiesi dove fosse Marc Ohnet. «È andato via». « Ha cenato con voi?». «Sì» grugnì il vecchio. «Lo vedete spesso?». Fece finta di non sentire; la moglie teneva fra le mani un lavoro di cucito, ma l’ago non andava. Lui la apostrofò in tono ruvido: «Bella sfaticata che sei!». «Non posso lavorare, non c’è luce» rispose lei con voce bassa e assente. Poi, rivolta a me, chiese: «Non c’era nessuno a Moulin-Neuf?». «Non so. Non sono arrivato fin là. Il bosco era così scuro che non sono riuscito a venirne fuori. Temevo di cadere nello stagno». «Perché, nel bosco c’è uno stagno?» mormorò, e quando la guardai accennò un sorriso colmo di scherno e di intima gioia; poi, gettato il lavoro sul tavolo, rimase immobile, con le dita intrecciate posate sulle ginocchia e il capo chino. Entrò la domestica. «Ho messo le lenzuola nel letto del signore» disse riferendosi a me.
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Il povero Jean Dorin è caduto in acqua ed è annegato perché è stato davvero colto da un malore mentre attraversava il ponticello d’ingresso del suo mulino? Il cugino Sylvestre nutre dei dubbi su questa prima versione, e non è il solo.
Ma torniamo alla figura di Teodorico. Teodorico governa per trentatre anni, dal 493 al 526, col titolo di Re degli Ostrogoti e Patrizio d’Italia: mira, prima di tutto, a far convivere le varie etnie presenti sul territorio della penisola [latini, eruli, goti]: anche Teodorico e gli Ostrogoti sono ariani ma il re ci tiene a garantire la libertà di culto e a intessere buoni rapporti con i papi. Intraprende poi il riordinamento dell’esercito e dell’amministrazione civile, e soprattutto cerca di rilanciare il sistema economico con una riforma agraria [c’erano da appaltare grandi lavori di bonifica] e con il ripristino delle vie di comunicazione [le principali strade romane erano tutte cadute in rovina] e opera per rimettere in funzione il maggior numero di acquedotti possibile [l’acqua potabile è sempre stata un bene prezioso da far arrivare nelle città].
Teodorico fa intraprendere i lavori per dragare il porto di Classe perché la città di Ravenna, per la sua conformazione, non aveva un porto suo: il porto di Ravenna è una vera e propria città “Civitas Classis [classis in latino significa flotta]”. Classe [Civitas Classis, la Città della flotta] è stata fondata da Augusto intorno al 27 a.C. a sud di Ravenna in una baia fuori dalla cerchia delle paludi e i due centri sono stati collegati con un canale artificiale [c’è una relazione come tra il porto del Pireo e la città di Atene]. Il porto di Classe poteva ospitare la flotta imperiale [anche 250 navi] con compiti di sorveglianza su tutta la parte orientale del mare Mediterraneo.
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Sulla rete ci sono molti siti dedicati agli scavi archeologici di Classe [Civitas Classis]: fate una piccola ricerca in proposito, ci sono delle fotografie da osservare…
Teodorico fa restaurare molti monumenti romani e, anche lui [in un certo senso] rientra nella categoria di coloro i quali hanno operato per la salvaguardia della cultura classica, e inoltre vuole dare dignità di capitale a Ravenna [e favorisce lo sviluppo di altre due città: Verona e Pavia, e difatti nelle leggende viene nominato come Teodorico di Verona]. Sappiamo che nell’anno 402 l’imperatore Onorio aveva trasferito da Milano a Ravenna la capitale dell’Impero romano d’Occidente [per motivi di sicurezza] e, gradatamente, questa città ha assunto il ruolo di metropoli artistica fino a togliere il primato a Roma stessa.
Teodorico a Ravenna fa costruire un grandioso Palazzo reale, una nuova Basilica e molti altri edifici pubblici. Durante gli scavi eseguiti fra il 1907 e il 1914 sono venute alla luce le rovine del Palazzo di Teodorico la cui raffigurazione sotto forma di mosaico si trova nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo [Sant’Apollinare è il primo vescovo della città vissuto tra il II e il III secolo] che è stata fatta costruire da Teodorico come parte integrante della sua reggia: nasce come Basilica ariana ma aperta ai Cattolici secondo il clima di integrazione che il re vuole istaurare tra Goti e Latini emanando un editto [un programma di governo], “Edictum Theodorici”, nel quale per la prima volta, compare la diversificazione tra Cattolici [i Latini fedeli alla dottrina della Chiesa di Roma] e Ariani [i Goti comunque rispettosi dei Cattolici in nome della convivenza pacifica].
Le pareti della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo sono decorate con i famosi mosaici e le parti più antiche di questi mosaici [le ventisei “scene evangeliche” e le “figure isolate di Santi”] risalgono al 520-530 circa mentre le celebri “Processioni delle Vergini e dei Martiri” sono state rifatte al tempo di Giustiniano [circa quarant’anni dopo] e sono un mirabile esempio dell’arte bizantina: le due file dei Martiri e delle Vergini partono rispettivamente dalle città di Ravenna e di Classe, che sono state raffigurate all’inizio della navata, e procedono per rendere omaggio a Cristo e alla Vergine seduti in trono, c’è chi ritiene che questa parte dei mosaici, prima del rifacimento avvenuto sotto Giustiniano, comprendesse i ritratti di Teodorico e dei dignitari della sua corte. Particolarmente interessante è la rappresentazione su mosaico di Ravenna, dominata dalle singolari architetture del Palazzo di Teodorico Su ciascuna delle due pareti le figure in processione [delle Vergini e dei Martiri], che sono identiche solo in apparenza, trasformano i muri in stupende superfici smaglianti di colori – in cui spicca l’oro degli sfondi – ed ecco perché il mosaico è stato definito come una forma d’arte che tende a creare una sintesi tra la pittura, la scultura e l’architettura.
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Con la guida di Ravenna, collegandovi alla rete, usufruendo di un catalogo che potete richiedere in biblioteca andate ad osservare i mosaici della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo… Troverete senz’altro uno e più particolari che vi colpiscono e sui quali potete scrivere quattro righe in proposito…
A Teodorico va riconosciuto il merito di aver promosso la cultura e l’arte e, soprattutto, di aver affidato il governo dello Stato alle persone migliori [le più oneste e le più competenti] e, a questo punto, potremmo dire che Teodorico [come anche Odoacre] è stato un buono e saggio governante se non fosse che, negli ultimi anni del suo regno, per tutta una serie di motivi [a cominciare dagli intrighi della corte bizantina che si ripercuotono in Occidente e, non ultimo, al sopraggiungere di una malattia nervosa legata al complesso di persecuzione] il re diventa sospettoso e crudele per cui comincia a far arrestare, a far perseguitare, a far uccidere anche i suoi più validi consiglieri, ed è per questo motivo che, a noi [come abbiamo detto prima], preme di più incontrare da vicino le sue vittime: sono personaggi che si trovano nel paesaggio intellettuale che abbiamo di fronte, quello della “salvaguardia delle Opere dei Classici”.
Il primo personaggio che incontriamo, però, è un tipo piuttosto duttile e riesce ad evitare di cadere in disgrazia, anzi, sopravvive al sovrano e ai suoi successori e assiste alla sconfitta dei Goti: questo personaggio si chiama Cassiodoro e a lui dobbiamo la creazione di un importante metodo di lavoro intellettuale. Di che cosa si tratta e chi è Cassiodoro?
Cassiodoro – più precisamente Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore – è nato verso il 485 a Squillace in una famiglia nobile, e, nel centro di questa cittadina, su di una lapide celebrativa si può leggere: «Squillace ha dato i natali ad un personaggio illustre in tutto il mondo, sicuramente il più illustre nella millenaria vita della Calabria, Flavio Magno Aurelio Cassiodoro, l’ultimo dei romani e il primo degli italiani».
In prima istanza la Scuola consiglia di fare un’escursione a Squillace in Calabria, in provincia di Catanzaro, che è una cittadina posta a circa trecento metri di altitudine in posizione strategica per il controllo dell’omonimo golfo ionico del quale si trova proprio al centro Anche a Squillace, come in moltissimi centri del sud italiano, la storia e il mito s’intersecano in modo significativo: la leggenda vuole che sia stato Ulisse a fondare Skyllation quando, nel viaggio di ritorno da Troia, dopo una tempesta, è stato costretto ad approdare sulla costa ionica della Calabria. La polis di Skyllation nel periodo greco e poi in età romana [che la chiamano Scolacium] – pur non avendo mai avuto una propria autonomia amministrativa – è stata un centro di comunicazione e un porto militare e commerciale di grande importanza, e il suo porto [potenziato da Augusto] viene perfettamente descritto da Virgilio nell’Eneide. Anche in età medioevale Squillace ha assunto un ruolo – soprattutto culturale – di prestigio e questo è dovuto soprattutto al fatto di aver dato i natali a Cassiodoro.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
La cittadina di Squillace è ricca di monumenti e utilizzando l’enciclopedia, una guida della Calabria, collegandovi alla rete vale la pena conoscerli e visitarli, buon viaggio…
Il padre di Cassiodoro è un potente funzionario di Teodorico di origine siriana, patrizio e prefetto del pretorio e, quindi, anche Cassiodoro, sulla scia del padre, raggiunge i più alti gradi della carriera amministrativa alla corte del re ostrogoto e collabora con Teodorico nella politica di conciliazione tra i Goti conquistatori e l’aristocrazia romana. Cassiodoro rimane a corte, a Ravenna, fino a quando il regno dei Goti cade sotto i colpi dell’esercito bizantino [e questa è un altra storia di cui ci occuperemo strada facendo: a Cassiodoro, nel 553, tocca la triste missione di portare a Costantinopoli il corpo di Teia, l’ultimo re ostrogoto, ucciso in battaglia nella terribile guerra goto-bizantina, perché l’imperatore Giustiniano ne voleva constatare personalmente la morte che decretava la fine del dominio Ostrogoto in Italia. Ma non ce li aveva mandati l’imperatore bizantino Zenone gli Ostrogoti in Italia sessant’anni prima?].
Tornato in Italia Cassiodoro si ritira a Squillace, il suo paese natale, e vi fonda una specie di università monacale, il Vivarium [nel monastero di Vivario, in mezzo ai vivai], che diventa come un’arca di Noè in cui trovano salvezza numerose opere dell’antichità greco-romana. Il compito essenziale dei monaci del Vivarium è infatti la trascrizione e la conservazione di tutte le Opere classiche reperibili e poi la traduzione dal greco in latino dei libri che meglio rispondono all’ideale educativo di Cassiodoro il quale sostiene che l’eredità classica [greca e romana] va fatta combaciare con la sapienza offerta dalla Sacra Scrittura perché in molti testi classici [a cominciare dall’Eneide] ci sono i segni dell’avvento del salvatore Gesù Cristo. Quasi tutto il prezioso patrimonio bibliografico del Vivarium [centinaia di opere, riscritte e ben conservate] è stato trasferito nella biblioteca del Laterano [la costituenda Biblioteca Vaticana] ed è diventato uno strumento di trasmissione culturale decisivo per il futuro visto che il movimento intellettuale della Scolastica medioevale non sarebbe mai esistito senza la possibilità di poter attingere al patrimonio dei Classici greci e latini.
Cassiodoro mette a punto un metodo di carattere enciclopedico [trascrivere e raccogliere il più possibile del sapere umano - scientifico, letterario e filosofico - finora prodotto] e questo carattere emerge nelle sue opere. Le opere più importanti di Cassiodoro sono: le Variae [sottinteso Epistulae, Lettere varie], 468 lettere scritte quand’era cancelliere del regno Goto [una miniera di informazioni sulla politica del tempo], la Cronica, una storia dell’umanità da Adamo al 519 sullo stile di Gerolamo, il De anima, un trattatello in cui si propone come dottrina cattolica il principio antropologico [di stampo platonico] dell’anima come forma [intellettuale] del corpo [“L’anima della persona è ciò che la persona sa”].
Ma l’opera, in due libri, nella quale risalta meglio il carattere enciclopedico di Cassiodoro s’intitola Institutiones [Istituzioni di letteratura sacra e profana] e contiene diversi scritti i quali, anche se raccolti senza una precisa organicità, sono vere e proprie compilazioni di tipo enciclopedico, dove si trova di tutto, dalla grammatica all’astronomia: un deposito di citazioni tratte dai testi di numerosissime opere antiche pagane e cristiane, e l’ideologia che tiene legato questo coacervo antologico è la stessa di Agostino il quale [come sappiamo] pensa che la cultura antica non solo non va rigettata ma vada salvaguardata e messa al servizio della conoscenza teologica e della vita religiosa.
Cassiodoro è vissuto a lungo e quando muore, a novantatre anni, stava componendo un trattato intitolato De Orthographia [Sull’ortografia] per insegnare ai monaci come si dovevano trascrivere gli antichi codici: l’antichità è ormai lontana e i preziosi prodotti di quest’epoca ricca di humanitas vanno salvaguardati e utilizzati per costruire la cultura di un’epoca nuova: il Medioevo che, ormai, è iniziato.
A Cassiodoro dobbiamo la creazione di un metodo di lavoro intellettuale che serve per istruire una nuova figura fondamentale di artigiano, l’amanuense [o il calligrafo, come lo chiama lui], una figura indispensabile per il movimento di salvaguardia delle Opere dei Classici che vanno lette correttamente, interpretate fedelmente e scritte [possibilmente] senza errori. La figura dell’amanuense ha un’importanza straordinaria nella diffusione della cultura medioevale e ce ne renderemo conto strada facendo.
REPERTORIO E TRAMA ... per dieci minuti al giorno di lettura e di scrittura:
Avete la buona abitudine – sull’esempio del metodo del Vivarium di Cassiodoro – di ricopiare su un quaderno le frasi che vi piacciono e che scoprite nei libri che leggete ?…
Coltivate il vostro spirito enciclopedico facendo questo esercizio…
Irène Némirovsky ha lasciato un’agenda piena di racconti: andava a scrivere, seduta sotto un albero, nella campagna di Issy-l’Évêque, nel Morvan.
Per concludere leggiamo ancora una pagina da Il calore del sangue, dobbiamo partecipare alle esequie del povero Jean Dorin, la cui morte è piuttosto misteriosa.
LEGERE MULTUM….
Irène Némirovsky, Il calore del sangue
Jean Dorin è stato seppellito l’altro ieri. Un interminabile servizio funebre in una giornata fredda e piovosa. Il mulino è stato messo in vendita; Colette tiene per sé solo le terre, di cui si occuperà suo padre, e tornerà a vivere con i genitori.
Oggi hanno celebrato una messa di suffragio per Jean Dorin. La famiglia al gran completo gremiva la chiesa di una folla in nero, muta e indifferente. Colette è stata molto malata; si alzava oggi per la prima volta, e nel corso della cerimonia ha perso i sensi. Io ero seduto poco più in là. L’ho vista sollevare d’un tratto il suo velo da lutto e fissare il grande Cristo che si innalzava sopra di lei, inchiodato alla croce; ha lanciato un debole grido ed è crollata in avanti, il capo sulle braccia. Dopo la cerimonia sono stato a pranzo dai suoi; lei non è scesa a mangiare. Ho chiesto di vederla: era in camera sua, stesa sul letto, con accanto il bambino. Eravamo soli. Quando mi ha visto si è messa a piangere, ma ha rifiutato di rispondere a qualsiasi domanda. Distoglieva il volto con un’espressione colma di vergogna e disperazione.
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Il rumore dei passi di chi, coglieva il cugino Sylvestre?
La prossima settimana dobbiamo incontrare la vittima più illustre della repressione di Teodorico, si chiama Severino Boezio e ha scritto un’opera straordinaria. Chi è Severino Boezio e che ruolo ha avuto la sua opera nel movimento di salvaguardia della cultura classica?
Per rispondere a queste domande bisogna percorrere la via dell’Alfabetizzazione culturale e funzionale che è un bene comune [come il Vivarium di Squillace] perché lo studio è un’attività utile per promuovere l’Apprendimento permanente che è un diritto e un dovere di ogni persona: per questo la Scuola è qui, per spronarci ad investire in intelligenza…